Atkye – e il mio sogno diventa realtà

Prima della partenza Fino a febbraio 2004 “L’Africa” rappresentava tutto e niente per me. Si trattava di un insieme di informazioni sparse, succhiate e immagazzinate, prese da libri, documentari, racconti della gente e fantasie personali. Il sogno di adottare un bambino a distanza e permettergli (secondo la nostra visione) una vita migliore,...
Scritto da: Tanja Rasic
atkye – e il mio sogno diventa realtà
Partenza il: 03/02/2004
Ritorno il: 03/03/2004
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
Prima della partenza Fino a febbraio 2004 “L’Africa” rappresentava tutto e niente per me. Si trattava di un insieme di informazioni sparse, succhiate e immagazzinate, prese da libri, documentari, racconti della gente e fantasie personali. Il sogno di adottare un bambino a distanza e permettergli (secondo la nostra visione) una vita migliore, aveva sfiorato la mia mente diverse volte. Sinceramente però non me la sentivo di “purificare” la mia coscienza con un gesto così materiale, senza conoscere la realtà. La curiosità era tanta e il confronto con la realtà diventava un sogno sempre più grande, che avevo voglia di realizzare. Il profumo, i paesaggi, il mondo selvaggio, gli animali, il calore della gente e soprattutto dei bambini, ma anche la povertà e la sofferenza… tutto questo significava il Mal d’Africa per le persone che ci sono state. Mi sono chiesta se esistesse davvero. Mi sono chiesta se questo mondo, costruito in qualche modo nella mia testa con immaginazione e che amavo così tanto, fosse veramente all’altezza delle mie aspettative. Finalmente ad inizio gennaio 2004 contattai Esther Stella e devo dire che è stata la scelta migliore che io avessi potuto fare. Ho conosciuto ATKYE e Esther per caso, grazie a una di quelle giornate senza senso che uno passa navigando in internet senza cercare qualcosa di concreto. Prima che io la contattasi quel giorno ci siamo sentite una volta via e-mail, una volta via telefono e una volta tramite lettera. Insomma se devo dirla tutta non ci conoscevamo affatto. Che presunzione contattarla e chiederle se potevo andare in Africa con lei. L’ho fatto quasi per gioco, sicura che mi avrebbe risposto di no o comunque convinta che alla fine la paura avrebbe preso il sopravvento e avrei trovato una scusa per non partire. Invece Esther mi disse: “Io parto domani, fatti sentire, ti aspetto…”. Presi sul serio quelle sue parole.

Prima della mia partenza tutto sembrava difficile. Da una parte il mio sogno, il desiderio infinito di conoscere con tutti i miei sensi l’Africa, dall’altra parte la prima volta in un altro continente, un’altra cultura, un viaggio così lungo da sola, lontana da tutte le persone care e da tutte le certezze che fanno parte della vita Occidentale.Avevo paura di lasciare le persone che amo da sole, senza la mia protezione. Questo lato del mio carattere stava iniziando ad essere veramente un problema, pensare sempre prima agli altri e poi a me stessa. Andare via significava in un certo senso non adempiere il mio compito. Ma ne avevo bisogno io e ne aveva bisogno anche la mia famiglia. Sapevo che andavo incontro ad una svolta importante nella mia vita, sotto tanti punti di vista niente sarebbe stato più lo stesso al mio ritorno. Passavo intere notti a pregare Dio di darmi la forza per affrontare quest’esperienza al meglio e di dare la forza alla mia famiglia di vivere serenamente questo mio viaggio. Finalmente arriva il giorno della partenza. Mi faccio accompagnare dai miei genitori fino all’aeroporto di Bergamo, mi fanno compagnia fino all’imbarco. Mia mamma ha la faccia decisamente tirata, impaurita, preoccupata. Non la biasimo, infondo non sono stata capace di darle molte informazioni riguardo al mio viaggio. L’unica certezza era Esther (comunque una persona che io non avevo mai incontrato prima). Mio padre all’apparenza sembra molto più tranquillo e ogni tanto mi chiedo cosa gli passava per la testa, a cosa era dovuta tutta questa calma. Per quanto mi riguarda sono diventata impaziente, l’attesa di un mese di preparazioni era già bastata e non vedevo l’ora di prendere finalmente il volo per Mombasa. Nell’abbraccio io e mia mamma versiamo qualche lacrima e poco dopo mi ritrovo al di là della barriera, completamente sola… Il mio viaggio è iniziato, il mio sogno si sta realizzando.

