Nozze d’argento a Las Vegas e nei parchi Usa
Il tre ottobre di venticinque anni fa io e mia moglie ci siamo felicemente sposati. Il giorno del matrimonio è uno dei giorni più belli nella vita di coppia ma quel giorno non tutto ha funzionato alla perfezione: il ristorante non è stato all’altezza e il fotografo non ha reso negli scatti l’essenza della festa. Da questo è nato il desiderio di rivivere quel giorno in modo indimenticabile.
Io e mia moglie abbiamo deciso di risposarci in una località insolita, Las Vegas, e con un testimone d’eccezione, nostra figlia, che nel frattempo si era laureata e meritava come premio un bel viaggio nell’ovest degli Stati Uniti immersi nella natura.
Acquistiamo una guida e decidiamo un itinerario che parte da Denver, nel Colorado, e finisce a Los Angeles, in California, attraverso 12 parchi nazionali e 5 Stati (Colorado, Utah, Arizona, Nevada, California).
Decidiamo di prenotare il volo con British Airways da Milano Linate, con scalo a Londra, scelta che si è poi rivelata ottima. Seguono la prenotazione della macchina, la compilazione del visto turistico americano Esta, l’assicurazione di viaggio e la prenotazione della camera per la prima notte a Denver.
Partiamo la mattina del 23 settembre, arriviamo a Denver in tarda serata e all’aeroporto troviamo subito il bus-navetta che ci porta al deposito dell’agenzia, con la quale abbiamo noleggiato la macchina. Pertanto, tutto è andato esattamente come previsto.
Nella notte alla ricerca del motel dove avevamo prenotato la camera, incominciamo a capire come funzionano gli indirizzi negli Stati Uniti: le vie sono divise secondo i punti cardinali e lo stesso numero civico sulla stessa via può trovarsi a due estremi opposti della città. Dopo varie perdite di rotta, riusciamo a trovare il primo motel del nostro soggiorno negli Stati Uniti.
Durante la vacanza utilizziamo varie catene di motel, in ordine di preferenza Best West, Holiday Inn, Ramada, Super 8 e Motel 6. Tutti con piscina, aria condizionata e WiFi gratuito. Ovviamente i costi aumentano con l’aumentare dei servizi offerti, tra cui la colazione, che non sempre è inclusa. La scelta del motel viene fatta la sera prima con l’ausilio del nostro prezioso tablet e delle reti WiFi messe a disposizione dai vari motel.
La mattina del primo giorno partiamo da Denver dopo aver fatto la tipica colazione americana con uova, bacon, pancake e sciroppo d’acero, assolutamente da provare.
Prima tappa Colorado Springs con la vicina Manitou Springs, una splendida cittadina stile vecchio west contornata da rocce rosse.
Proseguiamo attraversando Canon City, una città nata intorno ad un carcere, e ci fermiamo a visitare il Royal Gorge Park. Il biglietto d’ingresso è caro (circa 20 $ a persona), ma il ponte pedonale, arricchito dalle bandiere nazionali dei singoli Stati d’America, e il canyon sottostante, formato dall’ Arkansas River, sono mozzafiato.
Subito dopo siamo fermati dalla polizia locale per velocità pericolosa. Il poliziotto ci lascia andare dopo averci elencato tutte le norme stradali del Colorado ed averci fatto un avvertimento scritto, alla prossima non la avremmo passata tanto liscia. Qui le regole vengono severamente fatte rispettare, anche se viaggiare a 65 miglia orarie (circa 105 km/h) su strade larghe e infinitamente diritte può sembrare noioso. Ma, come ci ha detto il nostro amico poliziotto, siamo in vacanza, perciò, andiamo piano e godiamoci il panorama che è fantastico!
La stessa sera arriviamo a Montrose: cena, scelta del prossimo motel e a letto.
Il secondo giorno inizia con la visita al Black Canyon National Park, nei pressi di Montrose.
All’ingresso acquistiamo per 80$ il Pass valido per un anno e per l’ingresso a tutti i parchi nazionali statunitensi.
Il Parco Nazionale del Black Canyon of the Gunnison è un parco che comprende 19 chilometri del canyon formato dal fiume Gunnison, inclusa la sua parte più profonda e spettacolare. Qui le rocce sono striate da venature bianche che sembrano enormi antichi dipinti. Sul fondo, circa 800 metri più in basso, scorre placidamente il fiume di un colore blu intenso.
