Algeria: dalla Casbah a Tamanghasset
Dopo una breve corsa in taxi (8 km) sono all’Hilton la cui scelta ,dettata per motivi di lavoro, non è la più indicata per visitare la città, essendo quest’albergo a mezza via fra questa e l’aeroporto, ma resta utile per chi ha necessità spostarsi con maggiore libertà nei dintorni della capitale restando fuori da un traffico incredibilmente denso e ulteriormente penalizzato da frequenti posti di blocco dove vengono fatti aprire i cofani del motore e del bagagliaio, macchina dopo macchina ed altri, più veloci, nei quali il traffico viene incolonnato in strettoie per un controllo visivo da parte degli addetti. Così si finisce con il restare fermi per tempi interminabili per poi ripartire a tutta velocità fino al prossimo blocco e cosi via.Se si aggiunge che Algeri è tutto un saliscendi di vie e ponti il consiglio è quello di avere tempo , pazienza e freni sempre a posto. E ‘ sera e ne approfitto subito per la prima botta di vita algerina. Assieme ad amici residenti vado al porticciolo di El Djamila una località turistica una volta chiamata La Madrague molto frequentata dai stranieri sullo stile dei porticcioli della costa azzurra fine anni 60 e da cui prendeva il nome rifacendosi sia alla omonima canzone cantata da Brigitte Bardot, idolo e simbolo di quegli anni, sia alla sua celebre villa. Con 15 € a testa ceniamo al Cercle Nautique uno dei suoi locali più “ in vista ” a base di pesce e gamberi alla griglia il tutto annaffiato con un ottimo “ Coteaux di Tlemcen”. Qualche ragazza locale indossa dei pantaloni a vita bassa, quelle europee, per lo più francesi, no . Rispetto, timore, legato al poco confortante effetto mediatico che il Paese riscuote in occidente ? Ad ogni modo l’ambiente è vivace ed affollato, sembra di essere in uno di quei tanti porticcioli che caratterizzano appunto la costa azzurra dove la musica del locale è rimasta ancora quella degli anni 60 , ovviamente in francese e dove le romantiche note di “Adieu Jolie Candy “di Jean Francois Michael o di“J’ai coupe le telephone “di Francoise Hardy sono dei veri tuffi nel passato , un nostalgico ricordo di gioventù per qualche presente . Davanti a me infatti una tavolata di anziani Pieds Noirs ( ex francesi residenti in Algeria) tornati a vedere i luoghi della loro infanzia conversa rumorosamente intercalando ancora frequenti parole in pataouete il loro idioma , un miscuglio di francese , catalano, arabo , italiano ed anche inglese. Sui loro volti il “cafard”, la nostalgia dei bei tempi vissuti è evidente . Al rientro i soliti blocchi stradali antiterrorismo, ma come gli altri ci faccio presto l’abitudine e per evitare l’ultimo quello davanti all’albergo, scendo prima e proseguo a piedi. Dalla camera dell’Hilton godo di una spettacolare vista sulla baia d’Algeri con le navi alla fonda in rada , specie all’alba quando la città si specchia in una unica macchia bianca sul mare e al tramonto quando il sole la tinge di arancione. La notte il golfo è tutto uno scintillio di tenui luci , quasi un presepio , una situazione topografica che ricorda molto quella di Napoli o Barcellona incassate fra il monte e il mare. Algeri, l’antica Icosium romana nome derivante dal Punico Icosim, e che alludeva alle isole poste vicino al litorale è divisa in tre fasce ognuna con singole caratteristiche. La parte bassa, costruita sulla costa dai francesi è quella dove questi collocarono gli uffici della loro amministrazione coloniale distruggendo la parte più antica e interessante della vecchia Algeri quella con i negozi e i tipici empori a mare. L’influenza architettonico è quella tipicamente transalpina con ampi boulevard simil -parigini, cattedrali , teatri e musei. La parte alta, o città vecchia, più nota come Casbah inizialmente edificata nel sedicesimo secolo come forte e residenza ottomane dai turchi è quella cresciuta nei decenni a seguire in una vera e propria città nella città. La terza zona è quella formata dai quartieri periferici risalenti al periodo post coloniale, con la maggioranza degli edifici in stile sovietico, di cui l’ El Aurassi l’ albergo di stato ne è l ’esempio più imponente , ma anche il meno pregevole . Peculiarità di questa capitale maghrebina e che ovunque ci si trovi , basta girarsi attorno per vedere il mare.
L’indomani è venerdì , Nasser l’autista mi consiglia di approfittarne per fare un giro della città per avere un’idea d’insieme, è l’unico giorno in cui il traffico lo permette , così saliamo subito sulle colline di El Biar dove vi sono le antiche residenze dei dey (titolo dato dal governo turco ai reggenti di Algeri) e le ville coloniali più prestigiose. Dei ricevimenti a cui prenderò parte durante questa mia breve permanenza presso alcune di queste dimore , oggi diventate per lo più sedi di ambasciate e altri dicasteri, mi daranno una chiara idea di quale tenore di vita e in quale lusso vivevano i pieds noirs, gli originari proprietari francesi .