Le prime impressioni Dall’aereo la prima cosa che vedo mi fa scendere la prima lacrima di gioia. AFRICA, finalmente ci sono. Si tratta del lungo serpente d’asfalto semideserto e accanto due stradine sterrate, parallele gremite di gente, tutta colorata. Uomini, donne con in testa pesanti carichi di chissà che cosa, bambini. Atterraggio è perfetto 15 minuti in anticipo. Uscendo dall’aereo percepisci subito l’umidità dell’aria, tutto d’un tratto ho i vestiti appiccicati al corpo, e li avrò per tutta la durata del viaggio. La procedura del ritiro bagagli, controllo passaporti, ecc… non mi impegna moltissimo, sono tutti molto gentili e la parola JAMBO si sente ovunque. Esco fuori dall’aeroporto timorosa, non so cosa mi aspetta, ci dovrebbe essere Tiziana (un’amica di Esther che non conosco) ad attendermi. Mi spiazza il fatto che attorno a me vedo solo uomini. Ad un certo punto sento il mio nome, alzo timidamente lo sguardo e vedo un ragazzo di colore con il cartello “Tanja”. Mi avvicino e mi presento. Lui prende subito la mia valigia e mi chiede di seguirlo. Dopo 10 metri si ferma “L’ho trovata” esordisce in italiano, e mi presenta. Davanti a me Tiziana, sua mamma (che era arrivata con il volo da Roma poco prima di me) e due masai. Dopo aver letto il libro “La Masai Bianca” devo essere sincera speravo di avere la fortuna e di incontrare di persona questo popolo. I masai sono bellissimi, non parlo della bellezza del loro viso, ma dell’insieme, degli ornamenti, dei corpi esili ma forti e robusti, degli sguardi, delle espressioni …Non so come comportarmi, non “oso” ne rivolgergli la parola, ne guardarli, per paura di offenderli, metterli a disagio. Durante tutto il viaggio l’unica cosa che faccio è tenere gli occhi aperti, osservare, annusare… in silenzio… il viaggio è lungo e la scena si ripete … agglomerati urbani più grandi, con tantissima gente, baracche, mercato, qualche negozio .. E poi natura … distese di verde, a tratti prati, a tratti campi di palme con qua e là qualche capanna sparsa.

Mi sembra di vivere un sogno. No, definirlo sogno non è proprio esatto.. Un film, un libro già letto dove la storia cambia di poco, c’è un personaggio nuovo … IO. Tutto quello che ho visto fino ad ora è esattamente come uno lo vede in televisione. La povertà: la si percepisce ovunque senza bisogno di grandi lenti di ingrandimento. La popolazione: tantissima, in continuo movimento, a piedi, in bici, in macchina, in matatu. Strade improbabili, loro alla guida ancora di più.

Il viaggio è volato, non mi sono accorta del tempo, ho cercato di non perdermi niente e di catturare ogni attimo per tenermelo stretto a me. Anche se ho promesso a tutti che avrei filmato e fotografato ogni cosa non ho osato tirare fuori la videocamera e fare la figura della tipica turista europea a caccia di ricordi. Un po’ per rispetto della popolazione che non conosco ancora ma soprattutto perché uno dei masai mi ha guardato in modo strano quando l’ho tirata fuori. Beh, sarò qua un mese mi dico, avrò tutto il tempo, prima voglio ambientarmi e capire cosa è ben accetto e cosa non.

