Argentina: bianco, azzurro e non solo..
A Fiumicino abbiamo tempo in abbondanza e preferiamo scaricare le valigie per poi reimbarcarle. Il volo da Roma a Baires è al completo, abbiamo prenotato in enorme anticipo e già è stato difficile trovare posto, anche perché ci sono moltissimi argentini che tornano a casa per le feste. Lunedi’ 15 dicembre 2003 Buenos Aires – Iguazu’ Il volo atterra puntualissimo all’Aeroporto Ezeiza di Buenos Aires: abbiamo il tempo di cambiare i dollari che ci siamo portati in pesos e c’è subito il primo approccio con la città , visto che ci tocca andare all’Aeroparque, lo scalo dei voli nazionali.
Anche il volo per Iguazu’ parte all’ora preventivata e poco dopo mezzogiorno atterriamo a destinazione. La nostra guida locale, Jorge, ci porta al nostro albergo. Abbiamo scelto lo Sheraton Internacional, l’unico albergo che sorge dentro al parco nella parte argentina.
Pagando un supplemento, abbiamo scelto la camera “vista cascate” ed effettivamente è cosi’ , anche se un piano piu’ alto sarebbe stato meglio.
Jorge ci dice che in questo periodo ha piovuto molto (la stagione delle piogge è da marzo a maggio) e ci propone percio’, vista la bella giornata, di fare subito l’escursione al lato brasiliano delle cascate. Accettiamo e decidiamo di fare anche il giro in elicottero.
Non è certo economico (60 dollari per 10 minuti!) ma è davvero indimenticabile: le cascate sono fantastiche viste dall’alto, anche perché le recenti piogge hanno aumentato la portata d’acqua. Dopo il giro prendiamo il pullman di una compagnia privata brasiliana che ci lascia all’inizio della passeggiata. Siamo in un parco e i procioni vengono incontro senza timore e anzi uno tenta di frugare nella borsa di Roberta! Qui non ci si bagna, anche se l’acqua rossastra ( è piena di ossido di ferro) è a pochi metri da noi.
Arrivati alla Garganta del Diablo, invece, tutto è diverso: la passerella permette di trovarsi a tu per tu con la piu’ vorticosa delle cascate. Ci si bagna completamente, ma lo spettacolo è tale da rimanere senza parole. Per di piu’, un fantastico arcobaleno incornicia la cascata: un immagine talmente affascinante da far dimenticare la violenza dell’acqua. Si rimane incantati a guardare e peccato non potere riprendere con la telecamera per via degli spruzzi.
Verso le 18 siamo di nuovo in albergo e possiamo girare la zona circostante: effettivamente lo Sheraton non è un prodigio di bellezza ma è decisamente comodo, visto che da li’ parte un sentiero che conduce ai circuiti superiore ed inferiore che consentono la visita alle cascate dal lato argentino.
Per cena non possiamo far altro che andare al buffet dello Sheraton (l’albergo, come detto, è isolato): per 45 pesos (circa 13 euro) ci rimpinziamo ma al di là del piacevole impatto visivo non c’è nulla di eccezionale.
Martedi’ 16 dicembre 2003 Iguazu’ Nella notte si scatena un violento temporale che prosegue anche in mattinata. La gita al lato argentino delle cascate non nasce sotto i migliori auspici. Jorge è comunque puntuale e ci conduce a piedi attraverso il parco alla stazione del “Tren de la Selva”: è un trenino gratuito tipo Far West che attraversa il parco. Si sente il canto degli uccelli e riesco anche a vedere due tucani.
Si scende alla stazione “Garganta del Diablo” e percorrendo delle passerelle in ferro che attraversano il fiume Iguazu’ si arriva a vedere dall’alto la famosa cascata.
Roberta è talmente rapita da commuoversi ed effettivamente non c’è spazio per le parole. Una nube di vapore si alza dal baratro, gli uccelli volano incessantemente, il turbine d’acqua è continuo, infinito, imponente.
Per di piu’ non c’è ombra dei soliti banchetti con gadgets per turisti, (incredibile!) a parte due fotografi in equilibrio su una scala. Andare via è davvero un sacrificio, ma ci consoliamo al pensiero che potremo percorrere i circuiti.
Infatti riprendiamo il trenino e ci portiamo alla partenza del circuito superiore. Come dice la parola stessa, le cascate si vedono dall’alto: ci impressiona in particolare il Salto san Martin, una distesa d’acqua lunghissima proprio sotto le passerelle.
Vediamo i gommoni che portano i turisti a fare rafting proprio sotto ( beh non proprio sotto…) le cascate, ma la giornata è grigia, 25 dollari non li vogliamo spendere e per di piu’ ci si bagna talmente che sembra praticamente impossibile riprendere.
Rispetto al lato brasiliano, la visione è piu’ ravvicinata ed in definitiva piu’ piacevole, anche se forse piu’ settoriale.
Anche il circuito inferiore è interessante e sotto le cascate Bossetti si vede proprio bene, talmente bene che ci si lava completamente…Pazienza, tanto fa’ caldo… A pranzo andiamo al Fortin Cataratas, nel parco vicino all’albergo. Un buffet abbastanza mediocre che ha pero’ il pregio di costare solo 20 pesos.
Al pomeriggio vorremmo percorrere il Macuco Trail, un sentiero che attraversa la foresta per 6 km . Purtroppo le piogge l’hanno reso impraticabile e dobbiamo tornare indietro.
Decidiamo di riprendere il trenino e di tornare alla Garganta del Diablo. Non piove piu’, ma il cielo grigio che incombe sulla cascata dona un senso di inquietudine mista al consueto stupore.
Al ritorno, andiamo col trenino fino al capolinea dove c’è un centro commerciale davvero modesto, con due bar e negozi di souvenir ridicoli. Vien da pensare: se le cascate fossero in Europa (ma anche in Asia, negli Stati Uniti…), quanti esercizi commerciali graviterebbero intorno ad un posto come questo?! Meno male che qui è cosi’, ma durera’? Torniamo all’albergo e notiamo che siccome lo Sheraton è dentro al parco non si paga l’ingresso. In compenso, si cena di nuovo al buffet : assaggiamo uno dei cibi tipici argentini, le empanadas, specie di focacce ripiene di carne o di formaggio.
Il fuso orario non ci ha dato fastidio e l’appetito non ci manca.
Mercoledi’ 17 dicembre 2003 Iguazu’ – Salta C’è il sole! Quale occasione migliore per rivedere tutto il lato argentino con altri colori? La Garganta è ancora piu’ piena di vapore e sulle passerelle che portano alla cascata c’e’ persino qualche venditrice di oggetti tipici , con tanto di tesserino di autorizzazione governativo.