Lentamente scendiamo verso la Places des Martyrs dove mi imbatto nella folla raccolta per la preghiera nella moschea di Ketchaoua con i suoi due svettanti minareti alle porte della casbah. Anche qui il colpo d’occhio sul contrasto fra gli eleganti edifici coloniali con i loro sontuosi portoni e balconi sorretti da cariatidi di ogni genere , con l’arte islamica e moresca è superbo, come pure superba è la vicina Djamaa El kebir, la grande Moschea costruita nel 1096 da Youusef Ibn Tashfin potente sovrano degli Almoravidi ( dinastia berbera originaria del Sahara che estese i suoi confini fina ad Algeri) e rimaneggiata nel sedicesimo secolo , la più antica del Paese assieme a quelle di Tlemcen e Nedrona. Percorro con Nasser le principali arterie della città i cui nomi nell’uso corrente sono rimasti in francese , le rues (vie) Charras, Hoche, i boulevard Carnet, Michelet , la rue Ben M’hdi forse la migliore via di Algeri, passiamo davanti alla monumentale Grande Poste, l’Opera, il celebre caffè “ Tantonville”. Pian piano la città mi svela il senso del suo vissuto, dei grandi sconvolgimenti che vi si sono verificati , di una presenza coloniale che si voleva, si credeva allora eterna , ma svuotata invece nello spazio di soli tre anni dal 1961 al 1963 di oltre della metà della sua popolazione fra francesi pieds noirs e harkis gli algerini arruolati nell’esercito francese ; una delle poche città del mondo ad aver assistito ad un simile esodo in un così breve tempo. La loro storia è rimasta però impressa sulle facciate di bianchi edifici dai balconi con ringhiere in ferro battuto riccamente lavorate e verniciati in blu sul tipo di Sidi Bou Said o Djerba in Tunisia con la differenza che qui rari sono i turisti che vengono ad ammirali e, quei pochi, al rientro, specie gli italiani , si lamentano che Algeri non offre nulla di interessante da vedere e ancor meno da acquistare. Un esempio è dato dall’artigianato locale in ceramica molto simile a quello tunisino oggi approdato perfino nelle bancarelle romane, cambia solo e la geometria dei disegni e la tonalità dei colori con una preponderanza del marrone al posto del blu. D’altronde l’origine per entrambi è quella berbera. Per avere un’idea delle ricchezze turistiche dell’Algeria basterebbe consultare le varie guide sul Paese, in particolare l’ultima focalizzata sul suo intero patrimonio archeologico e culturale pubblicata a fine 2006 per rendersi conto di cosa questa capitale è invece in grado di offrire , ma questi lavori sono prevalentemente scritti in francese. L’Algeria come destinazione turistica è invece da noi nota prevalentemente per il suo Sahara, cosicché questi utili strumenti di conoscenza ne risentono, permanendo per lo più settoriali, poco innovativi nei contenuti e sempre più degradati a prolissi elenchi di costi, graduatorie di stelle, di punti GPS, sulle distanze da percorrere nel Sahara ecc. Poco utili per la comprensione culturale e sociale del Paese che è molto complessa e articolata . I racconti pubblicati on line non aggiustano le cose , riducendosi sovente anche questi a nient’altro che a dei ripetitivi vai qui, vai lì vedi questo, vedi quello , triti suggerimenti e consigli al fine di evitare le guide obbligatorie, di non essere raggirati o per suggerire guide o organizzatori fidati. Ecc. Il che la dice ancora lunga su come molti in Europa considerano l’Africa o quantomeno con quale animo vanno a visitarla. Algeri , come tutta l’Algeria è sicuramente un luogo che non si presta alle “desiderata “di questa categoria di viaggiatori che , una volta sul posto, hanno più probabilità , rispetto ai convenzionali turisti di non di riuscire a vederla per quella che è e tanto meno a capirla ed a apprezzarla, commentando al rientro una delusione già scontata alla partenza. A soffrire di ciò è l’ immagine di un paese , non solo quella turistica che invece ha molto da dire e di cui il suo Sahara ne è solo una parte. Un Paese storicamente complesso , basti pensare che gia ben prima della sua indipendenza si contavano oltre cinque partiti politici e oggi il futuro dell’Algeria è di strategica importanza nell’area mediterranea per l’Europa.
Mi trovo ora nella parte bassa di Algeri. Visibilmente modellata dagli urbanisti francesi questa parte della città spicca per l’onnipresente e controverso stile dell’architetto Ferdinand Pouillon, l’equivalente di quello che fu il nostro Alpago Novelli per numero di realizzazioni in Libia , offre Indubbiamente le più belle vestigia del passato: la grande Moschea in della rue de la Marine autentica fondazione dei conquistatori Almoravidi popolazione di antichi Sahariani velati che, venuti dal Senegal nell’XI secolo, arrivarono fino a far retrocedere la conquista cristiana degli Spagnoli. Vicina a questa, la Moschea della Pêcherie, edificata nel XVII secolo dai Turchi, che richiama il ricordo di Costantinopoli. Ciò che maggiormente seduce in questa parte di Algeri e che resta più impressa è appunto quanto resta della vecchia città barbaresca, di quel triangolo di cui la base segue il bordo del mare e di cui il vertice è costituito dalla Casbah, cioè la Cittadella Turca ed il palazzo degli ultimi Bey.( governatori) I panni stesi ai balconi accentuano e colorano il bianco dei palazzi , similmente a Napoli e Marsiglia.
La sera, sempre con gli amici di “lavoro”, continuiamo nella nostra ricerca di ristoranti tipici e ci fermiamo al “ Au bon Gibier “ nel quartiere Riad El Feth in cima alla città i vicino al “ Monument “un mastodonte monumento dedicato alla memoria dei martiri della resistenza algerina, a dire il vero poco integrato nell’ambiente è usato spesso come punto di riferimento, piuttosto simile nelle linee architettoniche allo “Azzadi” di Teheran eretto anch’esso ai martiri della rivoluzione. L’ambiente del ristorante è particolarmente curato , il servizio ricercato, i prezzi a buon mercato nonostante gli ottimi vini locali serviti e il menu, tutto a base di cacciagione e specialità francesi. €20 a testa.