All’arrivo a casa di Tiziana c’è diversa gente che ci aspetta: Charo il cuoco (che in un mese ci ha deliziato con la sua cucina), Kashuru il giardiniere (che ci contagiava con la sua risata in ogni momento della giornata), Grace (sempre gentile e disponibile).. Ma soprattutto Esther e Maddalena. Che bella accoglienza, anche se non conoscevo nessuno ho avuto subito l’impressione di appartenenza. Il panico comincia a farsi sentire quando Esther e Maddalena mi comunicano che la mattina successiva sarebbero partite per Nairobi e che sarebbero state assenti 10 giorni circa. Le uniche due persone sulle quali potevo contare all’inizio, partono e mi lasciano in questo posto per me nuovo, completamente da sola. Mi toccherà già da subito darmi da fare. Mi sento nuovamente la paura addosso. Non potrò contare sull’aiuto di nessuno e dovrò vivere l’Africa che da sola mi riuscirò a conquistare, e non sarà certo un impresa facile. Ho paura che nei prossimi 10 giorni, durante la loro assenza, non uscirò fuori dal mio bungalow. Ma non voglio rovinare il mio sogno. Adesso che sono qui non posso permettermi di non godere dell’Africa a pieno ritmo.

Mi fisso due obiettivi da raggiungere durante la mia permanenza in Kenya. Da una parte conoscere e vivere la realtà locale, cercando di imparare il più possibile, facendomi un’idea di come la gente vive, lavora, e perché no anche di come mangia, dall’altra parte toccare con mano l’operato di ATKYE e se mi è possibile dare una mano.

Un mese di opinioni, valutazioni, sensazioni, sentimenti, emozioni, suggestioni, commozioni, strette al cuore, freddezza, indifferenza, insensibilità Mi viene difficile trovare le parole adatte per esprimere tutto quello che ho vissuto in Kenya. Basta uscire di casa e avere voglia di conoscere, comunicare, fare amicizia e tutto diventa semplice. Senza alcuna diffidenza ti si presenta l’occasione di conoscere a fondo tutto quello che ti circonda, la gente locale, la natura, i villaggi tipici, i pro ed i contro del turismo occidentale, gli enormi contrasti. Chiacchierare con le donne, di diverso ceto sociale ed età, della loro condizione passata, presente e delle speranze per il futuro, è stato fondamentale per capire certi meccanismi maschilisti. Negli ultimi anni le donne stanno acquisendo sempre più importanza e potere soprattutto nelle zone urbane, purtroppo questo non avviene ancora nelle zone rurali e tribali del Kenya. La differenza è netta. Nelle zone rurali esiste e viene ancora praticata la circoncisione delle bambine. Secondo i genitori questa usanza dà alle ragazze un valore in più e certamente fa aumentare le quotazioni (fa guadagnare più soldi) al momento della “vendita” (matrimonio). Le ragazzine vengono considerate dai genitori fin dalla nascita solo come fonte di guadagno, non hanno nessun diritto, ne di istruzione, ne di nessun altro tipo. Una volta sposate servono solo per mettere al mondo figli ed allevarli, cucinare, lavare, andare a prendere l’acqua e la legna e servire gli uomini della casa. Per fortuna negli ultimi anni si nota un lento processo di profondo cambiamento, soprattutto nelle zone urbane del Kenya. Ci sono sempre più ragazze che frequentano le scuole, si incontrano donne occupare posizioni importanti nella società (maestre, avvocati, dottori…). Le donne con le quali ho avuto modo di parlare sono forti, coraggiose. Donne che hanno avuto una vita certamente difficile ma non si sono mai tirate indietro davanti agli ostacoli, ne si sono mai lamentate della loro condizione e oggi sono piene di speranza e fiduciose nel futuro. Forse per la prima volta in vita mia si è scatenato in me un sano sentimento di femminismo. Forse nel mio ambiente la parità dei sessi è una cosa scontata e consolidata, purtroppo in Africa questo richiederà ancora tempo.

