Cose turche

A spasso per la Turchia con una compagnia improvvisata ma quanto mai azzeccata
Scritto da: franz970
cose turche
Partenza il: 13/08/2014
Ritorno il: 29/08/2014
Viaggiatori: 4
Spesa: 1000 €
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A distanza di un po’ di tempo provo a ripercorrere le due settimane trascorse in Turchia nell’agosto 2014, con una compagnia alquanto improvvisata (ma decisamente azzeccata) messa insieme attraverso un sito di viaggi. Io (Francesco, da Taranto ma residente a Imola) e Fabiana (di Torino) ci conosciamo grazie a un suo insolito annuncio (“vorrei andare in Turchia ma non prendo l’aereo…”). La cosa mi incuriosisce e mi dico: perché no? Non è mica l’Argentina che ci obbligherebbe ad un viaggio in Transiberiana e un attraversamento dello stretto di Bering quando il ghiaccio invernale unisce i due continenti. Mi viene in mente un libro di Tiziano Terzani (Un indovino mi disse), dove il Sommo racconta un anno di viaggi senza mai prendere l’aereo, con tante esperienze interessanti. Che ci vuole? Dopo reciproca conoscenza dal vivo in quel di Bologna prenotiamo un traghetto dalla Puglia (io ad agosto sarò già lì in vacanza dai miei), un trasferimento in pullman per Salonicco e, da lì, uno successivo per Istanbul. Nel frattempo, Claudia (di Matera ma trapiantata a Milano) e Alessandro (di Rovereto), che si sono conosciuti sullo stesso sito ci contattano e, superato il test di ammissione (“Siete dei rompicoglioni?” “No” “Lo giurate?” “Sì” “Ok”), si aggregano. Ci raggiungeranno a Istanbul con mezzi più veloci e con maggiore sollievo per la loro schiena.

Nei giorni precedenti il viaggio, imbastiamo un programma che prevede 4 giorni a Istanbul, 3 a Izmir, 2 a Pamukkale, 3 in Cappadocia e ancora 2 a Istanbul.

Prenotiamo tutti gli alberghi dall’Italia ad un costo medio di 25 a notte con colazione. Idem per tutti gli spostamenti interni via bus con la compagnia Metro. Che fatica però: tutti i siti di viaggio turchi non consentono prenotazioni con carta di credito e necessitano di lunghi carteggi via email e pagamento con bonifico.

A 4 giorni dalla partenza, mentre sono sul mar Jonio in pieno relax, ascolto di sfuggita una notizia al tg…”turisti imbufaliti…nave non partita….porto di Brindisi….diretto in Grecia….”. Porca zozza, è proprio la nostra nave della Egnatia! Ero così orgoglioso di essere riuscito a comprare a un ottimo prezzo…

Dopo diverse telefonate appuriamo che il traghetto resterà fermo per riparazioni a tempo indeterminato e optiamo per una nuova prenotazione con la Superfast Ferries, nella vana speranza di ottenere un rimborso (campa cavallo…).

E allora, partenza da Bari alle 20 la sera di mercoledì 13 agosto alla volta di Igoumenitsa. Quando nel pomeriggio arrivo in treno a Bari e chiedendo informazioni ai locali mi metto alla ricerca dell’ingresso del porto, Faby è già lì che mi attende per il check in. Arrivato sul lungomare svolto a sinistra e comincio a camminare… l’ingresso sarà da queste parti… Così via via mi lascio dietro le case, i palazzi… poi arriva la campagna…. Quando, dopo circa un’ora, vedo l’insegna MOLISE, capisco che ho sbagliato direzione… Dobbiamo ancora partire e ho già consumato le suole delle scarpe! Faby mi aspetta rassegnata e, finalmente, dopo opportuno dietro front, giungo a destino e saliamo sulla nave, insieme a circa mezza Italia che va verso la Grecia. Dopo una serata in chiacchiera proviamo a dormire sulle poltrone che abbiamo prenotato. Ho fatto l’errore di lasciare i tappi per le orecchie nella valigia depositata nella stiva. Mi sarebbero serviti? Quando comincia il concerto per trombone e basso tuba della signora che siede davanti a noi mi do anche la risposta… Passo la nottata tirando calci ogni 5 minuti sui sedili di fronte nella speranza di un’interruzione del grufolare che però dura solo pochi secondi (l’interruzione) per ricominciare più forte di prima. Più volte ho immaginato di salire sulla spalliera della poltrona come fanno i lottatori di wrestling sulle corde del ring nell’atto di chiusura di un incontro, lasciandomi atterrare con il gomito sulla trachea del mio obiettivo sottostante.

Ma la mattina dopo (giovedì 14) arriva comunque. Da Igoumenitsa partiamo per Salonicco sul primo di tanti bus che sperimenteremo durante la vacanza. Farò il viaggio di 4 ore ad occhi chiusi e con un pallore cadaverico perché la doppia colazione fatta per ammazzare il tempo di attesa mi si riproporrà ogni 5 minuti… una roba dolce immersa nella glassa che solo a ricordarla sto di nuovo male. Faby avrà pensato: miiiiiiiiiii se questo sarà sempre così allegro che viaggio del cappero mi aspetta! Arriviamo a Salonicco intorno alle 13, con un caldo allucinante. Ma abbiamo ancora energie e, per fortuna, mi sono ripreso per cui facciamo un giro per la città, dove ero già stato una quindicina d’anni fa, e riusciamo a vedere anche il museo archeologico.

Alle 21 siamo sul bus, destinazione: Istanbul. Il viaggio trascorre tranquillo fino al confine. Lì ci fermiamo per un primo controllo presso la dogana greca. Poi ci fermiamo per un controllo presso la dogana turca. Poi, per non farci mancare nulla, i turchi decidono di rovistare anche nei nostri bagagli (l’autista: “di questo tipo di controlli ne fanno uno ogni mille vetture”…che culo!). Con le facce assonnate riscendiamo e attendiamo che si concludano queste pratiche del…la burocrazia. Quando al mattino di venerdì 15 arriviamo a Istanbul non si può certo dire che siamo freschi come delle rose, visto che non dormiamo da due notti.

Ma che ci frega, ce l’abbiamo fatta! Peccato non ci sia un collegamento diretto con la zona del nostro albergo, nei pressi di piazza Taksim. Prendiamo prima la metro, poi un autobus, poi facciamo un discreto tratto a piedi. Poi ci rompiamo le balle e fermiamo un taxi che, finalmente, ci porta in albergo (City Plus Hotel). Avremo una prima dimostrazione di quanto sia conveniente e pratico muoversi con questo mezzo. Lo useremo spesso.

