Buenos Aires, Cascate Iguazù e NOA
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GIOVEDÌ 20 SETTEMBRE
Venezia/Madrid/San Paolo/BA con Latam
Hotel Merit San Telmo – Trasferimento in bus con Tienda Leon
Giro turistico della città con bus aperto (3h 20m) con sistema sali/scendi. Sosta al quartiere Boca per il Caminito
BA si presenta subito come un cantiere aperto, lavori in corso ovunque. E’ una città enorme, 48 quartieri dove li trovi? Con poco tempo a disposizione scegliamo la strada del bus turistico aperto. Il giro ti dà una visione d’insieme ed una sensazione di caos di veicoli a motore (tantissimi bus pubblici) ma anche di grandissimi spazi verdi. Ci sono parchi ovunque. Già verso il tramonto scendiamo a La Boca verso il Caminito, un mix di colori, profumi, caricature, musica… di tutto! Artigianato poco, cianfrusaglie si ma simpatiche! Il rientro verso Puerto Madero e Palermo avviene quasi al buio ma con molto fascino.
È un modo nuovo per vedere una città, non lo avevamo mai fatto ma lo rifaremo. Si colgono prospettive diverse dal secondo piano e ne vale la pena.
SABATO 22
Casa Rosada – Teatro Colon a piedi – Calle Florida pedonale – Puerto Madero Ponte de la Mujere a piedi – Giardini giapponesi in metro – Tango show
Il sabato la città si trasforma, come tutte le metropoli. Si abbassa il volume, si rallentano i ritmi, si può camminare nel centro con il naso all’insù. I palazzi storici sono molti, con diversi stili architettonici, anneriti da uno smog potente. La prima destinazione è quella “mancata”: la visita alla Casa Rosada, che si può fare solo il sabato, va prenotata con 15 giorni di anticipo per consentire i controlli preliminari… e noi ce ne siamo dimenticati. La seconda istituzione della capitale è il Teatro Colon, sobrio nella sua maestosa facciata, sfarzoso nei suoi interni. Ma quanta Italia c’è là dentro? L’architetto Francesco Tamburini fu il primo a seguire l’inizio della costruzione nel 1889, i marmi sono tutti tricolore, rosa Siena, bianco Carrara e rosso Verona… e questa sera c’è la prima del balletto Romeo & Juliet… orgogliosi di essere veronesi. La nostra sfida ai km a piedi è appena iniziata quindi ci facciamo tutte le vie pedonali di Calle Florida, ricca di negozi di bassa fascia; non sono certo qui le grandi firme ma la vita dello shopping del sabato della gente normale quella si. Il Ponte de la Mujere di Calatrava ci incuriosisce, ne abbiamo viste altre di sue opere, in primis ovviamente Venezia. Purtroppo lo troviamo aperto, in una giornata che volge verso il nuvoloso, minaccioso di tempesta, quindi perde totalmente il suo fascino. Con la metro andiamo a nord verso Palermo e i suoi grandi spazi verdi, il giardino giapponese, con le splendide azalee già in fiore per l’inizio della primavera. Ultima tappa della giornata al Caffè Tortoni, appunto per un caffè… 30 persone in coda, come avevamo già visto il giorno prima dal bus. Pazienza, lo vedremo sul web. Arriva la mia serata tango argentino, quella tanto desiderata. Un’amica di BA ci ha prenotato cena, show e trasporto da/per hotel. Io pensavo a qualcosa di più intimo, in qualche via nascosta, in mezzo ad argentini appassionati e accalorati. Invece ci troviamo da Esquina Homero Manzi in una sala da 200 persone, con menù fisso ma in una posizione eccellente. Penso ok, prendiamo quello che viene, sarà uno spettacolo modesto da turisti e invece ecco la sorpresa. 4 eccellenti coppie di ballerini si alternano sul palco, soli o anche tutti insieme, scintillanti costumi, cantante di effetto e musicisti fantastici.
