Alsazia, bellezze mai viste

Un giro turistico in Alsazia, poi un salto a Friburgo
Scritto da: 44gatti
alsazia, bellezze mai viste
Partenza il: 04/08/2013
Ritorno il: 13/08/2013
Viaggiatori: 4
Spesa: 500 €
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È difficile in una sera mettere insieme le idee, tante sono le cose belle, sconosciute e impreviste, che in questi otto giorni abbiamo visto e ammirato. Dapprima la faticosa scelta della meta, poi quella dell’itinerario, poi le ricerche su internet e i consigli e le riviste di Alessandra, una mia amica, che ho cercato di leggere per trarne spunti. Alla fine decido per un itinerario che da Mulhouse, in Francia, attraversando tutta l’Alsazia, ci porti in Germania per scendere a Friburgo e poi in Italia con una sosta sul Lago di Garda.

Partiamo domenica mattina presto – alle 6.30 – e abbastanza presto verso le 9 siamo già alla frontiera Svizzera. La prima sorpresa è l’aggiornamento a 35 € del bollino autostradale obbligatorio che la guida Michelin dava a soli 29 €. Pazienza. Il traffico e la coda lo troviamo invece, a nostra insaputa, sul S.Gottardo. Per 4 km di coda ci impieghiamo un’ora esatta. Averlo saputo prima avrei percorso un’altra strada ma ho rifiutato all’ultimo momento prima della partenza l’acquisto del navigatore europeo perché lo ritenevo una spesa costosa e superflua, ma forse il proseguo della storia è rivelatore

Arriviamo a Basel e riusciamo a districarci velocemente tra i vari svincoli e deviazioni che ci sono per Moulhouse, così ci arriviamo verso le tre del pomeriggio. Dico le tre, ma sarebbero potute benissimo essere le cinque se un gentilissimo signore, che abbiamo interrogato per ragguagli urbanistici, non ci avesse provvidenzialmente guidato con la sua macchina fin quasi all’hotel. Devo dire che nello scegliere l’hotel privilegio sempre il motivo economico e ciò mi fa scegliere spesso in Francia la catena della Premiere Classe ed ho già una buona esperienza, ma stavolta non sono molto soddisfatta. Non che non gradisca le cose spartane, ma sembra più un Motel che un Hotel. Comunque sia, per non perdere tempo, decidiamo di visitare il museo del treno e lo abbiniamo, per via dello sconto, con quello dell’auto che visiteremo il giorno dopo. Il museo è notevole ma visitato anche con una certa fretta, perchè vi arriviamo alle cinque e l’orario di chiusura è alle sei. Per quello che abbiamo visto, comunque è ricostruito in modo più che soddisfacente.

Il giorno dopo, sapendo che il museo prescelto apre solo alle 10 decido di fare un salto a Rochamp distante una quarantina di km. per ammirare la chiesa costruita negli anni ’50 da Le Corbusier e definita il “capolavoro architettonico del XX secolo”. Stamane ci siamo alzati così presto che alle nove siamo all’ingresso della costruzione. L’emozione è grande, non solo perché la chiesetta merita, ma anche perché dopo averla vista per tanto tempo sui libri di scuola in storia dell’arte, ho proprio desiderio di vederla dal vivo. E l’attesa non delude. C’è un silenzio da favola in questa piccola cittadina di minatori, il tempo è buono e soleggiato, l’arietta fresca. Dal basso, si vede questa costruzione bianca spiccare in cima alla collinetta verde, in mezzo ad un prato. Da una specie di piramide lì vicino faccio le foto, e poi anche l’interno. Col telefonino le invio poi ad un’amica architetto pensando di farla contenta.

Ritorniamo velocemente a Mulhuose e dopo un po’ entriamo nel museo dell’auto, che nel suo genere è proprio bello: più di 400 esemplari dalle prime macchine (di legno dice l’autoguida) ai bolidi sportivi di 9-10 anni fa. Le foto si sprecano, ma quando vedo la Pegeuot 404, mando subito la foto a mio fratello in Italia, proprietario e collezionista innamorato della sua “404”. Le auto più numerose però qui sono le Bugatti, visto che l’imprenditore italiano, qui stabilì la sua fabbrica nei primi anni dopo la prima guerra mondiale. Mangiamo al self-service del museo. C’è anche una piccola pista ma non lo spettacolo che, a quanto mi hanno detto, si svolge solo nei giorni festivi.

