Tibet: quel che rimane del tetto del mondo
Altitudine. Dai 3.670 metri di Lhasa in su l’altezza si fa sentire soprattutto negli sforzi intensi e brevi, come salire le scale ripidissime di un tempio. Il primo giorno conviene acclimatarsi, camminare tranquilli e bere acqua. Solo i cinesi girano con le bombolette con ossigeno che sembrano thermos per il caffè.
Sole: fortissimo. Imparato dai tibetani a coprirmi sempre il capo.
Traffico: Le regole sono ignorate dai guidatori locali. Non ci sono strisce per terra, precedenza a destra, semafori che contano. Le auto fanno quello che vogliono. Acqua. A differenza della Cina l’acqua del rubinetto “dovrebbe” essere potabile, ma meglio non fidarsi.
Cibo. Con tre euro si mangia e si beve tanto e di ottima qualità (cucina tibetana o nepalese o cinese). Perché quindi comprare pacchetti turistici inclusivi dei pasti che l’agenzia turistica farà pagare almeno 20 €? Meglio andare direttamente al ristorante. Anche se il posto è povero di arredo il cibo è sempre buono, ovunque.
Guida. Non è facile trovarne una che parla un inglese comprensibile. Un colpo di fortuna trovarne una che sia proattiva. Hotel. Sono stato solo nei 4 stelle, cioè nei migliori, ad un prezzo per camera doppia inferiore a € 70. Gli hotel, cinesi, sono ottimi, compreso il cibo. Pessimo il personale: antipatico, con atteggiamento scostante, al di là del solito sorriso “alla cinese” (cioè falso). Non pensate di trovare qualcuno che spiaccica una parola d’inglese alla reception. Se avete dei problemi ve li dovete risolvere da soli.
Tour Operator. Perchè pagare almeno il 30% in più ad un tour operator italiano quando ci si può rivolgere direttamente, via Internet, ad uno tibetano o cinese? Il viaggio aereo si può prenotare e pagare dall’Italia sempre via internet, risparmiando almeno il 10% di provvigioni all’agenzia viaggi.
Viaggio di gruppo. Quelli italiani si distinguevano per il chiasso che facevano. Chi li conosce se ne sta ben lontano.
Strade. Quelle verso le principali città del Tibet (che sono molto poche) sono in ottimo stato. Molti i posti di blocco della polizia, anche per controllare la velocità. Non ci è mai stato chiesto di esibire i passaporti, è bastata un’occhiata alle nostre facce da occidentali (uguale dollari) per farci passare. Traffico pesante, soprattutto camion, attorno a Lhasa.
Temperatura. Anche oltre i 4000 m durante il giorno fa molto caldo. Alla sera mai messo il maglione.
Estate. E’ il periodo delle piogge (violente). E quando piove i fiumi straripano allagando la strada e creando problemi alla circolazione.
Insetti e zanzare. Neanche l’ombra.
Tibetani. Non c’è possibilità di dialogo perché non c’è nessuno che parla inglese. E anche se si trovasse qualcuno difficilmente vi direbbe cosa ne pensa degli “amici” cinesi perché è pieno di spie. Parlar male dei “liberatori” significa botte prima e galera poi. Acquisti. Ci sono alcune fabbriche artigianali di ottimi tappeti di lana (meglio di yak) con prezzi molto favorevoli, trattando. Sono bellissimi i tangka, disegni coloratissimi su pelle o carta di riso, di mandala o scene religiose. Se comprate un oggetto di vero antiquariato ricordate che è stato rubato dai cinesi ad un tempio tibetano, massacrando i monaci. Ma per amicizia. Treno Lhasa-Beijing. Superare i 5000 metri di altitudine è un’esperienza da fare con questo treno, “gioiello della tecnologia cinese”. Il “soft seat”, nonostante il nome, è una cuccetta a quattro comodi letti. Il problema è che nella prenotazione l’agenzia favorisce sempre i cinesi così un gruppo o una coppia può essere divisa tra vari scompartimenti. Il treno è nuovo ma dopo un’ora di viaggio i servizi igienici sono già da apnea. Il personale non parla assolutamente inglese, non vi è di aiuto e vi ignora. Nel ristorante fumano tutti, il cibo, a guardarlo, sembra decente. Vendono anche pacchetti confezionati di riso con verdure e un po’ di carne, un po’ meno invitanti. Quindi è meglio portarsi da mangiare per i giorni trascorsi a bordo, tre fino a Beijing. Il tempo scorre velocemente perchè il paesaggio è uno spettacolo, anche una volta passati in Cina, e la notte si dorme bene sui lettini grandi. Sperando che non ci sia qualche cinese che scatarra rumorosamente per tutta la notte. Il che è la norma.