Io e Faby siamo pronti per la nostra prima giornata del tour. Claudia e Alessandro ci raggiungeranno nello stesso albergo nel cuore della notte per cui faremo conoscenza diretta solo domani mattina. Cominciamo il nostro giro da piazza Taksim dove assaporo il primo caffè turco e gironzoliamo per la grande piazza diventata famosa per le note vicende di qualche mese fa.

Da lì, scendiamo lungo la Istiklal Caddesi, una delle vie più trafficate dai pedoni di Istanbul che si aprono ai lati solo per far passare lo storico tram d’epoca (che nonostante i propositi non prenderemo mai). È più che altro un susseguirsi di negozi, con alcuni edifici antichi, una chiesa cristiana, e un’infinità di posti dove si può magiare il kebab… Altre volte all’estero il kebab ha rappresentato l’ultima spiaggia, quando si aveva poco tempo o quando si era stanchi del cibo locale; qui invece è un’istituzione…Paese che vai…

Lungo la Istiklal ci fermeremo presso il museo dei dervisci (Hocapasa Culture Center). Fabiana vuole assolutamente vedere uno spettacolo di questi ballerini che raggiungono una specie di trance a furia di girare come delle trottole. Intanto cominciamo ad acculturarci sull’argomento. Carina la sala da ballo e interessanti i reperti e i documenti che narrano la storia di questi giramenti… che ricordano un po’ la pizzica salentina.

Al museo incontriamo un ragazzo italiano che, oltre ad intrattenerci per un bel po’ sulla storia della sua vita, su quella dei dervisci, sulle usanze turche, sui tarocchi, sulla “quarta via” (…Estiqaatsi aggiungo io…cit. da 610, Radio 2), è pure deejay internazionale e ballerino di tango e ha conosciuto la sua ragazza (turca) in una milonga… Da principiante di tango gli faccio un po’ di domande sull’argomento. In piacevole compagnia di Giampietro andiamo a visitare la torre di Galata. Personalmente non mi hanno mai entusiasmato gli arrampicamenti sulle torri delle città… ho sempre paura di trovarmi bloccato a causa dell’infarto che può cogliere il vecchietto di turno dopo 250 scalini fatti in apnea. In più la confusione e il clima un po’ umido e afoso non ci regalano le migliori condizioni per una visione di Istanbul dall’alto. Ma è uno dei simboli più antichi della Capitale e, conserva un tocco di italianità, visto che l’hanno costruita i genovesi. Certo, il fatto che ormai ci abbiano costruito un night club su in cima non ne accresce di certo il fascino e me la fa preferire più dall’esterno.

La serata trascorre tranquilla. Passeggiamo con la forza di inerzia che ci è rimasta lungo il ponte di Galata fino a un primo assaggio del Corno d’Oro, vale a dire al parte della città nella quale sono concentrate le attrazioni più famose e, naturalmente, i turisti. Ma che dobbiamo fare? D’altronde siamo turisti pure noi… Dopo una cena a base di non so cosa e un po’ di passi nella immensa Taksim Meidan torniamo in albergo per il meritato riposo. Il ragazzo alla reception non parla una parola di inglese per cui comunicheremo a gesti e a suoni gutturali nel nostro soggiorno di 3 notti.

Mentre Fabiana si trascina verso il letto giusto il tempo per chiudere gli occhi, io sfodero e accendo il mio ebook perché anche se sono stanchissimo, quelle due pagine… Faby avrà un sussulto dopo appena un paio minuti, per quel classico rumore di un ebook che atterra di punta sullo sterno e poi precipita a terra… Dormiamo che è meglio.

Sabato 16. Al mattino facciamo conoscenza con Claudia e Alessandro che sono arrivati stanotte. Dopo breve scambio di curriculum per assicurarci reciprocamente che non passeremo la vacanza con dei serial killer o dei pazzi furiosi, partiamo alla scoperta di …Istiklal Caddesi. Io e Faby facciamo un ripasso, mentre le new entries cominciano ad assaporare il clima gioiosamente incasinato di questa città. L’obiettivo però è il Corno d’Oro e, attraversato il ponte di Galata, eccoci pronti a scoprire il cuore di Istanbul. Cominciamo dalla Moschea Nuova, se non altro perché si trova appena dall’altra parte del ponte, una zona che batteremo a tappeto anche nei prossimi giorni, nel quartiere di Eminönü. Per la sua imponenza e la sua posizione questa moschea sarà un costante punto di riferimento (rispetto alle altre per le quali spesso imbastivamo questo tipo di discussioni: quella lì in fondo è la moschea Blu…Ma no, è quella di Solimano…macchè devono essere i minareti di Santa Sofia…e via dicendo).

Nella Moschea Nuova cominciamo a conoscere le regole che occorre rispettare, da turisti o da credenti, all’ingresso di questo luogo di preghiera. Volendo ci si può lavare i piedi (anche se il rituale vero è più complesso e coinvolge anche altre parti del corpo) nella fontana antistante. All’entrata occorre togliere le scarpe e le donne devono coprirsi con un velo le spalle e il capo. Con gli uomini sono più permissivi e solo di rado mi è capitato di dover indossare una specie di pareo distribuito all’entrata sopra i miei bermuda.

Sulle moschee occorre aprire una parentesi doverosa. Ci siamo accostati a questa esperienza con una certa curiosità. Spesso abbiamo commentato alcuni aspetti con il sorriso sulle labbra, ad esempio per gli odori che tutti quei piedi sviluppavano sulla moquette o per le melodie intonate dai muezzin 5 volte al giorno per il richiamo alla preghiera. A tal proposito, accertatevi che il vostro albergo non sia attaccato ad una moschea… Altri li abbiamo commentati in modo più critico (la separazione, per non dire la “reclusione” delle donne in luoghi appartati della stessa moschea). Altri, infine, li abbiamo compresi dopo opportune spiegazioni da parte delle guide o grazie ad approfondimenti che vanno sempre fatti in questi casi, con spirito critico e senza avere la pretesa che ciò che è diverso dalla nostra cultura è tendenzialmente sbagliato o antiquato. Delle moschee, dopo averne viste davvero tante, ho apprezzato la bellezza dei cortili esterni e, in molti casi, degli interni (tra tutte quella di Mehmet Pasha e quella di Fatih) e l’idea che siano dei luoghi sempre aperti dove si può andare semplicemente per riposarsi, per leggere, per trovare un momento di quiete e, magari, per pregare.