Il caldo non è soffocante e si sta bene ed il tempo per rifare i due circuiti non manca, visto che ce ne andremo alle 13.
Finiamo salendo sulla terrazza dello Sheraton per dare l’ultimo sguardo alla “vista cascate” e alle 12,40 siamo nella hall. Ci stanno cercando!!! C’è un tizio che brandisce un foglio su cui sta scritto che il prelievo per andare all’aeroporto è fissato per le 12,35 anziché alle 13 come comunicatoci il giorno precedente. Comunque sia, saliamo a razzo sul pulmino e via.
Non c’è un volo diretto Iguazu-Salta e siamo costretti a fare scalo a Buenos Aires. Ne approfittiamo per telefonare e mandare e-mail.
Arrivati a Salta, ci accoglie la guida che l’agenzia locale Tastil ci ha assegnato: il suo nome è Jorge o Giorgio , come preferisce essere chiamato. Parla bene l’italiano e sembra simpatico, il che non guasta visto che avremo tre giorni di tour insieme.
Il nostro albergo è l’Hotel Salta, un albergo davvero grazioso , in gran parte in legno e che ha il non trascurabile pregio di essere in centro che piu’ centro non si puo’ , visto che si affaccia sulla piazza 9 de Julio che è il cuore di Salta.
Siamo decisamente stanchi e dopo un breve giro andiamo a letto senza cena.
Giovedi’ 18 dicembre 2003 Salta – Valles Calchaquies – Molinos Dopo una colazione a buffet che conferma la nostra buona opinione sull’albergo e in cui io assaggio per la prima volta la bevanda nazionale argentina ovvero il mate, si parte per la prima giornata andina del nostro viaggio.
Oggi esploreremo le Valles Calchaquies , arrivando fino a Molinos dove pernotteremo.
La guida Routard dice: “ Controllate molto bene lo stato della macchina, un guasto potrebbe essere molto seccante”. Per fortuna i nostri compagni di viaggio, ovvero Jorge e l’autista, lo fanno per noi perché la strada ( che in gran parte sarà la mitica Ruta 40) è sterrata e sembra davvero disagevole per la nostra auto che è una normalissima berlina. Da Salta prendiamo la strada n. 68 (asfaltata) ; ci addentriamo poi nelle Valli Calchaquies attraverso la ruta 33. Il sentiero, perché tale deve definirsi, è stretto e sterrato e di tanto in tanto si vedono cavalli al pascolo e gauchos..
Attraverso la Quebrada de Escoipe continuiamo a salire in un paesaggio a metà fra il Far West e Sedona, la patria della new-age: cactus dappertutto ed una montagna in cui domina il colore rosso.
Si raggiunge la Cuesta del Obispo, in una profusione di rosso e verde che fanno da contrasto con l’azzurro del cielo.
Il paesaggio diviene via via piu’ lunare e si arriva al punto piu’ alto del nostro viaggio: Piedra del Molino, m. 3348. Qui si trova una pietra enorme caduta a chi la trasportava ed una deliziosa piccola cappella, piena di piccole offerte (fiammiferi, caramelle, foglie di coca…) per chi dovesse trovarsi in difficoltà in questa landa desolata.
Molti ci avevano parlato del fastidio dell’altura, ma noi non ci accorgiamo di nulla, forse per l’emozione del paesaggio.
A mezzogiorno arriviamo a Cachi, la “ capitale” delle Valles Calchaquies: è un tipico villaggio coloniale tranquillissimo (anche troppo!) con un piccolo museo ed una chiesa dichiarata monumento nazionale.
Facciamo pranzo alla “Confiteria del Sol”, un piccolo locale in centro (!) ; il servizio è affidato ad una gentilissima ragazza che alla fine, non avendo nulla di pubblicitario, ci da’ un bigliettino di auguri natalizi su cui scrive l’indirizzo del locale.
Al pomeriggio proseguiamo la strada verso Molinos passando per Seclantas, un altro villaggio coloniale con una graziosa chiesetta e nessuno in giro perché è l’ora della siesta e la giornata, nonostante l’altura, è decisamente calda.
La strada è davvero dissestata e c’è da chiedersi come faccia il pullman (!) della compagnia privata Marcos Rueda a percorrerla, specie con nubi o pioggia.
Arriviamo a Molinos verso le 17. L’Hostal , ovvero l’ex casa dell’antico governatore di Salta, è stato dichiarato monumento nazionale ed è davvero uno strano albergo: una dozzina di stanze che si affacciano tutte sul patio dove troneggia un enorme albero del pepe; sembra vagamente di essere in un film di Zorro.
Nell’albergo c’è un museo ed una simpatica donnina che ci bussa per chiederci cosa vogliamo mangiare (siamo gli unici ospiti): chiediamo solo un te’ e ce lo farà trovare in tavola con pane, torta, burro e marmellata.
Prima di cena, pero’, usciamo per l’unica passeggiata che si puo’ fare a Molinos: andiamo al centro di allevamento delle vicunas dove c’è anche un mercatino in cui vendono abbigliamento in lana di vicina.
La passeggiata non è del tutto riposante: qui l’altura un po’ si sente (siamo a 2300 metri) , l’allevamento è fuori paese e il sole picchia fortissimo. Peraltro non c’è molto altro da fare, se non curiosare per le vie del paesino (1.500 quasi invisibili abitanti), nel quale c’è anche la stazione di polizia piu’ tranquilla del mondo… Al ritorno dalla passeggiata, vediamo l’Iglesia de San Piedro de Nolasco, la piu’ bella fra le chiesette coloniali della zona, dichiarata monumento nazionale, con un affascinante interno in cui spicca una Via Crucis dipinta su tappeti tipici.
Dopo la divertente cena, consumata in una stanza in legno apparecchiata solo per noi, è l’ora di ritirarci nella nostra stanza, che di per se’ sembra la cella di un convento ma si inserisce benissimo nell’ambiente.
Venerdi’ 19 dicembre 2003 Molinos – Cafayate – Salta (Ruta 40) Di buon mattino ma non troppo lasciamo Molinos per proseguire il nostro giro.
Oggi l’obiettivo è Cafayate, terra di vini di qualità, ma prima ci fermiamo nei villaggi di Angastaco e San Carlos, con le loro ormai consuete piazze con giardino e le loro chiesette coloniali.
Attraversiamo poi l’affascinante Quebrada de Las Flechas, con le sue rocce scolpite dal vento che assumono forme sempre diverse.
Il sole leggermente velato da’ colori sempre fantastici e Giorgio ci elenca i nomi delle forme piu’ bizzarre.