DOMENICA 23
Volo Ba Salta – Ritiro auto – Apart Hotel Marilian
Pranzo al City Bar e visita al MAAM, passeggio per la città, cena Asado al Terraza Grill
LUNEDÌ 24
Partenza alle 7 per Purmamarca, Cierro de 7 colores, arrivo alle 14 a Humauhaca, un’ora per Hornocal, Tilcara e ritorno a Purmamarca. Cena La Posta.
MARTEDÌ 25
Cierro, Salinas Grande (1h di strada), rientro a Salta alle 18.
Salta la Linda la domenica può essere chiamata Salta la Sonnacchiosa. Fa molto caldo, oltre 30°, quindi nel pomeriggio ci sono poche persone in giro. Il MAAM, Museo di Alta Montagna, ci affascina: la cultura e le usanze del passato in connubio con la tecnologia del futuro. In questo museo è conservata la più “alta” scoperta archeologica del mondo e cioè i tre bambini mummificati, sacrificati in base al rito Inca, ritrovati sul Vulcano Llullaillaco a 6.739 metri di altezza. Si tratta di una bambina di 6 (La nina del Mayo) con i capelli divisi in due trecce, una ragazza adolescente (la doncella) con il volto dipinto di pigmenti rossi e un bimbo di 7 anni (el nino) che indossa un ornamento di piume che gli copre il volto. Tutti e tre vissero intorno al 1490 e sono stati ritrovati integri 500 anni dopo. Ora, dopo anni di studi, sono esposti al pubblico, uno per volta, in una speciale teca refrigerata. La conservazione della “doncella” è stupefacente: la definizione delle labbra, i denti completamente intatti, la pelle, ci lasciano a bocca aperta. Il mantenimento avviene con la tecnica della criotecnologia. Da Salta a Purmamarca servono ca. 2h30, si cominciano a vedere le prime montagne colorate e qui per noi inizia il vero viaggio. #Coloreèvita è il mio hasthtag preferito.
Le strade sabbiose, il mercato artigianale, il sole splendente, il cielo pulito e il cierro de 7 colores imponente ne sono la dimostrazione. Da Purmamarca ci spostiamo verso Humahuaca. Il sole ci grazia la mattina e poi le classiche nuvole pomeridiane di alta montagna fanno capolino e coprono lo zigzag colorato di missoniana memoria. Il tipico tessuto dello stilista italiano è infatti quello che mi ricordano queste cime a 4.200 metri. La Quebrada de Humahuacae l’Hornocal sono uno dei simboli del NOA, il Nord Ovest Argentina, poco conosciuto, poco visitato, molto amato da chi ci si avvicina la prima volta. Montagne meravigliose, panorami pazzeschi che i nostri scatti non riescono ad immortalare in modo veritiero. Il mercato tipico della piazza di Humahuaca è simile a tanti altri mercati sudamericani con merce “industriale”. Alle 19 siamo di ritorno all’Hostal Inti Kay, spartano, essenziale ma pulito. La colazione del giorno dopo è con biscotti e pane fresco della vicina panaderia. Il secondo giorno è dedicato a Salinas Grande ad un’ora di auto attraverso la RN52 che porta verso Susques ed il confine cileno. Si sale a oltre 4000 metri, attraverso la Cuesta de Lipan. Voto 5 stelle a questa Ruta National e infatti a noi ne servono due di ore anche perché ci imbattiamo lungo la strada in molti lama, che sono sempre uno spettacolo. Si lasciano avvicinare perché sono animali domestici come l’alpaca; guanaco e vigogna sono gli altri due camelidi andini, selvatici però. La grande salina è bella, bellissima, particolare con le sue vasche di acque azzurre, bianca nelle zone centrali con i classici esagoni. Tuttavia noi 7 anni fa per visitare le Ande siamo partiti dal top, cioè dalla Bolivia e dal Salar de Uyuni ed i confronti sono inevitabilmente perdenti.
