Oslo- Bergen- Ålesund: il Vestlandet in auto
NORVEGIA, 17-27 AGOSTO 2004
DIARIO DI VIAGGIO
Martedì 17 agosto
Alle 17,30 il treno arriva alla stazione di Roma Ciampino. L’aeroporto è distante in linea d’aria sì e no un chilometro, eppure ci tocca attendere 45 minuti per veder arrivare l’autobus, il quale poi impiega 20 minuti per compiere il tragitto, uno strano girovagare che ci...
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NORVEGIA, 17-27 AGOSTO 2004 DIARIO DI VIAGGIO Martedì 17 agosto Alle 17,30 il treno arriva alla stazione di Roma Ciampino. L’aeroporto è distante in linea d’aria sì e no un chilometro, eppure ci tocca attendere 45 minuti per veder arrivare l’autobus, il quale poi impiega 20 minuti per compiere il tragitto, uno strano girovagare che ci porta per strade e stradine e fin sull’Appia e poi chissà dove… Se non ci fossero i bagagli e soprattutto non ci fosse da attraversare le piste di decollo, converrebbe raggiungere il terminal a piedi! Alle 19,35 parte puntualmente il volo Sterling da Roma Ciampino per Oslo Gardermoen (107 €). Il Radisson SAS Hotel, prenotato via Internet, ci attende a 100 m. Dall’aeroporto, così senza impazzire troppo possiamo rapidamente passare dal sedile al letto. La località, comunque, a circa 50 Km. Da Oslo, pullula di alberghi. Prima di dormire esploriamo un po’ il moderno aeroporto dove abbiamo il primo incontro con i celebri prezzi norvegesi, argomento prediletto da ogni italiano che abbia visitato il paese scandinavo. La bottiglietta d’acqua da mezzo litro a circa 3 € ci indurrà in tentazione più per curiosità che per sete, visto che siamo dotati della economicissima e plebea acqua italiana. In seguito impareremo ad apprezzare anche la non disprezzabile acqua che esce dai rubinetti e che viene tranquillamente servita a tavola in alberghi e ristoranti. Mercoledì 18 agosto Dopo la pantagruelica prima colazione a buffet nella quale ci abbuffiamo di salmone affumicato come orsi, accompagnandolo con prosciutto cotto, salame, succo d’arancia, brioches, caffè (il famigerato “brodolone” comune a tutto il centro e nord d’Europa), formaggio, pane, aringhe, cocomero, pere e ananas (ottima la frutta!) ingurgitati alla rinfusa, torniamo al terminal dell’aeroporto per prendere il treno-navetta, destinazione Oslo. All’esterno troviamo un cielo plumbeo e uggioso che promette, ai nostri mediterranei occhi, pioggia e grigiume. Impareremo presto che in Norvegia il buon giorno NON si vede dal mattino. Difatti, la città ci accoglie con un bel sole e una temperatura estiva, rendendo del tutto inutili i nostri ombrelli e i nostri spolverini impermeabili. A Oslo è impossibile perdersi per il turista: dalla stazione parte il Karl Johans Gate, viale che ha come capolinea il Palazzo Reale. A circa metà strada una folla giovanile si assiepa lungo il marciapiede: sono gli studenti che davanti all’Università vendono i loro libri usati. Si affollano nella mente i ricordi degli anni accademici “di galera” pisana, dove senz’altro mancava un’atmosfera così domestica e quasi “paesana”. Sgattaioliamo via. A due passi dal Karl Johans Gate si trova la Nasjonalgalleriet (buffo: il norvegese pare l’inglese scritto come si pronuncia…) che visitiamo alla ricerca del celebre “urlo” di Munch. La ricerca ha successo…ma solo per una fortunata evenienza: infatti, appena tre giorni dopo la nostra visita, sabato 21 agosto 2004, il dipinto verrà trafugato in pieno giorno dai soliti ignoti! In effetti, in tutto il museo contiamo la presenza di 3 custodi 3. In genere, a differenza di noi mediterranei, il norvegese non tende quasi mai a pensare che lo si voglia fregare: abbiamo trovato in giro molta fiducia nel prossimo che, per quanto ci riguarda, abbiamo sempre ben ripagato. Coi loro (pochi) capolavori, però, farebbero meglio a dimostrar meno fiducia: in questo caso, il ricco collezionista committente ringrazia… Acquistate le cartoline e i poster “munchiani” di prammatica ci dirigiamo verso lo Slottet, l’insipido e assai poco imponente palazzo reale norvegese. Sarà che in Italia abbiamo ville patrizie molto più monumentali e regali di questa “casona” giallognola, sarà che i secoli di storia, architettura e arte alle nostre spalle ci hanno abituati male… Sarà come sarà, sta di fatto che la dimora del re vichingo è una delusione. Comunque, il sovrano si dimostra abbastanza in linea con il carattere dei sudditi, visto che in Norvegia consumismo e ostentazione sembrano avere scarsa cittadinanza: si percepisce una generale e diffusa aria di benessere, certo, ed anche uniformemente distribuito, ma privo della frenetica corsa al consumismo che impazza da noi. Due esempi tra tutti: il parco-macchine dei norvegesi è semplicemente sorprendente, sembra di trovarsi nell’Italia dei primi anni ’90. La maggior parte delle auto sono vecchi carrozzoni Volvo da noi circolavano oltre 10 anni fa, oppure altre marche ed altri modelli, ma sempre di quell’epoca. Le rare auto nuove sono con targa straniera (tedesca e olandese soprattutto) oppure sono veicoli degli autonoleggi, come la nostra Nissan Almeira di cui abbiamo visto in giro un’unica gemella. Del secondo esempio scriverò tra breve. Lasciato il Karl Johans Gate ci dirigiamo verso il porto e la Rådhuset, ovvero il Municipio di Oslo, nei pressi del quale ci concediamo una sosta al bar: due tazze di caffè e una birra piccola per circa 13 € (!). Da qui muoviamo verso la fortezza di Akershus: nella luce di metà pomeriggio, il panorama dell’Oslofjorden ammirabile dai bastioni della fortezza è da non perdere. Sulle colline alle spalle della città scorgiamo, a 10 Km di distanza, anche il celebre trampolino…e rinunciamo senza rimpianti a raggiungerlo per il solo gusto (?) di vederlo da vicino, cosa che a quanto pare entusiasma i visitatori di Oslo. Ci perdiamo i numerosi musei e locali visitabili all’interno della zona della fortezza, perché alle 16 (17 al massimo) in Norvegia chiude un po’ tutto: diciamo pure che il 95% delle loro attività pare svolgersi in 6 ore (dalle 10 alle 16). Tornati alla stazione centrale (“sentral”, in norvegese…sembra che si divertano a sfottere l’inglese!), da qui in autobus ci facciamo condurre, in un traffico da cittadina italiana di provincia, nella penisola di Bygdøynes, dove si trovano i musei più famosi della città, tra cui quello delle navi vichinghe. (Parentesi sugli autobus: comodi, puliti e con il biglietto fatto a bordo; perché gli autisti italiani sono a quanto pare i più impediti del mondo e non riescono a farsi pagare i biglietti?..). Alle 8 di sera i musei sono strachiusi e possiamo soltanto gustarci la luce del tramonto e la traversata in traghetto che, attraversando la baia, ci riporta giusto davanti al Municipio. Poco dopo, rieccoci in zona Karl Johans Gate in cerca di gastronomia norvegese, e subito siamo accontentati: ristoranti “da Mamma Tizia” e “da Zio Caio” che imperversano ovunque, ristoranti cinesi, indiani, messicani, locali americani, pub scozzesi… In giro, poi, un “melting pot” da far invidia a Londra e Parigi! Francamente, per gente venuta in Norvegia alla ricerca di emozioni e atmosfere genuinamente nordiche, Oslo si rivela una sonora delusione… Giovedì 19 agosto Il “giorno nero” del viaggio (in un viaggio non manca mai…meglio pigliarselo all’inizio e togliersi il pensiero!): tutto il programma prestabilito va a gambe all’aria per un problema con la carta di credito. Uscire dal “triangolo maledetto” noi-la banca-la carta di credito non è semplice, anche se grazie ai cellulari e al fax si risolvono