Siamo davvero felici di avere inserito nel viaggio questi giorni nel Nord Ovest dell’Argentina e ancor di piu’ di non farli con il classico pullman ma con una macchina privata fermandoci quando e dove vogliamo e con spiegazioni sempre interessanti (e in ottimo italiano!).
Arriviamo a Cafayate dopo avere percorso una strada sterrata meno disagevole di quella del giorno precedente; per prima cosa visitiamo una bodega, ovvero una casa vinicola e compriamo una bottiglia di Torrontes, il vino bianco locale.
Facciamo pranzo al ristorante dell’Hotel Asembal, un locale niente di speciale in centro : empanada di carne e bife de chorizo con papas fritas per 15 pesos.
Un breve giro per Cafayate non ci entusiasma: la cittadina è molto piu’ moderna e turistica dei villaggi visti in precedenza.
Il ritorno verso Salta è forse la parte piu’ bella di questi due giorni di tour: proseguendo sulla Ruta 40 entriamo nella Quebrada de Las Conchas, dove acqua e vento hanno modellato la montagna rossa, verde, marrone, grigia. Sembra di stare in un Bryce Canyon piu’ vero, meno Disneyland e piu’ contemplativo anche perché non c’è veramente nessuno.
Le sculture naturali hanno forme sorprendenti: Giorgio ci mostra “il veliero”, “il rospo”, l’obelisco; suggestiva è poi la sosta nell’anfiteatro, una stupenda faglia scavata nella montagna , in cui un cantastorie cileno (!) ci dimostra la straordinaria acustica del luogo.
I colori delle rocce, l’azzurro del cielo, il verde della rara vegetazione , la sensazione di pace che il luogo ispira, rendono il pomeriggio davvero indimenticabile.
Torniamo a Salta in tempo per esplorare la vita notturna della città, che Giorgio ci dice essere intensissima.
Effettivamente in Balcarce, nei pressi della vecchia stazione, è tutto un fiorire di locali dove si mangia e si ascolta musica. Prima delle 22,30 non c’è nessuno, poi pero’ il luogo si riempie di gente. Volevamo andare alla “Vieja Estacion”, un locale dove c’è uno spettacolo di musica e balli locali, ma quando passiamo il locale è vuoto e quando torniamo dopo cena invece è strapieno. Accidenti! Sarà per domani sera.
Nel frattempo, notiamo che la gente è ben vestita, vogliosa di divertirsi e alquanto nottambula. I giovani , e non solo loro, sembrano davvero lontani dalle note preoccupazioni economiche.
Il posto è tranquillissimo, ci sono moltissime ragazze sole e nessuno le importuna. C’è peraltro un po’ di polizia e Jorge ci spiegherà il giorno dopo che i controlli anti alcool sono severi. Noi non possiamo fare troppo tardi, anche perché domani la sveglia suona prestissimo… Sabato 20 dicembre 2003 Salta – Quebrada de Humahuaca – Salta Alle 6,45 siamo già con Jorge pronti per partire per il giro della zona piu’ a nord, non distante dalla Bolivia, che ci porterà fino ai 3000 metri di Humahuaca.
Oggi siamo su un piccolo bus con altri sei turisti di diverse nazionalità ( 2 canadesi, 1 brasiliana, 1 norvegese, 2 francesi) ma Jorge continuerà a fare la guida in italiano solo per noi.
Il tragitto è lungo anche se “pavimentado”: piu’ di 500 km, quanti ne abbiamo fatti in totale nei due giorni precedenti.
Il primo villaggio che incontriamo sul nostro cammino è Purmamarca: un mercatino dell’artigianato niente di eccezionale, ma soprattutto la Montagna dei 7 colori, una incredibile formazione geologica variopinta che ci fa rimanere incantati. Ogni colore corrisponde ad una diversa composizione della roccia: ferro-verde, rame-rosso,calce-bianco, solfato-giallo, manganese-viola, argilla-arancio… Una gelateria a forma di montagna!!! Dopo Purmamarca, la strada sale ancora e si arriva a Tilcara, dove vediamo il Pucarà, una antica fortezza precolombiana oggi riportata in parte alla luce. Il Pucarà , oltre che un suggestivo sguardo sulla vita degli indigeni del xv secolo, è anche una spettacolare finestra sulla Quebrada di Humahuaca.
Humahuaca è un paese a circa 3000 metri di altezza del tutto diverso da quelli visti nei giorni precedenti: pieno di bambini che chiedono monete, (nulla del genere a Cachi, Molinos e Cafayate) e nell’insieme bruttino.
Pranziamo a prezzo fisso da Fortunato Pena e ci imbattiamo in un matrimonio: a parte gli articoli di legge letti dall’ufficiale di stato civile al ristorante, tutto è come da noi, dai vestiti degli sposi alla pletora di parenti giubilanti.
Giorgio ci accompagna a fare un giro del paese “con guida italiana” e si riparte verso Salta.
Il minibus corre veloce e notiamo come i colori del pomeriggio siano del tutto diversi da quelli del mattino per la mutata posizione del sole.
Ci fermiamo alla chiesa di Urquia, un gioiello di 300 anni fa ed al monolite che simboleggia il Tropico del Capricorno.
Qui , ogni anno, alle 12 del 21 dicembre il sole è talmente a picco che non proietta alcuna ombra. Per un giorno (ma sono le 4 del pomeriggio) abbiamo mancato il fenomeno.
Ci fermiamo infine al cimitero di Tumbaya, un incredibile coacervo di tombe con bizzarre decorazioni multicolori..
L’ultima sosta sulla strada del ritorno è a San Salvador de Jujuy, capitale della provincia, che si rivela pero’ brutta e afosissima.
Nell’insieme la giornata è stata piacevole, ma probabilmente è stata anche la meno interessante delle tre attorno a Salta: da un lato perché una guida (e un’auto) solo per noi ci consentiva di fermarci quando volevamo e dall’altro perché la provincia di Jujuy è meno interessante, anche perché già un po’ turisticizzata.
In serata ci aspetta una doppia cena: prima vogliamo andare alla Casa Moderna, una incredibile drogheria-salumeria con degustazione che non tradisce le attese. Un tagliere di formaggi e salumi niente male e un ambiente davvero insolito. Peccato per la scarsa cortesia dei titolari, che hanno tappezzato il locale di divieti di fotografare, quasi fossimo al Louvre e non dal salumiere.
La seconda cena, dopo la fregatura della sera prima, è necessariamente alla “Vieja Estacion”.
Lo spettacolo musicale di danza e folclore salteno non tradisce le aspettative: non è per nulla turistico, anche perché il pubblico è quasi tutto locale, è allegro e divertente.
