A Rodi con il pargolo
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Durante l’estate l’isola è invasa da moltitudini di vacanzieri ma in primavera la situazione è molto più tranquilla, i prezzi sono contenuti e si può approfittare del clima piacevole per girare in completa libertà con un’auto a noleggio. La storia millenaria ha lasciato numerose tracce nell’isola e gli spunti interessanti si sono rilevati molteplici. In particolare la Città Antica di Rodi rappresenta un esempio di architettura medievale unico al mondo, con i magnifici palazzi dei Cavalieri di San Giovanni, le chiesette ortodosse, le moschee turche e le possenti mura turrite. L’altra grande attrazione dell’isola è Lindos. La distesa di case bianche, sovrastata dall’incombente massa rocciosa dell’acropoli e circondata da due baie meravigliose, costituisce uno scenario indimenticabile. Nell’isola, molti tratti di costa sono stati “devastati” dal turismo, con lunghe schiere di alberghi multipiano. Tuttavia alcune baie hanno mantenuto intatto il loro fascino, in particolare in questa stagione nella quale non sono invase dai gitanti. Rodi tuttavia non è solo il suo mare: le piogge invernali alimentano molti ruscelli e sorgenti, determinando il rigoglio dei boschi che ricoprono le montagne dell’interno. In primavera le vaste distese dei prati si ricoprono di un tappeto colorato di fiori.
L’avvento del turismo ha sconvolto il tessuto sociale dell’isola; al di fuori dei paesi rivieraschi tutti orientati al business, nell’interno e nella parte meridionale dell’isola sopravvivono ancora alcuni scorci tradizionali, paesini dove gli uomini siedono per ore a chiacchierare nei caffè e le chiese presentano intere pareti con affreschi antichi.
Infine, ecco qualche utile consiglio per viaggiare con un bambino piccolo (Fabio all’epoca del viaggio aveva quattordici mesi).
– Alloggi. Abbiamo scelto miniappartamenti con angolo cucina in modo da avere la possibilità di preparare le pappe di Fabio. Stefania è una mamma molto attenta: in questi mesi ha limitato al massimo gli omogeneizzati.
– Visita di scavi e castelli. Fabio pesa undici chili e portarlo in braccio dopo un po’ spezza la schiena. Per questo ci siamo forniti di una pratica fascia nella quale collocare il piccolo quando si è trattato di affrontare qualche “scalata”.
– Pappe. Durante la giornata un bambino mangia molte volte e spesso non potevamo tornare nell’appartamento. Ci siamo così organizzati con un termos per il latte e uno scaldavivande che si collega all’accendisigari dell’auto per le pappe.
Fabio si è divertito un mondo durante la vacanza; per lui sgambettare sulla sabbia, bagnarsi i piedi nel mare, salutare tutti i clienti dei ristoranti a cena deve essere stata una vera e propria ubriacatura di nuove sensazioni.
Ed ora il diario di viaggio.
Domenica 17 aprile: Roma – Rodi
Il volo diretto Ryanair da Roma a Rodi dura poco più di due ore e trascorre tranquillo: Fabio dorme in braccio alla mamma o gioca indicando i disegni colorati con le istruzioni per la sicurezza sul sedile di fronte. All’aeroporto ritiriamo l’auto a noleggio (www.driverentacar.gr); siamo ancora in bassa stagione e una settimana ci costa solo 180 euro; additional driver e seggiolino sono gratuiti. A Rodi città ci sistemiamo all’”Hotel Angela Suites”, nella parte nuova: abbiamo un pratico miniappartamento formato da soggiorno con angolo cucina, camera da letto e bagno.
Sistemate le nostre cose e sfamato Fabietto, usciamo per una prima passeggiata. Il quartiere si è sviluppato durante l’occupazione italiana tra le due guerre, alternando piacevoli villette, che oggi ospitano vivaci caffè, a retorici edifici di stampo coloniale fascista. Raggiungiamo l’antico porto di Mandraki, a nord della Città Vecchia. Sul molo spiccano tre caratteristici mulini a vento e il forte di San Nicola, teatro di sanguinose battaglie tra turchi e Cavalieri di San Giovanni. All’imbocco del porto, la leggenda vuole sorgesse il celebre Colosso, una delle sette meraviglie del mondo antico, nel luogo dove oggi sono state collocate due colonne sormontate da un cervo e una cerbiatta, simboli di Rodi. La chiesa di Evangelismos fu costruita dagli italiani ispirandosi a quella di San Giovanni dei Cavalieri distrutta nell’ottocento, che però sorgeva nella Città Vecchia. Dopo la guerra, la basilica è stata convertita al culto ortodosso e l’interno affrescato in stile bizantino. Camminando verso la Città Vecchia entriamo nella grande corte porticata del Mercato Nuovo, nella quale l’architetto italiano ha accolto elementi orientali, come appare evidente nel grande padiglione centrale. Il risultato è un’ambientazione piacevole, allietata da alberi e fiori; ne approfittiamo per placare il nostro appetito con un gyros, in uno dei tanti locali. Fabio seduto nel passeggino sembra accogliere bene tutte le novità e si guarda intorno con grande curiosità.
