Xi’An e la fatica di accettare la cultura cinese
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La nostra entrata in Cina è stata accompagnata dalla pioggia che mascherava la voragine tra le nostre culture. Sì, perché vedere la pioggia ci ha fatto sentire ancora sul pianeta Terra e non in mezzo a degli alieni con gli occhi stretti che dopo un incidente stradale si ritrovano insieme al bar per scambiare quattro chiacchiere intanto che le auto occupano e bloccano irrimediabilmente il traffico. “Taxisti” a bordo di pericolosi risho motorizzati, fruttivendoli vestiti a festa, bambini a sbalzo in fondo al sedile dello scooter guidato da una mamma non troppo cauta. Mura. Grosse mura intorno al centro cittadino delimitano la parte storica da quella moderna, un po’ come nelle città europee a differenza che queste mura, essendo più recenti, si ergono complete nella loro robustezza ed imponenza. Appena oltre alti palazzi grigi divisi da enormi carreggiate in stile sovietico. Ci siamo subito fermati in un piccolo ristorante che prepara piatti caldi ad ogni ora. Lì abbiamo potuto assaggiare una misteriosa pasta di riso con verdure inevitabilmente piccante. Già, perché in Cina tutto è piccante. La nostra prima destinazione da turisti è stata la Pagoda della Grande Oca all’interno dello Ci’en Temple. Man mano che ci si avvicina al centro tutto diventa più ordinato e pulito e aumenta esponenzialmente il numero delle facce bianche che potevamo individuare tra la gente. Una coppia di sposini stavano facendo le foto dell’album matrimoniale proprio nel parco della pagoda. All’interno del tempio buddista la calma regna (o dovrebbe regnare) sovrana. Tutto è più verde, i tetti sono appuntiti e la pagoda si erge in fondo al parco con maestosità. Statue di Buddha accompagnavano ogni nostro sguardo.
Xi’An city wall
Il nostro misterioso ma gentile accompagnatore ci suggeriva di passeggiare sulle mura cittadine e così facemmo. Il sole tramontava e le luci ammorbidivano il paesaggio. Camminavamo su queste larghe e alte mura mentre intorno a noi si ergevano da una parte palazzi moderni e dall’altra alberghi in stile caratteristico cinese. Poi col buoi Xi’An si trasforma in un contrastante mix di luci e tradizione. I viali pedonali si riempiono di turisti eleganti, il traffico diventa un serpente pericoloso dove enormi bus zigzagano tra vecchietti in tricicli trasportanti le cose più inusuali. Dopo una visita di dovere alla Bell Tower dove abbiamo piacevolmente assistito ad un concerto con antichi strumenti cinesi abbiamo deciso di arrenderci alla stanchezza e rifugiarci nel nostro inaspettato lussuoso Linyuan Hotel dove il nostro amico cinese Johnny (o almeno così lo chiamavamo noi) aveva prenotato e pagato una suite decisamente troppo costosa per le nostre tasche. Una tazza di tè verde, un po’ di tv incomprensibile e via a letto.
La strada mussulmana
La mattina dopo, sotto un piacevole sole di fine estate, abbiamo passeggiato per la via mussulmana dove numerosi cinesi della etnia Hui, ossia quelli dalle gote rosse, la pelle olivastra e la religione, appunto, mussulmana, cucinavano pietanze di tutti i sapori, in genere salate e piccanti. Noi abbiamo optato per l’unico piatto dolce. Un riso visibilmente bruciato cucinato in una salsa di prugne (anomale) girate in un grosso pentolone in stile polenta valtellinese. I nostri amici cinesi, divenuti oggi ben tre, mangiavano una melma trasparente con riso, patate e ovviamente spezie piccantissime. Dopo questa energetica colazione ci siamo diretti verso il famoso tempio di Famen, un villaggio a circa due ore fuori Xi’An.
FamenSì
Il tempio di Famen è forse l’esempio più eclatante della mentalità cinese. Si tratta di un antichissimo tempio buddista che l’organizzazione locale ha ben pensato di mettere in ombra costruendo un tempio ben più grande e ben più moderno al suo fianco. Diciamo che sembrava che Gardaland avesse aperto a fianco al parchetto comunale con altalene e scivoli. Dico Gardaland perché questo nuovo posto aveva ben poco del tempio e molto più del parco divertimenti. Infatti dall’autostrada potevi avvistare la costruzione centrale degna della casa di Prezzemolo. All’interno era stato allestito il più fantastico museo di cose non affatto vecchie ma comunque bellissime, tra cui numerose statue di figure della religione buddista, lavori artigianali e anche alcuni antichi manufatti. Il prestigio del tempio però era nel possedere l’originale riproduzione della pagoda del re Asoka, all’interno della quale c’è il modellino del Tempio d’Oro che a sua volta conteneva un sarcofago di tre centimetri per uno. Questa minuscola bara avrebbe in passato racchiuso la falange persa di Krishna, un presunto fondatore del buddismo. Usciti dal museo abbiamo razionalmente deciso di visitare il vecchio tempio. Nonostante l’eccessiva restaurazione e re colorazione l’atmosfera era davvero religiosa e profonda. Eravamo lontani dai turisti e dai fedeli fanatici. Ci trovavamo nell’antico tempio di Famen, quello vero, quello originale nel quale, al centro di una piccola stanza, sedeva un’enorme statua del Buddha. Si faceva perfino fatica a vederla in quanto la stanza era solamente pochi decimetri più grande della statua, non lasciando molto spazio agli sguardi di noi piccole persone che al suo cospetto eravamo ancora più misere.