Altra mattinata dedicata alla visita della città. Arrivo nella piazza dedicata all’emiro Abd el kader , ribelle e combattente per l’indipendenza dalla Francia , ricordato con una imponente statua equestre . Nasser, che si rivela molto più di un semplice autista per aver fatto da guida in varie visite ufficiali mi ricorda di un’altra figura importante della resistenza algerina all’esercito coloniale francese, quella di Lalla Fatma N’Soumer, la Giovanna d’Arco algerina come ebbe a definirla il maresciallo di Francia Random che la combatte a lungo nella sua terra natia la Cabilia (Kabilie regione dell’Algeria ) prima di sconfiggere la sua tenace resistenza e vorrebbe portarmi alla sua casa museo ma è distante da Algeri e il traffico è tiranno. Così utilizzo il resto della mattina libera alla visita del Palazzo dei Rais, (capo) più conosciuto come Bastion 23, perché parzialmente edificato sopra ed a lato delle fortificazioni verso mare che costituivano originariamente le prime difese della città contro gli invasori oggi ubicato nel tratto fra la pecherie (la pescheria) e l’amirauté , ( l’ammiragliato ) Inizialmente edificato per ordine del Pascià (titolo onorifico turco) di Ramadan Pacha divenne una delle sedi di Kheir-ed-Dine, detto il Barbarossa, fondatore della Reggenza di Algeri, uomo rivelatosi di una volontà di ferro e di un senso politico tali che sotto il suo regno, l’Algeria diventerà una grande potenza mediterranea capace di sconfiggere le flotte di molti paesi. Con lui il porto di Algeri, malgrado le allora sue modeste dimensioni, complice anche la particolare natura delle coste algerine , farà tremare i paesi nemici per circa tre secoli e da semplice riparo di pirati diventerà uno stato. Non a caso Kheir-ed-Dine viene considerato,assieme al nostro Andrea Doria, il più grande marinaio di tutti i tempi. Il bastion 23 ,recentemente restaurato e aperto ai turisti contiene questa fascinosa storia fra le sue mura e sugli spalti da dove si gode una stupenda vista sul mare . Alcuni cannoni d’epoca sono rimasti ancora puntati verso quelle galere, veneziane, francesi e americane che non sono mai riuscite a distruggerlo. Il visitarlo mi riporta il pensiero ad altre fortezze quale quella di Tripoli di barberia ,come questa allora veniva indicata sulle carte e alle epiche vicende barbaresche del mediterraneo di quei tempi da noi così poco note ed illustrate. Sorprende soprattutto il pensare come una metropoli così interessante sia potuta sorgere su un piccolo nido di pescatori ed antichi corsari . Qui, mi ricorda Nasser venivano venduti gli schiavi fatti prigionieri , fra cui anche un certo Miguel de Cervantes, catturato durante un viaggio marittimo. A fianco del Bastion 23 vi è il porto dell’amirauté ricavato dalla fusione degli isolotti non più visibili in quanto “assorbiti”da una diga fatta costruire da Kheir-ed-Dine con l’impiego di trentamila schiavi europei. Questa parte del porto, culla della sua originaria potenza barbaresca e oggi tranquillo riparo di barche di pescatori e da diporto con a ridosso gli ordinati edifici pubblici collegati da vistose rampe di accesso è la parte più tipica di Algeri. Più in là il porto commerciale marittimo con le murate dei traghetti ormeggiati a pochi metri dal boulevard de La République , o la corniche come qui viene chiamato il front de mer (fronte a mare) , confonde lo stridio delle sue gru che scaricano e caricano il traffico commerciale più importante della riva sud del mediterraneo con quello del traffico cittadino. Poche sono oggi i porti che sbarcano i loro passeggeri direttamente al centro città , Algeri è uno di questi, una volta erano le galere e le golette a gettare le ancore di fronte alla Casbah, oggi sono traghetti ultramoderni . Ha appena attraccato il Tassili II proveniente da Marsiglia . La confusione fra chi si appresta a partire e chi è appena sbarcato è enorme, i bagagliai e i tetti delle macchine stracolmi di valigie e cartoni, un cordone ombelicale mai reciso.
Mi trovo ora alle porte della parte bassa della Casbah. La vera storia di Algeri è qui. La Casbah è Algeri prima della Francia, sicuramente il luogo più intimo e simbolo dell’Algeria odierna, antitesi della città costruita dai francesi che distrussero buona parte di questa “medina” la più famosa e carica di significati delle antiche città maghrebine. Mi avverte Nasser che il visitarla con un occhio attento alla sua storia e, meno ai pochi negozi di souvenir, necessita di molto tempo così alle otto della mattina successiva sono al posto di polizia ubicato nella parte alta dietro il carcere dei Fratelli Barbarossa dove mi assegnano due guide e il permesso per fotografare. Il mito della città araba con le sue strade tortuose e segrete, con i suoi dedali di ripide e anguste scale mi appare appena girato l’angolo dietro il posto di polizia: Mi immaginavo di trovare il caratteristico pullulare di gente e carretti. Invece trovo bambini intenti a giocare e solitari passanti indaffarati nelle proprie quotidiane vicende . Pian piano scendiamo a mare ; non ho visto la famosa pellicola di Gillo Pontecorvo , La battaglia di Algeri. Girato oltre trent’anni fa ma posso immaginare cosa e quale sia stato per il Paese questo lacerante periodo semplicemente guardando i luoghi simboli quali il piccolo museo ricavato in ciò che resta di una abitazione in oued Koriche fatta esplodere dai parà del colonnello francese Mathieu per catturare Alì la Pointe , uno degli ultimi irriducibili Fellaga termine dispregiativo con cui i francesi chiamavano i combattenti del FNL il Fronte di Liberazione Nazionale Algerino. Dei fotogrammi d’epoca incorniciati ed ingialliti sulla vita di quei giorni riportano immagini confinate in un tempo che mi sembra lontanissimo. Visitare questi luoghi significa capire molto dell’anima odierna di Algeri, delle sue vicende. La Casbah sta oggi ripigliando lentamente il suo posto nei cataloghi dei tour operator , la vita continua a scorrervi , ma una triste aria di abbandono la pervade. Da occidentale questa è una sensazione ancora più forte vis a vis di una cultura e di un mondo che ci affascina e che vediamo sempre più in pericolo. Sono qui anche per questo.