La Città Vecchia, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, ancora oggi è tutta racchiusa dalle possenti mura che seppero resistere tanto a lungo all’assedio dei turchi. Varcando Porta Elefterias è come se una macchina del tempo ci riportasse nel Medio Evo, tra le architetture di pietra del Collacchio, il quartiere dei Cavalieri di San Giovani. Gli scarsi resti del tempio di Afrodite ci ricordano che le origini della città sono ancora più antiche, risalendo alla Grecia classica. Nell’affascinante piazzetta Argirukastru affacciano il Vecchio Ospedale e l’Albergo di Alvernia; al centro una fontana è stata composta utilizzando un fonte battesimale a croce greca e una colonna. Le strade lastricate di piccoli ciottoli, i tradizionali kochlaki, fanno ballare il passeggino. Anche piazza del Museo è molto pittoresca; un lato è interamente occupato dalla possente mole dell’Ospedale Nuovo. La sorpresa più bella è comunque Via dei Cavalieri, sulla quale si allineano gli auberges, sedi delle varie lingue dell’Ordine. La strada in salita, a quest’ora quasi deserta, ha un fascino tutto particolare. Ci soffermiamo ad osservare dettagli e curiosità: l’aquila fascista sul palazzo degli italiani, gli stemmi araldici dei Gran Maestri, gli archi che scavalcano la via, la piccola chiesa trasformata in moschea durante il dominio turco. Le auto non possono circolare e il piccolo Fabio ne approfitta per sgambettare tenuto per mano dalla mamma. Alla fine della salita sbuchiamo nella piazza dominata dal palazzo del Gran Maestro ma ormai si è fatto tardi ed è tempo di tornare in albergo; lasciato il Collacchio, percorriamo la commerciale Via Socrate, una sequenza interrotta di negozietti, fino a Piazza Ippocrate, cuore della Città Vecchia. Attraversata la porta della Marina, racchiusa da due possenti torri, siamo nel porto commerciale.
Ceniamo nel “Koykos”, situato in un’area pedonale vicino all’albergo. La serata tiepida ci consente di gustare all’aperto la prima cena greca del viaggio.
Lunedì 18 aprile: Rodi – castelli di Kamiros – Eleussa – Epta Piges – Tsambika – Rodi
Lunedì a Rodi città i siti d’interesse sono tutti chiusi; ne approfittiamo per un primo tour in auto attraverso l’isola. Percorriamo la costa occidentale; la presenza del turismo balneare di massa si avverte pesantemente nei grandi alberghi e nei paesi invasi da insegne e strutture commerciali. Proseguiamo ben oltre l’aeroporto, superando il sito archeologico di Kamiros (oggi chiuso), fino al castello di Kamiros. La primavera ha ricoperto i prati con un tappeto di fiori ma il tempo coperto spegne i colori. La fortezza fu costruita dai Cavalieri, in posizione strategica a picco sul mare. Oggi sopravvive solo lo scheletro delle mura; dall’alto si gode un bel panorama, con il mare movimentato da un paio di isolotti.
Tornati sui nostri passi, lasciamo la costa all’altezza di Soroni, puntando verso l’interno. La politica fascista italiana progettava la colonizzazione dei territori dell’impero e anche Rodi non sfuggì a quest’idea. A Eleussa il grande cascinale costruito per i contadini italiani riproduce le forme dell’architettura padana ma oggi è una curiosa rovina decadente, ricordo di un “impero di latta”. La strada prosegue fino a raggiungere la chiesetta di Agios Nikolaos Funtukli, alle pendici di un monte boscoso. Il suo aspetto è quello tipico delle chiese greche, con un piccolo campanile a vela sopra l’ingresso e il timpano della cupola centrale alleggerito da nicchie. L’interno è ricco di affreschi consumati dal tempo mentre, intorno, nodosi ulivi allietano il paesaggio.
L’isola di Rodi è ricca di verde; a Epta Piges, in un fitto bosco, le acque di sette fonti si uniscono per alimentare un ruscello di montagna che gli italiani catturarono in un condotto sotterraneo per irrigare le coltivazioni. Il tunnel si può percorrere a piedi, bagnandosi le caviglie, ma in questa stagione nessuno si azzarda a farlo. Il ristorante invece attira i turisti e anche noi ne approfittiamo per goderci il sole tornato nel cielo, sgombero di nuvole. Fabio ha la sua prima occasione per fare conoscenza con i pavoni.