Dopo la Moschea Nuova visitiamo anche la Moschea Blu, proseguiamo per il Palazzo Topkapi, Santa Sofia e il Gran Bazar, dove torneremo più volte. Il Palazzo ci delude un po’…ma forse perché, essendo sabato, c’è davvero tantissima gente (turchi soprattutto). Non mi soffermo sull’arci nota Santa Sofia… Solo la riflessione che per fortuna alcuni capolavori, soprattutto mosaici, sono arrivati fino a noi, nascosti sotto strati di intonaco coi quali taluni hanno sperato di farli scomparire per sempre. La stupidità dell’uomo, quando interpreta la propria religione in modo radicale e “contro” le altre religioni l’abbiamo ritrovata spesso in altri luoghi sacri dove bellissime immagini erano state sfregiate in volto con una violenza che si percepiva ancora in quel momento. Ignoranti trogloditi.

Al Gran Bazar invece sperimentiamo i primi approcci coi negozianti. In fondo non sono così insistenti, perlomeno non ti trascinano nel loro negozio con la forza. Anzi son sempre sorridenti e gentili, anche quando decidi di non comprare nulla e pronti ad offrirti del tè o altre bevande. Poi, volendo, si può cominciare il solito teatrino del tira e molla (la mia mente è tornata spesso ad una memorabile scena del Brian di Nazareth, dei Monty Payton). Io sono uscito vittorioso (o almeno credevo) nell’acquisto di una polo…ehm col famoso coccodrillo…che mi son portato a casa con soli 25 euro partendo da 50…salvo poi incontrare lo stesso prodotto su un banchetto a pochi metri da lì: 3 polo a 10 euro…ma vaff…

La sera, per tornare verso casa, dal momento che siamo dall’altra parte della città e vorremmo andare a cenare sul ponte di Galata, decidiamo di prendere l’ormai collaudato taxi. Ci imbattiamo in un pazzo scatenato. Quando gli diciamo che abbiamo fretta, di fronte al traffico paralizzato, ci fa capire che conosce delle scorciatoie e ci chiede se ci va di prenderle. Ma figurati caro, vai pure! Comincia a farsi spazio tra i pedoni (che non hanno ancora smesso di lanciargli maledizioni) e salendo sui marciapiedi fino a raggiungere una stradina laterale che ci conduce…nel nulla assoluto! Passiamo alla velocità della luce in mezzo a quartieri semi bui dove non si incontra nessuno, attraversiamo cantieri, strade chiuse al traffico (ma non per lui evidentemente)…mentre le unghie di Fabiana e Claudia, che non dicono una parola, affondano sempre più nei sedili. Io Ale ce la godiamo, sembra di essere alle giostre. Il tassista ogni tanto ci guarda e sorride in senso di …boh? Comunque arriviamo sani e salvi. Da ora in poi le gite in taxi saranno quasi sempre di questo tenore. E comunque, grandi gli autisti i turchi: in tanti giorni di traffico indescrivibile avessi mai visto un incidente.

Sul ponte di Galata facciamo una discreta cena dopo di che andiamo a nanna, stanchissimi.

Domenica 17: è il giorno del nostro primo tour organizzato, con l’associazione “Istanbul per italiani”, che funziona davvero molto bene consentendoci, oggi e domani, di vedere luoghi piuttosto insoliti per il turista medio grazie a delle guide che parlano italiano. Oggi visiteremo i quartieri di Fatih, Fener e Balat (patrimonio dell’Unesco).

Fatih è uno dei quartieri più conservatori e osservanti di Istanbul, con al centro il monumentale complesso della Moschea di Fatih. Molto bello passeggiare per le sue strade e nella zona di Malta Çarşı, la zona del mercato. La guida, Kadir, risponde a tutte le nostre curiosità. Ha vissuto a Milano un paio d’anni (l’ammmòre), è innamorato della cultura italiana e, allo stesso tempo, è molto critico nei confronti del governo turco, per cui il confronto è davvero molto piacevole e stimolante. Mangiamo in un posto consigliato da lui: kebap, pide, sarma, köfte, tutto squisito ed a prezzo molto basso. Visitiamo la bellissima moschea di Zeyrek e le case in legno del periodo ottomano antiche di 200 anni.

A Fener, il quartiere greco, le strade cominciano a farsi strette e labirintiche, le pendenze si fanno importanti, ed il rischio di perdersi sempre più elevato. Passeggiando fra case dai colori e dalle forme più bizzarre, una bambina mi guarda affascinata mentre fotografo delle donne anziane che cardano la lana. Capisco che lo stupore viene dal telefonino. Glielo metto in mano e le faccio vedere come si scatta una foto mentre con un sorriso paterno penso: che bello, che ingenuità, che purezza di fronte alle tecnologie cui siamo abituati noialtri…che…che se si mette a correre col telefonino la raggiungo e le spezzo le gambette!). Con simpatia naturalmente…

Infine andiamo a Balat, il quartiere ebraico, dove il sottile confine fra splendore e degrado produce un contrasto abbagliante. Sembra davvero di essere a Gerusalemme. Arrivando sulla sommità di Balat si entra in un parco da cui si può ammirare un bel panorama su tutto il Corno d’oro. A fine giro raggiungiamo la famosa Chiesa di San Salvatore in Chora. Mosaici e affreschi non hanno niente da invidiare a quelli di Aya Sofia, anzi sono oggettivamente molto più belli ma solo Fabiana se la sentirà di entrare. Gli altri tre berranno il decimo tè della giornata in un bar lì accanto.

Siccome siamo indistruttibili, dopo aver concluso il tour organizzato e salutato Kadir, abbiamo il tempo per visitare la Moschea di Solimano (di cui non mi ricordo una mazza) e fatta una rapida cena andiamo a rilassarci in uno degli hamam più famosi di Istanbul, il Cagaloglu che, a dispetto delle prime sillabe è davvero carino. Uomini e donne si separano subito dopo l’ingresso e io e Ale ci addentriamo in questo posto dove l’inglese è stato bandito da secoli. Per cui riusciamo a capire tutto quello che dobbiamo fare (dove dobbiamo andare? Cosa dobbiamo prendere con noi all’ingresso? Qual è la nostra cabina? Possiamo tenere il costume? Devo per forza farmi insaponare da quell’energumeno? Ecc) solo perché qualcuno ci urlava dietro che quella cosa non andava fatta così. Alla fine, quando tutto ci è chiaro, ci godiamo il relax, stesi sul marmo della bella sala centrale come trichechi spiaggiati. E anche questa l’abbiamo fatta.