Abbiamo anche l’occasione di vedere molto da vicino alcuni cervi mulo, che brucano l’erba al bordo della strada, indifferenti alle macchine che passano vicino.
Proseguiamo il nostro viaggio verso un’altra cittadina americana, Durango, percorrendo splendide vallate del Colorado Plateau arricchite dal giallo autunnale delle betulle e incontrando la neve sui passi montani a circa 3000 m di altezza.
Nel pomeriggio visitiamo il Mesa Verde National Park che è nella contea di Montezuma vicino alla città di Cortez. Il parco comprende un’area in cui sono presenti i resti di numerosi insediamenti degli indiani Anasazi. Si tratta di villaggi costruiti all’interno di rientranze della roccia, denominati cliff-dwellings. Vale la pena visitare l’insediamento più vicino al centro visitatori: è l’insediamento più grande dell’intero complesso ed è aperto al pubblico, il quale può accedervi senza guida e senza pagare l’ingresso.
Giornata a Cortez, lauto pasto con steak e patatine, fajitas e verdure. La carne e la verdura sono eccezionali.
Si parte la mattina seguente, dopo un’ottima colazione presso il motel, alla volta del Four Corners National Monument, il monumento dei quattro confini degli Stati del Colorado, del New Messico, dell’ Arizona e dello Utah.
Per arrivarci entriamo nella Navajo Nation e attraversiamo il primo dei deserti che incontreremo lungo il nostro viaggio. Il deserto dell’ovest degli Stati Uniti è splendido perché nel nulla sorgono colline e gruppi rocciosi di varie forme e colori, che variano dal grigio al rosso e non mancano le formazioni rocciose con sfumature azzurre e verdi.
Proseguimo nel deserto dell’Arizona e, dopo la città di Kayenta, arriviamo alla Monument Valley Tribal Park, nello stato dello Utah.
Qui si trattiene il respiro di fronte allo scenario che difficilmente si può descrivere a parole o immagini.
Il pianoro desertico del Colorado Plateau, nome che deriva dal fiume Colorado, è cosparso di butte, la cui forma particolare è dovuta al grande masso monolitico piatto che viene sorretto da una base di detriti rocciosi. Queste sono grandi quanto palazzi e sono formate da roccie e sabbia rosse.
Si passa attraverso le butte percorrendo una strada sterrata con numerosi punti di osservazione. I nativi gestiscono tutte le attività all’interno del parco compreso l’albergo, il ristorante ed i numerosi banchetti dove è possibile comprare i gioielli Navajo. Acquistare un monile dai banchetti è un modo concreto per aiutare questo nobile popolo che vive di turismo. Consiglio il pernottamento all’hotel del parco per godere del tramonto sulla valle.
Noi abbiamo proseguito verso la città di Moab, fermandoci ripetutamente lungo la strada a fotografare scorci panoramici stupendi: una cittadina dispersa nel deserto, un arco naturale, una conformazione rocciosa particolarissima.
Quarto giorno con visita al parco nazionale di Canyonland. Il parco è visitabile attraverso una comoda strada asfaltata che percorre parte dell’ambiente semidesertico scavato dal fiume Colorado, che anche oggi non ci abbandona. I paesaggi visibili dai numerosi punti di osservazione lasciano senza parole. I canyon sembrano tracce lasciate da enormi animali preistorici. Sul fondo in alcuni punti è visibile il verde fiume Colorado.
Il pomeriggio è riservato alla visita dell’Arches National Park con i numerosi sentieri che percorrono l’area e consentono di avvicinarsi agli archi naturali di arenaria. Il più famoso e, a nostro parere anche il più bello, è il Delicate Arch, simbolo dello Utah. Nel parco ci sono oltre 2000 archi naturali. Se c’è poco tempo è meglio limitarsi a percorrere il sentiero del Delicate Arch.
Rientro a Moab per la cena a base di carne e verdura, presso un ristorante in collina da cui godiamo dello spettacolo proposto dalle rocce rosse accese dal tramonto che incorniciano la cittadina.
Il quinto giorno si parte verso il Capitol Reef National Park. Lungo la strada continuamo ad ammirare i colori che caratterizzano questa parte degli Stati Uniti: viola, rosso, grigio, azzurro e verde. Sono necessarie numerose soste per poter immortalare ogni singola sfumatura del paesaggio.