I prezzi, peraltro, non sono dei piu’ economici e il locale aggiunge 3 pesos di “supplemento spettacolo”, ma ne valeva la pena, anche perché il mio “Bife de lomo alla Vieja Estacion” è buono e gigantesco.
A mezzanotte gli indigeni non sono ancora entrati nel pieno della serata ma noi ce ne andiamo a dormire soddisfatti.
Domenica 21 dicembre 2003 Salta – Buenos Aires Per la nostra ultima giornata a Salta prendiamo un taxi e andiamo al mercato artigianale, che, piuttosto incredibilmente, sorge distantissimo dal centro. Nell’insieme è una delusione, triste e abbandonato. Roberta,che ricordava i coloratissimi mercati birmani, non si capacita, ma cosi’ è.
Visitiamo la bella cattedrale e ci concediamo un ultimo giro in centro mentre i negozi della zona pedonale in Avenida Florida sono aperti. Ci mancherà “Salta la linda”, come è chiamata sui manifesti dell’Ente Turismo.
Salutiamo Giorgio che si raccomanda di far conoscere le bellezze della sua terra e via, in volo per Buenos Aires.
Il nostro albergo nella capitale è il Melia Boutique in Avenida Reconquista: è bello, anche se la parola “boutique” puo’ indurre in errore: è il classico hotel di livello, curato, efficiente, ma senza alzate di ingegno.
Alla sera abbiamo prenotato per la cospicua cifra di 35 euro a testa la “cena tango”. Il locale scelto è “La ventana” , nel quartiere di San Telmo.
La cena in se’, a dire il vero, è piuttosto discutibile, anche perché i camerieri sfoggiano un’affettazione fuori luogo per un pasto a prezzo fisso che in definitiva comprende 3 portate (antipasto, carne e dolce) da scegliere da una carta del tutto ordinaria: vitello tonnato, la solita bistecca e un sedicente profiterol non sono certo un buon motivo per venire fino a qui.
In compenso lo spettacolo è davvero gradevole: la tradizione del tango si fonde con la musica andina e le due ore passano in un lampo senza tempi morti. I ballerini poi ( qui ha sede una delle scuole di tango piu’ note di Buenos Aires) sono eccezionali e lo spettacolo, in definitiva, ben vale la sua fama, visto che è assai noto e pubblicizzato, in città e su Internet.
A mezzanotte e mezza siamo di nuovo in albergo ma sarà, ahinoi, una delle notti piu’ corte della nostra vita.
Lunedi’ 22 dicembre 2003 Buenos Aires – Ushuaia Alle 3,15 ( !) suona la sveglia : il nostro aereo per Ushuaia è fissato per le 5,30.
Peccato che per problemi tecnici (che si traducono in inquietanti lavori su un’ala seguiti con occhio preoccupato dai viaggiatori ammassati al gate) il volo parta con un’ora di ritardo.
All’arrivo a Ushuaia il tempo è bello e al pomeriggio potremo fare la gita in barca sul Canale di Beagle.
Le due ore e mezza dell’escursione volano via tra i lupi di mare dell’isola dei lobos che riposano pigramente al sole, i cormorani che affollano gli isolotti e la suggestione del faro in mezzo al canale.
La temperatura non è certo fredda (a Ushuaia ci sono 17 gradi) ma all’esterno della barca fa freddo: del resto stare fuori è il modo migliore per fotografare, riprendere e vedere tutto quanto. La barca si avvicina in maniera incredibile agli scogli, fin quasi a toccarli e con loro gli animali che li affollano in gran numero.
Al ritorno in città, un giro di Ushuaia ci rivela subito la differenza , del resto prevista, con il Nord-Ovest appena lasciato: gli esercizi commerciali, ubicati quasi tutti nella affollatissima Avenida San Martin, sono pieni di oggetti per turisti con prezzi piuttosto elevati.
La città nell’insieme è pero’ gradevole, piena di giovani (piu’ del 50% della popolazione di Ushuaia è sotto i 30 anni, perché la città si è popolata negli anni settanta) e di visitatori; sembra comunque un turismo non urlato, consapevole della suggestione del luogo e rispettoso dell’ambiente: molti vestiti da trekking e comunque nessun “ vitellone” in vacanza. Nel tardo pomeriggio abbiamo modo di visitare con piu’ calma il nostro albergo, che ci resterà davvero nel cuore: il Tolkeyen Hotel, ovvero l’Estancia Rio Pipo, è a 4 chilometri dalla città, affacciato sulla baia. Il luogo è talmente suggestivo da commuovere, con lo sfondo delle montagne e i colori dell’estate in Terra del Fuoco. Anche la famiglia che gestisce l’albergo è gentilissima e si fa perdonare l’unico neo: una temperatura sahariana (il riscaldamento, ci verrà spiegato dalla guida, è pressoché gratuito, paga il governo…) che ci costringe a dormire con la finestra aperta!!! La sera è d’obbligo provare il piatto tipico del luogo ovvero la centolla, alias il granchio.
Andiamo percio’ da Tia Elvira, indicato delle guide come il miglior ristorante di pesce del luogo.
Effettivamente la centolla, a dire di Roberta, è deliziosa e vale gli iperbolici 42 pesos. Per me, che non amo il pesce, un bife de lomo con papas fritas niente male per 24 pesos. Nell’insieme, una cena ottima in un ristorante di qualità, ma ridendo e scherzando sono partiti in tutto, comprendendo dolci, bevande e l’immancabile mancia, 93 pesos ovvero 28 euro, che è uno sproposito per l’Argentina.
Approfittiamo della navetta gratuita e torniamo al Tolkeyen per la nostra prima, caldissima (ahinoi) notte in Terra del Fuoco.
Martedi’ 23 dicembre 2003 Ushuaia Il tempo di una veloce colazione al Tolkeyen ed è il giorno della gita al Parco Nazionale della Terra del Fuoco.
Con il pittoresco trenino turistico ci addentriamo nel parco. Una fermata ad una piccola cascata (altro che Iguazu’) ed 1 ora complessiva di giro in un ambiente piacevole ma poco di piu’. Scopriremo il giorno successivo che la colpa è della pioggia che batte incessantemente e rovina i colori. Anche la Baia Ensenada, Lapataia ed il Lago Roca dove ci fermiamo in seguito non ci appaiono sconvolgenti.