Tagliata l’isola, sbuchiamo sulla costa orientale; la grande spiaggia di Tsambika è battuta dal vento ma Fabio apprezza comunque sgambettare a piedi nudi sulla sabbia e guardare la distesa del mare in braccio a papà. In auto raggiungiamo il parcheggio dal quale parte la scalinata di trecento gradini per il monastero di Tsambika. Nel frattempo però si è fatta l’ora della pappa; inauguriamo così lo scaldavivande che si collega all’accendisigari dell’auto. Sfamato il pargolo, lo infiliamo nell’utilissima fascia acquistata da Stefania e ci prepariamo per l’impegnativa ascesa. Cullato dai gradini, Fabio si addormenta mentre io mi sento solidale con le donne greche che salgono al monastero portando un sacco di pietre, per guadagnarsi la grazia di avere un figlio! In cima, la bianca cappella è molto semplice ma il panorama abbraccia un lungo tratto di costa, con la spiaggia di Tsambika subito sotto. La tavolozza dei colori è ricca: il chiarore della roccia sulla punta, la sabbia della lunga spiaggia, il blu intenso del mare che a riva sfuma nel verde smeraldo. Davanti a un altare qualcuno ha lasciato come ex-voto alcune bambole di cera; il vento spira forte ma al riparo dietro la chiesa cessa del tutto. Ci sediamo quindi ad ammirare il panorama mentre Fabio continua il riposo, ben meritato dopo tante emozioni.
La sera a Rodi bissiamo la cena al “Koykos”, questa volta all’interno del locale perché fa più fresco. Fabio siede su un seggiolone di legno, nel quale astutamente i giochi sono inchiodati alla seduta. Non rinuncia tuttavia a qualche passeggiata fra i tavoli per fare “ciao ciao” agli altri clienti con le sue manine.
Martedì 19 aprile: Rodi
Giornata dedicata alla Città Vecchia di Rodi. Per primo visitiamo il Museo di Arte Decorativa, in Platia Argirokastru. L’esposizione si limita a una stanza. Gli oggetti più interessanti sono i cassettoni di legno con il coperchio dipinto; uno raffigura una nobildonna con un trovatore che suona uno strumento a corda. L’Ospedale Nuovo ospita il Museo Archeologico; l’imponente edificio costituisce un maestoso esempio di edilizia medioevale. La corte centrale è circondata da un porticato su due piani che nella semplicità delle linee trasmette un’impressione di grande solidità. I letti dei malati erano sistemati nella vasta sala al primo piano, divisa in due navate da archi centrali; le stanzette sui lati forse erano destinate ai casi più contagiosi. I Cavalieri erano all’avanguardia nell’arte medica e il confronto con i nostri tristi ospedali sorge spontaneo. Le altre sale del complesso ospitano l’esposizione archeologica, con alcune sculture di grande pregio. L’Afrodite Adiumena fu trovata in fondo al mare; i lineamenti del volto levigati dall’acqua le conferiscono un fascino particolare che incantò lo scrittore inglese Durrell, tanto da fargli intitolare il suo libro ambientato a Rodi, “Riflessi di una Venere Marina”. La stele funebre di Krito e Timarista trasuda classicismo, forse per l’influenza di Fidia: rappresenta il tenero abbraccio tra una madre e sua figlia, con i capelli corti per il lutto. Nella stessa sala, una testa di donna con il capo coperto ricorda la Madonna della Pietà di Michelangelo. La piccola statua di Afrodite, accovacciata mentre fa il bagno, ha i capelli bagnati, lunghi e serpentini. Dopo “tanta cultura” ci riposiamo un po’ nei piacevoli cortili alberati del museo.
Percorso lo spettacolare scenario di Via dei Cavalieri, questa volta illuminata dal sole, raggiungiamo il Palazzo del Gran Maestro. Nell’Ottocento è stato gravemente danneggiato dall’esplosione che rase al suolo la chiesa dei Cavalieri, in quell’epoca utilizzata come polveriera; in seguito è stato ricostruito dagli italiani. La grande corte centrale è circondata da imponenti edifici in pietra; i fasci collocati a fianco dello stemma sabaudo sono stati rimossi ma è ancora al suo posto la grande targa che inneggia a Vittorio Emanuele III, re di Italia e Albania, imperatore di Etiopia, e a Benito Mussolini, duce del fascismo. Gli interni sono un classico esempio di cattivo gusto, con i pavimenti di marmo scuro nei quali sono stati inseriti mosaici antichi (sicuramente molto restaurati). La pomposità degli ambienti mi disturba alquanto ma sembra attrarre i numerosi visitatori di oggi!
