Vietnam & Cambogia un’avventura a 50Km orari!
(mia) Abbiamo deciso per questa destinazione una sera davanti al computer, intenti a trovare un’offerta valida per il Messico. Si, all’inizio era questa la destinazione, i colori caldi e i resti Maya del Messico.
Con una mappa tridimensionale del mondo aperta davanti a noi giochiamo sulle possibili destinazioni di viaggi che avremmo fatto nella nostra vita…E il dito si ferma lì…Su una striminzita striscia di terra asiatica che alla mente porta vegetazione lussureggiante, il Mekong, la metropoli di Saigon, le guerre, i buddha, i templi e il caos dei mitici scooter di 8 milioni di persone che viaggiano uno stretto all’altro.
Avevamo appena cambiato idea.
Cerchiamo le compagnie aeree che viaggiano su queste tratte e tra le tante quella che ci convince è la Qatar Airways. Il volo è economico e la compagnia, una delle migliori, ci mette a disposizione la possibilità di scegliere i posti e il menù. Prenotiamo il volo.
Il 18 di giugno prendiamo l’aereo da Malpensa alle 20:30.
Il viaggio è stato piacevole, la classe economica è trattata in maniera eccellente.
Ci regalano il “kit da sonno” (calzette, tappi per orecchie,mascherina, spazzolino e dentifricio) in un comodo marsupietto, i vari pasti vengono annunciati da un aperitivo con tovaglietta e menù in cartoncino per poter scegliere tra diversi tipi di cibi e bevande.
L’arrivo a Ho Chi Minh city (Saigon) è previsto per le 19 di sera del giorno dopo, 15 ore e 50 di volo. Sarà un viaggio lungo che anche questa volta ci porterà in una terra lontana e talmente diversa dalla nostra da far “eccitare il sangue”.
Riposati per la dormita tirata fino all’atterraggio, ci prestiamo al ritiro dei bagagli e cambiamo qui i nostri dollari con moneta locale.
All’uscita dell’areoporto ci investe un vento caldo umido che ci accompagnerà costante per tutta la vacanza e le finestre si aprono su un mondo di luci che trasporta un flusso caotico di rumori e odori pungenti, alternati dai visi sereni di questi abitanti.
Il taxi, ci porta all’albergo prenotato poche ore prima della partenza, il Liberty 4, in pieno centro e naturalmente nel pieno caos di Ho Chi Minh.
Ricollego la miriade di motorini che viaggiano su queste strade larghe ma affollatissime, alle vincite dei Mondiali di casa nostra. Quando tutti in sella dei motorini ci si accalca per le strade ci si tocca continuamente, strombazzando all’impazzata con suoni di clacson impensabili.
Questa a prima vista è Ho Chi Minh…8 milioni di abitanti che si spostano su motorini alla velocità di 50 km orari.
Ci sono continuamente incidenti, piccoli tamponamenti a causa del guidatore che davanti ad un altro frena senza motivo…Ma non ci si ferma, basta fare una smorfia di disappunto, si raccolgono i cocci e si riparte. Il traffico è tanto, il tempo è poco e Saigon è troppo grande e incontrollabile per perdere tempo in leggi che non vengono prese in considerazione.
La nostra idea di affittare uno scooter vacilla un pò.
Veniamo affascinati dai visi vietnamiti che ci scrutano, sono incuriositi dai nostri abiti , dalla collana che ho al collo e solo per il fatto che ci vedono chiaramente turisti ci toccano continuamente per attirare l’attenzione sulla frutta che portano sulle spalle, per chiederci l’elemosina mentre su tavole di legno con rotelle si trascinano corpi mutilati dalla guerra che questo paese ricorda continuamente.
Per cena andiamo in un tipico ristorante vietnamita e conosciamo Larry, un inglese che da anni abita qui e con un velo di malinconia ci parla della sua madre patria Inghilterra, la paragona trovando pregi e difetti al Vietnam, paese che lo ospita. Ci svela aneddoti e curiosità su questo posto che è ora la sua casa e del quale si è perdutamente innamorato. Alla fine lascio Davide e Larry che parlano di Triumph, Ducati e del mitico sorpasso che Valentino Rossi aveva fatto pochi giorni prima a Barcellona! Rifletto su quanto sia meraviglioso parlare lingue diverse, appartenere a diverse culture, raccontarsi di gioie e dolori, di vite segnate da decisioni importanti o meno e poi ridere trovandosi d’accordo su quanto di più spettacolare ci sia in un sorpasso motociclistico assistito davanti ad un televisore in momenti diversi e ai poli opposti di un mondo.
