Algeria: l’Hoggar
Partenza 24 Febbraio 2007, Rientro 5 Marzo 2007 Appunti di viaggio: Per il viaggio dei miei 40anni, ho pensato che visto si trattava del mese di febbraio/marzo voleva essere una meta che era consigliabile fare in quel periodo, così ho recuperato in un angolo della mia memoria una meta che mi era stata consigliata tanti anni fa da un mio compagno di viaggio, per l’appunto l’Algeria. Meta che molti mi hanno sconsigliata in quanto ritenuta pericolosa, ma io con il mio solito istinto ho sempre pensato che ci sono delle zone che con le dovute cautele (come d’altronde dappertutto) si possano visitare, (certo informandosi sulla situazione in quel momento) così alla meta: l’Algeria ed in particolare: L’Hoggar.
All’aeroporto di Roma conosco i miei compagni di viaggio e insieme partiamo per questa meta sognata.
All’aeroporto di Algeri effettuiamo il cambio di pochi Euro nella moneta locale: il dinaro algerino.
Il tasso di cambio è 1€= 91.91 per poi riprendere l’aero per la destinazione finale: Tamanrasset.
Arrivati alla sera a Tamanrasset dopo qualche ora di ritardo, ci vengono a prendere i nostri autisti Tuareg che rivedremo l’indomani per la partenza per il nostro viaggio .La notte pernottiamo all’Hotel Tahat. L’indomani carichiamo i Toyota e partiamo per un viaggio di 8 giorni con pernottamento in tenda nel deserto (che orgogliosamente montavamo io e Domitilla, la mia compagna di tenda). Quando decisi la meta ero un po’ preoccupata e mi domandavo se avessi resistito a non lavarmi bene (doccia) ma solo con una bacinella con un pò d’acqua e soprattutto i miei capelli avrebbero resistito tutti quei giorni senza poterli lavare, visto che a Torino (la città in cui abito) a giorni alterni li devo lavare? Con grande stupore quando fui lì verificai che il deserto non ti sporca, anzi ti senti più sporca dopo un giorno vissuto in città, tra smog, polveri sottili e quant’altro.
Il nostro tragitto è stato incantevole, ogni giorno c’era di che emozionarsi: da El Ghessour ;Tin Akasheker (dove ho festeggiato il mio compleanno con uno scenario incantevole, sembrava di essere nelle valle delle fate, e sia il tramonto che l’alba si creavano dei giochi di luce e ombra molto poetici. In quel momento ho pensato che non potevo festeggiare i miei 40anni in un modo migliore, poi sono stata anche molto fortunata perché i miei compagni di viaggio sono stati favolosi, l’intesa era perfetta e abbiamo riso tantissimo); Les Dalles (le piastrelle) dove ci sono delle incisioni rupestri; Ouadi Tin Tarabin ( grande oued che arriva fino al Mali e Niger, Tin =significa posto di, mentre Tarabin era una razza di dromedari che si chiamava così ora non c’è più, anche se negli anni serviva per indicare un luogo); Le Mort: così chiamata perché è una valle spazzata dal fiume che ha seppellito molte persone e nel tempo sono riemersi pezzi di scheletri; Tagrera (altro posto meraviglioso); Youf Arglel (il cui significato è youf=migliore eArglel=caraffa per mettere il latte del cammello); Terzè (che mi spiega Salah significa la pecora, anche se in realtà assomiglia ad un pollo perché ha 2 gambe);Tiblist (il diavolo); Temekerest (dove vi è cascata con graniti rosa e azzurri) e per finire l’Assekrem (2728m dove si trova l’eremo di padre Foucauld ) assistiamo quel giorno lì anche ad un eclissi di luna: spettacolare! Per ciò che concerne il viaggio ho avuto la fortuna d’incontrare dei compagni di viaggio formidabili e anche il gruppo di Tuareg che ci accompagnava (autisti: Salah, Mohamed,Coutie,Karim e Cuoco: Osman e aiuto cuoco: Didiè) favolosi. Con loro siamo stati bene e altrettanto ci hanno detto loro di noi. La sera dopo cena ci avvicinavamo a loro e tutti intorno al fuoco parlavamo e sentivamo le melodiose canzoni di Massimo (che ogni sera ci stupiva con delle intonazioni da tenore) alle simpatiche barzellette di Pietro, naturalmente i nostri amici Tuareg erano curiosi di sapere la traduzione dei testi. Il giorno dopo visto che io che ero in macchina con Salah, Osman e Didié, mi confessarono che avevano trascorso proprio delle belle serate e che se