Ripresa la passeggiata attraverso la Città Vecchia, subito incrociamo la grande Moschea di Solimano, tinteggiata di rosa, e la Torre dell’Orologio, dall’aspetto di un alto campanile. Subito dietro, verso le mura, si sviluppa un quartiere di affascinanti vicoli, scavalcati da archi. La chiesa di Agios Georgios presenta un alto tamburo con nicchie e archi di scarico in pietra; lo scorcio è affascinante ma l’interno non si può visitare. Nel quartiere turco, nella stessa piazza sorgono il grande Bagno Turco, tuttora attivo, e la moschea del sultano Mustafà, ormai priva del suo minareto.
Tornati in Odos Sokratous ritroviamo la massa dei turisti che affollano i numerosi negozietti; la via termina in Platia Ippokratu, cuore della Città Vecchia, dove subiamo l’assolto dei procacciatori dei ristoranti. Il tempo variabile di questi giorni ci sorprende ancora: un improvviso acquazzone affretta i nostri passi verso il pranzo. Ci rifugiamo nel “Varka”, un locale vicino a una deliziosa piazzetta su cui affaccia la moschea di Ibrahim Pascià e al centro la fontana per le abluzioni. Il proprietario del ristorante quando scopre che siamo romani si vanta di avere ospitato Totti alcuni anni fa.
Dopo pranzo, raggiungiamo la moschea di Redteb Pascià, una delle più antiche in città ma piuttosto malridotta; la piazza antistante, come altre nella Città Vecchia, è quasi interamente ombreggiata dalle fronde di un grande albero. Su un lato sorge la chiesetta di Agios Fanurios; nell’interno si apprezza l’affresco che raffigura i due donatori con un modellino della chiesa. Poco lontano, il minareto aggiunto alla chiesa di Agios Spiridon è un altro ricordo della lunga dominazione turca.
Ormai ci rimane da esplorare solo il settore orientale della Città Vecchia. Nell’animata Platia Martirion Efreon un monumento commemora gli ebrei deportati nei campi di concentramento durante l’occupazione nazista; curiosa la fontana moderna dei Cavallucci Marini. Fabio fa la sua prima conoscenza con i pappagalli, appollaiati su un trespolo davanti a un ristorante. Nei paraggi la Panagia Kastru era una delle chiese più importanti di Rodi ma oggi sopravvivono solo alcune mura: le tre absidi e la controfacciata nella quale si sono inserite alcune abitazioni. Attraversando Porta Ekaterini, raggiungiamo il porto commerciale, terminando il nostro giro.
La sera torniamo nella Città Vecchia per una cena a base di pesce al “Sea Star”; Fabio con la sua carica di simpatia conquista subito due inglesi seduti nel tavolo accanto.
Mercoledì 20 aprile: Rodi – Kamiros – Ialissos – Rodi
La mattina percorriamo di nuovo la costiera occidentale per raggiungere i siti archeologici che lunedì erano chiusi. L’antica città di Kamiros sorgeva su una collina scenograficamente affacciata sul mare, con la costa dell’Anatolia sullo sfondo. La giornata soleggiata rende la visita molto piacevole. Nella città bassa riusciamo a muoverci con il passeggino; una grande piazza era utilizzata per le cerimonie religiose, con gli spettatori seduti sui tre gradini che la circondano. Su un lato sono collocati degli altari, su un altro una grande fontana trasformata in seguito in una stoà della quale oggi sono state rialzate alcune colonne; al centro un’area quadrata racchiude un gran numero di steli votive disposte di taglio. Su un lato il bassorilievo di un toro reca una lunga incisione in greco. Il tempio di Apollo era il principale edificio di culto; oggi due colonne sorreggono un pezzo di architrave con la trabeazione. A un’estremità della terrazza inferiore, sopra alcuni gradini, nove altari allineati, con lo sfondo scenografico del mare costituiscono uno degli scorci più pittoreschi del sito. Per raggiungere l’acropoli, dobbiamo percorrere l’antica strada in salita che attraversava un quartiere residenziale di ricche abitazioni; per portare Fabio sfruttiamo di nuovo la pratica fascia, questa volta tocca a Stefania. Dall’alto la vista sulle rovine che occupano per intero la conca sottostante è affascinante, con il contorno del verde e lo sfondo del mare azzurro. Nell’acropoli sopravvive solo una grande cisterna mentre non resta quasi nulla della stoà lunga duecento metri e del tempio di Atena.