Torniamo in albergo stravolti dal viaggio, con la consapevolezza che il giorno dopo avremmo vissuto un po’ di quel Vietnam descritto da Larry.
20 giugno 2009 La mattina si preannuncia calda e con un’umidità pari al 90%. La pioggia sarà una conseguenza inevitabile.
La nostra prima preoccupazione giornaliera è quella di prenotare il volo per la Cambogia, destinazione Angkor e suoi meravigliosi templi in rovina. Andiamo nell’ufficio della Vietnam Airlines e prenotiamo solamente il volo di andata per il 22 e di ritorno con l’ultimo aereo per il 23, l’albergo lo riserveremo direttamente in loco. Paghiamo 650 dollari in due, molto meno di ciò che ci sarebbe venuto a costare prenotando da casa.
Oggi avremo molto da visitare di Ho Chi Minh, tra monumenti ed edifici dell’era coloniale francese e i caratteristici templi asiatici, decidiamo che affittare un motorino è la scelta migliore per godere di un po’ di refrigerio e muoverci con velocità tra un punto e l’altro di questa affollatissima metropoli. Per le strade la nostra attenzione si concentra sulla quantità e la varietà di ciò che i vietnamiti trasportano sui loro scooter.
Due seggiolini per il trasporto dei cani, un’intera famiglia completa di tre bambini, una cucina viaggiante con offerta di uova sode in velocità, televisori lcd, materassi, ferri da solette di case in costruzione, una Vespa rottamata e ancora tanto altro che grazie alle mie foto farò sorridere i parenti.
Tutto questo prendendo il semaforo come consiglio.
Questa mattina, però, siamo positivi e ci adegueremo alle “non regole” della strada.
In Vietnam si contratta il prezzo di ogni cosa, il fatto che siamo turisti inequivocabili, dà loro modo di chiedere cifre diverse da quello che in realtà valgono prestazioni o prodotti quindi un buon allenamento ci si presenta con l’affitto del motorino. Troviamo un accordo sulla cifra di 6 dollari al giorno per un Sym di nome Attila e due scodelle come caschi che ahimè avranno indossato centinaia di volte.
Ci prestiamo subito alla strada e con un’ilarità contagiosa ci catapultiamo nelle rotonde affollatissime per le quali, al nostro arrivo con il taxi, avevamo provato un certo timore nel figurarci motociclisti.
Come tutte le situazioni di vita, viverle è diverso da assisterle.
Non usando le frecce diventa difficile crearsi un varco e far capire agli altri la direzione scelta. Impariamo subito che è quello davanti a noi, che ha la precedenza.
Nessun ripensamento, ridacchiando decidiamo che quelli dietro si adegueranno. Non è poi così spaventoso, anche se ci tamponano qualche volta e se indugiamo nel girare a destra oppure sinistra prendendoci quei secondi di tempo per capire la giusta destinazione. Poi superandoci ci passano davanti, capiscono che siamo turisti e ci lasciano con un sorriso consolatorio.
Visitiamo un animatissimo mercato alimentare all’aperto, la carne, il pesce e la verdura navigano nell’acqua piovana che ha cominciato a scendere in un flusso costante e incessante, ma gli ambulanti e gli stessi clienti continuano il loro mercanteggiare.
Anche se il nostro vagare in motorino trascinati dal traffico indisciplinato ci ha portato lontani dalle nostre primarie destinazioni, alla fine della mattinata troviamo il Rex e il Caravelle Hotel famosi per la loro ubicazione centrale e per il tributo che diedero nella guerra del Vietnam.
Affascinante anche la Posta, nella quale ci ritagliamo un attimo di riposo sulle panchine in legno dell’entrata, rinfrescati dai ventilatori appesi al soffitto.