Arriviamo al centro visitatori dopo aver visto i petroglifi lasciati sulla roccia dalle popolazioni dei nativi americani lungo una stretta gola contornata da pareti a strapiombo da cui spiccano il volo numerose aquile.
Il parco è percorso da numerose strade sterrate percorribili solamente con macchine 4X4 e a noi non resta che fermarci nel punto di osservazione più alto per godere della più ampia vista panoramica degli Stati Uniti. Qui l’aria è limpidissima e lo sguardo può letteralmente spaziare verso l’infinito.
Proseguiamo verso il Bryce Canyon National Park, uno dei più spettacolari parchi americani. La caratteristica del parco, attraversato da una comoda strada asfaltata lunga una trentina di chilometri con numerosi punti di osservazione, sono i pinnacoli, gli hoodoos prodotti dall’erosione di colore rosso e bianco. L’area principale si trova all’ingresso del parco ed è un enorme anfiteatro, il Bryce Canyon appunto, costellato di centinaia di pinnacoli.
Abbiamo avuto la fortuna di visitare il parco dopo una breve pioggia che ha esaltato il colore rosso delle rocce.
Il viaggio non è ancora giunto al termine, quindi lasciamo a malincuore questo luogo e raggiungiamo la cittadina di Cedar City dove passiamo la notte.
Il giorno seguente è dedicato alla visita dello Zion National Park ed al trasferimento alla cittadina desertica di Page vicino allo spettacolare Lake Powell, un lago artificiale nel mezzo del deserto rosso dell’Arizona. Lo Zion National Park è una gola lunga 24 km scavata dal Virgin River. Il parco è percorribile solamente a piedi, in bici o con gli appositi autobus che partono in continuazione dal centro visitatori del parco. Qui gli scoiattoli si mettono in posa per ricevere del cibo e farsi fotografare. Scendiamo a piedi per un breve tratto del fiume e godiamo del silenzio rotto solamente dal rumore del fiume che scorre a lato del percorso. Lasciamo il parco e proseguendo attraverso la gola percorriamo una strada panoramica su canyon e gole che cambiano colore e fisionomia ad ogni curva.
Lungo la strada desertica incontriamo numerosi cantieri navali e macchine che trainano barche. Al chè sorge spontanea la domanda “Cosa ci fanno barche e cantieri navali nel bel mezzo del deserto?”. La risposta ci giunge dopo alcuni chilometri, quando iniziamo a percorrere la costa del Lake Powell, splendido col suo intenso colore azzurro in contrasto con le rocce rosate che lo circondano. A valle della diga che lo ha formato inizia il famoso Grand Canyon.
Passiamo la serata a Page, una graziosa cittadina situata su un altopiano desertico con splendida vista sul Lake Powell.
Il settimo giorno visitiamo il Grand Canyon North Rim National Park, la parte di Grand Canyon più selvaggia e meno turistica, perché per raggiungerla è necessario percorrere una strada boschiva di circa 50 Km, da percorrere sia all’andata che al ritorno. Lo spettacolo vale comunque la fatica. Il Grand Canyon visto da qui senza la confusione del turismo di massa è forse meno spettacolare ma più poetico.
Torniamo per la strada percorsa e proseguiamo per raggiungere la città universitaria di Flagstaff.
Flagstaff vale una visita non solo perché è attraversata dalla famosa Route 66 ma anche per l’atmosfera che vi si respira. Abbiamo cenato presso il ristorante vicino alla stazione, che propone degli ottimi hamburger ben farciti in un ambiente Belle Epoque.
ottavo giorno
La giornata di oggi è riservata alla visita del Grand Canyon South Rim National Park, il lato più conosciuto e visitato del Grand Canyon, a pochi chilometri da Flagstaff. Dal centro visitatori parte una passeggiata adatta anche per le sedie a rotelle che percorre circa due chilometri del Grand Canyon. Quando si riesce a rimanere soli a guardare questa enorme frattura della crosta terrestre, quello che colpisce è il silenzio che ci circonda. Le formazioni rocciose, in cui si possono leggere due miliardi di storia del nostro pianeta, vanno dal rosso all’arancione e al bianco. Sul fondo del canyon, 1600 metri più in basso, scorre il Colorado River con la tipica colorazione verde in contrasto con le rocce circostanti. La visita del parco si conclude raggiungendo in macchina una torre turistica, che offre la possibilità di dare un ultimo sguardo dall’alto al canyon.