Tornando verso Rodi città, poco prima deviamo per Filerimos, dove sorgeva Ialissos, insieme a Lindos e Kamiros, una delle tre città stato che dominavano l’isola nell’antichità classica, prima della fondazione di Rodi. I resti sopravissuti sono molto scarsi, con le sole fondamenta del tempio di Atena Polias collocate davanti alla basilica di Nostra Signora di Filerimos. La chiesa fu eretta in forme gotiche dai Cavalieri ma è stata in gran parte ricostruita dagli italiani. Cipressi e pini circondano il monastero moderno. Molto più antica è la cappella di Agios Georgios Chosos, con le pareti coperte da affreschi rovinati. Lasciata l’area archeologica, percorriamo una Via Crucis con stazioni che recano formelle di bronzo collocate dagli italiani. Alla fine raggiungiamo un belvedere, dove si erge una grande croce in cemento. Al suo interno una scala a chiocciola consente di salire fino alle braccia laterali. Il panorama spazia sulla costa, con la punta settentrionale di Rodi da un lato e l’aeroporto dall’altro. Tornando verso la macchina, osserviamo come la primavera sembra avere risvegliato i sensi dei pavoni che zampettano nei paraggi; alcuni sono appostati sugli alberi, altri emettono un verso potente. I maschi cercano di attrarre le femmine esibendo magnifiche ruote.
Tornati a Rodi e rifocillato Fabio nell’appartamento, raggiungiamo l’acropoli della città antica sul monte Smith. Il teatro e lo stadio sono stati pesantemente restaurati, mentre l’angolo del tempio di Apollo, con le quattro colonne rialzate sormontate dall’architrave, impressiona per la sua mole.
Nel porto di Mandraki riprendiamo l’esplorazione di Neohori, la città nuova sviluppatasi durante il fascismo. Il Palazzo del Governo richiama le architetture del Palazzo Ducale di Venezia; alle banchine del porto sono ormeggiati grandi catamarani mentre poco lontano, sotto la colonna con il Cervo, si sono appostati alcuni pescatori. Le grandi navi da crociera che lasciano una dopo l’altra il porto commerciale davanti alla Città Vecchia, sembrano dei giganti e dominano con la loro mole ogni altra cosa. Proseguendo la passeggiata, raggiungiamo la moschea di Murad Reis, dall’insolito minareto elaborato, circondata da un antico cimitero turco: una selva di semplici lapidi sormontate da turbante reca scritte in caratteri cufici mentre qualche mausoleo era destinato a personaggi più illustri. Il luogo, ombreggiato dagli eucalipti, affascinò lo scrittore inglese Durrell che subito dopo la guerra abitò per un paio di anni nella vicina Villa Cleobulo. Oggi la moschea e il cimitero avrebbero bisogno di un’opera di restauro; il guardiano del cimitero mi apre il mausoleo del poeta Efendi, esiliato dal sultano a Rodi, mostrandomi una bandiera turca gelosamente custodita. Parla italiano, a ricordo della passata dominazione, e mi spiega come oggi a Rodi vivano solo tremila turchi.
L’Hotel delle Rose costruito dagli italiani è diventato un grande casinò; poco oltre la spiaggia di Elli è considerata la migliore in città ma il cielo si è coperto e in giro non c’è quasi nessuno. Siamo arrivati sulla punta settentrionale dell’isola ma il temporale in arrivo ci costringe a rientrare frettolosamente in albergo.
Giovedì 21 aprile: Rodi – Kallithea – Landiko – Agia Agathi – Lindos
Oggi lasciamo Rodi città per trasferirci a Lindos. Viaggiando lunga la costa orientale dell’isola, dopo pochi chilometri raggiungiamo le terme di Kallithea. Costruite dagli italiani in stile moresco, sono state da poco restaurate dopo un lungo abbandono. La grande rotonda intonacata a calce si affaccia sul litorale roccioso, baciato dal caldo sole del Mediterraneo. Nel pavimento i ciottoli formano disegni geometrici, mentre gli archi del portico si aprono sul mare; in mezzo un amorino siede sulla colonna di una fontanella. Una mostra fotografica raffronta gli edifici, prima e dopo il restauro, lasciando l’impressione che il fascino decadente di un tempo fosse più coinvolgente del candore abbagliante di oggi.
Ripresa la marcia verso sud, a Landiko lasciamo la statale per raggiungere la baia di Anthony Quinn, una delle più belle di tutta l’isola. Durante il regime militare, i colonnelli donarono la baia all’attore americano, come segno di riconoscenza per il film “I cannoni di Navarone” ambientato a Rodi. Lo spettacolo della natura non tradisce la sua fama: la baia è chiusa da rocce a ferro di cavallo mentre le acque cristalline, a chiazze si fanno più scure sopra le rocce sommerse. I greci hanno collocato un bar in posizione strategica, sopra la spiaggia: dai tavolini si gode una vista magnifica e si può prendere il sole sorseggiando un caffè frappé (o un biberon di latte nel caso di Fabio!). Nella minuscola spiaggia un gruppo in costume approfitta della giornata soleggiata. La passione dei greci per il cemento per fortuna qui si avverte poco: un grande masso è stato scavato per ricavare alcuni gradini naturali mentre sopra è stata passata una colata di cemento creando una sorta di solarium. Scendiamo nella spiaggia di ciottoli; Fabio si diverte un mondo a giocare con i sassolini.