L’architettura della Casbah è unica e fondamentalmente diversa dall’architettura maghrebina come normalmente intesa, più vicina a quella turca . Le sue strade sono ancora più strette, quelle più larghe non superano i tre metri, le più strette meno di un metro ci si può stringere la mano fra una finestra e quella di fronte, le terrazze sono spesso comunicanti fra loro , quasi come la libica Ghadames, sorta anch’essa come città sahariana difensiva e non il contrario. Scopro così perché carri e carretti non vi possono circolare e dove tutto, dalla merce alla nettezza urbana, viene ancora trasportata con somari , carrelli portatutto a due ruote, ma più spesso a dorso d’uomo .Girare nel dedalo delle sue viuzze e fra le sue terrazze che offrono spettacolari viste a mare costituisce un’esperienza unica, un atmosfera un po’ avventurosa da non perdere. Frammiste ad una fitta trama di case popolari prevalentemente di epoca ottomana vi sono delle vere e proprie residenze , antiche dimore di ricchi turchi e mauri .Delle piazzette, spesso adorne con fontane,murali rivestite con piastrelle in ceramica gialle e verdi si aprono ogni tanto in questo intricato dedalo di viuzze. La casbah non è il suk delle grandi città arabe come si potrebbe comunemente intendere ma ciò che resta dell’antica Algeri , una città nella città , una Algeri nel corso della sua ancestrale esistenza, qui illustrata nello scorrere dei diversi momenti della sua storia prima medioevale , poi ottomana, barbaresca, prima della Francia ,dopo la Francia fino ad arrivare ad oggi, perché la Casbah è viva ed autentica e tale resta seppure giunta a noi parzialmente mutilata della sua parte più bella, un gioiello iscritto nel patrimonio mondiale Unesco , il 24 febbraio di ogni anno ricorre la giornata dedicata ala sua salvaguardia e ma per questo fuori pericolo nonostante l’interesse di molti nel volerla preservarla dal cancro che la corrode. Alle tante parole spese da più parti purtroppo non seguono ancora adeguati fatti mentre mi appare brutalmente evidente che il suo degrado non può permettersi di attendere oltre. Anche 24 ore sono importanti come dice Belkacem Babaci , noto regista e casbaji (abitante della Casbah) , una spina nel cuore per molti algerini.
Vago fra un profumo di baguette (pane) appena sfornate e quello del cumino dei tajin , shakshuka ( intingoli) e harira (minestre) che provengono dagli usci semiaperti. L’attuale densità abitativa, l’estensione e la complessità del tessuto urbano, le caratteristiche tradizionali degli edifici, il sottosuolo imbevuto dall’acqua di condutture sfondate rendono evidente anche all’inesperto quanto sia arduo il recupero di questo luogo simbolo dell’Algeria e memoria della sua resistenza contro l’imperialismo francese di appena cinquant’anni fa e dove le antenne paraboliche, una vera foresta che sovrasta ogni tetto, sono l’unico segno di modernità oggi percettibile assieme ai poster di Lotfi Double Canon , Naili, Hamma ed altri cantanti di rap algerino che tappezzano un po’ ovunque i muri .
Conversando con un’ anziano casbaji intento nella fabbricazione di teiere , quelle tipiche algerine in ottone col becco ricurvo simili anche a quelle del Kuwait , e che continua a fabbricarle nonostante il suo bugigattolo ne sia stracolmo, apprendo che è un probabile discendente di un Kouluglous così come venivano chiamati all’epoca i figli dei turchi e dei mauri. Per lo storico la Casbah ha sempre molto da rivelare, per il fotografo è fonte di inquadrature impensate, spesso in situazioni di contrasto di luce e ombra molto particolari. Per l’architetto un autentico laboratorio che offre spunti inesauribili su una architettura ancora perfetta nella sua vetustà e che mostra un’incommensurabile sensibilità per le esigenze e per i desideri umani come ebbe a dire lo stesso Le Corbusier che vi si ispirò molto . E’ stata la musa ispiratrice di molte opere di Pablo Ricasso e di Delacroix.
Nuova appuntamento con gli amici al ristorante El Kosseiria un lussuoso e rinomato ambasciatore della gastronomia francese e locale, dove optiamo tutti per un méchoui di agnello M’hammar (alla brace) , costo 22€ a testa. Il giro dei ristoranti di lusso ci ha tutti convinti che ad Algeri si mangia ottimamente è tutto sommato a buon mercato . Ci manca il rinomato Bardo considerato il migliore ma lo troviamo chiuso per restauro. Cosicchè diamo via libera a Nasser di condurci in locali più alla mano per completare l’indagine gastronomica, sfida che Nasser raccoglie subito portandoci l’indomani a Temenfoust quartiere popolare alla punta est della Baia , al ristorante Al Bahri , dove ceniamo in riva la mare con una scelta “ a vista” di pesce impareggiabile e con costi decisamente ridotti . Gli avventori sono in maggior parte stranieri, e ben li distinguono alcuni pasciuti gatti che si strofinano fiduciosi fra le loro gambe. In pratica si indica il pesce e si attende che questo venga cotto, ingannando l’attesa degustando una bourik (una finissima pasta sfoglia riempita con una purea speziata). 12€ a persona ). Il ristorante è a due passi del forte turco di Cap Matifou edificato vicino alle rovine di una colonia romana chiamata Rusguniae, e all’epoca prima difesa contro le galere francesi che venivano a bombardare Algeri, una città che mi appare pur nel breve tempo del mio soggiorno sempre più ricca di una storia tutta da scoprire. Una metropoli , Algeri, che tradisce ovunque e ancora una storia, un’ anima, diversamente dal resto del Paese essenzialmente marinara, un porto , esteso quasi come tutta la città e dove questa vi converge ancora.