problemi che soltanto fino a pochi anni fa sarebbero stati insolubili. Morale della favola: ci troviamo nella possibilità di noleggiare un auto solo alle 4 del pomeriggio e a quel punto preferiamo (anche per smaltire lo stress nervoso accumulato in aeroporto) riprenderci la camera a 75 € del Radisson SAS, tornare a Oslo col treno e distrarci un po’ dedicandoci allo shopping, un po’ trascurato il giorno precedente. Qui si torna alla questione del carattere “spartano” dei norvegesi di cui scrivevo poc’anzi: numerosi sono i supermercati e i negozi in genere, soprattutto le boutique, ma decisamente manca la ridondante varietà di prodotti (tanto cara a noi mediterranei) presente in Italia in un qualunque ipermercato di provincia. Colpisce, in particolare, l’impossibilità di compiere l’apparente e illusoria “scelta” tra prodotti tutti diversi ma in realtà tutti uguali che fa la fortuna di “creativi”, pubblicitari e “testimonial” nostrani. Manca del tutto la generale atmosfera di fretta e corsa-alla-spesa che regna in Italia: persino le scale mobili sembrano “rilassate”… Ci concediamo, nel solito locale della sera precedente (quello dall’aspetto più “norvegese”) una cena a base di salmone affumicato, riso e verdure varie, accompagnate da birra e sidro, al prezzo assolutamente ragionevole di 15 €. Si deve ammettere che frutta e verdura non mancano mai sul desco norvegese, a differenza di altri paesi a nord del 50° parallelo dove sembrano usarle solo per decorazione o per cuocerle con inavvicinabili salse. La frutta è quasi tutta d’importazione (in giro abbiamo visto solo meli e ciliegi… e con i frutti maturi!), non poca di provenienza italiana e decisamente ottima, come pure ottime e varie sono le verdure (patate, insalata, pomodori, cetrioli, peperoni, etc…); purtroppo, si paga l’assoluta mancanza dell’olio d’oliva…ma non si può pretendere troppo, al 60° parallelo! La Norvegia, dei non pochi paesi europei che ho visitato, è senz’ombra di dubbio quello dove (Spagna a parte) mi sono trovato meglio, gastronomicamente parlando. Temevo un feroce dimagrimento come avvenuto in Inghilterra e Svezia, invece…sono tornato un po’ ingrassato! Dopo cena, il pub vicino all’università ci ha offerto uno scorcio di vita notturna norvegese aiutandoci a chiudere la giornata col consueto caffè-brodolone. A mezzanotte rientriamo: fino a tarda ora si può trovare alla stazione il comodo quanto costoso (17 €) treno-navetta per Gardermoen. Sono treni veloci che coprono la distanza Oslo-aeroporto in appena 20 minuti, con prezzi paragonabili ai nostri Eurostar, ma assai più puntuali, comodi e funzionali: spaziose passerelle per la salita e la discesa, ampi vani bagagli facilmente accessibili (non lesinati come sui nostri Eurostar), morbide poltroncine da cinema “Multiplex” e – udite udite! – addirittura uno schermo TV ben visibile che trasmette per tutta la durata del viaggio un interessante videogiornale con notizie e informazioni meteo. Viaggiando su quel treno le FF.SS. Ci appaiono perciò ben più lontane dei 2000 Km che ce ne separano… Venerdì 20 agosto Finalmente inizia il viaggio vero e proprio! Prima meta: Bergen. Lasciato l’aeroporto, percorriamo in direzione Oslo l’unica autostrada norvegese, abbandonandola ben presto per dirigerci verso ovest. Avanziamo su una strada “normale” rispettando con precisione svizzera la velocità prescritta dal codice stradale norvegese: 70 Km/h. Lo faremo per tutto il resto del viaggio, ma fin da subito si possono smentire sia il mito dell’onnipresente “Politi” (Polizia) in agguato ovunque per comminare migliaia di euro di multa (abbiamo incontrato 2 pattuglie in 2000 Km!), sia l’idea ottusa che l’automobilista norvegese marci a 70 Km/h sempre e in ogni occasione, all’uscita dalle città come nelle lande più sperdute, come se fosse un povero idiota privo di discernimento. In realtà, la maggior parte delle auto supera i limiti, arrivando ai 90 Km/h e talvolta (non spesso, in verità) ai 100 Km/h. E’ invece reale e stupefacente che praticamente nessuno si azzardi a sorpassare chi marci a “velocità codice” od oltre: tutti restano dietro il capofila come tante formichine vichinghe, le uniche auto a sorpassare rombando a 120 Km/h sono Mercedes e BMW dei turisti teutonici…così indisciplinati all’estero quanto inquadrati e coperti a casa loro. Ci fermiamo per una breve sosta a Jevnaker, sul Randsfjorden, un lago senza particolari attrattive se non quella di essere il primo specchio d’acqua sprofondato tra rilievi (collinari, più che montuosi) del nostro viaggio. Proseguiamo sulla panoramica statale “n. 7” fino a Geilo, dove arriviamo nel primo pomeriggio. A quanto pare la cittadina è rinomata come centro di sport invernali: una sorta di “Cortina”, insomma. Comprendiamo come quasi tutte le agenzie di viaggio collochino proprio a Geilo la tappa centrale del viaggio Oslo-Bergen: la cittadina pullula di alberghi e ristoranti. Ci lascia piuttosto indifferenti: molto “turistica” e senza personalità, conviene decisamente passare oltre o tornarci con gli sci a tempo debito. La strada prosegue nella sua lenta ma costante ascesa, cosicché ci ritroviamo oltre i 1000 m. D’altitudine senza neanche accorgercene: è l’altopiano dell’Hardangervidda. Gli alberi sono spariti, il paesaggio è brullo, quasi una tundra di rado cespugliame, muschi e roccia, l’aria è fredda (14°C segna il termometro di bordo), ci sovrasta un cielo plumbeo di nuvole basse che pare di poter toccare. Una diga attrae la nostra attenzione: usciamo dalla statale e ci inerpichiamo su una ripida stradina che ci porta un centinaio di metri più in alto, sulle rive del bacino chiuso dalla diga, il Sysendammen, lago a 988 m. Di quota con, sullo sfondo, il ghiacciaio dell’Hardangerjøkulen avvolto dalle nubi. Mentre ammiriamo lo spettacolo, le nuvole che ci sovrastano letteralmente piombano verso il basso: mai vista la nebbia calare con tanta rapidità, e non è foschia eterea e inconsistente, ma una cortina densa e lattigginosa da tagliare col coltello. Ci affrettiamo a ripartire e a tornare lestamente sulla statale, circa 100 m. Più in basso, lasciando che le nuvole s’impossessino del Sysendammen. La strada si snoda verso valle sempre più ripida, attraversiamo sorprendenti gallerie scavate nella roccia viva che scendono a spirale verso il basso per chilometri, come se un gigantesco cavatappi avesse scavato montagne intere. Finalmente Eidfjord, sul fiordo omonimo, il ramo più interno dell’Hardangerfjorden. Il paese (1000 abitanti) si presenta accogliente, ma decidiamo di proseguire e di cercare un alloggio per la notte soltanto una volta oltrepassato il fiordo, anche perché la noiosa pioggerellina che cade non invoglia certo alla sosta. La strada costeggia la sponda meridionale dell’Eidfjorden, fendendo le montagne a strapiombo sul mare con una numerosa serie di gallerie scavate nella nuda roccia, mentre la vecchia strada, percorribile in bicicletta, si mantiene sempre all’aperto, lungo arditi percorsi a precipizio. A Brimnes la statale termina direttamente sul molo: due traghetti fanno in continuazione la spola tra le due sponde e dunque l’imbarco è questione di pochi minuti. La traversata è breve ma molto suggestiva: il sole, ancora piuttosto alto in cielo alle 6 di sera, riesce a fendere in alcune zone lo spesso strato di nubi grigie e di leggera foschia che incombe sul fiordo e a proiettare fasci di luce dorata sul mare e sulle ripide sponde verdeggianti, regalandoci alcuni dei più incantevoli quadri paesaggistici di tutto il viaggio. La strada riprende