Trascorse un paio d’ore in pieno relax, lasciamo la baia con un certo rimpianto. Proseguiamo decisi verso sud superando la spiaggia di Tsambika che abbiamo visitato qualche giorno fa. Una nuova deviazione verso il mare ci porta sulla costa ad Haraki, dominato dalle rovine di un castello. La grande spiaggia di Agia Agathi è quasi deserta ma poco invitante per l’incuria e la spazzatura. Camminando sulla sabbia raggiungiamo il costone roccioso sul lato opposto al parcheggio. Ci accoglie una sorpresa: nella roccia è stata scavata una cappella a una stanza (XII sec.), annunciata da una campana appesa a un palo. Al suo interno alcuni affreschi sono sopravvissuti nonostante la vicinanza del mare; riesco a distinguere un angelo e un personaggio con la corona in testa. Una donna prega seduta in un cantuccio.
Ormai è tempo di puntare a Lindos. Scavalcata una montagna, la vista si apre improvvisa e magnifica sul paese di case bianche, vegliato dalla rocca dell’acropoli con il castello merlato dei Cavalieri. L’uomo e la natura sembrano avere unito le loro forze per creare uno scenario unico, completato dalle baie di Pallade e San Paolo. In auto raggiungiamo Platia Eleftherias, ombreggiata al centro da un grande platano; da qui si può proseguire solo a piedi per le stradine del paese. Regna una gran confusione con le auto che scaricano merci e passeggeri. Lasciata Stefania a controllare la macchina, raggiungo a piedi l’Hotel Melenos, percorrendo stretti vicoli, affollati di turisti e chiusi tra bianche case intonacate a calce. L’albergo è lussuoso ma noi siamo alloggiati negli apartment da tutt’altra parte. Per raggiungerli, un signore mi accompagna con il furgoncino adibito al trasporto dei bagagli, sfrecciando con grande maestria per i vicoli. Tornato in piazza da Stefania, risalgo in auto seguendo il furgoncino fino a uno dei parcheggi intorno al paese nei quali si devono lasciare le macchine; caricati i bagagli sul furgoncino, raggiungiamo finalmente i “Melenos Apartment”. Le stanze si aprono intorno a una piccola corte; la nostra si trova al primo piano. E’ piccola ma molto carina, con un letto tradizionale in legno, che forma una pedana sulla quale sono collocati due materassi; l’angolo cottura, indispensabile per Fabio, è collocato su un lato.
Dopo la pappa e sistemate le nostre cose, iniziamo il giro esplorativo. Uscendo dal paese verso il parcheggio, raggiungiamo subito l’Anfiteatro scavato nella roccia, fiancheggiato dai resti della chiesa di Agios Stephanos nella quale era stata inglobata una lista secolare con i sacerdoti del tempio di Atena Lindia. E’ Giovedì Santo e i negozi stanno già chiudendo in vista delle celebrazioni notturne. Il paese così si va svuotando rendendo più piacevole passeggiare per le sue stradine. La chiesa principale, la Panagia, è fiancheggiata da un campanile in pietra a logge aperte ed è sormontata dal tamburo ottagonale della cupola. L’interno a croce è interamente coperto di affreschi in ottime condizioni; l’effetto è molto bello. Nella parete d’ingresso mi soffermo ad ammirare il grande Giudizio Universale: a destra un mostro sputa fiamme ingoiando i dannati, in mezzo un angelo pesa le anime su una bilancia, a destra San Pietro apre la porta del Paradiso con una chiave a una schiera di notabili riccamente vestiti. Nella volta a botte scorro gli episodi dell’Antico e Nuovo Testamento; mi colpiscono in particolare le scene della Creazione. L’iconostasi è riccamente intagliata mentre il pavimento a kochlaki è tipico di Lindos, con i ciottoli che formano disegni geometrici in bianco e nero. E’ Giovedì Santo e i fedeli arrivano con il pane per la benedizione; un prete dalla lunga barba, infastidito dalla mia presenza, mi dice che il luogo è solo per pregare, invitandomi a sloggiare!
Chiudiamo la giornata con una veloce cena a basi di souvlaki, in un piccolo locale sul “corso cittadino”.