Nei giorni successivi continuo il giro della città visitando il museo etnografico del Bardo immerso in un rigoglioso giardino dal forte sapore coloniale, con il suo pezzo forte da poco inaugurato ; la sala dedicata alla mitica regina tuaregh Tin Hinan, la mitica Antinea della città sepolta nel film di Benoit e ai suoi gioielli rinvenuto nella sua tomba ad Abalessa nel cuore dell’Hoggar. Passo poi nel quartiere di Belcourt una volta abitato dai francesi d’Algeria meno fortunati e dal sottoproletariato arabo alla ricerca dell’abitazione dell’esule più famoso , quella di Albert Camus al numero civico 93 della ex rue de Lyon , lo scrittore francese nato Mondovì , l’attuale Drean che vi trascorse la sua infanzia a stretto contatto con quella realtà umana e sociale che lascerà in lui quel segno così indelebile e caratteristico della sua opera, l’incomprensione di essere “ straniero “ nel proprio paese natio l’Algeria. Continuo il mio girovagare recandomi a Notre Dame d’Afrique l’imponente basilica che domina Algeri dalla cima di una collina. Salendo in auto ( c’è anche un ascensore) per la ripida strada che s’inerpica dal quartiere popolare di Bab el-Oued, Nasser mi ricorda che da quando fu costruita, a metà ‘800 questa è subito diventata il cuore cattolico della musulmana Algeri. Nostra Signora d’Africa è invocata non solo dai cristiani, ma anche dai musulmani, che hanno una venerazione particolare per la Vergine. Nasser si dimentica di dirmi che la statua che la raffigura è una donna nera, l’unica al mondo. Alle navate sono sospesi modelli di nave , ex voto dei marinai cattolici e musulmani , sui muri graffiti ed ex voto di ieri e di oggi , alcune donne musulmane con l’hijab sul capo sono raccolte in preghiera . Dal piazzale antistante la chiesa, dove alcune copie si scambiano effusioni , si gode di una splendida vista sul quartiere di Bab el Oued, la porta dell’uadi, (fiume ) di fronte al porto che ogni tanto scende portando via case e strade , l’ultima nel 2001 con ottocento morti in pochi minuti. Ormai ho preso un pò di dimestichezza con l’orientamento della città e azzardo alcune passeggiate a piedi nel centro nei momenti liberi. Il perfetto francese mi facilita le cose, tutti i locali lo parlano altrettanto bene e soprattutto non vi è da parte dei commercianti l’assillo per venderti qualcosa. A dire il vero ti ignorano proprio. Le insegne sono tutte in francese,l’arabo a volte manca o è riportato a piccoli caratteri. Mi viene in mente che a Tripoli per leggere qualcosa in italiano, tocca guardare per terra alla ricerca dei vecchi tombini, sempre più rari. Passeggio indisturbato fra vie piene di negozi di moda , di telefonia ,cybercafè , brasserie, Una di queste la Rue Hassiba Ben Bouali, militante algerina saltata in aria assieme ad Ali la Pointe, sembra un santuario dello Hi- tech . Vi si trova di tutto in versione francese. Questa è l’Algeri moderna, contraddittoria, complessa , intricante non appena si cerca di vederla con uno sguardo un po’ attento e critico.
E di nuovo venerdì e, sempre su suggerimento di Nasser lo dedico, assieme alla solita combriccola alla vista di Tipasa celebre luogo d’ispirazione assieme a Djemila di Albert Camus . Nasser non prende l’autostrada ma segue la route nazionale, la litorale .Questa è tutto un susseguirsi di tipici porticcioli , piccole spiagge e insenature su cui sorgono stazioni balneari frammiste ad abitazioni e negozi. Ripassiamo davanti alla Madrague , che vista di giorno ci appare in tutta la sua civettuola atmosfera. Vicino noto però dei lavori di sbancamento che non lasciano prevedere nulla di buono. Passiamo davanti alla spiaggia, gremita di bagnanti di Sidi Ferrouch dove sbarcarono gli alleati nel 1942 e ancor prima i francesi nel 1830, ( Napoleone aveva personalmente scelto il posto ) da Bou Ismail ieri porto di pescatori e oggi fiore all’occhiello dei complessi turistici e attracco per le imbarcazioni da diporto, da Zeralda stazione balneare dalla sabbia d’oro e ombreggiata da magnifici platani e con ampi campi da golf. Il traffico è intenso, è tutta gente che va in gita , e lo si avverte dalla flemma con cui guidano fermandosi spesso ad acquistare qualcosa sul bordo della strada dove si vende di tutto , dal pesce appena pescato ai legumi appena colti, cercando il posto migliore dove accendere il canun (barbecue) e fare il bagno. E un pullulare di macchine e gente , una capitale di circa due milioni di abitanti che corre a rinfrescarsi, a divertirsi a buon mercato . Per chi può permetterselo il club des pins è il circolo più ambito , dove la sera , ospiti privilegiati di un caro residente, gustiamo da “ Chez Bentchoua “ un ottima shakshouka con calamari ripieni piatto locale di origine sefardita a conferma della ampia circolazione di cultura.E popoli in suolo algerino. (Costo non noto in quanto ospiti.) La costa fuori città si dipana fra falesie che strapiombano sul mare, colline, e brevi tratti di pianura dal profilo assai movimentato e punteggiato da scogli e isolotti che proteggono queste piccole baie. La vegetazione è quella tipica delle nostre coste mediterranee folta e lussureggiante, con ulivi, pini, eucalipti e poche palme mi fa dimenticare di essere in Africa. Foriamo una ruota e cerchiamo una stazione di servizio per ripararla, ma queste già rare sono prive di gommisti e di semplice aria compressa,il personale pare non rendersi conto alla mia richiesta che questo è un servizio importante, ai fini turistici , ma niente da fare continueremo il viaggio con l’incubo di una nuova foratura .Ne prendo nota per la relazione di lavoro.