Lasciata Molhouse ci dirigiamo verso Monstar, una piccola e graziosa cittadina a 20 km. da Colmar visto che non sono riuscita a prenotare in un posto più vicino.

Dopo la Premiere classe, mi sembra di essere quasi in un hotel di lusso, anche se è lontano dall’esserlo. Il costo è accettabile per due notti, ma non la colazione che quindi faremo poi a parte.

Martedì mattina visitiamo Colmar che giriamo a piedi ed in particolare la “Petite Venice”, cioè una piccola parte del centro storico circondato da canali d’acqua. Fotografo anche due battellieri sotto il ponte in azione nel trasporto dei turisti, ma fa caldo e siamo stanchi. Cerco anche il museo dove è custodito un altro capolavoro dell’arte, la Crocefissione di Grunwald del 1500, ma per quanto giriamo e fatichiamo a cercarlo non lo troviamo. Così stanchi ed affamati, ci sediamo in un piccolo buffet all’aperto per mangiare. A Colmar nacque anche Bartolidi, lo scultore francese autore della statua della libertà ora a New York. La sua “piccola” gemella la vediamo infatti all’uscita dalla cittadina.

È pomeriggio ormai e decido di visitare altre due cittadine sui Volgi: Riquewir e Keiserberg. Ovviamente sbagliamo strada e ci ritroviamo sotto un acquazzone improvviso a Ribeville. Poi il sole spunta e con calma riusciamo nell’impresa. Sono tutte e due molto belline. Con semplici casette a graticcio colorate di vivaci colori e negozietti accattivanti (per il turista). In particolare a Keiserberg visitiamo la casa natale di Albert Schweizer, il medico alsaziano premio Nobel per la pace che qui nacque nel 1875 quando l’Alsazia dopo la guerra franco-prussiana divenne suolo tedesco. E’ buffo pensare quante volte nel giro di un secolo e mezzo l’Alsazia sia passata dall’una all’altra nazione. Dopo 44 anni ritorna francese, poi di nuovo tedesca nell’ultimo conflitto ed infine nuovamente francese. Tornando a Schweizer, ne avevo letto la biografia parecchi anni fa e quindi qui visse ben poco, dedicandosi più che altro al lebbrosario di Labarnè, in Gabon con cui, questa città è gemellata. Racconto ai “pargoli” la sua vita: figlio di un pastore protestante, sapeva suonare benissimo l’organo, era già laureato in teologia quando, a 30 anni sentì che doveva fare qualcosa per nostro Signore perché molto – egli diceva – aveva ricevuto. Così si iscrisse alla facoltà di Medicina di Strasburgo laureandosi e andando poi in Africa. La piccola casa in fondo al paese è ricca di sue foto, oggetti e maschere africane. Poi, terminata la visita, torniamo a Monstar.

Mercoledì sulla strada per Strasburgo, visitiamo il bel castello di Haut-Konigsbourg. La particolarità del castello è non solo perché svetta isolato in cima alla collina, ma anche perché fu una ricostruzione voluta dal Kaiser Guglielmo II che sulle rovine dell’edificio – a causa della guerra dei trent’anni – decise di ricostruire il colosso e lo fece – devo dire – davvero bene. Peccato solo che riaperto finalmente nel 1908 dopo gli imponenti lavori di restauro, ben documentati in alcune sale, lo perdette solo dopo 10 anni quando, perdendo la guerra e il trono, ci rimise pure, e nuovamente, l’Alsazia. Ci andiamo la mattina presto e ciò ci favorisce perché riusciamo a parcheggiare non distante dall’ingresso. Scopriremo poi, in tarda mattinata che è una meta molto ambita dai turisti anche per il magnifico panorama che si gode dai suoi spalti. Il castello troneggia con la sua mole di pietre rosse e sembra l’immagine del castello incantato, con tanto di fanciulla addormentata nella torre più alta. Visitiamo ogni cosa: cucine, posti di guardia, sale, torrette, scale a chiocciola, sale da pranzo, giardino. E’ superbo il tutto. E’ proprio il caso di dire: che onnipotenza! Tra l’altro è piacevole star qui per il fresco che si gode.