a Bruravik e, attraverso una interminabile galleria lunga quasi 10 Km, ci porta direttamente a un altro ramo minore dell’Hardangerfjorden, il Granvinfjorden. Giunti a Granvin decidiamo di fare tappa e troviamo alloggio nella pensione (o come diamine la chiamano loro) “Eidestova”. Per meno di 50 € (400 NOK) prendiamo una camera doppia e disponiamo, in comune con gli altri ospiti, di bagno, cucina e salottino con l’immancabile TV satellitare (da queste parti, più una necessità che un lusso: i canali norvegesi visibili con l’antenna tradizionale non sono più d’un paio…). La padrona di casa ci annuncia che l’indomani mattina non potrà servirci la prima colazione; quanto alla cena, ci spedisce alla “Guesthouse” (perché, la sua cos’è?..) poco lontana. Commettendo un grave errore di valutazione, come realizzeremo in seguito, ci attardiamo sul molo dinanzi alla casa per gustarci i riflessi smeraldo dell’acqua e i guizzi dei pesci nella frizzante aria serale: il nostro abbigliamento è ormai decisamente autunnale, mentre i rari autoctoni in giro ostentano magliette a mezze maniche. Sono ormai le 8 quando ci rechiamo alla suddetta “Guesthouse” e ci sentiamo dire dalla gentile padrona di casa, colta a guardare incantata il Bonolis locale alla TV: “no dining, too late”. “Too late”?.. Ma quando diamine cenano questi qua?!.. Constatato che a Granvin ci attende il digiuno, non ci resta che salire in auto e recarci a Ulvik, a circa 20 Km, località che, a quanto pare, è maggiormente attrezzata per i turisti. Vi troviamo infatti numerosi pullman di turisti tedeschi; i locali ci sono ma chiusi, l’unico albergo dà la cena solo fino alle 9 e ormai l’ora è passata, il solo bar aperto offre sul bancone 3 mele 3 e un sandwich avanzato dall’aria per niente appetitosa. Un ultimo sguardo sconsolato alla piccola seducente Ulvik (“rinomata località turistica dal XIX secolo”, recita la guida) che poteva conquistarci con due uova e una fetta di prosciutto ed ha invece preferito ridestare i fantasmi pisani del Conte Ugolino condannato all’inedia, e ce ne torniamo nella nostra cucina a Granvin, dove ceniamo con le razioni d’emergenza all’uopo custodite in valigia: biscotti, crackers e Nutella. Ospiti della pensione sono, oltre a noi, una coppia di Francoforte: vengono qui a trascorrere le vacanze da anni, lui a pesca di salmoni, lei in cerca di tranquillità. Il “libro degli ospiti” ci rivela che, poco prima di noi, si è fermata qui una coppia di Roma e, i primi di agosto, un’altra coppia italiana in luna di miele. E poi ospiti dal Michigan, dal Tibet, dall’Olanda, etc…: un suggestivo giro del mondo fatto di parole e impressioni. Anche noi lasciamo il nostro messaggio ai posteri a doppia firma aretino-pesarese, guardiamo un po’ di Olimpiadi su Eurosport e infine chiudiamo, insieme ai pesanti tendaggi che lasciano comunque filtrare il debole chiarore di una cielo notturno senza oscurità, anche una giornata prodiga di emozioni, scoperte, novità…e digiuno. Sabato 21 agosto Fortunatamente il buon giorno in Norvegia non si vede dal mattino, perché quello che si preannuncia è un pessimo giorno: alle 9 piove a dirotto e l’unico bar di Granvin apre alle 10. Dunque: partenza senza colazione. Come se non bastasse, la strada, a strapiombo sul mare, si presenta stretta e difficoltosa, ricordando per molti aspetti quella della costiera amalfitana. Il panorama sarebbe probabilmente formidabile se mare e montagne a sud non fossero nascosti da foschia e nubi; va meglio sul versante nord, ovvero alla nostra destra, dove possiamo ammirare numerose cascate spettacolari. Troviamo un locale che ha appena aperto: il proprietario, che sta scaricando cassette di ciliegie mature (ad agosto!) e di altra frutta, ci apre il bar e ci serve “brodolone” caldo e panini. A stomaco pieno la giornata sembra già cambiare aspetto: notiamo che la pioggia va attenuandosi, il cielo si apre un po’ e persino la strada va migliorando! Poco dopo Norheimsund ci fermiamo alla Steinsdalsfossen, una spettacolare cascata accessibile addirittura da dietro, tramite un comodo sentiero e perfettamente all’asciutto. Ammiriamo il panorama dei dintorni filtrato attraverso l’imponente maglio d’acqua che precipita dallo sperone roccioso sopra di noi, uno spettacolo davvero memorabile: non è certo un’esperienza comune quella di andare dietro una simile cascata senza minimamente bagnarsi. Anche a Bergen ci accoglie la pioggia. L’ingresso nelle città norvegesi, come avvertono tutte le guide, è a pagamento, ma solo nei giorni feriali. Oggi, quindi, niente pedaggio per noi. Andiamo sul sicuro e troviamo alloggio al Radisson SAS Hotel, nel bel mezzo della città, proprio davanti al parco e con comodo parcheggio interno. Ci rechiamo subito alla Torget, dove si tiene il celebre mercato del pesce: i sapori e i profumi del salmone affumicato e del merluzzo fritto, seppur gustati sotto un traballante tendone scosso dalla pioggia torrenziale, restano tra i momenti più autenticamente “norvegesi” del viaggio… se si trascura il tipico accento siciliano che si leva da ben due bancarelle del mercato che ci ricorda quanto sia azzecato il detto: “italiani, popolo di santi, eroi e navigatori”. A poca distanza dalla Torget si trova il quartiere Bryggen con le caratteristiche case di legno multicolore, ultima testimonianza dell’antica Bergen, centro del commercio anseatico nel Nord Europa. La visita degli antichi magazzini affacciati sul porto è gradevole e suggestiva: ne sono stati ricavati negozi, piccoli musei, etc… La fortezza posta quasi all’inizio del porto si rivela invece banale e per niente attraente. La pioggia aumenta d’intensità e il nostro abbigliamento quasi estivo risulta inadeguato: si rende necessario tornare in albergo, dove possiamo rilassarci con le Olimpiadi (sul consueto canale satellitare Eurosport) e scrivendo cartoline. Usciamo quando la pioggia concede un po’ di tregua, alla ricerca di un locale per la cena. La scelta purtroppo si rivela tra le più infelici di tutto il viaggio: ordiniamo quella che noi supponiamo una zuppa di pesce e ci servono una brodaglia salatissima e praticamente immangiabile che ha tutta l’aria di esser fatta con quei “bustoni” di roba liofilizzata tanto comuni anche in Italia (ma con un errore nel dosaggio del sale…). Chiudiamo la serata in un pub “irlandese” gustandoci una birra “Kilkenny”: non la bevevo dall’anno scorso, ai tempi del viaggio in Irlanda, ritrovarla è stata una lieta sorpresa (personalmente, la preferisco di gran lunga alla assai più rinomata “Guinness”). Comunque anche la bionda birra norvegese è ottima e senz’altro migliore della maggior parte delle birre che si possono trovare in Italia. Domenica 22 La mattina siamo accolti non dal solito grigiume ma (miracolo!) da un bel cielo sereno; ormai ci stiamo abituando alla volubilità del clima norvegese. Dopo la grama cena di iersera facciamo i dovuti onori alla colazione a buffet, in particolare allo squisito salmone affumicato, il migliore che abbia mai gustato. La frutta è meno abbondante che a Oslo, ma sempre varia e saporita. Dopo un pasto dal valore corrente, in Italia, di non meno di 50 €, pieni di carboidrati, proteine e grassi come orsi prossimi al letargo, decidiamo di rimandare la partenza al pomeriggio e di goderci il sole di Bergen. La scelta si rivela azzeccata: la città svela il suo vero volto, rimasto ieri nascosto dalle intemperie. Torniamo al mercato del pesce e a Bryggen, oggi zone vivaci e allegre; prendiamo la non lontana monorotaia, la Fløibanen, che ci conduce in