Il volto sereno di Ho Chi Minh nel grande ritratto che sovrasta l’interno dell’edificio, scruta i movimenti dei turisti e degli stessi impiegati che con le loro divise sorridono e si prestano disponibili a tutti.
A pochi passi da noi e in tutto il suo splendore fa bella mostra di sé e il Notre-Dame con la statua della Madonna costruita in Italia. Ci spostiamo verso il Museo di Guerra improvvisato a tale scopo in un edificio bellissimo che è scenografia di fotografi e sposi. Per sdrammatizzare il disagio che creiamo l’uno all’altro con i nostri continui spostamenti davanti e dietro le loro sorridenti pose statiche, decidiamo anche noi di fare di questi novelli sposini il nostro obiettivo fotografico. Si divertono a questo gioco e le spose vestite di rosso, arancio o viola, si fanno immortalare con sorrisi compiaciuti al pensiero di essere ricordate anche nel nostro book di scatti.
Riprendiamo il nostro fedele condottiero che ci regala un venticello fresco, dato che ha smesso di piovere ed è tornato un crudele caldo umido.
Ci dirigiamo verso la Pagoda dell’imperatore di Giada che con i suoi tetti sovrapposti ne fanno un capolavoro elaborato di dragoni e piastrelle verdi di ceramica. E’ un labirinto di stanze adibite alla consacrazione delle donne, al Re degli Inferi, al rifugio delle tartarughe e ad un insolito altare dedicato alla madre dei Buddha. Immortaliamo l’insolita sorveglianza dei guardiani che davanti ad ogni porta sono caduti in un sonno pesante e non si scompongono al passare dei turisti, rimanendo stravaccati sulle sdraio allietati da ventilatori davanti ai piedi scalzi.
Ci spostiamo da questa zona per dirigerci dalla parte opposta di Saigon, per strada incontriamo il celebre mercato di Ben Thamb dove assistiamo vagabondando in cerca di occasioni al mercanteggiare dei commercianti che decantano i loro articoli attirando l’attenzione dei passanti. Respiriamo un’atmosfera di grande energia e vivacità in questo importante emporio commerciale lasciato dai francesi che chiamarono Les Halles Centrales, caratterizzato da una torre con orologio che domina la piazza circostante.
Continuiamo verso la nostra destinazione, il quartiere cinese di Cholon per scoprire le meraviglie della Pagoda di Thien Hau con le sue stupende sculture intagliate che ritraggono scene di vita marinaresca , grandi incensieri che diffondono fumi fragranti e pareti di preghiere che grazie al vento, che le farà svolazzare, saranno presto esaudite dal Dio Thien Hau. Il silenzio di questo luogo, immerso nel traffico cittadino del quartiere cinese, allieta le nostre anime e ci concediamo una preghiera al loro Dio aspettando che i fumi degli incensi, che teniamo in mano, arrivino alle sue orecchie.
Dopo tutto lo smog respirato e le sette camicie sudate, torniamo in albergo per un bagno turco e una sauna che l’albergo mette a disposizione per i suoi clienti e che ci restituisce le forze.
Per cena attira la nostra attenzione un ristorante all’aperto il 117 sulla Nha’ Hàng, per il suo non so che di occidentale con tavoli che hanno sopra tovaglie vere.
Pessima esperienza, di sera non servono acqua, non capiscono niente neanche indicando la foto della vostra scelta sul menù e soprattutto talmente desiderosi di mancia che ogni cameriere (e ce ne sono tantissimi) si apposta immobile fissandovi al vostro tavolo per tutta la durata della cena, spostandosi e servendovi ad ogni vostro respiro.
Non avendo mangiato nulla se non i pistacchi che ci hanno portato per aperitivo e un piatto in due, l’unico che ci hanno servito anche se ne avevamo ordinati due, ci fermiamo al 99 poultry…Pollo a volontà servito in tutte le maniere.
21 giugno 2009 Questa giornata l’abbiamo preventivamente dedicata alla visita di Cu Chi, i tunnel di guerra usati dai Vietkong che distano da noi più di 40 km. La guida studiata da casa ci consigliava di prendere un treno fino alla città e poi dirigerci in taxi fino al villaggio di Ben Dinh.