Dopo la gita al parco, decidiamo di andare al Laguna Negra per sfruttare il buono per una cioccolata calda ottenuto gratis facendo la gita sul Canale di Beagle. E’ la seconda volta che andiamo alla cioccolateria piu’ nota di Ushuaia e ieri abbiamo comperato una marea di dolci (si spera) regali. La sedicente cioccolata , una pseudo ovomaltina disgustosa , ci allarma non poco, ma il successivo assaggio dei cioccolatini ci tranquillizza: la cioccolata calda non la sanno fare ma i cioccolatini si’ ed in particolare quello col dulce de leche è davvero delizioso.
Torniamo in albergo e ci riposiamo un’oretta nel nostro fornetto personale, dopodiché si parte per il City tour. Giorgina è bravissima e ci racconta in ottimo italiano un sacco di cose su Ushuaia : è una città con una storia breve (ha praticamente un secolo di vita e cinquanta anni fa gli abitanti erano 2000) ma interessantissima. Da ex colonia penale si è trasformata negli anni 50 in terra di grande immigrazione grazie all’istituzione del porto franco.
Arrivarono cosi’ molte industrie che attirarono mano d’opera da tutta l’Argentina e non solo.
Divertente è la storia delle case slitta, vere residenze mobili sollevate da terra perché appoggiate su tronchi: siccome la terra era dello stato, gli abitanti costruivano cosi’ le loro case, in modo che quando il governo richiedeva il terreno potevano spostarle in un altro luogo.
Nonostante la detassazione, la vita ad Ushuaia è carissima, perché la città deve importare tutto; il reddito medio di una famiglia si aggira sui 2000 pesos e gran parte della popolazione ha un tenore di vita assai modesto. A cio’ va aggiunto che l’Università di Ushuaia ha solo 4 facoltà (fra cui quella ad indirizzo turistico, ovviamente) e la spesa per chi vuole andare a studiare “in continente” è proibitiva.
Il tour termina con la piacevole visita del Museo della Fin del Mundo, interessante soprattutto per la descrizione dei vari aspetti della storia della città: le missioni, la colonia penale, le spedizioni di ricerca.
Alla sera decido di mangiare anch’io la centolla e scegliamo, su consiglio di Giorgina, “Moustacchio” , un ristorante che, come tutto qui, è in Avenida San Martin.
E’ buona e sfama moltissimo. La mia scelta, peraltro, è probabilmente sbagliata perché nella centolla al roquefort il formaggio copre il gusto del granchio; la centolla “fueghina” di Roberta, con una salsa a base di panna e prezzemolo, è piu’ “vera”. Anche le pere alla menta che prendiamo come dolce sono gradevoli ed il conto, 74 pesos, non è esagerato.
Notiamo che il ristorante si riempie verso le 22: normale per un posto in cui tutti i negozi chiudono alle 21.
Tornati al Tolkeyen, il miracolo: la temperatura è scesa in tutto l’albergo, comprese le parti comuni, e anche nella nostra stanza il termosifone è apparentemente chiuso. Temiamo che di notte inizi a far freddo ma invece dormiamo benissimo.
Mercoledi’ 24 dicembre 2003 Ushuaia – El Calafate Incredibilmente al mattino , benché le previsioni fossero pessime, c’è uno splendido sole.
Decidiamo quindi di salire al Ghiacciaio Martial, o quasi, perché dall’arrivo della seggiovia omonima c’è un’ora di cammino.
Con la navetta dell’hotel arriviamo in cittä, prendiamo un taxi e saliamo alla partenza della seggiovia che è a 7 km dalla città. Nel frattempo facciamo conoscenza con il tassista, al quale domandiamo quanto sarebbe costato fare in taxi il giro del Parco Nazionale della Terra del Fuoco. “75 pesos” è la risposta e ci lascia il bigliettino da visita suo e della moglie, anch’essa tassista.
All’arrivo a destinazione, la sorpresa: la seggiovia è chiusa, forse perché è la vigilia di Natale. Non ci arrendiamo e passiamo al piano B: rifare il giro del parco, senza prendere il trenino ma aggiungendo altre soste e soprattutto con il sole. Cosi’ approfittiamo del nostro tassista e partiamo.
Che sorpresa! I colori sono completamente diversi , la Baia Ensenada è splendida e Sergio ci porta in due posti che non avevamo visto il giorno prima: la Laguna Verde, una splendida insenatura color verde smeraldo e la Laguna Negra, dove l’acqua è resa scurissima dalla torba. Qui facciamo una splendida passeggiata nel bosco, nulla a che vedere con il grigio di ieri.
Anche la Baia Lapataia è affascinante e la visione di un agitatissimo Lago Roca conclude degnamente il giro.
In definitiva, il mancato funzionamento della seggiovia è stato una fortuna, anche perché sarebbe stato un peccato andare via da Ushuaia senza avere visto il Parco coi suoi veri colori.
Al pomeriggio ancora un giro in San Martin, ci compriamo due felpe con il disegno della Terra del Fuoco e torniamo in albergo.
Ci dispiace lasciare Ushuaia e ci spiace anche lasciare il Tolkeyen, un hotel veramente stupendo, con una posizione incredibile, gestito da una famiglia gentilissima e pazienza se ci resterà il ricordo del caldo sahariano.
Il volo per El Calafate parte in anticipo e alle 20,30 siamo giä all’hotel Quijote, un grazioso albergo nel centro del piccolo (e brutto) paese che vive solo di turismo.
Non troviamo un ristorante nemmeno a piangere, se non a condizione di fare la cena di Natale a prezzi stratosferici.
Perfino in una sandwicheria ci respingono e cosi’ dobbiamo mestamente tornare in albergo (anche li` c’è la cena di Natale ipercostosa) e mangiarci i cioccolatini del Laguna Negra e qualche brioche portata addirittura dall’Italia.
Pazienza, pensiamo, adesso viene il meglio del viaggio, con Lago Argentino, Perito Moreno e Peninsula Valdes.
Giovedi’ 25 dicembre 2003 Lago Argentino E’ Natale e noi lo passiamo navigando sul Lago Argentino. Faremo l’escursione Upsala Explorer, che si trova pubblicizzata fin dall’aeroporto. In pratica, navigheremo sul Lago Argentino fino ad arrivare al ghiacciaio Upsala, dopodiché prenderemo terra vicino ad una estancia e da qui faremo un trekking di circa 2 ore a piedi. E’ stata invece eliminata una parte dell’escursione che sembrava interessante , ovvero un giro in 4×4 nelle zone boschive attorno all’Estancia Cristina. Rispetto all’escursione tradizionale, non vedremo (e questo a Roberta dispiace) i ghiacciai Onelli e Spegazzini.