Lunedì 18: oggi io e Faby facciamo il tour organizzato nella parte asiatica mentre Claudia e Ale visiteranno alcune cose che noi abbiamo già visto il primo giorno. Il giro prevede i quartieri di Kadıköy, Yeldeğirmeni e Üsküdar. Oggi siamo con una guida italiana trasferitasi a Istanbul da alcuni anni (con un nome così strano che lo dimenticavo costantemente nel corso della giornata per cui figuriamoci adesso, a distanza di tanto tempo…).

Üsküdar, che raggiungiamo in traghetto, è uno dei più antichi quartieri della Istanbul ottomana, con oltre 180 Moschee: sembra che in questo quartiere siano molto frequenti gli omicidi dei muezzin intorno alle 5 del mattino…(…non è vero ma mi piace pensarlo). Se non ricordo male visitiamo quelle di Mihrimah, Şemsi Paşa, Kaptan Paşa.

L’ultimo quartiere che tocca il nostro itinerario asiatico è Kadıköy, che ormai è a tutti gli effetti uno dei quartieri più moderni e vivaci di Istanbul. Davvero interessante passare nel giro di pochissimo da quartieri ultraortodossi, a zone così occidentalizzate. Nei quartieri più osservanti le donne sono talmente imbacuccate negli abiti neri (mentre i loro uomini vanno bellamente in giro in bermuda) che ci siamo spesso chiesto come devono essere interessanti i loro album fotografici (dove probabilmente si riconoscono nelle foto di gruppo dalle scarpe) o le loro pagine su facebook (…Fatima ha cambiato la sua immagine del profilo…ah…). E vabbè, consentitemi un po’ di ironia su ‘sta cosa.

A Kadıköy passiamo un po’ di tempo tra le vie del mercato centrale che è uno dei più interessanti e pittoreschi della città. Il mio mini-tour gastronomico, tra innumerevoli specialità del salato e del dolce che i negozianti ti offrono senza problemi, si ferma davanti a un fruttivendolo con dei prodotti esposti talmente invitanti da non consentirmi di andare oltre. Sceglierò una confezione da mezzo chilo di more enormi che, dopo aver offerto al resto del gruppo, provvedo a far sparire in toto nel mio stomaco. Quest’ultimo mi presenterà il conto qualche ora dopo e per i giorni seguenti…

Ci ricongiungiamo al resto della banda e dopo ennesimo giro per il Bazar finalmente Claudia sceglierà il suo narghilè. Dovrà scarrozzarselo per tutto il viaggio. Mitiche le scene in cui, prima di ogni partenza in pullman la Nostra spiegherà all’autista che si tratta di un bagaglio mooooolto delicato: ogni addetto al carico dirà “sì, certo” per poi lanciare il prezioso imballo in mezzo alle altre valigie. Cena veloce e partenza per Izmir o Smirne che dir si voglia, sempre con il nostro solito pullman della Metro, col quale viaggeremo per tutta la notte.

Martedì 19: A Izmir ci arriveremo dunque in mattinata, per cui abbiamo tutto il tempo per organizzare una giornata al mare, in uno dei tanti posti citati sulle nostre guide. Coi mezzi pubblici è un mezzo casino ma, nessun problema: il nostro albergatore (Vesta Hotel) ci trova in un attimo un tassista disposto ad accompagnarci al mare (scegliamo la spiaggia di Teos, in prossimità di Sığacık, a una cinquantina di chilometri) e poi a venire riprenderci all’ora che vogliamo, tutto ad una tariffa irrisoria. Non solo, ma il nostro simpatico autista che, al solito, conosce tre parole in croce in inglese e col quale cerco di intavolare discussioni improbabili che terminano sempre con grandi sorrisi da parte di entrambi e il solito pensiero (‘azzo ha detto?), sia all’andata che al ritorno si fermerà presso un chiosco lungo la strada per offrirci dell’acqua, della coca cola e degli snacks… una delle tante manifestazioni della gentilezza e dell’atteggiamento dei turchi verso gli stranieri avute nel corso del viaggio, da cui avremmo tanto da imparare. La giornata in spiaggia passa serena e nel massimo relax. Il tempo purtroppo è ventoso e il mare un po’ agitato. Facciamo comunque il bagno e, a parte me e Claudia che nei giorni scorsi ci siamo abbronzati a sufficienza sui lidi del Sud Italia, le due mozzarelle nordiche si mettono a rosolare al sole.

Rientro e cena a base di pesce sul lungomare di Izmir. Intanto, movimenti sussultori nel mio apparato gastrointestinale…

Mercoledì 20 è un’altra splendida giornata di sole a Izmir. Ne approfittiamo per un giro della città: visitiamo l’antica agora e il bazar che è davvero enorme con il fervore delle sue attività commerciali (sembra il regno della contraffazione…). A pranzo ci fermiamo in un bel giardino in un posto che serve da mangiare, con dei gestori curdi molto simpatici. Unico inconveniente la lingua…provo in tutti i modi a far capire loro che ho bisogno di riso in bianco ma…niente da fare, mi portano un bel panino con carne speziata. Nel pomeriggio mi separo dagli altri tre che restano in giro per il centro e vado a visitare il museo archeologico. Ne ricordo ancora l’aria condizionata intorno agli zero gradi. Ricongiungimento serale, cena e letto.