Il nostro Attila ci fa attraversare una buona parte di Saigon per trovare la stazione, non così facilmente individuabile. Dopo diversi pellegrinaggi lasciamo il nostro motorino all’entrata della GA SAIGON e prendiamo il numero di attesa per chiedere informazioni su quale treno dovremmo prendere. Sono le 8:30 del mattino, seduti sulle panchine in attesa guardiamo il nostro numero, 206.
Parte in quel momento la prima chiamata…Il n° 1.
Non posso crederci, va beh che sono tanti…
Comincio a guardarmi in giro per chiedere consiglio a qualche addetto della stazione. Le impiegate, che parlano bene l’inglese, mi spiegano che non ci sono treni che portano a Cu Chi, “forse” qualche autobus e che in definitiva mi conveniva affittare un taxi per tutto il tempo della visita. Questo villaggio è a Nord di Saigon, in piena giungla.
Troviamo una limousine, l’unica in zona stazione e ci accordiamo per la cifra di 40 dollari per portarci ai tunnel con attesa del tempo a noi indispensabile alla visita e ritorno alla stazione.
Il viaggio è stato comodissimo e la limousine… Beh era accessoriata di tv lcd, aria condizionata e sedili in pelle, l’autista di nome Tut si mostra gentilissimo tanto da fermarsi lungo il viaggio per comprarci due bottiglie d’acqua e due di the freddo. Ci sarebbero servite durante la visita, dice…
La cittadina di Cu chi è famosa proprio per la sua elaborata rete di gallerie, situate a circa 15 km dalla stessa, in un villaggio chiamato Ben Dinh. La visita guidata inizia da una sala conferenze, dove mappe e diagrammi mostrano l’estensione della rete. Un video in bianco e nero originalmente girato negli anni della guerra mostra il contributo di donne e uomini a questa difesa. Gli ospiti vengono poi condotti in un’area dove sono visibili le trappole esplosive e non, costruite con i resti di bombe americane inesplose o meno.
La guida orgogliosa, ci mostra con accuratezza le trappole costruite con materiali poveri ma così cariche d’ingegno e semplicità da farci aggregare alla sua composta fierezza. I vari trucchi usati dai Vietnamiti, per resistere al caldo e all’interminabile giornata che dovevano affrontare, si dimostrano curiosi e fa riflettere il ruolo che ha la Natura… ci dà tutto il necessario per vivere e allo stesso tempo sopravvivere.
Il nostro “Virgilio”ci mette alla prova nello scovare la botola che conduce ai tunnel, impossibile individuarla.
Spostando foglie e rami ci svela un piccolissimo buco nel quale ci invita a calarci. Tra le risa dei compagni di gruppo Davide mi fa lo scherzo di richiudermi dentro.
Per la prima volta in vita mia soffro di claustrofobia.
Il passo successivo è la visita dei locali di lavoro, come la stanza per l’assemblaggio delle munizioni, l’infermeria, la stanza per la creazione di divise e scarpe, le cucine e quant’altro possa servire per una vita sotto terra.
Per ultima, ma non meno importante, è l’attraversata di soli 40 metri, che in realtà sembravano un chilometro, nel tunnel sotto 10 metri di terra a quattro zampe e con un caldo da far svenire.
Per quanto i tunnel siano stati leggermente allargati, non è difficile per noi occidentali rimanere incastrati in qualche punto, molti turisti trovano ancora questo ricco passaggio di gallerie claustrofobico. Come da copione, Davide con i suoi 185 centimetri in altezza e abbastanza anche in larghezza rimane bloccato a pochi metri dall’uscita, lasciandomi dietro di lui ad infierire perché riuscisse a liberarsi…Avevamo bisogno d’aria e di acqua…Grazie Tut.
Alla fine della nostra interessantissima escursione la guida ci mostra i vari modelli di armi che sono state usate in guerriglia e per una cifra davvero ridicola ci comunica che possiamo sparare in un poligono improvvisato alle nostre spalle.