I samburu, dall’aspetto cosi forte, robusto, fiero, composto, orgoglioso, rigido si sono rivelati molto socievoli, simpatici, affabili, aperti e disponibili. Con loro mi sono fatta diverse giornate full immersion. Passeggiate e lunghi racconti sulla loro cultura e sulle loro tradizioni. Sono tutti dei “guerrieri” e vengono dalla zona chiamata Samburu a nord di Nairobi, nelle vicinanze di Maralal, a 1’500 km di distanza da Malindi, anche se i turisti della costa li chiamano semplicemente Masai. Passano alcuni mesi all’anno nella zona costiera dove vendono i loro ornamenti sulla spiaggia e fanno spettacoli delle loro danze nei diversi villaggi turistici, il resto dell’anno lo trascorrono nei loro villaggi e si occupano principalmente dell’allevamento delle mucche. Con alcuni di loro si fa fatica a comunicare perché non essendo mai andati a scuola, oltre allo swahili e lo samburu, parlano a fatica l’inglese. Altri invece sono andati a scuola, sono anche molto intelligenti ed oltre alle due lingue materne se la cavano bene in inglese e sanno anche le frasi basilari in italiano, francese e tedesco. Nonostante tutto devo comunque ammettere che sono lontani anni luce dal nostro mondo. Avendo letto il libro “La Masai Bianca” di Corinne Hofmann ho cercato di capire se le cose descritte nel libro sono veramente così, e ne ho avuto conferma. Le loro tradizioni sono incomprensibili agli occhi del mondo “civilizzato”, io le accetto senza battere un ciglio e le rispetto perché fanno parte della loro cultura. Con alcuni di loro si è creato un rapporto di amicizia e di scambio reciproco di culture e abitudini. Grazie alla loro tenacia e cocciutaggine ho imparato a comunicare in swahili e ho imparato qualche parola in samburu. Loro hanno sicuramente migliorato le conoscenze in italiano, inglese e tedesco, l’unica cosa che mi sentivo di potergli insegnare veramente. Devo essere sincera ed ammettere che dopo un contatto giornaliero, il loro mondo, i loro colori, la loro spontaneità, l’ingenuità e la semplicità della loro vita manca moltissimo. Ancora adesso, dopo un mese dal mio ritorno, ricevo da parte loro quasi tutti giorni uno o più messaggi SMS, tanto per tenerci in contatto, per continuare l’amicizia anche a distanza.

Sulla spiaggia si incontrano tantissimi bambini. Si avvicinano con la speranza di un regalino (penna, caramella) ma anche per scambiare qualche parola. Molti di loro parlano perfettamente inglese, ma la cosa che mi stupisce è che se la cavano anche in italiano. Da quando il nuovo presidente ha deciso che la scuola primaria deve essere gratuita, quasi tutti i bambini vanno a scuola. La scuola, soprattutto quella interna (quindi con dormitori) viene considerata una salvezza per la maggior parte dei bambini. Da una parte perché i bambini non devono più occuparsi di aiutare a casa le madri raccogliendo legna e portando l’acqua per lunghi tragitti, dall’altra parte perché si suppone che a scuola i pasti siano garantiti per tutti i bambini. Purtroppo ci sono anche quelli che nonostante tutto questo non la frequentano. Il motivo è semplice, alcuni genitori non hanno ancora capito l’importanza dell’istruzione. I loro bambini vanno a caccia di turisti, che rappresentano in diversi modi una fonte di guadagno importante per il bilancio familiare. Come descrivere la natura e il paesaggio di questo meraviglioso paese. Spiagge bianchissime, mare trasparente, l’alta e la bassa marea, caldo umido, il cielo capace di sorprenderti sia quando è sereno sia quando nuvoloso, colori che mutano di giorno in giorno dandoti l’impressione di non aver mai visto lo stesso paesaggio due volte. Di notte miliardi di stelle ti danno la sensazione di poterle toccare, la luna immensa è l’unica luce di notte. I tramonti, con il sole che diventa una gigante palla color rosso fuoco, ti tolgono il fiato. E poi le distese verdi, la savana, le coltivazioni di palme di cocco, la terra rossa in alcune zone dell’interno che diventa di un colore intenso dopo un temporale estivo, temporale che è capace di sconvolgere lo scenario in un attimo. Osservare gli animali africani in uno dei moltissimi parchi naturali durante i safari è un’emozione grandissima. Essere spettatore e testimone di un processo naturale, di come questi animali vivono, si comportano e cacciano senza limiti di spazio, nelle distese enormi, nel loro ambiente naturale è veramente senza paragoni. Non ho avuto la fortuna di vedere il “re” leone, ma in compenso ho avuto modo di osservare da vicino per un periodo di tempo lunghissimo tre ghepardi, un leopardo ci è passato vicino, e poi elefanti, coccodrilli, ippopotami, bufali, zebre, giraffe, impala, gazzelle, dikdik, diversi tipi di uccelli… ne vale veramente la pena.