Torniamo a valle dove oggi visitiamo Ribeville, intravista solo ieri di fretta sotto la pioggia e lì mangiamo. Anche qui si sprecano le “Cave” di vino e i negozietti acchiappa-turisti. Facciamo poi una puntata alla casa delle farfalle perchè Maria vuole vederle, e le vediamo infatti: di tutti i colori, blu, gialle, a pois, nere, arancioni. Solo che vivono in un ambiente caldo umido che mi fa sudare, per cui alla fine son contenta d’uscire. Imploro poi Giovanni di fare un salto alla collina delle scimmie dove famiglie di bertucce vivono in libertà li vicino. Anche se interessante, non mi dice poi molto, non ci sono infatti nessuna varietà familiare del simpatico antenato a quattro zampe. Di sfuggita però vediamo lì vicino una casa per il recupero delle cicogne. Sembra strano infatti, ma c’è davvero una specie di casa di cura per le cicogne. In realtà questi alati esemplari erano così pochi attorno agli anni ottanta che l’amministrazione locale decise di ripopolare l’Alsazia e così le cicogne sono ritornate. Lo si vede dai tetti degli edifici più alti, dove svettano i grandi nidi. In ogni borgo ce ne sono parecchi. La cicogna infatti è il simbolo dell’Alsazia. E’ il peluche più reclamizzato e venduto nei negozi, e fotografato su cartoline o ricamato sugli asciugamani. Viste da vicino comunque sono animali assai alti, ben più di un metro, con le zampe lunghe.

Infine in serata arriviamo a Strasburgo. L’arrivo comunque non è dei più semplici anche perché, ad onta di tutti i miei appunti cartacei, l’autostrada è interrotta e il cambio forzato di direzione non ci facilita certo la ricerca del percorso verso l’Hotel. Parentesi sull’hotel: anche qui ho prenotato alla Primiere classe ma l’arrivo è ancora peggio del previsto. All’ingresso delle due camere scopriamo in entrambe che i letti non sono stati rifatti. Brontolo vivacemente col il gestore che umilmente si scusa ma la sensazione ricevuta è ancora più sgradevole che a Mulhuose. Ci dà quindi altre due camere e tutto si sistema.

Il giorno dopo lo trascorriamo interamente a Strasburgo. Di lontano notiamo subito la cattedrale che svetta sopra la città. So che il centro è pedonale quindi con l’auto non arrischio tanto. Ci avviciniamo al duomo e prima di visitarlo facciamo un salto al vicino office de turisme per acquistare lo Strasburg pass (una specie di tessera che dà varie agevolazioni) e una buona carta stradale della Michelin per l’Alsazia e il Reno tedesco, che poi si rivelerà assai utile. La cattedrale è stupenda. Anch’essa costruita in stile gotico verso il 1200 con pietre rosse, ha all’interno delle vetrate bellissime, almeno così dicono chi le ha potute vedere col sole. Noi invece le vediamo col nuvolo e la pioggia, ma anche contro le avversità atmosferiche, sono imponenti, specialmente il rosone della facciata. L’interno è vasto e termina a sinistra con un gruppo marmoreo grande che riproduce l’agonia sul monte degli ulivi, e a destra l’orologio astronomico. Molto grande e alto. Usciti cerchiamo informazioni per il battello e poi facciamo un giro esterno della cattedrale. Maria, nostra figlia, ci avvisa che possiamo salire gratis, con lo Strasbuorg pass, sulla spianata del duomo. Per il volgo, la spianata è semplicemente dovuta a causa dalla mancata costruzione del secondo campanile, che quindi è monco della grande cuspide. Sarà stato anche gratis col pass, ma i gradini della ripida scala a chiocciola mi lasciano letteralmente senza fiato. Non per la vista, stavolta, ma proprio perché non ce la faccio proprio. Arrivo ansante in cima.