Vi confido che leggendo le varie guide sono stata attratta da questa possibilità unica nella mia vita di donna e da impiegata d’ufficio, ma dopo tutto quello che avevo visto e sentito sulla vita massacrante e dolorosa di questi abitanti, beh…Mi è sembrato un controsenso .
La nostra visita volge ormai al termine e ritornati verso la limousine, Tut ci riporta a Saigon.
Siamo stremati e completamente bagnati ma è stato bello toccare con mano quello che abbiamo potuto, fino al giorno prima, solamente ricondurre ai film come Full Metal Jacket, Hamburger Hill e tanti altri, visti e rivisti.
La fine della nostra giornata è nuovamente scandita dalla velocità di 50 km orari in questa Saigon che ha ancora molto da offrirci.
22 giugno 2009 Oggi è il nostro settimo anniversario di matrimonio, quando anni addietro amici e parenti mi sfottevano riguardo all’anno che avrebbe annunciato “crisi”, mi ero chiesta se sarebbe stato così temibile questo famelico settimo anno. Chi l’avrebbe mai potuto immaginare che al posto del mare come sfondo avrei avuto i meravigliosi e mistici templi di Angkor? Il nostro aereo decolla alle 11:40 e dopo meno di un’ora atterriamo a Siem Reap, niente bagagli, solo zaini con il ricambio per questi due giorni. L’aeroporto è molto carino, piccolo e ben tenuto con fiori e piante ai lati delle piste aeree. Il personale dell’immigrazione ci fa attendere per il visto che ci costerà 20 dollari a testa.
Rimaniamo in fila con altri turisti e consegniamo il passaporto e la tassa di entrata ad un primo addetto che prende i soldi e controlla il passaporto passando il tutto al collega seduto al suo fianco. Quest’ultimo ricontrolla il passaporto, si accerta che i 100 dollari siano veri e li passa a quello affianco. Il nostro passaporto continua a passare di mano in mano. A catena, mettono un timbro, poi un altro e così via. Ci danno il resto e attendiamo di essere chiamati con il nome di battesimo dall’ultimo impiegato dell’interminabile fila.
Riflettiamo sulle opportune modifiche che prenderebbe in considerazione il Ministro Brunetta!! Rientrati in possesso dei nostri documenti usciamo dall’aeroporto e cominciamo a figurarci una possibile soluzione da adottare per arrivare ad un albergo, nel centro città.
Ci propongono di “affittare un autista e un motorino” per ognuno. Avevo letto in precedenza di questa usanza poiché in Cambogia, per legge, non vengono affittati motorini o macchine a turisti.
I nostri due amici cambogiani ci conducono nel centro di Siem Reap, ma intanto beneficiamo di un paesaggio diverso da ciò che in questi giorni eravamo abituati a vedere. C’è molta povertà, molto verde, mucche al pascolo libere per la strada, tantissimi bambini che giocano con rami o semplicemente rincorrendosi. Case diroccate, di legno, cani liberi e persone che anche qui nonostante non ci sia l’inquinamento di Saigon sono completamente coperte in viso per proteggersi da questa loro terra rossa che invade strade asfaltate e che si respira in ogni dove.
I nostri conducenti bagnati fradici dalla pioggia ci portano in un alberghetto nel centro città. Il The King Angkor. Non lo consiglio, facendosi un giro per strada sicuramente avremmo trovato di meglio, per la stessa cifra.
Lasciamo qui i nostri bagagli, niente cambio tanto fuori piove a secchiate e abbiamo fretta di arrivare ad Angkor per iniziare la visita dei templi che durerà due giorni. Il biglietto complessivo di tre giorni (scelta possibile 1 o 3 giorni) costa 40 dollari a testa, e dopo una foto riconoscitiva stampata sul tesserino siamo pronti all’esplorazione.
Angkor Wat, nell’antica capitale Khmer, è senza dubbio una delle più spettacolari meraviglie che il mondo ci offre. La prima sensazione che mi attraversa è di maestosità… ciò che ho davanti oltre ad essere imponente mi fa sentire sorprendentemente piccola.
E’ un luogo incantato di immensa importanza archeologica, il verde di queste calde pianure avvolge i templi e ne esalta la bellezza trasportando i visitatori in un luogo fatato dove si respira ancora gloria e grandiosità.