cima al monte Fløyen a 320 m. Di quota. Il panorama di Bergen splendente al sole del mattino, distesa per 180° sotto di noi con intorno il mare, le isolette, le colline, le montagne, è letteralmente mozzafiato, uno dei momenti indimenticabili del viaggio. Al ritorno, proseguendo a diritto oltre la Torget arriviamo alla Domkirken, la cattedrale di Bergen. Entriamo quando sta terminando la messa (luterana) in tempo per goderci un formidabile assolo del maestoso organo (i paesi scandinavi sono patria di celebri organisti e rinomati costruttori d’organi). La chiesa non sarà artisticamente un capolavoro ma struttura, decorazioni e fregi, il tutto rigorosamente ligneo, la rendono molto suggestiva. All’uscita un ulteriore sorpresa musicale: un concerto di carillon, ovvero un complesso “organo” con decine di campane percosse attraverso un sistema di leve e ingranaggi azionati da una sorta di tastiera dall’esecutore. Il suono argentino delle campane, il sole, l’aria di mare…e le belle ragazze norvegesi in giro rendono particolarmente festoso il nostro congedo da Bergen. Nel complesso una bella città, accogliente e genuinamente “norvegese”, che resta nel cuore e trasforma l’addio in un più ottimistico “arrivederci” (a differenza di Oslo…). Partiamo nel primo pomeriggio in direzione nord: la meta è il Sognefjorden, il più grande fiordo di Norvegia. Dopo circa 120 Km siamo a Oppedal, all’imbarco del traghetto che ci porta sulla sponda nord del fiordo (quella sud è priva di strade), a Lavik. Il fiordo è qui largo diversi chilometri, il che ci dà tempo di goderci la traversata pranzando coi formidabili panini al salmone affumicato acquistati al mercato del pesce di Bergen. La strada costiera del Sognefjorden offre vedute davvero affascinanti, l’alternarsi di cielo sereno e minacciosi nuvoloni neri amplifica la tavolozza di colori e sfumature, giungendo fino a dipingere un meraviglioso arcobaleno, un ponte di colori tra il mare e le montagne. Ancora un traghetto che ci porta da Dragsvik a Hella e giungiamo a Sogndal, capoluogo della contea Sogn og Fjordane. Paventando un altro digiuno serale non indugiamo troppo nella ricerca di una sistemazione: il grazioso e caratteristico Hofslund Fjord Hotel ci convince a prima vista. Anche qui circa 100 € per una stanza doppia: i prezzi norvegesi (eccettuata la più cara capitale) sembrano abbastanza omogenei ovunque. Siamo giusto in tempo per la cena a buffet, e quella che ci concediamo è la più colossale abbuffata (e senza ritegno: confessiamolo pure…) di tutto il viaggio. Salmone, sia al forno con patate che affumicato, merluzzo bollito o gratinato, ottime polpette di carne scura (alce, probabilmente), uova, verdura cotta di tutti i tipi, patate al forno, insalata e pomodori, maionese, formaggi, semifreddi squisiti alla fragola e all’ananas con crema e panna: tutti quanti hanno ricevuto una o più “visite”, gustati sullo sfondo di una impareggiabile vista del fiordo sul far della sera. Il tutto per una spesa di 25 € a testa, quando in Italia non ne sarebbero bastati 50… almeno per quanto abbiamo mangiato noi (abbiamo il sospetto che dopo la nostra performance il prezzo della cena a buffet, almeno per gli italiani, sarà raddoppiato…). Dopo cena usciamo per le strade della cittadina, ma le occasioni di “tirar tardi” sono le consuete offerte dalla provincia norvegese: zero. La cittadina ospita l’unica scuola d’istruzione superiore della contea, perciò in giro ci sono diversi studenti… ed un unico locale, piuttosto squalliduccio, aperto. Dunque, a chiudere la serata sono i soliti giochi olimpici su Eurosport. Lunedì 23 La pantagruelica cena di iersera non ci impedisce di far onore al buffet mattutino dell’albergo, analogamente ricco e vario. Il programma di viaggio prevede di spostarsi verso nord, in direzione Ålesund, ma decidiamo di far prima una deviazione verso sud di una cinquantina di chilometri per visitare la celebre Stavkirke di Borgund. Andare a sud significa attraversare il Sognefjorden, e il traghetto relativo lo troviamo a Revsnes. Il capriccioso clima norvegese ci regala una mattinata di splendido sereno attraverso una campagna dai contorni assai meno aspri di quelli cui ci stiamo abituando: verdi colline, campi coltivati e pascoli, fattorie relativamente numerose. La Stavkirke di Borgund è l’unica chiesa di legno ad essere rimasta immutata dall’epoca medievale ad oggi: i norvegesi ne sono giustamente orgogliosi e se ne prendono cura con lo zelo di chi sa di non aver ereditato dal passato molti “cimeli di famiglia”; ci viene spontaneo pensare all’incuria e all’indifferenza in cui noi italiani abbandoniamo larga parte del patrimonio artistico che ci è stato lasciato in eredità da un glorioso passato d’arte e cultura, del quale raramente ci dimostriamo degni. E’ ormai mezzogiorno quando ci ritroviamo nuovamente a Sogndal, dove scorgiamo (udite! udite!) la prima pattuglia della “Politi” a vigilare sul traffico. Acquistiamo acqua, pane e salumi nel supermarket (a prezzi in linea con quelli italiani) e puntiamo decisamente verso nord. La strada ci porta immediatamente al di sotto del fronte sud dello Jostedalsbreen, il più grande ghiacciaio dell’Europa continentale (si estende per 487 Kmq): la calotta gelata brilla smagliante sotto un sole cocente, quasi mediterraneo. Il Bøyabreen, poco distante dal paese di Fjærland, sul fiordo omonimo, è una lingua dello Jostedalsbreen: arriva a poche decine di metri dalla strada, offrendo uno spettacolo stupefacente e impressionante. Il Bøyabreen, ad appena 150 m. D’altitudine, è uno dei ghiacciai più facilmente accessibili d’Europa, a pochi chilometri dal mare: nel passato da Fjærland si provvedeva ad esportare via mare il ghiaccio che veniva usato tanto per conservare gli alimenti quanto per produrre gelati e sorbetti. Pranziamo con i nostri panini giusto sotto il Bøyabreen, godendoci lo spettacolo: sopra di noi si erge la colossale lingua di ghiaccio, dai caratteristici riflessi azzurrognoli, sotto la quale la morena di detriti rocciosi trascinati a valle fa da argine superiore al laghetto formato dalle acque di scioglimento del ghiacciaio, azzurre come turchese, mentre dal versante inferiore si diparte un torrente gelido e impetuoso che farebbe la gioia di ogni pescatore. Tutt’intorno, una miriade di ruscelletti di pura acqua di ghiacciaio dai quali raccogliamo alcuni bei sassi di granito: rosso con venature verdi, nero con venature gialle…ce n’è per tutti i gusti. L’aspetto singolare della situazione è che, pur trovandoci a pochi metri da una massa imponente di ghiaccio, fa decisamente caldo tanto che la nostra escursione si risolve in una bella sudata! Nell’emporio mi decido finalmente ad acquistare uno dei caratteristici maglioni norvegesi al “modico” prezzo di 150 €. Il viaggio verso nord riprende, portandoci sempre più lontani dal Sognefjorden e avvicinandoci al Nordefjord, del quale costeggiamo uno dei rami più interni, l’Innvikfjorden: qui il paesaggio si fa più bucolico, i contorni dei rilievi più morbidi, abbondano campi coltivati, verdi pascoli e centri abitati più consistenti. Nei pressi di Olden ci fermiamo ad ammirare una cascata d’acqua azzurra giusto lungo la strada che ci rammenta come il ghiaccio perenne si trovi appena a qualche centinaio di metri sopra di noi e del paesaggio da cartoon di “Heidi” che ci circonda. A Stryn lasciamo le rive del fiordo e subito la strada riprende a salire; presto ci abbandona nuovamente la vegetazione e il termometro dell’auto cala vistosamente fino ai 7°C del rifugio