Giovedì 21. Al gestore dell’albergo, con cui ormai ci capiamo al volo pur non avendo una lingua comune se non il calcio (ieri sera ho intavolato con lui una lunga discussione sui preliminari di Champions League e non mi ha risparmiato il triste ricordo di quella volta che il Galatasaray ha eliminato la Juventus) avevamo chiesto come poter andare a Efeso. Per cui al mattino è pronto un non ben identificato signore (non sapremo mai se era un privato o qualcuno che lavorasse per l’albergo) che, con il suo monovolume ci porterà in giro tutto il giorno e non solo a Efeso. Un taxi a nostra completa disposizione a 100 euro in tutto…spettacolare. Nel corso della giornata, nel concordare gli orari di ritorno, eravamo quasi titubanti nell’allungare i tempi viste le tante cose da visitare. Ma lui, serafico, rispondeva sempre “nooooooooo problem Francesco”. Lo soprannomineremo “no problem”, appunto. Così facciamo prima tappa a Efeso, che in alcune zone o monumenti è davvero ben conservata. In particolare l’anfiteatro e le ville coi terrazzi, dove si può vedere in diretta l’opera dei restauratori che stanno riportando alla luce delle meraviglie, dai mosaici agli affreschi ai marmi. Il parallelismo corre inevitabilmente a Pompei. Concluso il giro per le rovine, poiché siamo in zona, “no problema” ci porta a visitare quella che, pare, sia la casa dove ha abitato Maria, dopo la morte di Cristo. E vabbè… Da lì ci muoviamo prima verso Selçuk, dove visitiamo una moschea molto bella e poi a Sirince che è davvero una chicca, con il suo centro molto pittoresco, pieno di artigianato locale, di case e chiese antiche, di taverne davvero accoglienti nelle quali si beve il vino che producono qui. Alla fine del nostro lungo giro, quando la sera raggiungiamo il posto convenuto per la partenza, il nostro amico tassista non c’è e non si fa vivo per una buona mezz’ora… Comincio a credere che mi abbia preso per i fondelli per tutto il giorno e che alla fine, essendosi scocciato di aspettarci, ci abbia mollato lì… La sua auto non si trova in nessun parcheggio e cominciamo a valutare diverse ipotesi, tra cui quella di ubriacarci col vino locale e prenderci una stanza sul posto. Per fortuna dopo un po’ lo rivediamo spuntare, non capiamo da dove, tranquillo come sempre. Di fronte al nostro “scusaci, ti abbiamo fatto fare davvero tardi” la sua risposta naturalmente sarà “noooooooooooo problem!”.

Venerdì 22: il nostro itinerario ci porta nella famosa Pamukkale, dove arriviamo a metà giornata dopo circa 4 ore di trasferimento in bus. Abbiamo preso un albergo in posizione strategica (Ozbay Hotel), a due passi dalle piscine di travertino e con un bel giardino dove faremo una fantastica cena. Abbiamo deciso di goderci la visita alle vasche bianche sia questa sera al tramonto che domani, sin dal mattino, per vedere gli effetti della luce sull’acqua e sul marmo a tutte le ore. Claudia questo pomeriggio non ci accompagnerà: preferirà non allontanarsi troppo dal bagno perché la maledizione dello squaràus ha colpito anche lei… Di contro, poiché io decido di sfidare la sorte, appena mi sposterò in un’area nuova cercherò sempre di individuare dove sono i bagni o, ahimè alla peggio, gli anfratti più nascosti…non si sa mai. Immergersi nell’acqua calda di queste vasche bianchissime e cospargersi di fango in ogni dove (che tanto fa bene alla pelle…forse) ci da sensazioni molto piacevoli. Via via risaliamo la collina e proviamo nuove vasche, in relax assoluto e con una vista che diventa sempre più bella. Come detto, ottima cena servita in giardino.

Sabato 23: recuperata Claudia che in qualche modo ha superato la notte, ritorniamo verso le cascate del giorno prima. C’è un sole accecante e l’effetto sul marmo bianco è notevole. Tra i ricordi più piacevoli, quelli di mettersi a osservare, immersi nell’acqua, tutti quelli che scivolano sul fango bastardo e le acrobazie per salvare i cellulari dall’immersione fatale. Risalita la zona delle vasche, spuntiamo all’inizio di un percorso che, dopo pranzo, ci porterà a Hierapolis, che ha un bellissimo anfiteatro romano. Ci arriviamo mentre allestiscono una mostra, sulle note del Don Giovanni di Mozart. Davvero suggestivo. Sulla strada del ritorno, ci fermeremo nella piscina grande, che ha la particolarità di aver conservato sotto l’acqua calda di sorgente naturale resti di epoca romana crollati a seguito di un forte terremoto. Quindi si nuota all’aperto sopra le colonne di un tempio. Particolare, non c’è che dire.

Il tempo per rientrare, fare una doccia e cenare che è arrivato il momento dell’ennesima partenza: stanotte cominciamo l’avvicinamento alla Cappadocia. Sin qui abbiamo sempre viaggiato senza particolari problemi con le persone (salvo la scassamaroni del traghetto). Ma stanotte avremo un osso duro: una signora seduta davanti a me. Prima si lamenterà per il fatto che noi quattro (seduti immediatamente dietro di lei) non la smettevamo di parlare e di ridere. L’informazione ci raggiunge attraverso l’aiuto autista che ci mostra un sms sul suo telefono che, in inglese, recita: la signora davanti vuole dormire, abbassate la voce per favore… Alle 21 vuole dormire? E che due palle! Ci tratteniamo a stento ma provvederanno altri due momenti a renderle il sonno agitato: una volta quando, dopo qualche ora di viaggio con gli arti anchilosati, proverò a stendere le gambe, rifilandole senza volerlo un bel calcione sulle caviglie. Poi più tardi quando, avendo svuotato completamente una bottiglietta d’acqua da mezzo litro, nel silenzio più assoluto accartoccio il contenitore di plastica per metterlo nella busta del pattume. Io avevo i miei tappi e quindi il rumore mi giunge attutito ma giudicando dal salto che ha fatto sul sedile direi che deve essersi sentito bello forte… Dallo sguardo che mi ha fatto voltandosi, credo che mi avrebbe volentieri strozzato.