L’ingresso è trionfale e incredibilmente panoramico, la lunga strada rialzata tutte buche e pozzanghere sovrasta risaie ben curate da un lato e un fossato di acqua dall’altro, dove i bambini si tuffano per scongiurare il caldo che imperversa anche se accompagnato dalla pioggia.
Questo importante sito kmer è il singolo monumento religioso più grande del mondo, il suo significato “città che è un tempio” può far immaginare solo in parte la sua effettiva maestosità. All’interno del suo nucleo svetta la residenza degli dei che è centro dell’universo, le pareti esterne tengono a riparo la mitica residenza e rappresentano i confini del mondo, il fossato l’oceano cosmico. Ovunque spiccano scene di guerra e danzatrici apsara che con le loro movenze seducenti accompagnano il perimetro dell’enorme complesso.
Insolito il fatto che questo meraviglioso tempio sia rivolto verso il sole calante che è simbolo di morte.
Stanchi e affamati pranziamo alle 15:00 passate in un ristorante turistico nei pressi dell’entrata principale e giochiamo con delle scimmie che si riparano dalla pioggia sotto gli ombrelloni del ristorante e nei tuk-tuk lasciati incustoditi.
La prossima e ultima meta odierna è Phnom Bakheng, antico complesso di templi che si eleva su una collina di 70 metri circa dalla quale ammirare la vicina Angkor Wat e, se non stesse ancora piovendo, un meraviglioso tramonto.
Qui, erette su terrazze e in altezza, un tempo c’erano 109 torri, la maggior parte delle quali sono andate distrutte. Per arrivare alla cima abbiamo dovuto scalare una ripida e dissestata sequenza di scalinate composte di gradini in pietra, ma una volta raggiunto l’obbiettivo, il panorama mozzava il fiato.
Rimaniamo qui, bagnati e stanchi… Avevo le calze dentro le scarpe da ginnastica completamente zuppe, i pantaloncini di jeans si erano fatti pesanti per tutta l’acqua che avevano assorbito e anche se la pioggia continuava a imperversare decidiamo di sederci in un punto rialzato rovinosamente rimasto in piedi per godere di una visuale indimenticabile. Dopo la breve scalata rimaniamo stretti a goderci un panorama stupendo e ridendo ci auguriamo altrettanti 77 anni da festeggiare in questo modo.
Ritorniamo dai nostri pazienti amici, che come noi sono bagnati da capo a piedi, per farci riportare in albergo; dove, ci saremmo fatti un’altra bella doccia… calda questa volta! Dopo la cena in un ristorante indiano nel centro di Siem Reap facciamo un giro nel mercato notturno di questa piccola città che accoglie molti turisti ogni anno ma che mantiene tutti i tratti tipici di una cittadina cambogiana immersa nel verde e nella terra rossa.
Per strada prendiamo accordi con un conducente di Tuk-tuk…I famosi baldacchini forniti di divanetti trainati da motorini. Se domani pioverà ancora, almeno saremo al riparo.
23 giugno 2009 Il nostro nuovo amico Polin viene a prenderci sotto l’albergo alle 8:00, oggi sarà una giornata più ricca di esperienze.
La giornata è caldissima, afosa e ciclicamente umida ma il tuk-tuk è confortevole, l’autista ci fa anche da guida competente e ci anticipa ciò che vedremo, le leggende e i miti che fanno di questo posto un paese incantato.
Angkor Thom è la prima tappa e si estende per quasi 10 km quadrati. Negli anni del suo maggior splendore questo immenso complesso contava circa un milione di abitanti, ha cinque porte ornate da elaborate sculture che ne controllano il perimetro.
Passiamo attraverso la porta meridionale attraversata ai lati da 154 statue alle prese con serpenti giganti e la porta; questa colossale struttura di 23 metri è sormontata da una triplice torre con quattro enormi facce di pietra in corrispondenza dei punti cardinali.