Djupvasshytta, a 1030 m. Di altitudine, sulla riva di un lago coronato da vette innevate. Un cartello ci avvisa che, imboccando una ripida stradina alla nostra destra, dopo 10 Km. Arriveremmo alla cima del Dalsnibba, un “viewpoint” a 1476 m. Di quota: soprassediamo, anche perché non siamo equipaggiati per le escursioni artiche! Finalmente, ecco il bivio per Geiranger, dopo il quale la strada scende ripida lungo una serie di tornanti impressionanti: in 10 Km. Passiamo dai 1000 m. Al livello del mare; innumerevoli cartelli stradali ci invitano a guidare con prudenza e, soprattutto, a scalare di marcia prestando attenzione a non surriscaldare i freni! Sostiamo presso la scogliera di Flydalsjuvet, sul celebre terrazzo naturale dal quale viene scattata la foto che domina su tutti i depliant turistici della Norvegia: una panoramica mozzafiato del Geirangerfjorden, detto “la perla” dei fiordi norvegesi. A Geiranger troviamo alloggio presso l’Union Hotel ai consueti prezzi standard norvegesi: 50 € per una camera doppia. Non godiamo della vista del mare perché la camera dà sul retro dell’albergo, tuttavia il panorama è parimenti spettacolare: sul fianco della montagna un torrente scende dal ghiacciaio a precipizio formando innumerevoli cascate, finché le sue impetuose, gelide e azzurre acque arrivano a sfociare nel fiordo. Ceniamo in un bistrot in riva al mare con piatti a base di salmone e stoccafisso, poi giriamo un po’ lungo il breve litorale del minuscolo paesino. Badando bene a non svelare la nostra provenienza osserviamo dei ragazzini italiani che pescano “clandestinamente” sul pontile: bastano pochi istanti e il pesce abbocca. Questo paese è davvero il paradiso dei pescatori! Un paradiso dove fa freschino: verso le 22 ci sono appena 6°C. Immerso nella luce crepuscolare, il Gereingerfjorden è indescrivibile: ci vorrebbe una penna (anzi, una tastiera) ben più abile della mia per riuscire soltanto a suggerire quell’atmosfera. Il resto del mondo sembra davvero molto molto lontano… Tranne che per Massimo: a richiamarlo alla realtà provvede l’immancabile telefonata serale “di controllo” della fidanzata! Martedì 24 Ci svegliamo con un po’ d’anticipo in modo d’avere almeno un’oretta a disposizione per ammirare Geiranger di mattina, prima di prendere il traghetto che, attraverso una crociera di circa un’ora lungo il fiordo, ci porterà a Hellesylt. I colori del fiordo appaiono ancora più intensi nella vivida luce di questo mattino sereno ma non soleggiato, perché il sole riuscirà a mostrarsi oltre l’alta corona di montagne ov’è incastonata Gereinger soltanto più tardi. Scorgiamo delle capre che pascolano sulle pendici di una rupe ad altezza vertiginosa: viene da chiedersi come fosse la vita dei pastori e dei contadini che qui abitavano nei tempi andati; pare che fosse usanza addirittura legare gli animali e persino i bambini con delle funi per evitare che precipitassero giù in mare dagli scoscesi campi ricavati sul fianco delle montagne. Mentre attendiamo il nostro traghetto vediamo arrivare un transatlantico della “Costa Crociere” di Genova che getta l’ancora nella baia a poche decine di metri dalla banchina del porticciolo; il fondale dei fiordi infatti tocca le centinaia di metri di profondità anche a breve distanza dalla riva. Ci imbarchiamo sul nostro traghetto insieme a numerosi altri turisti, per la maggior parte tedeschi. Il sole inizia ad essere ben alto in cielo, l’aria è tersa e frizzante, l’acqua sembra di cristallo: le premesse per una traversata indimenticabile ci sono tutte, e così avviene. La crociera è ben organizzata: dagli altoparlanti viene diffusa alternativamente una voce in triplice lingua (norvegese, tedesco e inglese) che descrive i luoghi più caratteristici oppure musica tradizionale norvegese che contribuisce a creare la giusta atmosfera. La nave segue il sinuoso andamento del Gereingerfjorden mostrandoci paesaggi da sogno: acque cristalline verdi come clorofilla, getti d’acqua che precipitano da altezze vertiginose nebulizzandosi ancor prima di toccare il mare (le cosiddette “Sette Sorelle”), cascate spumeggianti che dipingono di bianco un intero versante della montagna (la “Bottiglia”) e si specchiano direttamente sull’acqua, come un gigantesco diamante incastonato nel mare color smeraldo, rupi granitiche che incombono sul fiordo con primitiva e selvaggia maestosità, montagne lontane con la sommità coperta di neve che si staglia sullo sfondo azzurro d’un cielo limpidissimo… Potrei scrivere pagine e pagine per tentare di descrivere un ambiente, un’atmosfera, mille emozioni che rivivono anche adesso nei miei pensieri, ma che non posso trasmettere ad altri se non invitandoli a viverle in prima persona. La crociera sul Gereingerfjorden resta il momento più indimenticabile di un viaggio che di esperienze memorabili ne ha offerte tante. Da Hellesylt la strada riprende costeggiando il fiordo dove poc’anzi abbiamo navigato, offrendoci un ultimo sguardo sulla “perla” dei fiordi. Avvicinandosi a Stranda e alla costa atlantica il paesaggio cambia in modo piuttosto evidente: i piccoli centri abitati si fanno più numerosi, le casette, tutte invariabilmente in legno, ancor più curate del consueto, con giardini ben curati e ricchi di piante e fiori. Insomma, insieme a un clima che sente più nettamente l’influenza mitigante del mare, si respira anche un’aria di maggior benessere anche se, com’è nel costume norvegese, non sfacciato, non ostentato. Ad Aursnes pranziamo con i nostri panini mentre attendiamo il traghetto: nel grande piazzale al sole dobbiamo ritornare in tenuta estiva, rivalutando l’utilità degli indumenti leggeri troppo frettolosamente riposti in fondo alla valigia dopo i 6 °C di ieri. Ålesund è una graziosa cittadina di neanche 40000 abitanti direttamente affacciata sull’Oceano Atlantico e quindi bagnata dalla Corrente del Golfo; pur essendo il punto più a nord toccato nel nostro viaggio, a quasi 63° di latitudine, è stato al tempo stesso, paradossalmente, anche il posto più caldo insieme ad Oslo! Una non lieta sorpresa ci attende in città: tutti gli alberghi sono pieni perché da domani e per una settimana, qui si svolgerà il festival annuale di gastronomia norvegese. Ci rechiamo al centro informazioni turistiche, presente qui come del resto in ogni cittadina e sempre efficiente, dove veniamo indirizzati ad un ostello, l’Annecy Sommerpensjonat, in pieno centro cittadino, presso il quale per appena 20 € a testa prendiamo una camera per la notte; nell’occasione si rivelano utili lenzuola e asciugamani portati da casa, anche se è comunque possibile noleggiarne alla reception. Siamo appena all’inizio del pomeriggio, perciò usciamo alla scoperta della città. Ålesund è molto carina e caratteristica: distrutta da un incendio catastrofico nel 1904, fu interamente ricostruita in stile liberty e rappresenta perciò un paradigma dell’architettura d’inizio XX secolo. E’ formata da una serie di isolotti collegati da ponti che le danno una vaga aria “veneziana”, mentre i palazzi lignei con i loro vivaci e variegati colori e i tetti marcatamente spioventi la confermano come città assolutamente nordica. Ci rechiamo al parco cittadino, situato in pieno centro e ai piedi del monte Aksla, una sorta di massiccio “budino” verde che domina la città e in cima al quale si trova il Fjellstua viewpoint, dal quale si gode uno spettacolare panorama. L’ascesa al monte Aksla non è uno scherzo: 418 scalini naturali, ricavati nel legno, nella terra o nella pietra, che mettono a dura prova le nostre qualità