Rientro a Flagstaff per cenare nuovamente nel locale Belle Epoque.
Il giorno successivo percorriamo la famosa strada storica Route 66, che si snoda lineare nella pianura dell’Arizona. Per un lungo tratto di strada ci accompagna uno dei numerosi lunghissimi treni merci americani (108 vagoni e due motrici!), che ci saluta con il suo fischio quando il macchinista si accorge che lo stiamo fotografando.
Lungo la strada ci fermiamo per scattare alcune foto ad uno storico distributore di benzina, in funzione dal 1922. Il momento più emozionante è stato vedere mia figlia, la fotografa ufficiale del nostro viaggio, sommersa da una nuvola di polvere e circondata da una trentina di bikers in sella alle loro Harley.
Dopo svariate miglia arriviamo al lago Mead con la sua grandiosa diga che segna la fine del Grand Canyon, 400 chilometri dopo la diga del Lake Powell che ne segna l’inizio. Nei pressi della diga si cominciano ad intrevedere le sagome scure dei grattacieli che caratterizzano la capitale del vizio e del divertimento, Las Vegas.
L’impatto con la città è traumatico: dopo svariati giorni nel deserto, dove è possibile percorrere numerose miglia senza incrociare nessuno, essere circondati da centinaia di auto che si muovono in modo caotico e senza regole apparenti su una strada a sei corsie, lascia il segno.
Spaesati, riusciamo comunque ad entrare a Las Vegas dove veniamo immediatamente accolti dagli enormi alberghi della cosiddetta Las Vegas Strip, la via turistica di Las Vegas dove si concentrano tutte le attrazioni turistiche che questa città può offrire. Il nostro lussuoso alloggio è il Cesar Palace Hotel, la “città-hotel” in stile Roma Antica che, in seguito, abbiamo scoperto essere la più grande di tutta la Strip. Anche qui il senso di stupore e smarrimento non ci abbandona. Attraversato l’enorme casinò situato all’ingresso dell’hotel, arriviamo alla hall dell’albergo dominata da una bellissima fontana in stile romano. In fondo alla hall si trova la reception, composta da numerose postazioni dove ci attendevano file interminabili: scopriamo che in questa città tutto è frenetico, anche l’assegnazione della camera. Recuperati i bagagli che per la fretta del posteggiatore erano rimasti in macchina, percorriamo un labirinto di corridoi che portano alla nostra camera, dove ci riposiamo e raccogliamo le idee su come spendere al meglio la nostra giornata in questa entusiasmante città.
Usciamo nella Strip e visitiamo le più interessanti “città-hotel” della strada. Sì, perchè qui gli hotel sono delle vere e proprie città, con negozi, ristoranti e, ovviamente, gli immancabili casinò. Attraverso questi immensi hotel è possibile viaggiare nel tempo e nello spazio. Puoi visitare l’antico Egitto, l’Antica Roma e la New York degli anni ’60, passando per l’Isola del Tesoro e il Castello di Excalibur. Per noi italiani, però, l’hotel più mozzafiato è quello che riproduce fedelmente la nostra Venezia. In questo hotel, il Venetia appunto, sembra di percorrere le calli durante una calda serata estiva grazie anche ai suggestivi effetti luminosi riprodotti su un cielo apparentemente vero. La nostra passeggiata lungo i canali di Venezia è accompagnata da una gondola, che scivola silenziosamente sull’acqua, e dalle vetrine dei numerosi negozi che offrono vestiti e gioielli di alta moda. La nostra uscita da Venezia è accolta da un’emozionante spettacolo acquatico alla famosa fontana del Bellagio, dove le figure formate dallo zampillare dell’acqua seguono le note di “Nessun Dorma”, cantata dal nostro celebre Pavarotti. Ormai è quasi sera e un matrimonio ci aspetta, quindi, rientro in camera e preparazione per l’evento più importante di questo viaggio, il nostro matrimonio.