Sputi. L’usanza praticata da tutti i maschi tibetano (ma in Cina è lo stesso) è di pulirsi la gola con un rantolo agghiacciante e poi sputare per terra il catarro raccattato dalle profondità della trachea. Dal momento che quasi tutti soffrono di bronchite cronica tosse e sputi sono molto comuni.
Cinesi. Dopo aver occupato il Tibet nel 1950 devastando 6.000 templi e massacrando 1,2 milioni di tibetani stanno attuando ora un raffinato completa annichilimento della cultura e storia locale. I grandi eventi religiosi pubblici sono vietati (ad es. Il Monlan Chen, la grande festa religioso che raccoglieva a Lhasa oltre 20.000 monaci per il festeggiamento del capodanno tibetano), l’accesso alla classe monacale è limitato e controllato, a scuola si studia la storia del vittorioso comunismo cinese e non più quella locale o il buddhismo, la televisione martella programmi e spot cinesi addirittura peggiori di quelli che vediamo in Italia, la classe dirigente è cinese, la classe media è anch’essa cinese. A Lhasa su 200.000 abitanti oltre 50.000 sono cinesi, attirati in Tibet da stipendi raddoppiati, alloggi ad hoc e vantaggi fiscali. La cultura e religione tibetane andranno a scomparire perché le nuove generazioni hanno come modelli di riferimento quelli imposti dalla scuola (cinese) e dalla televisione (cinese). Man mano che vanno a morire gli anziani, muore anche (e per sempre) la cultura tibetana.
Esercito di occupazione, pardon, di “liberazione” cinese. In Tibet ci sono oltre 200.000 soldati cinesi, un vero e proprio esercito che fa da forza di dissuasione nei confronti di ogni tentativo di espressione autonomista. A Lhasa, a guardia di ogni strada di accesso alla città, ci sono immense caserme formicolanti di soldati. Lungo la ferrovia che conduce in Cina, ogni 3-5 km in territorio della Tibet Autonomous Region, c’è un soldato cinese che fa la guardia (agli yak?). Quando passa il treno, si pone sull’attenti guardando, serio in volto, il nulla.
Sicurezza. Nessun problema, però sempre prestando la massima attenzione alle persone che ti sono attorno e ai luoghi da visitare.
Polizia. Non vi passi per la testa di esporre un’immagine del Dalai Lama: questa sarà strappata immediatamente da un poliziotto o da una spia in borghese e l’incauto finirà direttamente in prigione. Infatti in tutti i templi ogni immagine, foto, statua del Dalai Lama in esilio è stata accuratamente distrutta.
Bambini. Per lo più stanno a guardare timidi i turisti che puntano sui loro faccini sporchi i mirini delle loro macchine fotografiche. Ma ci sono anche quelli cinesizzati che vi rincorrono urlando “Money! Money!”. E se non vi fermate può arrivarvi da qualche ragazzino un bel “fuck you!”, questo sì pronunciato bene.
Visto di ingresso. Lo abbiamo ottenuto senza alcun problema attraverso il tour operator cinese. Bisogna mandare lo scanner del passaporto. Non è assolutamente vero che bisogna far parte di un gruppo per poter entrare in Tibet.
Conclusione: la natura e quello che resta dei monasteri sono stupendi, si vive (da turisti) bene, si viaggia facilmente (con auto, autista e guida), il cibo è abbondante e a costo contenutissimo. La storia, la cultura e la religione del Tibet “before the time”, come dicono i tibetano, cioè prima dell’invasione cinese, ne fanno un paese che lascia nel visitatore, un po’ consapevole, un segno profondo, indelebile. Ma mentre scrivo queste righe mi si riempie il cuore di tristezza e di amarezza al ricordo delle persone che ho incontrato, degli anziani che hanno subito le torture dei cinesi o dei bimbi che non potranno mai vivere in libertà.