Infine torniamo nella cattedrale, questa volta per vedere all’opera il famoso orologio astronomico. L’attesa dura un’ora, perché l’orologio suona alle 12,30 ma l’entrare nella cattedrale completamente vuota fa una certa impressione. Delego Maria reporter ufficiale e le mollo la mia macchina fotografica ordinandole di riprendere tutto l’evento sonoro. Dopo una prolissa spiegazione del suo funzionamento in un video, finalmente sentiamo il battere della campanella con il passaggio delle varie statue degli apostoli e col gallo cantante il suo “chicchiricchi”. Usciti dalla chiesa, ci mettiamo poi in fila per il battello che fa il giro del centro di Strasburgo con una piccola deviazione per vedere la sede del Parlamento europeo. Almeno lì siamo stati comodamente seduti 50 minuti! E c’è pure una piccola chiusa. Stanchi, ma soddisfatti, torniamo all’Hotel – si fa per dire-.

Giovedì mattina invece la dedichiamo alla visita della linea Marginot, più a nord, ma dal depliant che prima della partenza mi aveva dato Alessandra, la mia amica, vedo che è visitabile solo nel pomeriggio. Elaboro dunque un piano B se il piano A in mattinata dovesse fallire. Così purtroppo è, dicono alla minuscola bottega che si fa chiamare ufficio informazioni della cittadina di Hunspach, vicino al confine con la Germania, così ci rechiamo nel vicino villaggio di Hatten a circa 15km dove la guida-cartaceo-alsaziana recita che fu combattuta nel gennaio del 45 un’aspra e sanguinosa battaglia coi carri armati, credo. Lì infatti è custodito una specie di bunker con tutte le ricostruzioni storiche nonché jeep, carri, camion, divise, armi, anche aerei. Le foto documentano ben tristi passate realtà, che stridono con il ridente paesino che ti accoglie tutto ricostruito con case a graticcio piene di fiori alle finestre e suoi balconi.

Torniamo a Hunspach alle 14, per l’orario di apertura. Dopo la conoscenza di un simpatico turista spagnolo di Barcellona, qui in vacanza con la moglie che parla bene l’italiano, ci immergiamo nella famosa Marginot. Che buffa cosa: è stata costruita per non essere usata, visto che poi Hitler l’aggirò passando dal Belgio. Tunnel sotterranei che conducono alle postazioni, alle cucine, all’infermeria. Mi sembra proprio la vita del topo, anche perché sotto terra siamo a soli 12 gradi. Vedo gallerie con tanto di rotaie a destra e cavi elettrici per il treno con piccoli vagoncini. Vedo pure una piccola cappellina con un’immagine dipinta sullo sfondo, e, in due stanze, le fotografie di Lourdes. Chissà come era dura la vita la sotto a quei tempi. Manca soprattutto il sole e i suoi caldi raggi.

Finalmente dopo un’ora riemergiamo in superficie a respirare aria pura. Era anche puzza di letame a dire il vero, vista l’aperta campagna, ma devo dire che mai prima, come in questo caso, ne ho maggiormente gustato l’aspro odore.

Facciamo rotta verso la grande Germania, oggi e la tappa è Rust. A dire il vero l’avevo scelta

Anche perché lì c’è l’Europapark che avrei intenzione di vistare, ma il costo e il tempo ce lo hanno poi impedito. Stavolta ho prenotato in un Gasthouse a conduzione familiare, anche perché avevo apprezzato i giudizi di chi vi aveva soggiornato. Mi accoglie infatti un simpatico signore tedesco che però mi sommerge in un proluvio verbale di tedesco, per me incomprensibile, ma per fortuna arriva la moglie che ci mostra la casa. Bellissima, anche perché c’è una pace assoluta. E’ un villino col bel giardinetto. In serata esco in paese con Maria e mi stupisco di non trovare il pattume. Come faranno i tedeschi, mi chiedo, quando devono buttar via qualcosa? Dove mettono la spazzatura? Boh? Il paese è pulitissimo. Incontriamo una coppia di Roma a cui chiedo informazioni dei dintorni. Son venuti per euro papark, che hanno già visitato ma resto allibita del costo: 200 € per 2 gg. Ciò ci fa propendere per la sola visita a Friburgo.