Sposarsi a Las Vegas è veramente semplice. Ci si reca in municipio, aperto fino a mezzanotte, si compilano alcuni documenti (ricordandosi di non indicare di essere già sposati perchè il matrimonio a Las Vegas ha valore legale negli Stati Uniti) e si ottiene il documento necessario per celebrare il matrimonio. Una volta ottenuto il documento è possibile celebrare il matrimonio in una qualsiasi cappella di Las Vegas, compresa quella del municipio stesso. Al termine del matrimonio viene rilasciato il certificato matrimoniale, valido in tutti gli Stati Uniti ed eventualmente registrabile anche in altri Stati, Italia compresa.
Dato che vogliamo festeggiare in grande, decidiamo di risposarci nella famosa Little White Wedding Chapel, la cappella più graziosa della Strip che offre un bel giardinetto dove scattare qualche foto. Alla cappella si deve pagare una quota, variabile da cappella a cappella, per il servizio offerto ed eventualmente si possono comprare anelli e bouquet.
In vero stile di Las Vegas non possiamo non essere sposati da un reverendo spigliato e simpatico, con capelli in stile Elvis Presley, che, accompagnato dalla musica nuziale, pronuncia la fatidica frase e al cospetto del testimone, nostra figlia, ci fa scambiare nuovamente
Le fedi nuziali. Foto di rito nel grazioso giardinetto della cappella e poi via in albergo a festeggiare.
Il soggiorno a Las Vegas, dopo un primo impatto disarmante, è risultato molto piacevole ed emozionante e quindi, a malincuore, il giorno seguente usciamo da Las Vegas e ci dirigiamo nel deserto verso il Death Valley National Park. Dopo alcune miglia percorse nel deserto del Nevada, raggiungiamo lo Zabriskie Point, un sito che prelude quanto ci aspetta nella Death Valley. Il caldo è già qui insopportabile e le rocce bianche tagliate da numerosi solchi creati in passato dall’acqua, fanno pensare ad un paesaggio estremente inospitale e ci chiediamo come abbiano fatto i primi coloni ad attraversare indenni quella valle infernale. Superato lo Zabriskie Point, giungiamo al centro visitatori situato in una località chiamata Furnace Creek dove è necessario fare rifornimento di acqua prima di addentrarsi nella vera e propria Death Valley. La strada asfaltata che percorre il parco della Death Valley porta inizialmente al punto più basso degli Stati Uniti, chiamato Badwater (letteralmente “acqua cattiva”), una depressione sprofondata di 86 metri sotto il livello del mare. In questo punto si possono notare chiaramente gli affiori di sale dal terreno, che vanno a formare una enorme distesa salina. L’aspetto del terreno è quello di un lago ghiacciato tanto che è divertente osservare come i turisti cascano in questo tranello e, incerti, appoggiano i piedi sul terreno temendo di scivolare da un momento all’altro. In realtà, il sale forma sul terreno una crosta molto frastagliata e tagliente e non c’è alcun pericolo di scivolare. Il termometro segna 47°C e i numerosi riflessi del Sole su questa enorme distesa bianca quasi stordiscono. La pelle e gli occhi bruciano da matti e ti rendi veramente conto di essere nella Death Valley, la valle della morte.
Proseguendo lungo la strada asfaltata, incontriamo uno sbocco laterale che ci porta all’interno delle alture chiamate Artist’s Palette (letteralmente “tavolozza dell’artista”) che circondano la Death Valley. In questo punto la strada serpeggia attraverso delle colline multicolore, formate principalmente da fango secco contaminato da minerali che gli fanno assumere delle particolari colorazioni pastello: il paesaggio è dominato dai colori viola, verde, azzurro, rosso e giallo.
Raggiungendo l’ultimo punto di interesse offerto da questo straordinario parco, assistiamo alla scena più infernale dell’intero viaggio: sotto il Sole cocente di mezzogiorno con temperature che sfiorano i 50°C, incontriamo un gruppo di operai che stanno asfaltando un pezzo di nuovo manto stradale.
Prima di abbandonare questa valle dalle mille sfacettature, ci fermiamo nell’ultimo punto d’interesse del parco. La vista ci offre un paesaggio fantastico e davvero singolare: in mezzo a questa valle rocciosa si sono formate delle dune di sabbia chiara e finissima, ricordando quelle del deserto del Sahara.