Venerdì 22 aprile: Lindos
La mattina raggiungiamo l’acropoli di Lindos. La salita, nonostante il peso di Fabio, è meno impegnativa del previsto, ricompensata subito dalla vista sulla macchia bianca del paese, circondata da brulle montagne. La Pasqua è vicina e siamo in compagnia di molti turisti. Varcato l’ingresso, ci troviamo in una piazzetta sotto le alte mura della fortezza gerosolimitana e sopra la baia di Pallade, con la vasta spiaggia. Opere lontane di secoli coesistono una a fianco all’altra. Sulla parete rocciosa è scolpita una trireme, la nave da guerra rodia con la caratteristica prua arcuata; di fianco incombe una torre bizantina. L’impressionante scalone che porta al castello dei Cavalieri è moderno, ma ben inserito nel contesto. Attraversati alcuni ambienti della Casa del Comandante, usciamo all’aperto in un’ampia spianata, piena di resti antichi. Un’esedra reca un’iscrizione in caratteri greci, dedicata alla famiglia di un sacerdote. La vista sulla baia di Pallade si spinge fino alla punta con la tomba circolare di Cleobulo, celebre tiranno di Lindos. La chiesa bizantina di San Giovanni si è inserita nella lunga stoà classica, della quale oggi sono state rialzate (o meglio ricostruite) diverse colonne. La chiesa conserva la parete con le tre absidi. Un’ultima scalinata conduce, attraversando propilei oggi scomparsi, alla spianata superiore dove sorge il tempio di Atena Lindia. Anche in questo caso, nella loro smania ricostruttiva, i greci hanno ricollocato varie colonne. E’ interessante notare come un cartello spieghi con orgoglio che la ricostruzione fatta degli italiani era imprecisa; per questo recentemente è stata smantellata e sostituita dall’attuale. Il lungo percorso ascensionale termina di fronte al precipizio che chiude il pianoro. Sotto, la baia di San Paolo sembra un meraviglioso lago blu e turchese; di fianco l’abbagliante biancore del paese, nel quale riconosciamo la Panagia e il nostro appartamento. Fabio per nulla spaventato dall’altezza, dopo tanto sgambettare con la mamma, si addormenta nella fascia cullato dal papà.
Tornati in paese, passeggiamo tra le bianche viuzze baciate dal sole. Ogni tanto incrociamo gli asini che portano i turisti sull’acropoli. La chiesetta di Agios Georgios Chostos, la più antica del paese, sembra tratta da un presepe; naturalmente è chiusa. Oggi è Venerdì Santo e la Panagia è affollata per la messa. Alla fine della cerimonia, mi affaccio rapidamente per dare un’occhiata; al centro è stato sistemato un baldacchino di legno con un’icona di Cristo morto, coperta di fiori; la gente fa la fila per baciarla.
Pomeriggio di tutto riposo al mare, nella baia di San Paolo. Le rocce che la circondano formano un anello quasi completo, tanto che dall’alto dell’Acropoli ci era sembrato di vedere un lago. Le acque limpide color smeraldo, formano macchie dai colori incantevoli. Sopra le nostre teste incombe il tempio di Atena Lindia, appollaiato in cima alla rocca a strapiombo sul mare. Raggiungiamo per prima la piccola spiaggia più vicina al paese. Mentre Fabio si diverte a bagnarsi i piedini, io non resisto alla tentazione di un bagno, nonostante l’acqua sia gelida. Ci spostiamo poi nella spiaggia più grande, semivuota. La piccola cappella bianca, che sorge su un lato, ricorda che lo sbarco di San Paolo sull’isola sarebbe avvenuto proprio qui.
La sera in paese incrociamo la processione del Venerdì Santo; le giovani cantano inni, seguite da un bambino che reca un’icona e da un uomo con un mantello nero che porta la croce. Segue il baldacchino che oggi si trovava al centro della chiesa.
Sabato 23 aprile: Lindos – Moni Thari – Asklipion – Lachania – Prassonissi – Monolithos – Lindos
Giornata dedicata all’esplorazione della parte meridionale dell’isola, dove si avvertono meno gli effetti del turismo e si conservano aree selvagge. Lasciata Lindos, proseguiamo per un tratto di costa, piegando poi all’interno fino a raggiungere il monastero di Moni Thari. L’esterno in pietra ha l’aspetto delle chiese ortodosse; curiosamente una campana è stata appesa al ramo di un arancio. L’interno è tutto affrescato. Nella volta a botte del braccio lungo sono raffigurate grandi scene tratte da episodi del Vangelo, una fascia per lato: al pozzo Gesù incontra la Samaritana che indossa una veste bianca, sullo sfondo un castello. La Dormitio Virginis nel transetto sinistro presenta personaggi con vesti dai bei panneggi, mentre dietro Cristo, avvolto da un nimbo, tiene in mano un bambino in fasce (?). L’abside reca invece un’insolita rappresentazione di Cristo in trono.