pur vero che loro erano lì per lavoro,ma è piacevole quando si riesce a stare bene. In macchina ho avuto modo di chiacchierare (certo prima chiedendo se gli avesse fatto piacere) di varie cose sia riguardanti la loro cultura che la nostra (visto che anche loro avevano delle curiosità). Mi dicono per esempio che 1 Cammello costa dai 40.000 ai 65.000 Dinari Algerini e che ancora oggi la ricchezza di un Tuareg viene determinata dal possesso dei cammelli anche se nei tour o per trasporto è quasi stato interamente soppiantato dai fuoristrada. Il cammello è l’ animale fin dall’antichità caro agli uomini del deserto perchè lo usano per ricavarne il latte(cammella) e poi usato come dote nelle trattative del matrimonio. Il latte della cammella è ancora un alimento importante per i Tuareg. La sera tra l’altro gli autisti e il cuoco e l’aiuto cuoco, mangiavano i datteri imbevuti in questo latte. Altra cosa importante nella cultura Tuareg è l’orto. Ogni famiglia dovrebbe possederne uno per poterlo coltivare. Gli autisti del Tour mi hanno detto che loro lavorano dal mese di ottobre fino al mese di maggio (periodo in cui c’è turismo) i restanti mesi si dedicano per l’appunto all’agricoltura nei loro orti, se li possiedono, oppure si occupano della famiglia. Mi dicono anche che la maggior parte dei turisti che vanno in Algeria sono francesi, poi gli Italiani, svizzeri, tedeschi , qualche spagnolo e anche qualche inglese. Purtroppo il terrorismo e sopratutto dopo l’11 settembre il paese è entrato in crisi, per paura rischio di attentati, anche se la situazione è in netta ripresa. Nelle scuole stanno inserendo altre lingue oltre che l’inglese anche il tedesco, anche perché il Turismo è una grossa fonte di reddito per loro. Mi dicono anche che la Televisione di Stato fa vedere molti documentari in modo da far vedere e informare tutta la popolazione delle diverse zone dell’Algeria. Mi danno poi una serie d’informazioni come per esempio che nella cultura Tuareg, l’uomo dopo aver costruito una casa e arredata, cerca moglie, anche se uno/a non si vuole sposare non è costretto. La donna porta solo il corredo.
Tra i Tuareg non esistono i confini stabiliti (Libia, Niger, Mali) ma sono grosse famiglie che sono imparentate tra di loro, sono tutti di una stessa razza i Tuareg.
Il foulard dei Tuareg si chiama Chèche e per farla occorrono dai 5 ai 7 metri di stoffa e quello più prezioso è quello nero che stingendo lascia un colore blu sulla pelle, ed è per questa ragione che i Tuareg si chiamano: Uomini Blu. La chéche viene usata per svariati motivi: per tradizione, perché fa parte dell’abbigliamento Tuareg e poi perché li protegge dal sole e dalla polvere.
In antichità quando si incontrava una donna o degli anziani in loro presenza non si doveva mai far vedere la bocca per non far vedere i denti perché segno di maleducazione e anche perché li avevano magari brutti, per cui solo gli occhi potevano restare scoperti dalla Chéche. Il baffo e la moschetta sono anche fondamentali nella tradizione Tuareg, ogni uomo dovrebbe portarli anche se le nuove generazioni tendono a rifiutare questa tradizione.
La lingua parlata e quella che si usa nelle poesie e nei canti ed è il Tamacheq, una forma linguistica parlata, appartenuta a una vecchia lingua libica o libico-berbera del V secolo a.C .
La poesia orale è una testimonianza dell’animo sensibile dei Tuareg, che appartiene alla bellezza delle dune, al silenzio delle notti bagnate di un’atmosfera mistica. Tutte le poesie, le satire sono cantate e accompagnate da un violino chiamato: Imzad.
In altri tempi una donna su due sapeva suonare l’Imzad. Oggi solo 6 donne sono delle artiste di quest’arte. Queste donne tra l’altro sono molte anziane e si possono incontrare in Hoggar e nel Tassili e oggi si sta facendo qualcosa per non far perdere queste tradizioni culturali.
Insomma un viaggio che mi ha arricchito sotto molti punti di vista, nella speranza di ritornarci di nuovo e a tutti quelli che la temono come meta…Beh si perdono veramente molto! Per ulteriori informazioni il mio indirizzo è: rita_minisci@fastwebnet.It