Purtroppo, ci lasciamo alle spalle anche la Death Valley e imbocchiamo una strada in cemento che si mostrerà essere un interminabile rettilineo nel deserto lungo 60 miglia. I minuti scorrono interminabili e la strada è desolatissima. La fine del rettilineo fatica a vedersi e aumenta il senso di ansia, dovuto all’infinito deserto che ci circonda costellato da lontani vortici di sabbia. La speranza viene alimentata da dei luccichii visibili in lontananza, che si riveleranno, in seguito, essere soltanto dei depositi di rottami e ferraglia. Raggiungiamo e superiamo una piccola catena montuosa e vediamo finalmente la sagoma scura in lontananza di una città. Giungiamo a Trona, un’isolata e desolante città, dove le numerose case e negozi abbandonati offrono un’ambientazione perfetta per un qualche film dell’orrore. La vista di un gruppetto di bambini che scendono da uno scuolabus ci lascia a dir poco esterrefatti e la malinconia ci accompagna fino alla fine della giornata. Raggiungiamo malinconici la nostra meta finale della giornata, la cittadina di Ridgecrest, che deve il suo sviluppo alla vicina base militare.
Il mattino seguente passiamo vicino all’Isabella Lake e attraversiamo una foresta di Joshua Tree, dei cactus molto particolari che con la loro forma sembrano un piccolo esercito di uomini con le mani sollevate verso il cielo. La nostra prossima tappa è sempre più vicina: ci stiamo dirigendo verso la Sequoia National Forest, detta anche “la foresta dei giganti” per la presenza di cinque dei dieci alberi più grandi sulla Terra. In particolare, nel Sequoia National Park facciamo visita al Generale Sherman, una sequoia vecchia di tremila anni che risulta essere l’albero più grande al mondo: il suo fusto ha una circonferenza di 33 metri.
La nostra giornata si conclude nella città di Fresno.
Il dodicesimo giorno è un giorno di trasferimento, infatti, usciti da Fresno ci siamo diretti verso la città di Monterey, in California, da cui si dirama una strada costiera panoramica sull’Oceano Pacifico. Gli scorci panoramici, offerti dalle numerose piccole baie che si susseguono nelle 130 miglia di costa percorse, sono di notevole pregio. La leggera nebbiolina che risale dalle acque dell’oceano e la giornata non proprio soleggiata danno quel tocco surreale in più al paesaggio che sembra un bellissimo dipinto.
Prima di giungere alla città di Santa Maria, dove abbiamo fissato la camera per la notte, abbiamo una piacevole sorpresa. La spiaggia sembrava costellata da dei grossi massi neri di forma allungata. Parcheggiamo lì vicino e, osservando con maggiore attenzione, scopriamo che quelli che a prima vista sembravano dei massi, in realtà, sono numerosi leoni marini. Fatte le foto di rito e goduto di alcune pose dei buffi animali marini, arriviamo a Santa Maria dove passiamo la notte.
Il mattimo seguente ci muoviamo verso Malibù, una delle città vip della California, famosa per le spiagge molto amate dai surfisti e attorniata dalle ville di alcuni personaggi famosi e facoltosi. Lo spettacolo migliore è offerto dalle case, più modeste, con i terrazzi a sbalzo che danno sull’oceano. Giungiamo in vista di Los Angeles e superiamo la spiaggia infinita di Santa Monica, un’altra meta famosa per chi ama il surf e le corse sulla spiaggia. Giunti a Los Angeles, cominciamo l’avventura alla ricerca del motel dove abbiamo prenotato la camera. Se pensavamo che Las Vegas fosse caotica e frenetica, Los Angeles è indescrivibile. E’ immensa, è una città formata da altre città, dove il caos più assoluto regna sovrano. Perdersi a Los Angeles significa perdere ore nel traffico cittadino, come in seguito impareremo sulla nostra pelle. Riusciamo miracolosamente a trovare il motel e, depositati i bagagli, andiamo ad Hollywood sul marciapiede delle stelle. I turisti qui sono numerosissimi, tanto che bisogna sgomitarsi per riuscire a passare. Riusciamo comunque a fare qualche foto e, allontanandosi dalla strada delle stelle, riusciamo anche a goderci un po’ la città per quello che è: le bellissime villette sulla collina, le persone dalle mille etnie, numerosi ristoranti e cafè, ognuno caratterizzato da un suo stile. Riusciamo a passare nel quartiere delle grandi produzioni cinematografiche, trasformate in enormi parchi di divertimenti per le famiglie.