Domenica 24: la nostra meta, nel bel mezzo della Cappadocia, è Göreme. Arriviamo al mattino un po’ rincoglioniti ma appena trovato l’albergo (Walnut House), dopo una rapida rinfrescata, siamo già pronti all’azione. Ovunque si organizzano tour per le valli più famose della zona, dove poter ammirare queste case di fiaba modellate dai venti e dalle acque e scavate all’interno dalle persone. I tour operators propongono soprattutto tre varianti: il percorso rosso, quello verde e quello blu. All’unanimità decidiamo di rinunciare al giro in mongolfiera: Faby, che non prende gli aerei, le mongolfiere non vuole vederle nemmeno disegnate. Noialtri desistiamo per i prezzi esorbitanti. Decidiamo allora di visitare, a piedi e liberamente, i dintorni di Göreme, toccando in parte alcuni luoghi che saranno comuni al tour rosso che io e Faby faremo, in modo “organizzato”, tra un paio di giorni. E così tutti al Goreme Open Air Museum, dove abbiamo un primo assaggio di questi villaggi con casette stile hobbit. All’inizio la curiosità è grande e ci infiliamo in ogni cunicolo. Alcune, tra l’altro, conservano ancora dei bellissimi affreschi (in particolare quelli di alcune chiese scavate nel tufo). Poi, via via, entreremo solo in quelle che ci ispirano di più anche perché sono davvero tante e ci lasciamo catturare soprattutto dalla bellezza della loro fisionomia esterna che ricorda ora un cammello, ora un orso, ora un elefante ora…beh, per la maggior parte somigliano a dei grossi falli.

Il nostro girovagare ci porta nella Rose Valley. Lasciata la strada principale, non incontriamo più tantissima gente e il paesaggio si fa quasi lunare, con il sole che proietta i suoi raggi sempre più bassi su queste figure del c…. Nel senso della forma.

Occhio a questi saliscendi però. Il terreno è spesso sdrucciolevole. Ad un urlo tipo Tarzan, farò appena in tempo a voltarmi per vedere Faby scivolare, decollare con gli arti inferiori, restare sospesa quei 5 o 6 secondi nell’aere – lo sguardo incredulo – e poi atterrare con leggiadria direttamente col suo posteriore. A Göreme viene registrata una scossa del 3,8 della scala Richter per la quale stanno ancora cercando l’epicentro. Le farà male il di dietro per tutto il resto del viaggio…

Nello zigzagare per sentieri di cui non sempre riusciamo a capire la direzione e i luoghi di interesse cui dovrebbero portare, ci imbattiamo in una coppia di ragazzi che, visti da lontano, ci fanno subito esclamare: sono italiani. È così in effetti, e dopo qualche scambio di battute sui posti già visti e da vedere, ho come l’impressione di aver già visto lui. Gli chiedo se vive a Bologna ma “no, sono anni che vivo a Londra”…eppure… Poi ho un flash: “ti ho visto in televisione!”. E in effetti è vero: si tratta di un esperto in economia che spesso Michele Santoro chiamava nelle sue trasmissioni. Ricordo alcuni confronti molto accesi con Sgarbi, Castelli e con altri personaggi della politica. Dopo un po’ di chiacchiera salutiamo il bravissimo e simpatico Emanuele Ferragina che, così giovane, insegna a Oxford….un po’ come da noi in Italia. Arriviamo a Çavuşin, il cui colpo d’occhio presenta molte analogie con Matera. Ci inerpichiamo lungo stradine sulle quali si affacciano bellissime case restaurate (spesso b&b) e strutture completamente abbandonate e alle volte pericolanti. Dalla parte più alta della città godiamo del tramonto. Abbiamo camminato tanto per cui la strada del ritorno è più lunga del previsto. Ogni dieci minuti un signore un po’ anziano con una carrozza e un mulo passerà a chiederci: “volete un passaggio?”. E noi: “no”…ce la dobbiamo fare da soli. E ce la faremo. Rientreremo a Göreme al buio e pieni di polvere fino al midollo grazie a quei simpatici quad che ci passavano accanto a tutta velocità seguiti dai nostri improperi, ma soddisfatti di quanto visto. Una bella cena e stasera non faccio nemmeno la prova a leggere qualcosa.

Lunedì 25: è il giorno della partenza di Claudia e Ale ma abbiamo ancora tutto il giorno da trascorrere assieme e lo facciamo con il green tour che abbiamo acquistato in albergo.

La prima tappa è la città sotterranea di Derinkuyu, la più grande e nota della regione, a circa quarantacinque km da Göreme, che sembra ospitare ben trentasei città sotterranee delle quali solo poche sono state esplorate. Si tratta di un complesso strutturato su otto livelli (di cui quattro visitabili) e profondo ottanta metri circa.

Derinkuyu è uno dei miei obiettivi principali della Cappadocia ma non ho fatto i conti con gli altalenanti umori del mio intestino, che non si è ancora del tutto ripreso dagli effetti di quelle more malefiche.

Quando arriviamo la guida ci spiega che una volta entrati dobbiamo arrivare fino all’ultimo livello, senza possibilità che si possa tornare indietro perché tra l’uno e l’altro ci sono dei passaggi molto angusti e i gruppi possono passare solo attraverso dei segnali che le stesse guide si mandano tra loro per stabilire le precedenze. Basta questo per far tornare indietro Faby che, senza problemi, si guarderà le foto di Derinkuyu sulla guida e si fiderà della sua bellezza e del suo fascino…sulla parola. Io non soffro di claustrofobia ma…nella discesa al primo livello sotto terra la temperatura si abbassa decisamente e sento una forte nostalgia del mio bagno di Imola. Devo prendere una decisione immediata: continuare la discesa negli inferi col rischio di fare una bella figura di m…. (è proprio il caso di dirlo), oppure ritornare verso il sole mantenendomi a non più di due metri dai servizi. Amo il rischio e decido di scendere.

Nei primi ambienti che visitiamo incontriamo una stalla, una pressa per l’uva ed una grande cripta; più in profondità si trovano le stanze abitate, una cucina ed una chiesa. E’ possibile vedere pozzi di ventilazione e pesanti macine da mulino incassate nelle pareti che potevano essere spinte a mo’di porta per isolare alcune zone strategiche, tipo compartimenti stagni. Insomma, tutto molto interessante.

La guida si sofferma su tanti dettagli, ansiosa di rispondere alle nostre domande (io che invece ho fretta di riemergere fulmino con lo sguardo tutti quelli che fanno le domande più assurde…ce li lascerei lì sotto). A un certo punto, a non so quanti metri di profondità, una domanda gliela faccio io “scusi, c’è anche un bagno qui sotto?”. Al che la guida parte con un spiegazione sulla logistica risalente a non so quanti secoli fa: “qui c’erano le cucine, qui il magazzino, qui i dormitori, qui c’erano i bagni…”. Mi trattengo dall’impulso omicida e le dico “no, guardi, non me ne frega nulla di dove fosse il bagno nel Medioevo, me ne serve uno adesso!”. Ma purtroppo lì sotto non c’è nulla che possa servire allo scopo e bisognerà che attenda di riveder le stelle per l’agognato momento. Quindi stringo i denti (e le chiappe) e proseguo, spesso percorrendo tunnel molto stretti e bassi, in cui in alcuni tratti è necessario procedere accucciati, in condizioni di scarsa illuminazione. Vi lascio immaginare che allegria…

Tuttavia, come tutte le cose, anche questa ha un epilogo e, orgoglioso della mia resistenza, all’uscita riesco a riappacificarmi con me stesso e con il mondo che mi circonda…

Il giro proseguirà per altri luoghi ameni, come la Valle d’Ihlara che è un canyon di selvaggia e straordinaria bellezza lungo circa quindici km, attraversato dal fiume Melindiz (però se ne percorre solo un tratto di tre km).

