Quando tornero’ veramente dal messico
Lasciata Città del Messico visitiamo il sito di Xochicalco e poi Taxco e Cuernavaca, e arriviamo a Teotihuacan il mattino seguente, quando il sito è ancora deserto e possiamo goderci lo spettacolo delle piramidi del Sole e della Luna in tutta tranquillità. I compagni di viaggio sono piacevoli e il gruppo trova presto l’affiatamento necessario ad affrontare le fatiche e gli imprevisti del viaggio. Saliamo sulle piramidi per godere il maestoso panorama e tentiamo di familiarizzare con la cosmogonia religiosa preispanica, complessa ed affascinante, incentrata sul culto del Sole come atto primo della creazione. Quetzalcoatl, il serpente piumato e dio della vita, sarà nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere per il resto del viaggio.
Lasciamo i dintorni della capitale e ci trasferiamo nel Chiapas. Nei pressi di Tuxtla-Gutierrez scendiamo a bordo di una lancia lungo il Canyon Sumidero, dove ammiriamo i caimani grigi pigramente adagiati sulle rive e l’Albero di Natale, una parete rocciosa erosa da una cascata di 800 mt e ricoperta di muschio.
Nel Chiapas vivono gli ultimi discendenti dei maya e molti di loro non parlano spagnolo. Il Chiapas è la regione più povera del Messico ma San Cristobal mi resterà per sempre nel cuore, con le sue coloratissime case e chiese, con i colori urlanti del mercato, dove le donne riescono a venderci una quantità industriale di variopinte cinture ma si nascondono se tentiamo di fotografarle. Nei dintorni di San Cristobal, a San Juan de Chamula, entriamo in una chiesa dove le famiglie pregano sedute per terra su di un tappeto di aghi di pino, decine di candele accese incollate al pavimento, bottiglie di pepsicola per espellere le energie negative con l’aiuto dell’anidride carbonica e galline cui tirare il collo in sacrificio alle divinità. Il tutto circondati da statue di santi cristiani, in una convivenza pacifica tra paganesimo e cristianesimo d’importazione.
Di ritorno a San Cristobal ci attende lo straordinario incontro con Sergio Castro Martinez, un agronomo che anni fa ha deciso di dedicare la sua vita ad aiutare gli indios del Chiapas e che ha trasformato la sua casa in un museo, che raccoglie costumi tipici delle varie etnie, strumenti di lavoro, armi. Il dottor Martinez ci offre, oltre ad alcuni deliziosi pasticcini, un’interessante lezione di antropologia corredata di diapositive, che documentano il suo impegno a favore dei deboli, degli emarginati, dei poveri e dei malati.
Piano piano prendiamo confidenza con il cibo messicano ed ogni sera il guacamole e i nachos hanno il posto d’onore sulla tavola del ristorante che scegliamo di volta in volta con una certa cura, essendo la cena l’unico pasto che consumiamo con la dovuta calma (e il dovuto appetito) dopo intere giornate trascorse a visitare siti e città sotto il sole cocente. Solo un paio di volte la nostalgia di casa ci induce a scegliere la pizza, ma dopo averla assaggiata concludiamo con il più scontato dei luoghi comuni: meglio preferire il cibo locale.
Prima di lasciare il Chiapas per dirigerci verso lo Yucatan visitiamo le stupende cascate di Agua Azul e Misol-Ha e l’imponente sito maya di Palenque, ai bordi della giungla lacandona. Qui i tarzan del gruppo si lanciano con le liane procurandosi escoriazioni che, seppure di lieve entità, hanno il sapore dell’avventura. Giungiamo a Campeche, ridente cittadina sull’omonimo golfo e passeggiamo dopo cena lungo il malecòn. Dopo la visita ai siti minori di Edznà, Labnà e Uxmal, dedicato a Chac, il dio della pioggia, che vediamo ovunque scolpito con il suo naso a becco, arriviamo a Merida, città coloniale molto bella, con una piazza centrale animata da musica e spettacoli la sera, ma che al risveglio si presenta in tutta la sua indolente tranquillità e ci sorprende con un’ottima colazione a base di muffins e cappuccino. Il sito maya di Chichen Itzà è molto più maestoso di quanto avessi immaginato. Trovarmi di fronte al Castillo, la piramide dedicata al Sole, e salirci, è un’emozione fortissima. Dopo aver visitato il cenote sacro, pozzo naturale collegato alla falda sotterranea d’acqua che rendeva possibile la vita qui, acquisto delle ciotole di ceramica coloratissime ed un simpatico sombrero che ora campeggia fiero sulla parete del salotto.
Da Chichen Itzà ci dirigiamo verso Tulum per un paio di giorni di totale relax. Tulum è l’unica città maya costruita in riva al mare, ed è un mare davvero splendido. La spiaggia si estende verso sud per svariati chilometri di coste non edificate ed il panorama è di una bellezza ineguagliabile. Visitiamo la fortezza da cui i maya avvistarono le prime navi spagnole agli inizi del XVI secolo e per la notte ci sistemiamo nei bungalow sulla spiaggia, da cui godiamo uno spettacolare tramonto, seguito da una cena a base di pesce e dell’ormai irrinunciabile guacamole. Dopo cena torniamo in spiaggia al buio e con alcune torce tentiamo di avvistare le tartarughe… gli unici rettili che riusciamo a vedere sono i gechi spalmati sulle pareti dei bungalow. Il clima a Tulum è caldo, ma una soave brezza mi solleva e mi fa sentire leggera. L’alba l’indomani è di una bellezza incantevole e verso le sei qualcuno scende in spiaggia per arrampicarsi sulle palme e portarci del cocco fresco per colazione. E io penso che vorrei restare qui per sempre.