Proseguendo il nostro tour, imbocchiamo senza saperlo la strada che collega Moni Thari ad Asklipion, non indicata nelle mappe. Il paesaggio è allietato da prati fioriti, con vaste schiere di ulivi. Nella piazza di Asklipion gli uomini chiacchierano seduti al caffè. Il prete vestito di nero ha i lunghi capelli bianchi legati in un codino. La chiesa della Dormitio Virginis non rivela dall’esterno la sua antica origine (nel biglietto d’ingresso è citata addirittura la data del 1060), anche per il brutto tetto verniciato. L’interno invece è un gioiello coperto di affreschi; di alcuni conosciamo persino l’autore, Michele di Chios (1677). Nel braccio lungo, colpiscono gli episodi della Genesi in alto: la creazione degli animali di terra e mare, con un grande polipo; Adamo assegna il nome agli animali; Eva esce dalla costola di Adamo; dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre Adamo ed Eva indossano le loro prime vesti. Il transetto destro è occupato da una grande rappresentazione dell’Apocalisse, nella quale si distinguono i Sette Cavalieri, vari mostri (tra cui uno con più teste), e una città capovolta. Nella parete di fondo, la Dormitio Virginis raffigura anche l’angelo che taglia le mani dell’ebreo che vuole toccare Maria, assente a Moni Thari. Nel transetto sinistro un grande arcangelo Michele tiene in una mano una piccola anima defunta tutta fasciata e nell’altra uno spadone, mentre nella parete di fondo è raffigurata la Strage degli Innocenti. Dalla cupola il Pantocratore sorveglia il tutto. A fianco della chiesa visitiamo un piccolo museo con una sezione che espone icone e oggetti sacri e un’altra gli attrezzi di un vecchio frantoio.
Tornati sulla costa, proseguiamo la marcia verso sud, deviando di nuovo per raggiungere il paesino di Lachania. Le guide segnalano il ristorante “Platanos” e innumerevoli cartelli rendono impossibile mancarlo. Una deliziosa piazzetta, rallegrata da due fontanelle ottomane, reca al centro un grande platano. Su un lato sorge la chiesa del paese e di fianco sono stati collocati i tavolini del ristorante: una posizione veramente incantevole. Fabio dorme tranquillo nel passeggino, consentendoci di gustare con tutta calma la carne alla brace. Dopo il caffè greco, passeggiamo per le stradine del paese. Le case dalle pareti immacolate sono quasi tutte sbarrate: appartengono a stranieri del nord Europa che le apriranno solo per l’estate.
Rimanendo nell’interno raggiungiamo Mesanagros, dove è segnalata l’antica chiesa della Dormitio Virginis. Il gestore del caffè di fronte ha la chiave per entrare; il semplice interno reca un antico fonte battesimale in marmo a croce greca e riutilizza molti elementi delle basiliche più antiche, i cui resti si trovano intorno alla chiesa attuale. Una colonna marmorea, con una croce in rilievo, funge da architrave della porta d’ingresso. Il paesino, invece, appare abbastanza triste, le sue case anonime.
Finalmente torniamo sulla costa e puntiamo decisi a Prassonissi, la punta meridionale dell’isola sempre battuta dai venti. Il luogo è considerato una Mecca per i surfisti; un villaggio è sorto a loro uso. La spiaggia è immensa ma la striscia che consente di raggiungere l’isola di fronte oggi è invasa dall’acqua. Spira un vento fortissimo e quindi avvolgiamo Fabio con i nostri k-way; curiosamente il mare in tempesta da un lato si calma dall’altro. Qualche giovane fila a grande velocità sui wind-surf. Camminando sulla sabbia, arriviamo fin dove il mare si chiude davanti alla striscia di sabbia verso l’isola. Scattiamo qualche foto ma poi ci affrettiamo a trovare riparo in macchina dal vento impetuoso.
Risalendo la costa orientale, percorriamo il litorale più selvaggio dell’isola, in un magnifico scenario. L’ultima tappa della giornata è il castello di Monolithos, collocato su una roccia a strapiombo e circondato da monti boscosi. Tra le rovine sorge una piccola cappella bianca ma l’aspetto più coinvolgente è senza dubbio il panorama con l’impressionante precipizio.
La giornata è stata lunga ed è tempo di tornare a Lindos. La sera, vista la giornata impegnativa, ripieghiamo per una rapida cena in una creperie, rinunciando anche alla messa di mezzanotte del giorno di Pasqua.
Domenica 24 aprile: Lindos – Rodi – Roma
La nostra vacanza volge al termine ma non ci lasciamo sfuggire l’ultima occasione per un caffè nella Casa del Capitano. I tavolini sono collocati davanti alla facciata in pietra, con lo splendido portale riccamente decorato da bassorilievi che raffigurano uccelli, una croce e corde intrecciate.
Per raggiungere l’aeroporto percorriamo di nuovo la costiera orientale, piegando all’interno per Epta Piges. Le formalità per la riconsegna dell’auto sono veloci.
Durante il volo di ritorno, il cielo sgombro di nuvole mi consente di ammirare la meravigliosa selva d’isole nel mare Egeo. Fabio questa volta non si appisola e alla fine devo intrattenerlo portandolo a passeggio nel corridoio.