L’Africa ti mette a confronto con qualcosa di molto più grande di te. Sta a te cogliere l’essenza di tutto questo meraviglioso continente e trasformarlo in un sentimento di amore. Purtroppo sono stata confrontata con gente ignorante che non è stata capace di farlo, e ancora adesso mi chiedo il motivo del loro viaggio.

I villaggi tipici, sia masai che giriama, sono un insieme di tanti componenti che rappresentano contrasti enormi. Gente, uomini, donne, bambini, sorrisi, colori, danze, musica, canti, allegria, festa, ma anche milioni di mosche che invadono le facce dei bambini, povertà, sporcizia, degrado. Vedendo tutto questo con gli occhi di una “mzungu” ti si stringe il cuore, ma una volta che ti trovi a confronto con questa vita e ne fai parte (come penso di aver vissuto io in Africa) tutto diventa normale. Non è indifferenza credetemi, sarei la prima a voler vedere le strade asfaltate, acqua potabile e energia elettrica, un po’ del nostro confort occidentale in ogni villaggio. Poi mi rendo conto che questo è il nostro modo di vivere che forse non potrebbe appartenere al loro mondo. Sicuramente le loro condizioni di vita andrebbero migliorate .. Ma lasciamo decidere loro in che modo. Cerchiamo di non rovinare con il nostro modo di essere la loro integrità.

Nonostante tutto sono convinta che la gente in Africa vive felice e serena. Non ho mai sentito un bambino piangere e fare capricci e di motivi ne avrebbero, non ho assistito a nessun tipo di litigio tra la gente, nessuno si è apertamente lamentato della vita che conduce. C’è un grande spirito di alleanza, fraternità, fede, forse si tratta solamente di rassegnazione anche se a me, amante dell’Africa, viene difficile credere.

Da una parte con orgoglio, dall’altra con immenso dispiacere devo dire che in Africa l’unica cosa che mi ha dato fastidio è la costante presenza dei “bianchi colonialisti”. Non voglio assolutamente generalizzare. Ho conosciuto gente favolosa, che lotta a realizzare i propri sogni aiutando la popolazione africana a risollevarsi dalle innumerevoli piaghe che la stanno rovinando (analfabetismo, povertà, malattie, corruzione, ecc.) La strada è lunga e c’è molto da fare ma c’è gente che lotta quotidianamente in collaborazione con gli indigeni per raggiungere gli obiettivi fissati per un futuro migliore. Purtroppo c’è ancora molta gente che si comporta come colonialista. Gente che non capisce che si trova in un paese lontano anni luce dalla nostra realtà e fa di tutto per modificarlo a nostra immagine e somiglianza. E chi ha mai detto che siamo noi nel giusto e loro nello sbagliato mi sono chiesta parecchie volte. Turisti che pensano che con i soldi possono comprare tutto. Anche la presenza di un leone nel tragitto di un safari e se ciò non accade hanno il coraggio di definire tutto “una merda”. Poi sono i primi che non perdono occasione per comportarsi in qualche modo da usurai (ottenere il più possibile a minor prezzo). Gente che non ascolta i consigli e pensando di aiutare ma soprattutto per lavarsi la coscienza, favorisce il dilagarsi di una piaga enorme, l’elemosina.