Tipasa ,diversamente da altri siti romani del mediterraneo dove è possibile coglierne l’ampiezza con un singolo colpo d’occhio è distesa in mezzo a boschi che hanno invaso lo spazio della originaria città cinta da mura. L’atmosfera è quella delle nostre gite fuori porta; la “ zarda “ come questa viene chiamata dai locali. I due ristoranti più vicini all’ingresso degli scavi sono stracolmi, distinguo un gran vociare in italiano. Sono quelle di lavoratori di una ditta italiana impegnata nella costruzione di ponti in gita per il giorno festivo Bevono e fanno chiasso come se si trovassero in una trattoria romana Opto per il Romana, un cinque stelle dove ordiniamo pesce spada, gamberoni e favolose triglie da scoglio (€ 15 birra inclusa) che smaltiamo tutti più tardi passeggiando fra le rovine dell’anfiteatro , il Foro , le terme il museo e la tomba di Sélené , figlia di Cleopatra e sposa di Juba. All’ingresso degli scavi , un pulmino blindato dell’ambasciata Usa scortato da 3 motociclisti attende i suoi passeggeri in visita al piccolo museo, mi riporta per un attimo al pensiero del terrorismo, ma è solo un attimo; a distrarmi ci pensa un negozio di antiquariato pieno di antichi cimeli fra cui pistole e moschetti di epoca turca e servizi da pranzo francesi Limoges degli anni 50 , argenteria ,ecc . Chiedono quello che valgono,parecchio. Nasser mi dice che fino a poco tempo fa non era così ma la recente scoperta di questo antiquariato d’epoca da parte dei turisti ha cambiato le cose.
Al rientro prima di imboccare la più comoda autostrada Nasser si ferma giusto il tempo per permettermi di dare un breve sguardo al Tombeau de la Chretiènne ,enigmatico edificio posto in cima al promontorio di Sidi Rached che ha dato vita a mille leggende, la cui costruzione viene fatta risalire intorno al 3 secolo a.C. . L’impressione avuta dopo questo “intermezzo “ a breve distanza dalla capitale è una ennesima testimonianza che l’Algeria nasconda ancora molto della storia e dei popoli che hanno per primi abitato le sponde del mediterraneo. D’altronde basta consultare l’elenco dei suoi monumenti classificati storici willaya per willaya ( dipartimenti) per averne conferma. Ultimati gli impegni ad Algeri mi trasferisco all’aeroporto per prendere il volo per Tamanghasset o Tamanrasset , Tam’ per gli iniziati. Il volo di due ore e più, passato col naso sul finestrino nel tentativo di vedere qualcosa oltre una persistente foschia è puntuale e mi consente il tempo per la sistemazione e la cena in un vecchio albergo in stile mozabito dove incontro il gruppetto di turisti francesi al quale l’agenzia locale mi ha aggregato essendo solo . Il menù offerto è onesto, ma certo nulla di speciale in confronto ai ristoranti della capitale.
L’indomani partenza all’alba presto . Ad Algeri ho lasciato una temperatura di 28 gradi, per trovarne una di 42, poche volte si riflette che Algeri è più vicina a Londra che a Tam. Al gruppo si sono aggregati sei connazionali giunti con i propri veicoli . Il loro programma di viaggio preventivamente concordato con le locali autorità ha subito drastiche limitazioni per sopravvenuti motivi congiunturali sulla disponibilità di scorte di militari e carburante, quest’ultimo cronico problema a Tam assieme a quello dell’acqua . Non possono proseguire liberamente come vorrebbero per vedere le pitture rupestri se non in convoglio e scortati, come d’ altronde erano già arrivati fino a Tam . La scelta per loro è attendere l’arrivo dei militari o accettare l’invito dell’agenzia ad aggregarsi ad un costo di favore visto che in totale saremo 14 , numero non eccessivo per le limitate accoglienze disponibili nei ripari pre allestiti. Dopo infinite discussioni decidono di lasciare i loro tre super attrezzati 4×4 in polizia per salire sulle vetuste ma fascinose land rover che fra sobbalzi e cigolii ci portano tutti verso le prime falesie. Durante il trasferimento due dei compatrioti dimostratisi fra i più agguerriti oppositori sull’inopportunità di queste drastiche restrizioni applicate ai turisti indipendenti, riprendono le loro rimostranze con Farid la guida dell’agenzia per quello che secondo loro sono decisioni arbitrarie promettendo al rientro interventi ufficiali. Capitano male Farid che avevo preso anch’io per la guida ufficiale è invece un funzionario governativo con le idee chiare e per di più piuttosto preparato sull’argomento anche per aver collaborato come esperto di teledetezione alla ricerche dei 31 turisti occidentali rapiti nel 2003. Chiude ogni discorso spiegando loro che tali disposizioni , per altro adottate internazionalmente per la lotta contro il terrorismo internazionale, sono richieste dai crescenti furti di reperti archeologi che prendono soprattutto il volo a bordo di vetture private, dei danni ambientali e di gravi incidenti di guida, perdendosi spesso con conseguenti alti costi per le ricerche. Consegna a tutti i partecipanti il classico questionario per migliorare i servizi e dove ognuno può dire la sua. Questo è il nuovo modo di viaggiare nel Sahara , se tale si vuole che resti.