Il Bayon è un tempio molto caratteristico per via degli enormi volti calmi e sorridenti scolpiti sulle torri che sovrastano il cielo. Un silenzio quasi irreale fa di questo posto una meraviglia per gli occhi e per lo spirito e lo scenario si arricchisce di significato quando, seduti in angoli tranquilli, scoviamo in preghiera i monaci vestiti d’arancio.
Il Bauphon a forma piramidale rappresenta il Monte Meru, la sede degli dei. All’interno, disteso e con faccia sorridente un Buddha gigante guarda la vegetazione fitta che lo circonda. Una delle caratteristiche del punto in cui ci troviamo è che ci si può perdere tra i vari passaggi in mezzo ad alberi secolari, godendo di uno scenario rimasto sospeso nell’atmosfera religiosa alla quale questa parte di mondo fa riferimento.
Il Phimeanaks è famoso più per la sua leggenda che per la maestosità della costruzione. Noto con il nome di Palazzo celeste era associato al mito secondo il quale nella torre dorata che sorgeva nel mezzo, risiedeva un serpente a nove teste che apparve al Re sotto forma di donna; la vista della quale si può godere al vertice delle sue terrazze è mozzafiato.
Degna di nota, anche la Terrazza del Lebbroso e quella degli Elefanti con una statua del Re affetto dalla malattia sulla prima, ed elefanti quasi a grandezza naturale nella seconda.
Preah Neak Pean è un tempio immerso nel verde tanto insolito quanto affascinante, è un piccolo santuario costruito in mezzo a quattro stagni artificiali, alla sommità di ogni stagno si ergono quattro teste; una di uomo, una di leone, una di cavallo e una di elefante, dalle quali fuoriusciva acqua sacra. Questo tempio era anticamente dedicato ai fedeli buddisti che venivano a chiedere consiglio ai monaci, i quali in base alle risposte indicavano ai fedeli lo stagno nel quale avrebbero dovuto bagnarsi.
Ultima tappa di questo nostro trasferimento in Cambogia è il tempio Ta Prohm, mitica scenografia di Tom Raider.
Senza dubbio questo monastero è il più evocativo di Angkor. Le costruzioni del tempio sono soffocate dalle radici dei giganteschi alberi di cotone e l’atmosfera che circonda questo sito è di puro mistero. Gli stretti passaggi della struttura e gli enormi alberi proteggono questo sito archeologico dal sole tropicale conferendo al tutto un non so che di magico e assolutamente surreale. Qui gli scatti si sprecano cercando i immortalare ogni punto meravigliosamente sistemato tra verde e rovine; mi faccio spazio in mezzo ai visitatori che come noi rimangono affascinati dai secolari arbusti che con le loro radici percorrono metri e metri sotto terra e sbocciano all’interno di queste rovine distruggendo ogni cosa.
Mai la distruzione della natura avrebbe potuto essere più affascinante.
La nostra visita volge ormai al termine, abbiamo ancora tempo per qualche souvenir cambogiano e in attesa che arrivi l’orario della partenza vaghiamo per le strade di Siem Reap, perdendoci nei suoi mercati e nelle sue strade brulicanti di monaci e bambini.
Dopo un’ora di volo atterriamo nuovamente a Saigon, qui ceniamo in un bellissimo locale all’aperto il MilWakey Grill.
Finalmente comodi e un po’ più rilassati riguardiamo tutte le foto scattate ad Angkor e ricordiamo i momenti rubati ad un luogo magico che per quanto in rovina rimarrà nei ricordi e nel cuore di chi per poco lo ha vissuto.
24 giugno 2009 Questa giornata è nuovamente dedicata a Saigon e sempre in compagnia del nostro scooter vaghiamo per la città spingendoci al limite dei distretti visitati abitualmente dai turisti.
Ritorniamo nel centro nevralgico di Ho Chi Minh che punta molto sulla via affollatissima di Dong Khoi con i suoi mega centri commerciali e boutique alla moda degli hotel Caravelle e Rex. I nostri marchi nazionali vengono venduti al doppio, i turisti o Vietnamiti che possono permetterseli pagano il lusso davvero caro.