Rientriamo in motel e, passeggiando nel quartiere alla ricerca di un ristorante dove mangiare, ci rendiamo conto che i bei quartieri residenziali sono solo una piccola parte di Los Angeles. La periferia, dove si trova il nostro motel, è in stato di degrado e la sporcizia che si incontra lungo il marciapiede si oppone fortemente all’immagine hollywoodiana, che si è creata nella nostra mente durante la giornata.
Il giorno seguente, l’ultimo giornata che possiamo trascorrere in USA, visitiamo la Downtown di Los Angeles, il quartiere commerciale e finanziario, con i suoi grattacieli, la biblioteca civica, i distretti dei gioielli (il Jewellery District) e della moda (il Fashion District). Incredibile notare come di domenica questo centro sia deserto, non lavorandoci nessuno. I distretti dei gioielli e della moda sono abbastanza deludenti: quelle che ci aspettavamo essere delle gioiellerie, in realtà, sono dei negozi in stile “compro oro, pago contanti” e le boutique di alta moda sono bancarelle di vestiti di dubbia qualità.
Ci spostiamo verso il quartiere messicano, che confina con la Downtown, e visitiamo la vecchia stazione dove sono state girate alcune scene del film Blade Runner. Veniamo accolti da una festa popolare messicana, con musica e balli tradizionali. L’allegria delle persone è contagiosa e ci fermiamo un pochino ad ascoltare la loro musica. Una piacevole sorpresa è stata quella delle vie vicine chiuse al traffico per la manifestazione di “Los Angeles in bicicletta”. Notiamo la vasta gamma di mezzi a due ruote, elettrici e a pedali, che ci sfrecciano da ogni lato e, con attenzione e meraviglia, ci lasciamo alle spalle la manifestazione per concludere la giornata passeggiando per i viali di Beverly Hills, tra auto di lusso e ville immerse nel verde.
Il giorno seguente rientro in Italia.
Tutti i motel dove abbiamo soggiornato erano puliti e accoglienti. Solo nel caso del motel di Los Angeles abbiamo avuto piccoli inconvenienti.
Il cibo è davvero ottimo e si trovano ristoranti di buona qualità a prezzi contenuti. Bisogna, però, ricordarsi che negli Stati Uniti è consuetudine lasciare la mancia al cameriere che varia dal 10% al 15% del conto, in funzione della qualità del servizio reso.
La colazione in albergo è sicuramente molto conveniente, ma consiglio di provare almeno una volta la tipica colazione americana in un bistrot. Le porzioni sono sempre molto abbondanti e variegate.
In quindici giorni abbiamo percorso circa 5000 chilometri e visitato 12 parchi nazionali. Se dovessimo stilare una classifica dei parchi più belli da noi visitati, al primo posto metteremo sicuramente la Monument Valley, a cui seguono Death Valley e Bryce Canyon.
Potendo ripetere l’esperienza eviteremmo di passare due giorni a Los Angeles, per dedicare mezza giornata in più a percorrere qualche sentiero all’interno del Bryce Canyon e dell’Arches National Park.
Consiglio: rispettate ferreamente le regole. Il territorio è molto controllato dalle autorità locali, siano esse poliziotti, sceriffi o rangers. Le trasgressioni non vengono tollerate, nemmeno se a commetterle sono i turisti.
Tirando le somme, le due settimane sono costante intorno ai 7000 euro in tre persone, una somma ben spesa per i ricordi che questa vacanza ci ha lasciato.
Concludendo, gli Stati Uniti occidentali valgono sicuramente una visita. I paesaggi sono affascinanti e davvero peculiari. Gli immensi spazi aperti e isolati che abbiamo attraversato rimarranno indelibili nei nostri cuori. Non potremmo mai dimenticare il silenzio assoluto che regnava sovrano nel deserto. Se avrete l’occasione di visitare questi splendidi posti, prendetevi due minuti per scendere dalla macchina, lasciare che lo sguardo spazi verso l’infinito e godervi il vero silenzio.
A questi scorci di natura incontaminata, si contrappongono le città caotiche e trafficate, come Las Vegas e Los Angeles, dove i più ricchi e i più poveri vivono gli uni accanto agli altri, ma allo stesso tempo ignorandosi a vicenda. In queste città si vedono e si vivono in piccolo le contraddizioni americane, contraddizioni che rendono questo Paese affascinante e ricco di sorprese, assolutamente da visitare.
Ora il giorno del nostro matrimonio è veramente indimenticabile!