Giunti a Belisirma sostiamo in un posticino assai caratteristico con capannine in riva al fiume. A pranzo concluso, siamo nuovamente prelevati dal pulmino che ci aveva lasciati ad Ihlara e che ci conduce al Monastero di Selime che si affaccia sul panorama di Yaprakhisar e domina il paesaggio, con infiniti cunicoli interamente scavati nel tufo e finestrelle che fanno da cornice alla magia dell’ambiente circostante.

Terminiamo il tour passando e soffermandoci per un po’ nella Valle dei Piccioni, nella Valle dell’Amore e in quella di Zelve oltre che presso un’azienda che produce manufatti in onice, dove vediamo una dimostrazione su come li realizzano. Rientriamo in serata in albergo e dopo le ultime chiacchiere insieme..sigh…arriva il primo momento dei saluti. Lasciamo le fanciulle piangenti coccolarsi un po’ a vicenda per superare il distacco mentre noi rudi omaccioni siamo molto più sbrigativi…”oh…vabbè…allora ci si becca…”. Dopo gli addii io e Faby andremo a cena, per una serata in cui cominceremo fare il primo bilancio di questa vacanza e a constatare quanto siamo stati fortunati a incontrarci tutti e quattro.

Martedì 26. Siamo agli sgoccioli. È il nostro ultimo giorno in Cappadocia e avevamo deciso di fare uno dei tour meno battuti, l’itinerario blu, ma ieri sera in albergo abbiamo appreso che, purtroppo, quel giro parte solo determinati giorni e non il martedì. Siamo costretti a ripiegare sul percorso rosso che, in parte abbiamo già visto a piedi. Tuttavia non ce ne pentiremo perché, a parte il museo a cielo aperto di Göreme che ci gustiamo nuovamente con calma, avremo modo di vedere altre chicche, come la Paşabaği Valley, Avanos, la Devrent Valley e i famosi ”camini delle fate” di Ürgüp. Insomma, possiamo dire che il cuore della Cappadocia lo abbiamo visto. Questa sera io e Faby abbiamo il trasferimento a Istanbul, per chiudere il cerchio e tornare al punto di partenza in terra turca. Partiremo con un po’ di nostalgia per questi luoghi in qualche modo magici.

Mercoledì 27. Arriviamo in prima mattinata a Istanbul. Ormai siamo padroni delle mappe di questa sconfinata città. Molto strategicamente avevamo scelto un albergo nei pressi della stazione degli autobus: anche se lontani dal centro sappiamo che col taxi arriviamo ovunque. Appena giunti a distino ne prendiamo uno. Saliamo e l’autista comincia a districarsi nel traffico solito, in attesa di nostre indicazioni. Fabiana nel frattempo comincia a sfilare da una busta trasparente tutte le stampe delle nostre prenotazioni… “questo era quello dei primi giorni, questo era a Izmir, questo a Pamukkale, questo a Göreme… Fra, per caso hai tu la prenotazione dell’albergo?”. Panico. Siamo riusciti a fare casino. Il tassista capisce i termini del problema e cercando di aiutarci, comincia a elencare tutti gli alberghi della zona..in una lingua di cui non capiamo nulla: “Hotel Tkrith…Grithmith…Akhzim…Salhafà Salhafà…”. Non lo soooooooo come si chiama l’albergo, non me lo ricordo e non capisco quello che dici! Ma non perdiamo la calma…possiamo sempre andare in un internet point, collegarci alla rete e scaricare la prenotazione. Ci pensa l’autista, che senza incavolarsi ci porta in un centro commerciale. Faby aspetta in macchina mentre l’autista mi accompagna a destinazione. Entro. Mi siedo. Guardo la tastiera. Ha le lettere tutte cancellate. Mi alzo. Chiedo un altro PC. Mi risiedo. Mi collego. Provo a entrare nella mia posta. Errore….come errore? Riprovo. Errore. Sto per spaccare tutto mentre il gestore mi porta il solito tè…portami una camomilla che è meglio!. Mi calmo. Deve esserci una spiegazione. E infatti…la loro lettera “i” non ha il puntino sopra la linea verticale. Armato di pazienza riprovo e, finalmente, entro….siamo salvi. Ci aspettano al Grand S Hotel che si trova a 100 metri da lì! Fantozzi ci fa un baffo.

Dopo un po’ di meritato relax e una bella doccia, ormai avvezzi alle dinamiche dei trasporti di Istanbul, ci facciamo cercare un taxi da un addetto dell’albergo che ci assicura un costo massimo di 10 euro per il passaggio in pieno centro (‘azz, solo??? Il quartiere di Sultanahmet si trova praticamente in un altro Continente! Vabbè, se sta bene a lui…). Ne fermerà 4 o 5 prima di trovarne uno disposto ad accettare a quel prezzo infame: l’autista farà talmente tanta strada per portarci in centro bestemmiando in turco (appunto) in mezzo ad un traffico stile Napoli che, all’arrivo nel cuore del Corno d’Oro, gli raddoppieremo la cifra concordata. Era il minimo.

Abbiamo un’intera giornata per fare il ripasso (sempre interessante rivedere le stesse cose in momenti diversi, sotto altra luce) e per riempire le caselle vuote del nostro piano visite. Cominciamo dalla Basilica Cisterna, capolavoro di epoca bizantina. La ricordavo in una sequenza di uno dei film di James Bond. È banale ma…è davvero bella!! L’acqua che riflette le 336 colonne, la testa della Medusa che fissa tutti quelli che si fermano a guardarla da chissà quanto tempo e le luci gialle che amplificano la maestosità dell’opera sono impresse nei miei ricordi più vivi di questo viaggio. Altra tappa sarà il mausoleo del sultano Mahmud II. Le cripte sono veri capolavori di arte islamica ma le bare rivestite di una specie di panno verde (che è il colore del loro paradiso…) sembrano gli alberghi del monopoli…bah, tiriamo i dadi e andiamo avanti.