Ripercorriamo a ritroso il passo a 4.560 metri, la prospettiva è diversa, così come i colori del pomeriggio. I pendii sono ricchi di cactus. Dove c’è la maggiore concentrazione è segno che in passato c’è stato un insediamento umano: gli Inca mangiavano i frutti dei cardones (simili ai fichi d’India) e poi spargevano i semi. Molte volte gli archeologi partono proprio da queste zone per i primi scavi, poi i cactus si vedono lungo il crinale della montagna, dove il popolo saliva per gli avvistamenti sulle valli sottostanti.
MERCOLEDÌ 26 – DOMENICA 30
Tour organizzato con Socompa, partiamo con Dawid per il PUNA EXP.
Sappiamo che la giornata sarà lunga, dalle 9 alle 19 con destino finale a Tolar Grande, ma non ci si stanca perché i paesaggi verso la prima tappa a San Antonio de Los Cobres sono fantastici. Si attraversa la Quebrada del Toro, dal nome del Rio Toro, un rigagnolo serpeggiante accanto alla storica ferrovia del Tren de las Nubes, in funzione per i turisti solo per gli ultimi 25 km. A Santa Rosa de Tastil facciamo una sosta per il piccolo museo. Dawid è una fonte incredibile d’informazioni, storiche, geologiche, risponde a tutte le nostre domande. Abla Blanca a 4.080 metri segna il passaggio dalla Cordigliera Orientale a quella Occidentale, da zona sedimentaria a zona vulcanica, da colori caldi a colori freddi, con un’alternanza che vedremo spesso in questi 5 giorni. Il paesaggio cambia ed entriamo nel Labyrinth Desert, quasi al tramonto, con ombre lunghe che si allungano sui coni rossi. Arriviamo a Tolar Grande, 148 abitanti dice Wikipedia, 2 strade polverose, una locanda, due osterie dove mangiare, un centro culturale, tutto gestito da personale governativo grazie ad un programma statale che ha permesso al villaggio di riprendere vita. Siamo a 3.508 metri. Inizia a fare freddo. Poche persone in giro che camminano a testa bassa. Eccoci nelle nostre care montagne andine.
Per il secondo giorno le opzioni erano due: la prima non praticabile causa neve, che impedisce di arrivare fino alla Mina Casualidad a 5.200 metri; ci resta la seconda con una giornata “tranquilla” (anche troppo tranquilla per la nostra capacità di reggere km e stanchezza fisica). Si esce con calma alle 9 del mattino per Ojos de mar, delle formazioni di acque limpide e cristalline, con le montagne che si riflettono nell’immobilità totale dell’acqua. A fare da contorno cristalli di sale. Si passeggia nel silenzio totale con la cordigliera alle spalle, i vulcani argentini e quelli cileni divisi dal confine. C’è anche il guardia parco perché da pochi anni il luogo è diventato parco protetto. Un omino gentile che si sposta quando tu arrivi per non disturbare gli scatti fotografici, che si preoccupa di farti pulire le scarpe dal sale altrimenti si rovinano e quando te ne vai passa con il rastrello per cancellare le orme. Il governo gli ha fornito un’auto per spostarsi dal villaggio al parco ma lui preferisce andare a piedi. Storie d’altri tempi e d’altri mondi. Poca strada e si arriva ad un mirador dove compare in tutta la sua lunghezza il Salar de Arizaro, il terzo Salar più grande al mondo, dopo Uyuni in Bolivia e Atacama in Cile. 1600 km quadrati di estensione. Si ritorna a Tolar Grande, la mattina termina con una passeggiata tra le rotaie della vecchia stazione, la scuola, la chiesa; un pranzo leggero alla locanda, poi di nuovo relax verso la piana del sale. Giochiamo a 1/2/3 stella con una vigogna per riuscire ad avvicinarla. E’ molto attenta, preoccupata di noi umani! Ogni volta che si abbassa per brucare noi facciamo uno scattino di qualche metro, poi restiamo immobili quando si raddrizza, vigile verso i pericoli. Alle 15 ci avventuriamo in strade polverose, il vecchio percorso che conduceva alla montagna di sale, dove negli anni 50 e 60 estraevano i cristalli di sale. Si vede nettamente il taglio, dove venivano eliminati terra e sedimenti ed estratti i cristalli. Ci sono ancora i rifugi degli operai che vivevano lì, i resti di un letto con materasso, utensili da cucina ed una montagna di scarpe, quelle che il sale si mangiava. Un vero museo a cielo aperto.