Rabbia e pentimento
In auto, sull’autostrada verso Xi’An, rimuginavo riguardo questa orrenda scelta di costruire un “tempio” di cemento di misure esagerate. Non mi andava proprio giù che i cinesi non apprezzassero l’antico e volevano anzi dimostrare di poter fare di più. Che rabbia. Con Stefan paragonai la situazione al mio paese. A Tirano (SO) abbiamo un santuario del 1504 quando il beato Mario vide in apparizione la Vergine Maria. Da qui la Basilica di Madonna di Tirano, meta di numerosi pellegrinaggi religiosi e orgoglio e amore di tutti noi valtellinesi. Pensa se il comune decidesse di costruire qualche chilometro più in la una grandissima struttura moderna in onore dell’apparizione facendo dimenticare a tutti gli sforzi dei nostri antenati nel costruire un’opera d’arte del genere. Non esiste. E io non potevo accettare che i cinesi non vedessero questo palese errore. Poi Stefan disse qualcosa di davvero saggio “…magari anche la gente del tuo paese (Tirano) quando costruirono la basilica pensarono
scempio moderno, potevano lasciare la vecchia croce di legno che aveva costruito il beato Mario>”-. Tutto mi fu chiaro, Stefan aveva ragione. Chissà che tra 500 anni quel mostruoso tempio in cemento e plastica sia il più grande monumento storico della Cina. In quel momento mi emozionai e mi resi conto di aver visitato il più grande tempio buddista al mondo. Un brivido percorse la mia schiena. Che stolto sono stato a criticare e non godermi il momento. Ma ora ero sereno.
L’esercito di terracotta
Il giorno dopo abbiamo visitato il mausoleo dell’imperatore Liu Bang, della dinastia Qin e, qualche kilometro più a est, il sito archeologico dei soldati di terracotta. L’esercito era stato disposto in quella posizione per proteggere la tomba di Liu Bang dall’armata di soldati fantasmi della Mongolia, acerrimi nemici del grande regno del centro. Uno spettacolo maestoso. Una schiera di migliaia di soldati in uniforme cinese sono rimasti immobili per difendere il loro imperatore per più di duemila anni. In realtà però i soldati che i turisti da tutto il mondo vedono sono delle ricostruzioni prodotte negli anni settanta. Stavo per commettere lo stesso errore del giorno prima, “che senso ha costruire una cosa e spacciarla per antica” quando mi sono reso conto che se così non avessero fatto noi turisti avremmo visto solo un mucchio di macerie senza vivere la maestosità dell’opera. Nel museo infatti si potevano vedere sotto teca i pochi originali ritrovamenti integri.
Incomprensione culturale o furbizia?
Eravamo al termine della nostra tre giorni a Xi’An. Così abbiamo optato per una rilassante passeggiata in centro ed un ancora più rilassante massaggio a soli 16 Yuan. Abbiamo così visitato l’antica moschea presso la strada mussulmana. Anomala, una moschea antica e costruita in pieno stile architettonico cinese anziché con le ben note e oramai popolarissime torri arabeggianti che caratterizzano i numerosi templi islamici presenti nel nord della Cina. Ci siamo gustati una piacevole brodaglia melmosa piccante a base di soia e siamo tornati alla nostra suite, questa volta non con un taxi che ci avrebbe fatto spendere ben 7 Yuan, ma con un simpatico signore con un risho elettrico che con la mano faceva segno di voler solo 3 Yuan. Attraversammo Xi’An a bordo di questo fragile mezzo guidati da un’autista al quanto pericoloso, eppure eravamo tranquilli perché “…qui si fa così”. Stefan sgranocchiava una specie di torrone acquistato alle bancarelle e io fischiettavo dentro il mio nuovissimo flauto cinese. Arrivammo alla porta ovest. Il moto-taxista non poteva portarci oltre. Così lo pagammo 3 Yuan e lui si mise a ridere. Noi non capivamo. Lui chiedeva di più. Avevamo capito male, il gentile autista aveva chiesto 30 Yuan. “A testa” gesticolò lui. Storcemmo il naso e glieli demmo. Al che sì infuriò e iniziò a gridare in cinese. Non capivamo una parola ma stava davvero dando i numeri. Così gli allungai il mio cellulare che scriveva 60 in cifre. Lui scosse la testa e scrisse 300. Eravamo allibiti. Va bene che i turisti si fanno intontire facilmente dal cambio favorevole, ma 30 euro per due kilometri di motorino erano esagerati anche per una città europea. Così ce ne andammo dandogli 100 Yuan, tutto quello che avevamo in tasca. Ancora adesso ci chiediamo se fossimo stati raggirati da un finto tonto o solamente caduti nella trappola del turismo. Beh, sta di fatto che il tempo a Xi’An era scaduto e il giorno dopo siamo stati accompagnati all’aeroporto dove un simpatico aereo della Hainan Airlines ci ha riportati a casa.
Ora che sono di nuovo in Italia posso solo guardare le mie foto e ricordare i momenti e i posti. Però mi sono promesso che la prossima volta non spenderò così tanto tempo a scattare pose o a pensare, semplicemente mi gusterò la magia di quei posti meravigliosi che noi tutti amanti del mondo visitiamo ogni qual volta ci si presenti l’occasione di essere turisti per caso.