atletiche d’ingegneri ormai condannati a vita all’inesorabile trittico sedia-scrivania-computer. Fortunatamente, i previdenti nordici hanno distribuito numerosi “pit-stop” di ombreggiate panchine lungo tutto il ripido percorso e noi non ci facciamo scrupolo ad approfittarne. I nostri sforzi sono premiati dal panorama davvero affascinante della terrazza di Fjellstua: la multicolore Ålesund immersa nella luce del sole pomeridiano, alto a sud-ovest, le splendide isolette verdeggianti sul mare tutt’intorno, le maestose ed aspre Alpi Sunnmøre svettanti nell’introterra con la cima immancabilmente innevata. Sole, neve, mare, montagne, palazzi, foreste, colline, ghiaccio, roccia: uno spettacolo cui non manca davvero nulla! Nel parco alla base del monte Aksla spicca la statua di Rollo il Vichingo, fondatore della Normandia nel 911 d.C.: visto il tipo, un autentico energumeno dal fiero cipiglio, non ci meravigliamo di come i Normanni riuscirono in poco tempo a colonizzare mezza Europa, mille anni fa. Usciti dal parco, decidiamo che la faticosa conquista dell’Aksla ci vale una bella mangiata di pesce nel miglior ristorante della città. Secondo la guida in inglese fornitaci dal centro informazioni il Sjøbua Restaurant è uno dei più rinomati ristoranti di pesce della Norvegia e noi decidiamo di fidarci del consiglio. Il locale è situato in un ex-magazzino di pesce costruito secondo il gusto dell’Art Noveau tipico di Ålesund, restaurato e arredato in stile marinaro. Ci servono quattro varietà di pesce (cozze, gamberetti, merluzzo e salmone) innaffiato da birra norvegese (il vino costa come il Dom Perignon da noi) e seguito da un dolce squisito, come sempre a base di frutta che qua non si fanno mai mancare. Spendiamo la bellezza di 500 NOK (circa 60 €) a testa ma ci alziamo sazi, soddisfatti e in piena sintonia con il mondo nordico del quale, complice la birra, cominciamo a magnificare le mille qualità. Andiamo a “smaltire” al porto che ci riserva un’ultima sorpresa: un tramonto dipinto, come un arcobaleno, con tutti i colori dell’iride, dal blu cobalto del cielo al rosso fuoco del sole sull’orizzonte passando per il celeste, il verde, l’arancione. Più tardi, alle 11 di sera, l’orizzonte è ancora rosso e il cielo debolmente luminoso: anche a fine agosto al 63° parallelo la notte ha vita difficile… Mercoledì 25 L’ostello, ovviamente, non offre la prima colazione, perciò dobbiamo recarci alla stazione dei bus dove a quest’ora così mattiniera per le abitudini norvegesi (le 9!..) troviamo l’unico bar aperto. Consumata una frugale colazione, almeno per gli standard cui ci stiamo abituando (in Italia, mangiare un hot-dog di primo mattino la considereremmo un’impresa…), cominciamo il lungo viaggio di ritorno verso Oslo che ci impegnerà per i prossimi 2 giorni. Innanzitutto facciamo il pieno di benzina, approfittando del prezzo relativamente modico che ha qui sulla costa: 9,3 NOK/l., cioè circa 1,13 €/l. Effettivamente in Norvegia il prezzo del carburante presenta notevoli variazioni da zona a zona, arrivando a costare quasi una corona in più al litro (cioè ben oltre 10 centesimi al litro in più!) nell’interno del paese, dove i rifornimenti sono più difficoltosi, rispetto alle aree costiere. Attraversiamo tutta la contea di Møre og Romsdal, la più a nord delle quattro che formano il Vestlandet (letteralmente: la terra dell’ovest), la parte sud-occidentale della Norvegia. Costeggiando il Romsdalsfjorden il paesaggio si presenta simile a quello attraversato ieri, sulla strada da Stranda ad Ålesund: piccoli fiordi (come il delizioso Tresfjord) e baie contornati da morbide colline coperte da prati, boschetti e campi coltivati, con numerosi piccoli centri abitati lungo tutto il percorso. L’imprevisto più sorprendente del viaggio ci attende a poca distanza dalla cittadina di Åndalsnes: mentre percorriamo alla tipica velocità di crociera norvegese (circa 80 Km/h, cioè appena un po’ oltre il limite…) un’ampia strada costeggiata sui due lati da una rada boscaglia, un cucciolo di capriolo ci taglia la strada e, nonostante la frenata di Massimo, viene inesorabilmente investito! Ironia della sorte, ci siamo ritrovati ad attraversare, senza mai incrociare per chilometri neanche un’auto, zone letteralmente coperte di foreste dalle quali non ci saremmo sorpresi di veder uscire un orso, senza invece vedere nemmeno un coniglio. Qui, con poca boscaglia intorno, centri abitati relativamente vicini e due auto alle spalle con una terza che sta sopraggiungendo in direzione opposta, tamponiamo un capriolo! Scesi dalla macchina ancora scossi dalla sorpresa, veniamo affrontati da una pazzoide che, con gli occhi fuori dalle orbite, ci urla addosso parole incomprensibili in maniera inintellegibile: come prima rassicurazione, non c’è male. Mentre il povero animaletto si contorce e guaisce in mezzo all’asfalto, riusciamo a comprendere qualche parola della matta che finalmente ha iniziato a farfugliare in inglese: “it’s suffering!” (bella scoperta…), “kill” (chissà se scoprisse che siamo italiani…”mafia” sarebbe l’epiteto minimo), “do something!”, “phone someone!” (ma cosa? chi?!..). Insomma, ci facciamo l’idea di trovarci davanti a una fanatica ecologista o animalista che ci considera al livello di Jack lo Squartatore e siccome nulla sappiamo delle usanze e leggi norvegesi in materia, cominciamo un po’ a preoccuparci; anche perché siamo ben consapevoli che in Italia un incidente del genere procurerebbe comunque non poche noie: guardie forestali, multe, danni a proprietà del demanio e vari “giramenti di scatole”… Anche l’auto dietro l’”animalista” si è fermata, naturalmente, e ne è sceso un ometto dall’aria molto tranquilla che si è messo a parlottare fitto fitto con lei, sortendo un qualche effetto sedativo sull’esagitata che a un certo punto ha afferrato il cellulare e si è messa a telefonare, urlando nel microfono. Nel frattempo sopraggiunge dalla direzione opposta un taxi che rallenta, si arresta e ne scende un omone che, con tutta la tranquillità di questo mondo, si avvicina al cucciolo, che ha intanto smesso di contorcersi e si è accovacciato in mezzo alla strada, lo accarezza gentilmente per rassicurarlo, lo prende delicatamente in braccio, lo posa fuori della carreggiata e ritorna trotterellando placidamente verso il suo Volvo. Faccio appena in tempo a chiedergli un numero di telefono da chiamare per aiutare “the Bambi” (e se no come diamine lo chiamo?!..), ma lui, indicando l’ometto e l’”animalista” che confabulano, dice che loro stanno già chiamando aiuto; poi risale sul suo taxi e se ne va. Appena sparita la macchina il piccolo capriolo, evidentemente ripresosi dallo shock, comincia con nostra grande sorpresa a tentare di alzarsi sulle zampe e poi, un po’ barcollando, a dirigersi decisamente verso la boscaglia poco lontana. In quel momento arriva un furgoncino con il famoso “aiuto” invocato dall’”animalista” (un veterinario?.. Una guardia forestale?.. ) e ne scende un omino dall’aria decisa che, parlando un buon inglese comprensibile, ci chiede dove sia l’animale. Noi, tutti contenti per l’esito felice dell’incidente, indichiamo il bosco annunciandogli che è scappato. Il “veterinario” non perde un istante e s’infila nella boscaglia, dimostrandosi un soccorritore d’encomiabile solerzia. Rimasto solo con l’”animalista” (l’ometto tranquillo si è nel frattempo dileguato), gli spiego pazientemente che “it hasn’t its legs broken”, ma lei replica che ha picchiato la testa (e come lo sa, l’ha visto?!.. Ma lei non stava dietro la nostra macchina?..) e che perciò “it will die”, morirà… (e che gli vuol fare, la T.A.C.?..). Il “veterinario” torna portando il cucciolo per il collo, al che la supposta “animalista” tira fuori un coltellaccio tutto rugginoso porgendolo a Massimo e sbraitando: “You kill it! Kill it! It’s suffering!..”