Tutte questi racconti e considerazioni mie personali, mi portano a pensare di aver affrontato questo mio primo viaggio in Africa con la testa e lo spirito giusto. Penso di aver raggiunto in pieno il primo obiettivo fissato, quello di conoscere la realtà con la quale sono confrontati giornalmente milioni di persone.

ATKYE Come già detto ho conosciuto l’Associazione Ticino Kenya Youth Education per caso navigando in internet. Per caso è una parola grossa perché se io non mi fossi interessata del Kenya sicuramente il sito di ATKYE non l’avrei scovato. Leggendo le pagine del sito ho voluto informarmi di cosa si occupasse.

Questo è quello che dice l’art no. 2 dello statuto: “ L’associazione, che è apartitica e aconfessionale, ha lo scopo di sostenere lo sviluppo integrale della persona per mezzo di progetti di cooperazione in Kenya con particolare attenzione alla condizione della donna. L’associazione non persegue nessun scopo di lucro.” Una cosa ammirevole ma anche una condizione fondamentale alla quale milioni di altre associazioni umanitarie sparse nel mondo devono adempiere. Non era quello che mi interessava. Volevo toccare con mano l’operato di questa associazione. Mi sono soffermata a leggere i vari diari che Esther scrive al rientro da ogni suo viaggio. Devo dire che mi hanno conquistato subito. L’idea di partire e conoscere con i miei occhi la realtà continuava a girarmi nella testa finché non ho preso l’aereo.

Non smetterò mai di ringraziare Esther per questa grande opportunità che ha segnato il mio percorso in tantissimi modi. Il primo viaggio da sola, di un mese, in un altro continente, l’Africa, il mio sogno, chi avrebbe mai detto che avrei avuto il coraggio di affrontare tutto questo. Eppure quando arriva il momento giusto, te lo senti dentro e devi prendere l’occasione al volo, perché è possibile che non ti si presenti più. ATKYE è una goccia nell’oceano è inutile negarlo.. È una goccia però che fa sorridere e sperare tanti bambini e tanti genitori che non possono permettere un futuro migliore ai propri figli. È un aiuto concerto e importante. Grazie all’associazione parecchi bambini (orfani e poverissimi) hanno la possibilità di frequentare la scuola, cosa che in Kenya non è del tutto ovvia. L’associazione si occupa, grazie ai padrinati dalla Svizzera e dall’Italia, di seguire i bambini che fanno parte del progetto nel loro percorso scolastico (pagando le tasse scolastiche, seguendo i risultati scolastici intermedi, fornendo divise e tutto il materiale necessario) e di selezionarne nuovi bambini che hanno bisogno del sostegno.

Il compito dell’associazione non è del tutto semplice. Si è confrontati con problemi quotidiani che bisogna affrontare con grandissima calma, pazienza ma anche determinazione. Da una parte la direzione delle scuole, spesso concentrata solo ed esclusivamente sul proprio profitto invece di mettere in primo piano l’istruzione. Le condizioni di certe scuole sono veramente miserabili per quanto riguarda le strutture. E il problema più grande è l’alimentazione in questi istituti. In molti casi i bambini non hanno da mangiare a sufficienza e la dieta risulta ogni giorno la stessa: polenta e fagioli. Dall’altra parte ogni bambino costituisce un caso a se. Spesso situazioni famigliari difficilissime fanno parte della vita di ogni bambino, confrontati con la morte dei genitori, fratelli, malattie e povertà. Trovare una soluzione per ogni situazione diversa che ti si presenta diventa difficile, ma le straordinarie persone che collaborano per ATKYE e che ho avuto il privilegio di conoscere cercano di fare sempre molto di più di quanto si possa immaginare, mettendoci il cuore. Sono coscienti che aiutare tutti è impossibile, a volte capita di dover dire anche di no… ed è proprio in qui momenti che ci sente una goccia nell’oceano.