Sempre nei pressi di Sultanahmet visitiamo la Chiesa di Santa Irene, tra quel poco che è rimasto dei luoghi riservati al culto cattolico (ma ora la utilizzano solo per i concerti), poi cominciamo a zigzagare per le vie ed i vicoli, passando per la fontana tedesca, transitando nella piazza di quello che era l’Ippodromo fatto costruire da Costantino per arrivare, infine, in quel piccolo gioiello che è la Moschea di Memhet Pasha.

Devo dire che è tutto il giorno che mi porto dietro una scarpa nel mio zaino. È una infradito che mi si è rotta ieri e che stavo per buttare via. Ma Faby mi convince a portarmela dietro: proveremo a cercare un calzolaio tra le mille botteghe di Istanbul. E infatti a un certo punto leggiamo un’insegna…”Picasso Shoes”. Miiii, gli artisti della scarpa… provo ad entrare, è tutto al buio e io sono accecato dal sole che viene dall’esterno. Spunta una faccia che ci invita a entrare in uno scantinato…Cacchio, che facciamo? Entriamo. Naturalmente no english, per cui senza nemmeno far sfoggio di fantasia, prendo la scarpa e gliela metto davanti. Il nostro Picasso, parlandomi in turco, mi fa comunque capire di aspettare che lui e i suoi colleghi finiscano il pranzo. E, in effetti in questo retrobottega ci sono altri 4 o 5 individui intenti a mangiare e bere…e poi ci sono una infinità di scarpe! Il laboratorio e davvero grande… A poco a poco ci tranquillizziamo, sembrano innocui e….anzi…prima ci invitano a mangiare con loro poi, dopo qualche minuto, ci portano due coca cola… Provo a parlare con queste persone che, per l’ennesima volta hanno smentito le mie paure e forse alcuni pregiudizi. Ci spiega che le scarpe (da donna) che stanno facendo in questo momento sono per il mercato russo (orribili…una roba maculata che non si poteva guardare). Mentre conversiamo scolla completamente la scarpa e poi la passa ad un collega che, dopo 5 minuti me la riporta. Fatta la rifinitura del caso Picasso mi dice che posso già indossarla. Gli chiedo quanto devo pagare per questo disturbo ma…assolutamente niente. Ho provato in tutti i modi a dargli qualcosa…niente da fare. Continuava a sorridermi e a toccarsi il cuore in un gesto davvero bello. Questa predisposizione verso chi ha bisogno, ancor più se si tratta di uno straniero, è uno dei ricordi più belli della Turchia, al di là di tutti i monumenti. Immagino una scena analoga in Italia, con un giapponese che si presenta con il suo zoccolo infradito in una bottega di Firenze o Venezia per farlo sistemare…la prima risposta sarebbe stata “ecco l’IBAN”.

Non resta molto altro da dire. È ovvio che senza il gruppo le occasioni di cazzeggio diminuiscono. Ricordo, nel tardo pomeriggio, un ennesimo passaggio nel Gran Bazar e, più tardi, al Bazar delle spezie. Gli odori sono tantissimi e si susseguono velocemente. Ho il naso che mi pizzica e il terrore di starnutire davanti a questi cumuli di polveri colorate. Compriamo anche i lukum, queste specie di caramelle gommose tanto osannate dalle guide. A me hanno fatto cagare. Questa volta in senso lato.

Giovedì 28: Faby vuol dedicare la nostra ultima giornata allo shopping e a visitare un paio di quartieri che le interessano. Io vorrei vedere il museo di arte moderna e contemporanea, per cui per un po’ ci separiamo. Anche così assaporiamo rumori, voci, suoni, colore, calore…in totale relax. Nel pomeriggio, in attesa del ricongiungimento, provo a infilarmi in qualche altra moschea così l’overdose è completa. Quando entro in quella di Beyazit è solo mentre sto uscendo che mi accorgo di averla già vista…capisco che è ora di finirla con le moschee perché non riesco più a distinguerle tra loro. Prima di sera, e dopo una lunga passeggiata fino al Palazzo Dolmabahçe, con Faby mi soffermo a bere qualcosa sulle rive del Bosforo e, mentre chiacchieriamo, due delfini saltano davanti a noi…quasi a salutarci. Ciao delfini, ci vediamo la pros…e, niente, vengono falciati dopo qualche metro da un battello.

Stasera, dopo cena, ci aspetta l’ennesimo bus della Metro. Io però ho ancora delle lire turche…e me ne voglio liberare. Farò in tempo a comprarmi una camicia di lino nel bazar della stazione, bevendo il solito tè che ci è stato offerto dal negoziante. Via, si parte!

Venerdì 29: solo per dire che arrivati al mattino, incontriamo il mio caro amico Panos, che non vedo da 15 anni (siamo stati coinquilini per circa un anno in quel di Perugia). Panos e la sua ragazza ci portano in giro per la città e, a pranzo, in un posto davvero speciale: all’ingresso, su alcuni avvisi, c’è scritto che tutto il personale assunto ha oltre 50 anni ed è composto da persone che hanno perso il lavoro per colpa di questa crisi infinita. Una bella iniziativa, anche di marketing, che infatti attira un sacco di gente.

Nel pomeriggio solita tratta per Igoumenitsa e poi un bel po’ di ore di sfiancante attesa fino al traghetto di mezzanotte. Stavolta, forse per sfinimento, ma anche perché ho i tappi, riesco a dormire un po’ e la mattina arriva prima di quanto temessi. Cominciamo a vedere le coste della mia Puglia e poi, a poco a poco, il porto. A Bari, in attesa dei rispettivi treni facciamo colazione e risentiamo sapori noti. Il mio stomaco è di nuovo a posto e stasera, una linguina con le cozze tarantine non me la leva nessuno.

Il racconto finisce qui. Come si può immaginare, per ricordare nomi di luoghi o situazioni ho spesso consultato il web che, purtroppo, negli ultimi due giorni, non fa che pubblicare o mandare in video le scene terribili dell’attentato di Ankara, dove hanno perso la vita, durante una manifestazione pacifista, oltre 100 persone… E non mi va di fare nessuna chiosa divertente.



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