. Adesso sì che comprendiamo il suo inglese e capiamo pure il grosso qui pro quo nel quale siamo incorsi! Altro che “animalista”! Massimo protesta vivacemente di non voler ammazzare nessuno, anche perché “Bambi” al momento sembra “suffering” soltanto perché il supposto “veterinario” lo sta trascinando per il collo. La tizia non insiste più di tanto e porge il coltellaccio a “Jack the Ripper” che, senza tanti complimenti, sgozza la bestiola. “Is it necessary?”, gli chiedo titubante mentre l’animale rantolante muore dissanguato. “I think so”, replica lui, aggiungendo che comunque morirà, etc… La pazza, scherzando allegra con “Jack”, risale in macchina con un sorriso a 32 denti e riparte: contenta lei… “Jack the Ripper”, invece, carica la cena a base di capriolo sul suo furgoncino, accetta la mancia che gli offriamo per il “servizio” resoci e riparte nella direzione opposta. Restiamo lì soli soletti a chiarirci tutta la vicenda: dunque la pazza voleva che noi finissimo seduta stante l’animale appena investito, sguainando i coltellacci che all’uopo avremmo dovuto portarci dietro! Non ci stava affatto accusando di aver ammazzato l’animaletto; al contrario, ci invitava a farlo! “Paese che vai, usanza che trovi”, si dice: effettivamente comprendiamo come l’ignoranza delle usanze locali ci abbia portato ad un clamoroso equivoco. I norvegesi, abitando in numero così ridotto in un ambiente naturale decisamente ostile, soprattutto d’inverno, hanno sviluppato alcuni caratteri culturali decisamente apprezzabili, come per esempio la grande disponibilità ad offrire aiuto a chiunque si trovi in difficoltà: fermandosi lungo una strada anche soltanto per consultare una cartina, si può avere la sorpresa di essere affiancati dal conducente dell’auto seguente che vuol informarsi sul motivo dell’arresto e offrire aiuto. Contemporaneamente, l’ambiente ostile li ha portati a sviluppare un elevato istinto da “cacciatori” che impone loro di non buttar via nulla, di non sprecare nessuna delle occasioni che la natura può talvolta offrire. Così ci siamo spiegati questa esperienza sorprendente e un po’ paradossale che in Italia avrebbe senz’altro avuto altri sviluppi. Nell’occasione, comunque, il pensiero corre spontaneamente a Rollo il Vichingo… Il tamponamento non è stato indolore neanche per la nostra Nissan Almeira: una plastichetta di decoro si è staccata dal lato sinistro del parafango anteriore, perciò decidiamo di fare sosta a Åndalsnes per comprare la colla e cercare di riparare il danno. Il paese è un centro di circa 8000 abitanti, perciò decisamente grande per gli standard norvegesi e comunque molto ben fornito e organizzato: all’inizio della cittadina c’è una vasta zona industriale con numerosi negozi, officine e tutti i concessionari d’auto di tutte le marche, circostanza che si rivela molto utile. Infatti, dopo la sosta per comprare la colla, scopriamo con disappunto che la macchina sta perdendo del liquido in corrispondenza del lato anteriore sinistro, quello del tamponamento. Ci indirizzano verso un’officina meccanica lì vicino, dove la proprietaria, una bella signora dall’aria decisa e molto cortese, si fa in quattro per aiutarci: chiama col cellulare il meccanico più competente, allontanatosi per la pausa pranzo, poi, in assenza di questo, interpella un ometto dall’aria sveglia che assaggia (!) il liquido gocciolante e conclude trattarsi del detergente per il tergicristalli. La signora ci spiega per filo e per segno come raggiungere l’officina autorizzata Nissan lì vicino, verso la quale prontamente ci indirizziamo. Anche il meccanico Nissan ci tranquillizza: non è liquido lubrificante né refrigerante, semplicemente detergente. Archiviato l’”affaire” tamponamento che ci ha tenuti in apprensione un paio d’ore, consumiamo un rapido pasto e ritorniamo lestamente sulla Statale numero 9, in direzione sud-est. La strada abbandona definitivamente il mare e si inoltra nella valle del fiume Rauma che proprio ad Åndalsnes sfocia nel Romsdalsfjorden. La valle è stretta ma ridente e dai contorni morbidi; tuttavia, sul lato occidentale si stagliano le alte e aspre cime del Trolltindane, con paesaggi degni del “Signore degli Anelli”. Il Rauma ci accompagna fin oltre Dombas attraverso paesaggi non dissimili da quelli incontrati nel viaggio d’andata tra Hønefoss e Geilo. Otta è la nostra meta designata: un paese (o cittadina che dir si voglia) di 3500 abitanti al centro della contea di Oppland (letteralmente: la “terra in alto”). Visto che siamo “in alto”, decidiamo di puntare ancora più su e ci inerpichiamo per 8 Km. Su una ripida strada che ci conduce al Rondeslottet, un hotel a 1000 m. Di quota ai margini del Rondane Nasjonalpark, prediletto dai norvegesi per le escursioni nella stagione calda (breve) come in quella fredda. L’albergo è molto accogliente, con ampi ed eleganti ambienti tutti realizzati in chiaro legno d’abete che creano l’atmosfera tipica del rifugio montano (ma qui si sta più comodi…). Dall’altipiano si spazia a 360° su ben tre parchi nazionali: a nord-est quello di Rondane, dentro il quale già praticamente ci troviamo, a nord i rilievi del Dovrefjell Nasjonalpark avvolti dalle nubi, a sud-ovest lo Jotunheimen con le vette più alte della Norvegia. Il cielo è plumbeo e a tratti piovigginoso, ma la temperatura non scende sotto i 7°C anche altrove riscontrati. La cena nell’ampio salone panoramico ha davvero un sapore “montano”: assaggiamo finalmente la carne di alce che incontra subito il nostro convinto favore. Restiamo a veglia nel salone in compagnia del solito “brodolone”, della TV satellitare e degli altri ospiti dell’albergo i quali però alle 10,30 si ritirano tutti nelle loro camere, confermando le nostre impressioni sulle scarse attività d’intrattenimento serale dei nordici. Giovedì 26 Decidiamo di dedicare la mattina a una deviazione dal cammino verso l’aeroporto per avvicinarci alle vette dello Jotunheimen. Prendiamo verso oriente la strada che risale il corso del fiume Otta fino al Vågåvatn, uno spettacolare lago, alimentato dal ghiacciaio, che costeggiamo per un lungo tratto sostando ad ammirare le sue acque color turchese illuminate da un sole che ne dipinge la superficie di mille sfumature. A Lom lasciamo la statale n. 15, che altrimenti ci riporterebbe verso Gereinger dopo appena un’ottantina di chilometri, e prendiamo la statale n. 55 che già abbiamo percorso nel Sognefjorden: circa 120 Km. Dividono infatti Sogndal da Lom. Insomma, gira e rigira, le strade e i posti son quelli…non c’è davvero rischio di perdersi! La strada sale ripida risalendo la angusta ma fertile e verdeggiante valle (quasi un canyon) ove scorre il fiume che alimenta il Vågåvatn, mentre davanti a noi si staglia sempre più nitido l’aspro e imponente profilo del Galdhøpiggen, la vetta più alta di Norvegia con i suoi 2469 m. All’ombra della montagna si trova la tenuta agricola di Elveseter, che ospita turisti sin dal 1880; recentemente è stata ristrutturata e trasformata in albergo, rispettando però lo stile architettonico tipico della valle. Meno integrato nel paesaggio circostante appare, ai nostri occhi, il Sagasøylen, una massiccia colonna di recente realizzazione, alta 33 m. E decorata con motivi della storia norvegese, con al