Venerdì la giornata è più intensa. Un viaggio nel viaggio, come la definisce il fondatore di Socompa. I primi 90 km scorrono nel Salar de Arizaro e culminano con il Cono de Arita, una formazione vulcanica che spicca in mezzo al bianco del salar. Chi dice che serve da segnalatore di posizione per gli alieni, chi sostiene che abbia le stesse dimensioni di una delle piramidi egizie. Forse è semplicemente la natura che manifesta le sue capacità creative, contornando il cono scuro da pennellate di colore sulle montagne. Tutto sembra immobile, baciato dal sole, ma, dietro la curva, le vigogne danno movimento e vita a questo bel dipinto. Da vicino non si riesce proprio a vederle, scappano, restano guardinghe a distanza. I colori cambiano e ci troviamo all’estremo nord del Deserto di Antofaja, colori più freddi, sfumature di grigi, affascinanti come quelli del “Deserto luminoso”, tutto luccicante per effetto dei cristalli di gesso, luogo davvero magico. Una sosta la facciamo anche nell’Oasi di Antofallita, dove Roberto e Corina, fratello e sorella, 80 anni, abitano ognuno nelle loro case, con i loro animali, uno a valle l’altra a monte del ruscello ma … non si parlano da anni, proprio per l’uso dell’acqua. Intorno a loro il nulla. Oggi non sono presenti e così possiamo conoscere solo la vigogna che la sig.ra Corina è riuscita ad addomesticare. Viene a prendersi una bella dose di carezze, con le nostre mani che affondano in una lana morbidissima. La Quebrada Amarillo ci lascia ancora incantati, la luce è perfetta, i ciuffi d’erba giallo paglierino sono l’ambiente ideale per le immancabili vigogne. Nel viaggio ci sono anche le soste all’Oasi di Antofalla, dove vivono una trentina di persone. Il lavoro alla miniera ha riportato qualche famiglia con 5/6 bambini e quindi il governo ha riattivato anche la scuola. Antofagasta de la Sierra è più vivace con addirittura qualche migliaio di abitanti. Una bella laguna blu ospita i primi fenicotteri rosa che migrano da Sud alla ricerca di cibo. Alle 19 arriviamo a El Penon, un’altra oasi, dove sostiamo all’hosteria gestita direttamente da Socompa. Un grande camino acceso ci attende in un ambiente molto accogliente.