La giornata è grigia, ma man mano che ci avviciniamo al ghiacciaio a bordo del catamarano il cielo si apre e gli iceberg di un azzurro vivissimo ci vengono incontro. La barca va veloce e il freddo è pungente ma non possiamo certo stare all’interno, anche perché il ghiacciaio Upsala, tre volte piu’ grande di Buenos Aires, sta per sorprenderci con la sua maestà.
Impressionante! Il sole, ormai forte, illumina d’azzurro la massa ghiacciata senza fine, e non ci stanchiamo di riprendere e fare fotografie.
Dopo 4 ore di traversata, abbandonato lentamente il fronte del ghiacciaio, prendiamo terra vicino all’Estancia Cristina. Apprendiamo cosi’ dalla voce delle guide che l’ultima erede della dinastia dei concessionari (non proprietari) del terreno ove sorge l’Estancia è morta nel 1997 e lo Stato lo ha dato in concessione ad una società di Buenos Aires che organizza la nostra escursione.
La camminata promessa è piuttosto faticosa e di medio interesse: si tratta di andare a vedere una cascata che sorge a circa 1 ora di cammino dall’estancia: discreta salita, qualche foto, nulla di particolare.
Tornati all’Estancia, ci aspetta il pranzo lungamente atteso, tenuto conto che sono le 3 e mezza. Il cordero patagonico, ovvero l’agnello, è davvero strepitoso: buonissimo, rosolato al punto giusto ed abbondantissimo, il che non guasta. Il miglior pasto da quando siamo in Argentina! Dopo pranzo, si visita l’Estancia, che ha anche un piccolo museo con la storia dei fondatori. Questa parte della giornata è un pochino inutile, anche se è interessante sentire qualche notizia in piu’ sulle nostre guide che sono in 22 e stanno all’Estancia Cristina da settembre a giugno. Indubbiamente occorre un grande amore per la natura e non bisogna tenere in nessun conto le comodità della vita moderna, perché il posto è cosi’ isolato che piu’ isolato non si puo’.
I ragazzi dell’Upsala non ci propongono nessun acquisto, una maglietta, un cappellino, nulla. E pensare che avrei voluto un ricordo. E infatti sulla nave chiedo di comprare lo stemma dell’Upsala Explorer. Ce ne sono solo 3, immediatamente preda dei turisti.
Alle 21 siamo di nuovo in albergo. Sembra destino che non si ceni a El Calafate: del resto abbiamo finito di pranzare alle 17 e non avere appetito è legittimo. Un giretto per il paesello, un villaggetto fatto solo (qui si’!) di negozi per turisti piuttosto cari, il tempo di comprare a prezzo iperbolico due rullini ed una cassetta (e pensare che in Italia li abbiamo…) ed è già il momento di riposare perché domani ci aspetta il principe dei ghiacciai.
Venerdi’ 26 dicembre 2003 Ghiacciaio Perito Moreno – El Calafate – Puerto Madryn Eh si’, oggi è il giorno del Perito Moreno. Poiché il nostro volo è in serata, viene a prenderci una macchina in albergo e l’autista ci riporterà indietro per condurci in aeroporto.
Arriviamo al ghiacciaio alle 8,45; poiché l’imbarco per la navigazione che ci porterà all’inizio dell’escursione “minitrekking” è fissato per le 10, andiamo alle passerelle: che fortuna, non c’è nessuno e c’è uno splendido sole! Il ghiacciaio è li’, enorme e per nulla silenzioso, visto che di continuo pezzi di ghiaccio cadono in acqua con fragore assordante.
Roberta riesce con prontezza ad riprendere il momento della caduta di una massa gigantesca. La navigazione proprio di fronte al ghiacciaio è un’altra emozione, una festa di colori fra il lago, il cielo ed il ghiacciaio.
Il minitrekking, preceduto da una camminata nel bosco e da una breve introduzione storico-paesaggistica, è una camminata sul ghiacciaio con i ramponi forniti dalla società organizzatrice , Hielo y Aventura. E’ un altro modo di vedere il Perito Moreno, interessante anch’esso, pur se io e Roberta abbiamo preferito la visione dalle passerelle e dalla nave, perché visto “dall’interno” il ghiacciaio non appare cosi’ limpido, ci sono punti scuri per la terra dove sembra addirittura (ma non è) sporco.
Il sole continua a splendere ed i nostri eroi ritornano alla base. Un frugale pranzo al sacco ed è già tempo di lasciare il Perito Moreno, non prima di avere dato il via all’ennesimo fuoco di fila di scatti e riprese.
C’è in tutto 1 solo snack bar. Anche l’organizzazione del minitrekking, che avrebbe tutto l’interesse a vendere panini o altro per i turisti, non ha assolutamente nulla e la gente si porta il pasto al sacco dall’albergo.
Il nostro autista privato ci riporta in albergo e poi all’aeroporto.
Alle 10 di sera siamo nel nostro albergo di Puerto Madryn, il Bahia Nueva.
La cittadina è una base di partenza per i tour nella Peninsula Valdès e non molto altro, anche se è una località di mare. Anche l’albergo è in linea con questo scopo: le parti comuni sono graziose, la stanza è brutta, microscopica, dobbiamo schiacciarci l’un l’altro per aprire la valigia e, come se non bastasse, ha il solito caldo degli alberghi della Patagonia.
A cena andiamo da Estela, un buon ristorante nei pressi dell’albergo dove per 20 pesos non mi faccio sfuggire il mio bife de lomo.
Sabato 27 dicembre 2003 Puerto Madryn – Peninsula Valdes – Faro di Punta Delgada Si parte per il giro della Peninsula Valdès. Dormiremo al Faro di Punta Delgada e domani riprenderemo il tour.
La guida, Patricia, è decisamente graziosa e simpatica ma non parla italiano; capiamo comunque che non sarà possibile fare la navigazione per vedere le balene perché, come previsto, non ce ne sono piu’ in zona.
In compenso, una volta arrivati al molo di Punta Ballenas, dopo avere attraversato un paesaggio piuttosto monotono, ci imbarcheremo su un battello che ci porterà a vedere una colonia di leoni marini. Siamo fortunati perché sono appena nati dei piccoli e lo spettacolo è assai piu’ interessante di quello visto al Canale di Beagle. Anche qui la barca si avvicina moltissimo e si possono vedere delle autentiche famigliole, con l’enorme maschio, la madre ed il piccolo appena nato.
Dopo aver ripreso il viaggio in minibus, ci fermiamo a Caléta Valdès per una panoramica dall’alto della spiaggia piena di leoni marini, con i “sultani” impegnati a marcare il territorio, Verso le 13 arriviamo al Faro. Si mangia e subito si vanno a vedere gli elefanti marini. Ci viene detto che questo è l’unico posto in cui si puo’ scendere direttamente sulla spiaggia a vedere gli animali da vicino. E’ vero e lo spettacolo è davvero unico: tantissimi piccoli nati ad ottobre ed altri animali che stanno cambiando la pelle riposano mollemente al sole indifferenti (o forse incuriositi) allo sguardo dei visitatori, grattandosi buffamente con le pinne ed emettendo i loro versi.