In un mese di permanenza ho avuto la possibilità di visitare diverse scuole che frequentano i bambini sponsorizzati da ATKYE. Kakoneni Girls Secondary School, Bustani School, Soneti Primary, Matsangoni Accademy sono quelle che mi hanno lasciato un segno indelebile.

Spesso sovraffollate all’inverosimile, soprattutto le primary ti colpiscono dritte al cuore. Una marea di bambini vestiti allo stesso modo, uniformi dai colori vivacissimi, che sorridono in allegria. La Matsangoni Accademy ci ha riservato un’accoglienza davvero indimenticabile. Bambini di ogni età, dalla nursery ai ragazzi molto più grandi che ci circondavano come uno sciame di api, stringendoci la mano ad uno ad uno per darci il benvenuto. Ho avuto modo di parlare con diversi di loro. Nei loro occhi c’è la gioia, la scuola rappresenta un momento di felicità e di svago. E’ un momento per dimenticare i tantissimi problemi che li aspettano a casa. Bambini che avrebbero una miriade di motivi invece non si lamentano mai per nessuna ragione, ogni cosa che gli viene data (anche le cose basilari come il cibo) viene considerata come un dono di Dio. Sono davvero la ricchezza più grande dell’Africa.

ATKYE ha anche un nuovo progetto, un nuovo obiettivo. Costruire una scuola propria. La trovo una cosa veramente bella poter riunire tutti i bambini dell’associazione sotto lo stesso tetto. Il terreno è già stato acquistato e quando sono andata a visitarlo sono rimasta veramente a bocca aperta, grande, pieno di alberi, veramente un posto ideale. La mia mente ha già viaggiato oltre e ho già l’immagine dei bambini in una divisa coloratissima, che corrono nei prati della scuola., impressa bene nella mia mente. Spero si tratti di un futuro piuttosto prossimo. Questo progetto richiede comunque un sacco di sforzi, burocrazia e come tutte le cose importanti può creare dissensi, malcontenti e discussioni. Cose normali che si risolvono con intelligenza e dialogo, a condizione che il concetto di base sia condiviso da tutti. Io credo tanto nell’idea di Esther e Maddalena e le appoggio in questo progetto importante. Speriamo che i lavori inizino presto.

Il mio punto d’arrivo di questo viaggio e il punto di partenza per i prossimi Sapevo di amare l’Africa… ma mai avrei immaginato che questo mio primo viaggio potesse diventare solo un punto di partenza.

L’africa riesce a toglierti il fiato, a farti vivere in pace, senza la frenesia Occidentale, ti mette a confronto con la ricchezza interiore della gente e la ricchezza della natura, ti entra nel sangue.

I profumi, i colori, gli odori, il cibo, le tradizioni, tutto diventa un’ attrazione irresistibile della quale non puoi fare a meno. Io l’ho amata dal primo istante. Ho vissuto un mese di scoperte, ogni cosa rappresentava qualcosa di mai sentito, mai visto, mai vissuto… Ed estremamente affascinante. Ero una persona abbastanza viziata, di gusti difficili, schizzinosa e sensibile. Amavo l’Africa ma avevo paura del confronto diretto con il lato selvaggio, inospitale, inesplorato, il cibo, gli insetti e animali di ogni genere e taglia. Adesso so di amare l’Africa e di amare soprattutto questi lati specifici.

Personalmente questo viaggio mi ha dato la spinta necessaria per conoscerla e comprenderla a fondo. Da quando sono tornata non ho smesso di leggere, informarmi e sognare il mio prossimo viaggio. Il mio sogno sarebbe di percorrerla dal Nord al Sud, attraversando vari paesi, incontrando tradizioni, religioni e lingue diverse tra di loro. Spero che il mio sogno molto presto diventi una realtà … io ci sto mettendo tutta me stessa…



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