L’organizzazione del viaggio si rivela infatti efficiente sin dalle prime battute. Ad attenderci ai piedi delle falesie troviamo tutto pronto, equipaggiamenti e vettovaglie già caricati sui somari e l’avventura finalmente inizia. Il programma prevede 5 giorni pieni , diligentemente suddivisi in trasferimenti in land rover e percorsi a piedi ( brevi trekking )per un ampio giro che toccherà Djanet, l’Assekrem e i più noti siti di arte rupestri dell’area come Essendilene o naturalistici come Tagrera e le guelte d’ Imlaoulaoulène e d’Afilale .
La conoscenza storica e topografica di Farid sui luoghi visitati si rivela profonda .Alla prima tappa a Tin Esa prima stazione rupestre incontrata su colline distanti appena venti chilometri da Tam , ci informa che siamo “anche” sul luogo dove si combatté lo scontro decisivo per la penetrazione francese nel Sahara illustrandoci le varie fasi e come questa battaglia prese l’avvio da un banale pretesto per un dromedario rubato fra tribù tuaregh rivali che diede ai francesi l’occasione per attaccare in forza i tuargeh. Per tutto il viaggio continuerà a narrarci una serie di aneddoti e informazioni curiose che inutilmente cercheremo sulle documentazione che abbiamo tutti,chi più chi meno, portato appresso. Altrettanto attenta è la sua tempistica che ci consentirà , in omaggio al rituale turistico dell’Assekrem , di giungervi al tramonto, in tempo per ammirare le cime dei monti Atakor, infiammate dai raggi del sole, luogo sempre fertile per i cacciatori d’immagini a buon mercato e per album e cataloghi fotografici. Ultimati i tratti a piedi e con i somari, ci assicurerà per i percorsi in 4×4 delle bevande rinfrescate in frigo alimentati dalle batterie delle stesse e fotocopie dei percorsi seguiti a da seguire con indicazione dei punti GPS in omaggio alla imperante moda informatica. Ero già venuto all’Assekrem da solo con un minuscolo fuoristrada Suzuki nel 90 proveniente da Ghat nella confinante Libia e, nonostante l’allora estrema libertà di percorsi e il tempo a disposizione, avevo visto molto meno. Un’atmosfera di vero incontro col deserto una vera “ stagione “nel deserto come direbbe il poeta Rimbaud ma anche un viaggio che mi ha riportato ai tempi delle missioni archeologiche in Libia con il Professore Fabrizio Mori quando assieme seguivamo le guide tuaregh , i veri , sconosciuti protagonisti di queste missioni, alle prime scoperte dei tesori dell’Acacus. La sorpresa maggiore che allieterà soprattutto le cene intorno al fuoco proverrà però dai zaini dei nostri connazionali. Una quantità inesauribile di delicatezze nostrane, San Daniele , Parmigiano , Prosecco in tetrapack , Grappa, amaretto di Saronno ,caffè , perfino la capponata sicula in scatola! prelevate dai bagagliai dei loro 4×4 prima di lasciarli a Tam fuoriesce ad ogni stop , surrogando l’unica nota dolente del viaggio , le solite insalate fredde e i couscous preparati dal cuoco Selim. I francesi, penalizzati dalla limitata franchigia aerea cercano di contraccambiare a loro volta , racimolando fra loro, un po’ maleleines (dolci) e camembert , lo scambio è impari , ma per una volta francesi ed italiani vanno d’accordo , lo conferma un ‘unico vibrante russare notturno sotto le stelle dell’Hoggar o Ahaggar. Un viaggio nel deserto secondo un approccio e modalità “ritornati “naturali in opposizione ad un modo di viaggiarvi sempre più tecnico, costoso , ma arricchito da emozioni perse come la possibilità di godere del paesaggio e delle scoperte minute quali quella di osservare alcuni Cauca ( procavie ) i simpatici “conigli “ del deserto , come noi , pigramente sdraiati al sole non più rintanati nelle rocce a causa del rombo di motori impegnati a scavalcare dune dopo dune, accelerati unicamente dalla frenesia di raggiungere elusivi e inaccessibili posti da sciorinare con orgoglio al rientro al club. Soprattutto una testimonianza sulle possibilità di sviluppo concreto del turismo sahariano secondo i criteri, pochi, attualmente possibili cioè quelli di un turismo responsabile, ecosostenibile non di massa, ma di piccoli gruppi da gestire localmente e autonomamente. Di ciò ne è una conferma il costo del viaggio , €380 tutto compreso per i 5 giorni, ( una notte in albergo, e le altre in piccoli campi attrezzati già predisposti in anfratti ) che rapportato alla media dei prezzi richiesti in Europa (1800/2500 € x 7/9 giorni) evidenzia,oltre a l’elevato divario dei costi organizzativi nei confronti di quelli vivi ed in quale tasca vada a finire la maggior parte degli utili, cosa che rende scarso l’interesse dei grossi T.O ad investire seriamente a tutto vantaggio di una vasta schiera organizzatori improvvisati e ufficiosi che nascono e spariscono a ritmo costante dopo aver piazzato il colpo inquinando immagine e sviluppo locale . Mi rendo che un po’ più attenzione da una parte e dall’altra non guasterebbe al posto delle tante inutili riunioni e conferenze ascoltate ad Algeri. Rientrato a Tam , sempre per il fatto di aver prenotato autonomamente ho a disposizione un giorno pieno prima della partenza che dedico alla visita della città . Come per Algeri anche qui vi è da sfatare il solito ritornello che questa ha non nulla di interessante oltre all’abitazione di Charles De Foucauld , la storia, specie in occidente da sempre riduttrice degli eventi ne ritiene solo pochi fotogrammi cosicché i visitatori si limitano al massimo ad un breve giro di un giorno ignorando che ad appena cinque chilometri dal centro, in località Ariane vi è la tomba del più potente Amenokal (capo supremo tuaregh) Moussa Ag Amastane , artefice dell’apertura ai francesi e che fu proprio a stretto contatto con il De Foucauld .