Sabato è speciale: il vulcano nero del Carachi Pampa svetta in mezzo ai pascoli apparentemente secchi della Puna Argentina. Siamo nella Vega, una valle rocciosa, nel cuore della Puna, nella provincia di Catamarca. Qualche animale bruca non si capisce cosa, sono puntini scuri che compongono il dipinto con lo sfondo delle montagne rosse. Andando oltre, il colore si intensifica, diventa quasi un tutt’uno con il cierro, ma in realtà siamo alla laguna Colorada, che significa rossa. Siamo a 4.150 metri di altitudine. Compare qualche puntino rosa e nero, stanno infatti arrivando i fenicotteri. Ci avviciniamo piano, sono molto guardinghi, appena il tempo di qualche foto e volano via. Il paesaggio è ugualmente fantastico, la laguna cambia sfumature di continuo, il vento è leggero (a differenza delle lagune boliviane che sono però almeno 4/500 metri più in alto). Passeggiamo in tranquillità, passa un’ora e neanche ce ne accorgiamo. Dawid riparte attraverso piste di sabbia, si sale e si scende e all’improvviso cambiano i colori. Lo noto subito perché lo scenario è pazzesco; stiamo ammirando colori caldi, tutte le sfumature dei rossi, dei gialli e poi … tutto diventa grigio ma ugualmente bellissimo. La guida ci spiega che ci troviamo nel punto d’incontro delle due cordigliere, quella orientale, sedimentaria, di roccia e terra rossa e quella occidentale, vulcanica con le rocce laviche nere che sfumano fino alla polvere bianca di silicio del Campo di Pietra Pomice. E qui arriviamo in un luogo forse unico al mondo, risultato dell’esplosione del vicino Vulcano Bianco: una nube di ceneri ricchissime di pietra pomice si è depositata su quest’area per 70 km di larghezza e 50 di lunghezza. Negli anni, il vento delle Ande ha eroso queste rocce dando loro delle forme particolari, in parte coperte di sabbie nere creando contrasti cromatici impensabili. Si passeggia all’interno di questo campo, ci si perde nel labirinto, si sale su edifici rocciosi che possono raggiungere i 10 metri di altezza. Il vento può essere forte, fastidioso insieme a qualche piccola tempesta di sabbia, ci si ferma, ci si copre e si riprende a salire e scendere. Il vento persiste, non si riesce ad arrivare alla Duna Bianca Gigante. Ci accontentiamo di una piccolina sulla quale saliamo pensando di sprofondare nella sabbia che invece è compatta, si cammina bene finché i granelli sollevati dal vento non si trasformano in spilli pungenti. Giornata splendida che termina alle 17 con passeggiata al tramonto a El Penon.
Domenica è una giornata di trasferimento per tornare a Salta. In ca. 5 ore si arriva nella bella cittadina di Cafayate. Si respira aria di vacanza rilassata, di passeggio nella classica plaza di fronte alla chiesa, contornata da tre mercati artigianali. Forse per la prima volta li troviamo proprio originali a giudicare dalla diversità degli oggetti che si trovano. L’elemento che contraddistingue Cafayate tuttavia è la vigna, la più alta coltivata al mondo. Siamo a 1700/1800 metri di quota e tra i filari che si perdono a vista d’occhio spiccano altissimi cactus. Il vino rinomato è il Torrontés un bianco a 13°, molto piacevole da gustare freddo. Con più tempo merita certamente fare una visita guidata in una delle tante cantine della zona. Per i primi 20/30 km dopo Cafayate si estende la Quebrada de Las Conchas, sulla strada che porta a Salta, che taglia in due la montagna, ancora sedimentaria, ancora di calde sfumature rosse. Sono molti i punti di sosta, uno su tutti, l’Anfiteatro, dove musicisti suonano una bella canzone e così si capisce il perché del nome. Acustica fantastica. La strada è ancora lunga, gli ambienti più cittadini iniziano a susseguirsi fino ad arrivare a Salta verso le 19. Lasciamo l’organizzazione di Socompa e l’ottima guida Dawid, bravissimo, preparato, informato e piacevole nel parlare di qualsiasi argomento. Non possiamo che consigliare a tutti di rivolgersi proprio a Socompa Adventure Travel per viaggiare e scoprire la Puna Argentina, questo deserto alto (significato quechua di Puna), tra i 3500 e i 4500 metri, per perdersi tra coni vulcanici, laghi salati, dune bianche di pietra pomice, distese nere di basalto. Per l’ultima serata nel NOA vogliamo ascoltare un po’ di musica locale e alla Pena “La Vieje Estation” si fa proprio questo. Si mangia e si assiste all’esibizione dal vivo di musica e ballo.