Poiché però di Friburgo visiteremo solo il centro e dunque ci limiteremo al pomeriggio, decidiamo di impegnare la mattinata altrove, così concentro le ricerche nei dintorni e vedo, poco dopo la frontiera francese il paese di Neuf Bisach. Decido di vederlo, ripassando il Reno. L’urbanistica della città è particolare. La sua costruzione infatti, fu ordinata da Luigi XVI a Vauban, un architetto, a difesa del suolo francese come fortificazione contro gli Asburgo. Ricorda un po’ Palmanova, un po’ Lucca. Al centro c’è una grande piazza, le vie si intersecano a perpendicolare e non lontano si trovano le mura, o per meglio dire due cerchi di bastioni aventi lo spessore di 4 metri e l’altezza di 9. Tra l’una e l’altra cerchia facciamo una piacevole passeggiata nel prato. Peccato aver poco tempo, ma Maria riesce sempre a procurarsi all’ufficio del turismo la fatidica moneta ricordo. Mi viene l’idea che sarebbe bello fare uno studio sul rapporto tra i re e gli imperatori e i loro architetti che hanno costruito o ricostruito edifici di difesa militare: Kaiser Guglielmo II con Ebhar, Re Sole con Vauban, Lodovico il Moro con Leonardo da Vinci e così via.

In tarda mattinata raggiungiamo Friburgo. Mi colpisce una specie di canaletta all’aria aperta, ma con acqua pulita che scorre in mezzo a tutta la città vecchia. Vedo infatti che è il gioco preferito di tutti i bambini. Hanno addirittura le loro semplici barchette, legate alla mano con un filo che poi trascinano in questi canaletti sguazzandoci dentro coi piedi.

In attesa poi della messa prefestiva che ci hanno detto essere alle 17, ci mettiamo sulla piazza e scorgiamo un giovane mimo che fa improvvisazione teatrale, con qualsiasi passante, e ne imita le mosse e l’andatura con delle uscite così comiche da sbellicarsi dal ridere e anche imbarazzanti per chi è imitato. Lì vicino poi, frotte di bimbi di tutte le età corrono dietro alle bolle di sapone che altri due giovani fanno per il loro divertimento. La città a quest’ora è piena di gente e le vie ne sono animate come non mai.

In cattedrale purtroppo scopriamo che la messa è alle 18,30, così decidiamo di lasciar stare e dirigerci all’hotel. Purtroppo imbocchiamo, senza accorgercene la strada giusta ma nella direzione sbagliata. Ci accapigliamo un pò anche perché a me manca una piantina estesa della città e non so proprio dove stiamo andando. Alla fine, in aperta campagna, chiediamo informazioni. Anche qui la provvidenza soccorre. Vediamo tre persone, due uomini e una donna ci fermiamo e chiediamo: ci mostrano nella cartina dove siamo e come siamo lontani dalla meta. Siamo andati 15 km oltre Friburgo in direzione opposta. Faccio presente il luogo del nostro hotel e allora si prodigano in spiegazioni, un po’ in tedesco, un po’ in italiano, un po’ in inglese. La signora, gentilissima, non solo va in casa a recuperare una vecchia cartina di Friburgo con sobborghi annessi, ma me la regala e l’uomo mi segna addirittura la strada che devo percorrere per l’hotel. Alla fine non posso trattenermi dall’ironia dicendo loro di sperare di arrivare alla meta prima di mezzanotte. “Good luck” mi rispondono ridendo. Dopo circa mezz’ora, ben guidati dalla mappa, giungiamo infine all’hotel. Che beatitudine!

Il ritorno in Italia, non ha molta storia, tranne una sosta al Lago di Garda per visitare Movieland, e accontentare Maria.

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