Accanto a questa vi è quella di sua cugina la poetessa Dassìne Ault Jemma che collaborò attivamente con il frate francese nella stesura del suo dizionario tamaschek e di alcune novelle . Tam cela altri luoghi di interesse storico e culturale ma occorre conoscerne l’esistenza leggendo testi che come gia indicato sono redatti in francese. Tam , come lo è stato la casbah per Algeri , ha di fatto costituito per la sua strategica posizione all’incrocio delle quattro principali vie di accesso dell’Hoggar l’epicentro della resistenza tuaregh contro l’occupazione francese del Sahara opponendosi anche alla realizzazione della loro progetto di ferrovia transahariana rimasta ancora oggi in massima parte sulla carta. Certo oggi è molto cambiata dai tempi non lontani in cui vi arrivavano i progenitori dei sahariani odierni per vendervi sgangherate peugeot e 4L. Oggi Tam’ conta circa centomila abitanti , quattromila nel 1967 e i viaggiatori i appassionati di fuoristrada ed avventure hanno più probabilità di trovarvi nella concessionaria del Sig Belatouche, la Negoce le ultime novità della gamma dei 4×4 che nei rispettivi paesi. Per quanto riguarda l’avventura questa è finita sopraffatta , quanto non banalizzata dall’esasperazione della civiltà tecnologica e con essa anche Tamanrasset ha finito col perdere molto del suo immaginario esotico, le sue strade di sabbia rossa ma conserva il suo antico ruolo di snodo della regione e la sua essenza tipicamente sahariana seppur moderna e adattata ai nuovi dettami del turismo e purtroppo anche a quelli dell’immigrazione clandestina. Edificata secondo i dettami di un moderno stile definito “ sudanese” non sfugge ad un occhio attento l’architettura di diversi edifici sedi della passata presenza coloniale, fra cui quello che ospitava il centro sperimentale nucleare francese ai tempi della esperimenti francesi in suolo algerino, prima della sua indipendenza avvenuta nel 1962 dopo gli accordi di Evian o del tradimento di De Gaulle come allora chiamato da molti francesi La città oggi è soprattutto caratterizzata da un grande movimento di gente specie nel grande mercato dove si vende e si compra di tutto che mi ricorda quello di Ondurman a Kartoum , chiamato suk Al Libi, il mercato dei Libici . La Libia qui è più vicina che il Sudan. Anche il Sahara si sta velocemente globalizzando e sono finiti i tempi in cui si doveva fare la fila per telefonare a casa . Come a bab el Oued ad Algeri, l’uadi che divide in due Tam, ogni tanto si gonfia d’acqua e si porta via buona parte della periferia o addirittura tutta come avvenne nel 1922. Sulle case una selva di antenne paraboliche solo che qui per captare l’occidente devono avere grossi diametri , almeno tre metri e da questo si possono intuire le scelte del proprietario Vado a trovare il laboratorio di Hocine Alazaoui che ho conosciuto per essere uno dei migliori artigiani di Tam’ ed effettivamente non resisto ad acquistarvi un asarou ouan afer” letteralmente chiavi di catenacci in pratica un catenaccio con tre chiavi da aprire in sequenza con intarsi di rame e argento, un superbo telek , pugnale ugualmente intarsiato , e due gris gris,(amuleti ),e il tutto per 100€. Nel suo negozio ad Algeri li avrei pagati almeno il doppio. Cambio a giugno 2007 . 1€= DA 0,91,13 Pranzo al Tahat l’albergo più noto della città assieme al più recente Tin Hinan disegnato a fine anni 70 dal Pouillon guarda caso stesso architetto di Algeri, il méchoui servito non è il méchoui di Algeri ma un semplice arrosto di agnello. (€ 13,) La prossima volta seguirò il consiglio di Hocine e andrò all’Imzad chez Farid per provare una delle sue tipiche specialità regionali.
L’aereo ha preso quota e compie la prima virata in direzione di Algeri, le tre cime del Tezuyagh mi appaiono nitide, subito dopo riesco a distinguere la piana delle saline dell’oued Amadror e il massiccio dell’ Acoulmu , poi nuovamente la solita foschia inghiotte tutto. Apro la 24 ore e inizio a ordinare gli appunti su questo viaggio di “ ritorno “ in una terra di continue contraddizioni e cambiamenti il cui patrimonio architettonico , storico e culturale mi si rivela sempre più ricco e complesso, ma che rimane almeno per noi italiani quasi interamente da scoprire. Corrisponde al vero il proverbio tuaregh che recita che il primo viaggio è per vedere , il secondo per conoscere . Io che in Algeria di viaggi ne ho già fatti diversi mi rendo conto che a vedere specialmente oggi si fa presto, ma a conoscere il tempo non basta mai specie in questo Paese dove vi è parecchio da fare per spianare la strada al turismo. La strada presa dopo i difficili momenti di questi ultimi anni sembra essere però quella buona. GFCLY Si segnala un collegamento di rare foto d’epoca sulla Casbah.