Facciamo un salto al mercato di Tan Dinh per comprare i famosi cappelli a cono e visitiamo la pagoda di Xa Loi, il tempio indù di Mariamman, la pagoda di Vinh Nghiem con i suoi otto piani e per ultimo ci spingiamo verso il tempio del generale Le Van Duyet, unico tempio dedicato ad un eroe nazionale anziché a divinità o religioni. In questo santuario dove i fedeli pregano un mortale si ufficializzano impegni senza ricorrere a notai.
Durante la giornata abbiamo prenotato l’escursione con autobus nel delta del Mekong tramite l’agenzia Shin Cafè. (la consiglio date le cifre più eque per ogni tipo di escursione, in riferimento alle altre agenzie prese in considerazione) Per cena optiamo per il sushi e troviamo in un ristorante molto bello con vista sulla bellissima piazza del Teatro Municipale e ci concediamo uno scorcio di traffico notturno…Per nulla diverso dalle ore in cui in caldo si sfogava su di noi.
25 giugno 2009 Ci svegliamo presto e raggiungiamo il nostro gruppo alle 8:15 presso lo Shin Cafè per l’escursione sul Delta del Mekong. La nostra visita guidata toccherà i villaggi di My Tho e Ben Tre.
Dopo due ore di viaggio su un’autobus dal quale assistiamo alle varie tipologie di paesi e città che attraversiamo durante il nostro tragitto, ci fermiamo ad una stazione di battelli e comincia da qui il nostro navigare su questo larghissimo fiume tanto limaccioso quanto fertile che nasce in Tibet e si snoda per 4500 km raccogliendo limo da Cina, Myanmar, Thailandia, Laos e Cambogia prima di dividersi negli emissari, “i 9 dragoni”, che bagnano il Vietnam e al quale concedono il privilegio di essere un grandissimo produttore di riso e frutta.
Dopo il periodo di navigazione ci fermiamo nella piccola isola di Phoenix per un pranzo vietnamita e dove volendo si può assaggiare il famoso pesce gatto, grosso in realtà come un cane ma così brutto da non essere per niente invitante.
Ci spostiamo a piedi verso una piccola fabbrica di dischi di riso e ne facciamo scorta, riprendiamo la navigazione alla volta di un’altra piccola isola, dove ci offrono una merenda a base di frutti tropicali e the caldo con sottofondo musicale di cantanti originari di queste isole accompagnati da un’orchestrina che suona strumenti fatti a mano.
Alla fine di questo piccolo concerto squisitamente locale e dopo aver lasciato meritate mance ripartiamo verso il fiume questa volta a dorso di cavalli che, con pazienza, ci trasportano ad un piccolo molo dove sono attraccate le leggendarie barchette di legno.
La destinazione è il molo di attracco della nostra barca e per raggiungerla remiamo parecchio attraversando piccoli e stretti canali sfiorando l’acqua marrone di questo immenso e potente fiume che ospita intere generazioni di uomini, donne e bambini che contribuiscono a rendere le sue terre coltivate a risaie la principale fonte di reddito di tutto il Vietnam.
Il ritorno in autobus è parso più breve anche perché tutti i passeggeri, dopo il caldo e la fatica, sono stati rapiti da una rigenerante pennichella. Me compresa.
26 giugno 2009 Ultimi momenti di questa nostra avventura in Vietnam.
Girovaghiamo quasi tutto il giorno sul nostro Attila che ci ha accompagnato in ogni angolo, voluto o meno, di questa metropoli in continuo fermento. Assistiamo ancora e per l’ultima volta a tutto ciò che ci fa sorridere di questa popolazione incuriosita dai nostri tratti occidentali, che viaggia coperta da capo a piedi per lo smog e contro il sole, al sistematico cambio di bel tempo alternato da pioggia senza mai far calare l’umidità. Viviamo per l’ultimo giorno questa “Parigi d’Oriente” nella quale convivono vecchio e nuovo, terra di uomini e donne sorridenti che si impegnano nel ribadire che il Vietnam è “una nazione, non una guerra”.
Scambiamo discorsi con i passanti che ci fermano per proporci ogni cosa in vendita e al momento di sapere che questo è il nostro ultimo giorno nella loro patria, ci chiedono quando torneremo a fargli visita e ci salutano augurandoci Good Luck …Con il solito sorriso immenso.