LUNEDÌ 1
Teleferico al mattino – volo Salta Puerto Iguazu alle 16:30 – Hotel Posada la Sorgente
MARTEDÌ 2
Cascate lato Argentina
MERCOLEDÌ 3
Cascate lato Brasile
GIOVEDÌ 4
Cascate lato Argentina – Volo Iguazu – BA alle 16:30
Inizia l’avventura cascate, parzialmente rovinata da due giorni su tre con nuvoloni neri. Non possiamo che confermare che meritano entrambi i lati e la dimostrazione è che mio marito ha preferito il lato argentino e io quello brasiliano. Partiamo dal primo. 40 minuti con il Bus Rio Uruguay a 300 metri dall’hotel (A/R 200/260 pesos a persona, ca. 4/5 euro. Il prezzo può cambiare tutti i giorni in funzione dell’andamento della valuta che in questo momento è molto ballerino!). Per chi come noi fa mille soste (tipo 20 minuti per fotografare un tucano) serve tutto il giorno per fare circuito inferiore+superiore+treno per la Garganta del Diablo. E’ un portento, una forza della natura, una dimostrazione di potenza che attrae e spaventa allo stesso modo. Fa pensare alle alluvioni, alla forza distruttiva dell’acqua ma anche a come possono esserci luoghi sulla Terra aridi, dove l’acqua scarseggia per la sopravvivenza e posti come questi, dove invece l’acqua non è un bene prezioso perché non è rara. Le cascate la fanno da padrone ma i simpatici animali che gironzolano nelle stazioni del trenino elettrico sono un bel contorno. Simpatici Monos (scimmiette) e Coaties (coda da procione e muso da piccolo formichiere) vagano alla ricerca di cibo e sono dei piccoli aspirabriciole. Occhio a borsette e panini perché sono rapidissimi. Noi ci siamo imbattuti anche in qualche tucano, uccello davvero meraviglioso che fa pensare ad un errore della natura perché il becco è proprio sproporzionato rispetto al resto del corpo. Il lato Brazil per il parco delle cascate occupa mezza giornata perché il percorso è in pratica unico; la vista di fronte è un po’ lontana ma rende l’idea dell’anfiteatro che creano le cascate. Una fotografia che rimane scolpita nei miei occhi ancora oggi. Attraverso un sistema di passerelle si entra quasi dentro una delle cascate e ci si lava completamente. Nella prima mezza giornata, prima di entrare, è d’obbligo la visita al Parque des Aves, con pappagalli, tucani, fenicotteri che la fanno da padroni. Esperienza splendida per grandi e piccini. Il sole spunta la mattina del terzo giorno e quindi, anziché riposare in piscina, sfruttiamo le ultime ore per rivedere la Garganta del Diablo baciata dal cielo azzurro. Il vento porta l’acqua verso il confine brasiliano e godere lo spettacolo da asciutti è ancora più bello.
VENERDÌ 5
Buenos Aires
SABATO 6
Volo BA – Rio de Janeiro – Madrid – Venezia
Lasciamo l’Argentina con l’ultimo giorno nella capitale, sempre a piedi, con tanti km perché così è bello, più vissuto. San Telmo, La Boca, Recoleta, la tomba quasi nascosta di Evita, i ricordi dei Barrios che più ci sono piaciuti. Immancabili le riflessioni di fine viaggio: una natura pazzesca, così diversa da ovest a est. La prima, con le sue montagne, silenziosa, calda (per i colori non per la temperatura), sconfinata, inesplorata, lenta, riflessiva; la seconda, con le sue cascate, dirompente, brutale, chiassosa, colorata. In mezzo la capitale, la metropoli, il traffico caotico ma anche i grandi spazi verdi e la sua meravigliosa musica. Il nostro cuore tuttavia resta sulle Ande e quindi… arrivederci al Cile, ultimo Paese Andino da visitare presto.