vertice il monumento equestre a re Harald I detto “Hårfager” (“Bellachioma”), unificatore della Norvegia nel 930 d.C. In realtà, il vero monumento presente è il maestoso Galdhøpiggen: quando scendiamo dall’auto per visitare la famosa tenuta di Elveseter lo ammiriamo ergersi davanti a noi, con la cima nascosta dietro il consueto schermo di nuvole. Pur trovandoci già oltre i 1000 m. D’altitudine la temperatura è resa gradevole dal sole che brilla intenso e deciso su un cielo quasi completamente azzurro. Sostiamo nel bar dell’albergo giusto il tempo per bere il solito “brodolone” ed ammirare un’enorme testa di alce imbalsamata, impressionante per le sue dimensioni. Una lieta sorpresa ci attende all’uscita: il sole ormai alto ha in pochi minuti del tutto dissipato le nubi che nascondevano la vetta del Galdhøpiggen, facendo ora risplendere la bianca coltre nevosa che perennemente la ricopre. Ripartiamo proseguendo l’ascesa (la strada nel suo punto più alto arriva a 1440 m.) fino a raggiungere, pochi chilometri dopo Elveseter, un’ardita piattaforma panoramica lanciata a strapiombo sul canyon: da qui si può spaziare su tutta la valle, sul fiume turchese che ne segna il fondo, sui verdi prati che la ingentiliscono, sulle aspre e imponenti montagne dello Jotunheimen che la coronano ergendosi in tutta la loro titanica bellezza: mancano solo elfi e “hobbit” per sentirci pienamente calati nelle atmosfere del “Signore degli Anelli”… Ma ogni bel romanzo ha la sua ultima pagina: il vento che flagella impetuoso la piattaforma ci spinge ben presto a lasciarla ed una rapida analisi del programma di viaggio ci convince che è ormai tempo di tornare sui nostri passi. Ripercorrendo a ritroso la strada verso Otta, ritroviamo le acque azzurre del Vågåvatn e proprio nel bel paesetto di Vågå decidiamo di sostare per il pranzo. Dapprima ci rechiamo a visitare, a poco più di un chilometro dal paese, la celebre Jutulporten: un’insolita formazione rocciosa “impressa” sul fianco della montagna che la fa sembrare un gigantesco portone chiuso. La Jutulporten è citata in molte leggende norvegesi: per essa si accede al regno dei “troll”, all’interno del monte. Viene spontaneo sentirsi risuonare nella mente uno dei più celebri brani di musica norvegese, “Nella Casa del Re della Montagna” (“I Dovregubbens Hall”) dal “Peer Gynt” di Edvard Grieg, il più importante compositore norvegese. Torniamo in paese e pranziamo con una gustosa omelette in una graziosa osteria dove veniamo presi per l’ennesima volta per francesi (sarà per l’abbigliamento? Sarà per la scelta dell’omelette? Sarà perché di italiani da queste parti se ne vedon pochi? Mah!..). Visitiamo poi la Stavkirke al centro del paese, risalente al Medioevo ma rifatta ex novo nel 1600, come ben rivela l’interno, assai caratteristico nel suo stile marcatamente barocco ma completamente ligneo, senza stucchi o marmi o altri materiali. Giunti di nuovo a Otta imbocchiamo la E6, vera e propria spina dorsale della Norvegia, che dopo un centinaio di chilometri ci porta alla meta designata per il nostro ultimo pernottamento norvegese: Lillehammer, sede dei Giochi Olimpici invernali nel 1994. E’ l’ora di punta serale e perciò girovaghiamo un po’ nel traffico (piuttosto intenso, fatte le dovute proporzioni…) alla ricerca di un hotel, finché ne individuiamo uno convincente in pieno centro. Depositati i bagagli in camera, usciamo alla scoperta della cittadina, che si rivela un’autentica delusione: meno ordinata e pulita delle altre finora visitate, molto commerciale e turistica, ha proprio l’aria di una città che ha avuto in passato il suo momento di gloria ed ora è in decadenza. Forse contagiati dalla vaga atmosfera “olimpica” del luogo ci cimentiamo in una lunga camminata in salita per raggiungere il rinomato “villaggio olimpico”: tra strade dissestate, sentieri poco curati, vegetazione ornamentale abbandonata a se stessa e aiuole trascurate, il nostro giudizio su Lillehammer non fa che peggiorare. Tornati nel centro cittadino alla ricerca di un ristorante per cenare ci ritroviamo, esattamente come ad Oslo, davanti a una selva di locali che nulla hanno di norvegese; spiccano, in particolare, le pessime imitazioni di ristoranti italiani, con tanto di insegne giganti che ostentano grossolani errori di ortografia, come “La Piccolo Italia”, in un tripudio di bianco-rosso-verde. Finiamo con l’entrare, dopo molte esitazioni e probabilmente spinti da un inconscio e sadico desiderio di farci del male, da “Peppe’s Pizza”, la onnipresente catena di “pizzerie” che ci ha accompagnato per tutto il viaggio, in ogni città. La pizza si rivela, inevitabilmente, un’autentica schifezza: formaggio e pomodoro sono quasi accettabili, ma la pasta ha uno spiccato e fastidioso sapore di sesamo o di dio-solo-sa-cosa. In compenso, fortunatamente, la birra e il sidro sono ottimi e in loro anneghiamo ogni saporaccio. Tutto sommato, aver avuto questa cittadina insulsa e dozzinale come ultima tappa è stato positivo: abbandonare la Norvegia da una delle tante splendide località visitate sarebbe stata una crudeltà verso noi stessi, mentre Lillehammer non ha ci lasciato neanche l’ombra di un rimpianto. Venerdì 27 La mattina ci dedichiamo con solerte e appassionata voracità all’ultima colazione norvegese e partiamo di buon ora alla volta dell’aeroporto di Gardermoen. Il viaggio sulla E6 ci regala ancora qualche ultimo bel paesaggio: la strada costeggia infatti per un lungo tratto il lago Mjøsa, stretto e lungo come un fiordo, coronato però non da montagne ma da morbide colline coltivate. In prossimità dell’aeroporto i campi coperti da biondo grano illuminato dal sole sembrano volerci annunciare la fine del viaggio nel nord Europa e richiamare atmosfere mediterranee. L’aeroporto è ormai per noi un ambiente familiare. Appena arrivati riconsegniamo la Nissan Almeira al noleggiatore dopo 2000 Km percorsi senza problemi (capriolo a parte…che non è certo imputabile all’automobile): siamo complessivamente molto soddisfatti della Hertz, anche se il ritardo di un’ora nella riconsegna ci costa l’addebito di un’intera giornata supplementare; tuttavia, niente ci viene addebitato per il piccolo danno alla carrozzeria causato dall’incauta bestiola del Romsdalsfjorden. Spese le ultime corone per acquistare gli ultimi souvenir, ci imbarchiamo alle 16,30 sul volo della Norwegian (185 €) prenotato via Internet. In aereo abbiamo accanto una ragazza norvegese che si sta recando in Italia per seguire un corso di pittura all’Accademia d’arte di Firenze. Abita nel nord del paese, a Bødo, dove insegna letteratura norvegese in una scuola equivalente alle nostre scuole superiori. Anche durante il tragitto in treno dall’aeroporto di Pisa a Firenze parliamo a lungo della Norvegia, dei loro usi e costumi, delle rispettive culture, dei rispettivi pregi e difetti e alla fine ci scambiamo gli indirizzi di posta elettronica. Come nei film di successo, nei quali già in fase di produzione si prevede un seguito della storia e quindi si chiude la vicenda con un’anticipazione su quello che sarà lo sviluppo successivo, così si chiude la nostra avventura nordica: già fermamente intenzionati a dedicare un viaggio futuro alla Norvegia settentrionale (Capo Nord e Isole Lofoten soprattutto), veniamo rinforzati nella nostra convinzione da un causale incontro con un’abitante del nord, che potrà essere un prezioso punto di riferimento in un viaggio futuro. Non potevamo chiedere un miglior arrivederci alla fascinosa, sorprendente Norvegia. Mauro (maurocorz@yahoo.it)