Tornati in albergo, possiamo apprezzare ancor di piu’ l’unicità della nostra collocazione: il luogo, situato in una punta a picco sull’oceano, è splendido e decisamente suggestivo.
In piu’, le attività organizzate dalle guide sono gratuite e decisamente interessanti: gite in 4×4, passeggiate a cavallo, trekking.
Nelle stanze l’acqua è salata, ma nella piccola hall c’e’ tutto l’occorrente per fare caffe’, cioccolate o anche solo per bere acqua normale.
Nel pomeriggio, torniamo alla spiaggia degli elefanti: se ne sono andati tutti i turisti (in albergo ci sono in tutto 6 ospiti, compresi noi due) e ci sediamo a guardare gli elefanti, soli, in un silenzio rotto solo dagli animali e dalle onde del mare.
Verso sera, scegliamo l’escursione in 4×4: al di là della suggestione del luogo, colpisce l’amore con cui le guide, che tutti i giorni percorrono questa strada, fanno tutto quanto, dallo spiegare la vita degli animali al cercare lungo la strada altre specie da avvistare.
Vediamo lepri patagoniche, nandu’, cavalli, uccelli e pecore a profusione.
Alla sera, la cena , compresa, è altalenante: la carne non è un granchè, i gamberetti all’aglio sono divini, ci si sente il mare, altro che roba surgelata! Uscendo dal ristorante, un cielo stellato impressionante illuminato dalla luce rotante del faro ci dà un’emozione difficile da dimenticare.
Domenica 28 dicembre 2003 Faro di Punta Delgada – Peninsula Valdès – Puerto Madryn Oggi andiamo a cavallo in Patagonia! Detta cosi’, sembra da turismo avventura, invece è una passeggiata di un’ora e mezza tranquillissima, con cavalli che vanno al passo; anche due inesperti come noi riescono a non avere problemi.
Facciamo un sentiero che corre lungo un costone a picco sul mare, in una giornata che piu’ limpida e assolata non si puo’.
Al ritorno, andiamo con la guida a dare l’ultimo saluto agli elefanti marini sdraiati al sole su una spiaggia cui si accede con le scale poco lungi dal Faro.
La guida ci spiega il complesso ciclo riproduttivo degli animali che intanto riposano al sole.
Dopo pranzo, viene l’ora di lasciare il Faro ed il rimpianto è davvero grande.
Per una volta, un consiglio: dormite al Faro, non fate come quei turisti (tantissimi!) che arrivano, vedono gli elefanti marini, mangiano e ripartono. Il Faro e i suoi dintorni sono stupendi, le guide supergentili e le attivita’ piacevolissime; non privatevi del fascino di una notte stellata illuminata dalla luce del Faro.
Una volta ripartiti, dobbiamo purtroppo tornare a Punta Ballenas. Infatti il gruppo cui ci siamo uniti (arrivato un paio d’ore prima al Faro per la consueta visita mordi e fuggi) non ha potuto fare la navigazione verso i leoni marini in mattinata causa mare agitato.
Cosi’ mentre gli altri vanno sulla stessa barca su cui siamo andati ieri, noi dall’alto riguardiamo le famigliole di leoni marini che nel frattempo sono aumentate di numero perché sono avvenuti altri parti.
Torniamo a Puerto Madryn, con una fugacissima sosta a vedere da lontano (!) la Salina Grande, posta 42 metri sotto il livello del mare.
La sera decidiamo di recarci al ristorante “La vaca y el pollito” che non è troppo distante dall’albergo. Roberta mi prende in giro perché ordino un altro bife de lomo, ma mal gliene incoglie perché il suo asado deshuesado è enorme e soprattutto durissimo. Finisce che lo mangio quasi tutto io e non si puo’ certo dire che la mia cena sia stata leggera… Lunedi’ 29 dicembre 2003 Puerto Madryn – Punta Tombo – Buenos Aires Oggi è il giorno di Punta Tombo, dove una numerosissima colonia di pinguini Magellano ci attende (?) per farsi vedere e fotografare.
Il viaggio è lungo anche perché la strada è tutta sterrata ed il paesaggio non è granchè accattivante. Alle 11,30 arriviamo finalmente a Punta Tombo, una riserva naturale dove ogni anno mezzo milione di pinguini torna puntualmente.
E’ davvero divertente osservare i pinguini che vanno tranquillamente a spasso infischiandosene dei turisti; solo i piccoli sembrano un pochino intimoriti. Anche qui, per quello che possiamo osservare, la gente si comporta da ospite come è in effetti, ubbidisce al divieto di toccare gli animali e sembra non turbarli piu’ di tanto.
Un’ora passa in fretta (non si poteva stare un po’ di piu’ partendo magari un po’ prima?) ed è già ora di ripartire. Solita considerazione: in un altro paese, in un luogo del genere, sarebbero fioriti i negozietti turistici con tutto, ma proprio tutto, a forma di pinguino. Qui c’è un bar che vende anche quattro (di numero!) peluche e null’altro. Fortunatamente esistono ancora posti cosi’.
Al pomeriggio, la visita a Gayman è piacevole: la cittadina abitata da emigranti gallesi è linda, ordinata, caratteristica. La obbligata sosta alla casa del te’ (per noi è Ty Cymraeg, che vuol dire casa gallese) è davvero divertente: le torte offerte col tè e l’ambiente in generale sono davvero piacevoli e vale la pena di fermarsi per un rito che, pur inevitabilmente turistico, è molto gradevole.
Dopo la sosta gallese, diamo un ultimo sguardo alla Patagonia scoprendone le lontane origini al Museo Paleontologico di Trelew. Le sale sono interessanti, con ricostruzioni dell’ambiente preistorico e degli scheletri di animali, in una cornice per nulla paludata.
Ed ora all’aeroporto, si torna a Buenos Aires! All’arrivo, abbiamo la gradita sorpresa che all’Hotel Melia Boutique ci hanno riservato una stanza bellissima, sembra una suite.
Per cena, scegliamo “Las Nazarenas”, un ristorante segnalato da diverse guide che, trovandosi in Reconquista 1132, non è distante dall’albergo. Si tratta di un locale assai originale, in cui si è letteralmente circondati da bottiglie di vino di pregio. Il conto non è basso (50 pesos) ma il mio lomo alla pimenta e le ottime pere alla Borgogna, unite all’ambientazione di pregio, giustificano la spesa.
Martedi’ 30 gennaio 2003 Buenos Aires Al mattino abbiamo il tour della città con guida. Fortunatamente, siccome lo abbiamo chiesto in italiano, non andremo con i normali mega pullman ma con una macchina. Siamo solo noi, l’autista e la guida Gabriella, che l’italiano lo parla benissimo.
Il giro di 3 ore è davvero interessante: certo la città bisogna vederla e viverla in un altro modo, ma il primo sguardo su Recoleta, Palermo, San Telmo, la Boca, Puerto Madero è piacevole.
Andiamo ovviamente in Plaza de Mayo e vediamo anche la strada piu’ larga del mondo, Av. 9 de Julio, un impressionante arteria larga 125 metri.
E’, ancora una volta, una splendida giornata di sole e verso le 14 siamo pronti per girare da soli. Iniziamo il giro percorrendo Florida, la strada pedonale centro del commercio.
Decine di esercizi che offrono oggetti in cuoio, con venditori sulla porta che invitano ad entrare. I prezzi sono buoni, non bassissimi ma decisamente piu’ convenienti di quelli europei. Roberta compra due borse e siamo pronti per affrontare uno dei grandi magazzini piu’ belli architettonicamente del mondo, ovvero le Galerias Pacifico.
La loro fama non è delle migliori , visto che, in mattinata, Gabriella ci aveva detto: “Io qui non posso comperare niente perché tutto è esageratamente caro”. In effetti il posto è piuttosto lussuoso, con affreschi sulla cupola principale e la relativa abbordabilità per noi di alcuni articoli deriva dalle note differenze nel costo della vita.
Subito dopo percorriamo Av. De Mayo e facciamo una sosta in uno dei piu’ famosi café di Buenos Aires, il Café Tortoni, fondato nel 1852. Il luogo è scenografico e affollatissimo ma i prezzi sono alti e il servizio alquanto distratto, con il cameriere che si dimentica due volte l’ordinazione.
Uno sguardo ad Av. Corrientes, la strada dei teatri, ed è tempo di andare in Plaza de Mayo, famosa per le madri dei desaparecidos e perché c’è la Casa Rosada.
Il luogo è suggestivo, anche perché non si puo’ fare a meno di pensare alle vittime della dittatura militare e alle loro madri che da tanti anni aspettano di conoscere la sorte dei loro cari.
Tornati in albergo, si scatena un acquazzone di proporzioni bibliche, peraltro brevissimo.
Alla sera andiamo a Puerto Madero, il tempio dei ristoranti di Buenos Aires. Peraltro la visita ci delude un po’ perché ci sono effettivamente solo ristoranti, peraltro pienissimi, e null’altro.
Scegliamo “El Mirasol del Puerto”, al 202 della via, e ne approfittiamo per una cena (è l’ultima!) davvero pantagruelica: bife especial, 700 grammi di appetitosa carne argentina con le consuete papas fritas.
Piorto eroicamente a termine il compito e vengo premiato con una specie di grazioso diploma su cui c’è disegnata una mucca con la suddivisione dei vari pezzi e il loro nome in spagnolo ed inglese.
Ritirato l’ambito premio, un altro sguardo al porto e poi torniamo verso l’obelisco perché Roberta vuole vederlo illuminato. Non c’è praticamente nessuno e non è granché suggestivo: possiamo tornare in albergo, anche perché è l’una e fa decisamente freddo.
Mercoledi’ 31 dicembre 2003 Buenos Aires – Volo per l’Italia Per prima cosa, prendiamo il mezzo di trasporto piu’ comodo ed economico a Buenos Aires, ovvero il taxi, e andiamo a San Telmo, il quartiere delle botteghe di antiquariato.
Al n. 1179 dell’omonima via, c’è il bellissimo Pasaje de la Defensa, uno splendido edificio di epoca coloniale con tre cortili interni che si susseguono e delle botteghe davvero graziose. Ci colpisce Gattopolis, un minuscolo emporio tutto dedicato al gatto con oggetti divertenti e per nulla di cattivo gusto.
E’ tempo di tornare alla Boca, il quartiere piu’ colorato di Buenos Aires, ancora in festa per la recente vittoria del Boca Juniors nella finale di Coppa Intercontinentale. La foto di rito davanti all’ingresso di Via Caminito, le case colorate, gli artisti di strada… Non si puo’ negare che il posto è turistico, ma non sembra costruito, è vero, divertente, gioioso. A mezzogiorno andiamo a vedere lo spettacolo di tango al Caminito Tango show: certo non è La Ventana (proprio no!), ma in compenso sembra piu’ autentico, anche se questi ballerini stanno a quegli altri come una 500 sta a una Ferrari… Dopo pranzo vorremmo girare un po’ per la Boca al di fuori dei luoghi piu’ turistici ma una signora argentina incontrata per strada ci consiglia di non addentrarci troppo nel quartiere, anche tenuto conto delle nostre telecamere e macchine fotografiche. Sarebbe il colmo farsi derubare a poche ore dalla partenza e in un paese come l’Argentina che ci è sembrato davvero molto tranquillo.
Ci dirigiamo cosi’ verso la Recoleta, il quartiere piu’ elegante di Buenos Aires, con i suoi palazzi in stile francese in Av. Alvear e la sua bellissima chiesa di Nuestra Senora del Pilar.
C’è anche il mercatino dell’artigianato, ma non ci pare un granchè e non comperiamo nulla.
E’ ora di tornare in albergo e lungo la strada continuiamo a vedere gente che lancia foglietti dai balconi: l’autista che ci porta all’Aeroporto ci spiega che qui, a Capodanno, la gente butta via tutte le agende lanciandole dalle finestre. Davvero una tradizione strana, ma è vero perché avevamo già notato che erano agende sul serio.
Alle 23,30 del 31 12 , il nostro aereo decolla dall’Aeroporto Internazionale di Buenos Aires e a mezzanotte ci offrono champagne e un “pan dulce” fatto a forma di panettone ma decisamente mediocre. Il volo è semivuoto, è chiaro che sono pochi quelli che viaggiano la notte di Capodanno.
Giovedi’ 1 gennaio 2004 Volo per l’Italia – Fiumicino – Torino Sull’aereo molti ricordi si affollano: le cascate di Iguazu, le montagne di Salta, i ghiacciai della Patagonia, ma anche la cortesia della gente, la pulizia dell’ambiente, l’amore per la propria terra che si respira ad ogni angolo… Arriviamo in Italia, finisce il viaggio, ma il ricordo, beh per quello ho dei seri dubbi che possa finire…