L’altro volto del Messico..

MEXICO WAY 2 gennaio 2004 San Cristóbal de Las Casas, dolcemente adagiata in un'ampia valle a duemila metri, sembra quasi fuori posto qui, nel sudest messicano, stato del Chiapas. Dieci anni di insurrezione zapatista hanno riempito la mente di noi italiani di immagini piene di passamontagna, di mitra e di indios con i volti coperti da paliacate...
Scritto da: Bianca Chiappino 1
l'altro volto del messico..
Viaggiatori: da solo
Spesa: 2000 €
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MEXICO WAY 2 gennaio 2004 San Cristóbal de Las Casas, dolcemente adagiata in un’ampia valle a duemila metri, sembra quasi fuori posto qui, nel sudest messicano, stato del Chiapas. Dieci anni di insurrezione zapatista hanno riempito la mente di noi italiani di immagini piene di passamontagna, di mitra e di indios con i volti coperti da paliacate rossi. Per arrivare qui da Tuxla Gutierrez, piccolo aeroporto dove atterrano i voli interni provenienti dal De Efe, bisogna percorrere una strada che spesso sfida le leggi delle fisica per le pendenze che raggiunge. Mentre sul taxi collettivo cala il silenzio perché tutti prima o poi finiscono con il concentrarsi sulle prodezze dell’autista messicano, che supera solo ed esclusivamente in curva mentre i dossi onnipresenti privano la macchina di qualsiasi ripresa, il paesaggio comincia a cambiare. Le palme e le piante tropicali lasciano spazio a paesaggi alpini e mentre la città si avvicina ci si aspetta di veder comparire dietro la prima curva Heidi e Peter. E invece al loro posto compaiono uomini con i volti scuri, con il machete in mano e fascine di legna trasportate con fasce colorate legate alla fronte. Dietro a loro bambini scalzi ugualmente carichi e donne che oltre alla legna portano sulle spalle fagotti colorati da cui ogni tanto sporgono una manina o un piedino ugualmente scuro e ugualmente scalzo. La città che accoglie il turista si lascia alle spalle tutto questo.

Vista dallo Zocalo, nel cuore del centro storico, San Cristóbal ha il gusto della vacanza.

Case basse e colorate, strade affollate piene di bancarelle che vendono artigianato variopinto e una babele di lingue e tratti somatici. Proprio accanto alla cattedrale una bancarella, che vende prodotti cuciti o cucinati nei caracoles zapatisti insieme a passamontagna e adesivi con la scritta I love ezln, ricorda al turista italiano dove si trova e quello che sperava di trovare. Allora si guarda intorno, cerca attentamente, ma nulla, nessun segno apparente di una lotta i cui echi sono giunti in tutto il mondo.

Sola, rossa su di un muro giallo, una scritta strizza l’occhio a chi distrattamente le passa vicino: “Vivan los municipios autonomos”. corrispondenza dell’8 gennaio 2004 CAPODANNO A MORELIA Morelia. Tre ore di viaggio da San Cristóbal catapultano in un mondo diverso. Taxi collettivo fino ad Altamirano e poi un camion pieno di indigeni con la pelle color della terra. Il caracol di Morelia, pochi minuti a piedi dall’abitato, immerso in una conca verde e protetto da pareti scoscese, accoglie lo straniero con un grande murales di Zapata e la scritta: Benvenuti in territorio autonomo ribelle. Il cielo carico di nuvole annuncia pioggia imminente, ma noi non ci facciamo caso intenti a guardarci intorno per scoprire la nuova realtà che ci sta accogliendo. Dopo una breve attesa veniamo ricevuti dalla Giunta di Buon Governo.

Niente passamontagna né paliacate rossi, oggi è un giorno di festa. Ci presentiamo e chiediamo il permesso di trascorrere con loro l’ultimo dell’anno, il 31 dicembre del 2003. Dieci anni fa in questo momento mancavano poche ore all’occupazione di cinque città chiapaneche da parte dell’ezln. Prende la parola un’india giovane, i suoi occhi sono scuri e luminosi, scusandosi del suo spagnolo incerto e comincia un discorso di benvenuto. La voce è insicura ma le parole sono chiare, parlano di orgoglio e di sogni in cammino. Ci ringraziano per il lungo viaggio intrapreso e per i disagi che affrontiamo per essere con loro. Ci sentiamo ridicoli. Penso ad una vasca da bagno piena di schiuma e penso alle donne e ai bambini sporchi di fango che giocano sul prato del caracol. Eppure ai loro occhi siamo noi a compiere un sacrificio, abbandonando le nostre comodità per partecipare, anche se per poche ore, alla loro lotta. Lentamente si aspetta la mezzanotte.

Sul palco si alternano discorsi, poesie, balli tipici e rappresentazioni teatrali. Tutto ha il sapore della semplicità e dell’infanzia. Gli occidentali, abituati alla televisione e ai teatri, sbadigliano; molti vanno a riposarsi qualche ora puntando la sveglia alle undici e trenta. Si aspetta qualcosa. Quello che leggo sui volti degli indigeni vestiti a festa è diverso.

Molti hanno intrapreso un lungo cammino per essere qui. Ripenso ai racconti di feste paesane nelle nostre campagne italiane e le immagini si sovrappongono nella mia mente. Poi comincia la musica e timidamente si comincia a ballare. Gli stranieri da una parte, disinvolti e sciolti nei movimenti e gli indigeni dall’altra, ballando seri e con piccoli passettini appena appena accennati. Cultura o timidezza? È una domanda che non trova risposta. Mezzanotte. S’interrompe la musica e mentre fuori sotto la pioggia si sente qualche botto, sul palco si schierano le autorità. Tutti sull’attenti. Viene pronunciato un breve discorso e si canta l’inno zapatista. Poi ci si abbraccia e ci si scambiano gli auguri mentre la musica riprende. Un’india piccolina, con abiti colorati e lunghe trecce nere mi abbraccia e mi sussurra un gracias appena appena accennato.

Sono confusa.

Il mondo aspettava questo momento con il fiato sospeso e loro sono riusciti a stupirci. Niente effetti speciali, ma parole semplici e il calore di un abbraccio. —————————- La nebbia di Oventik Piove. Mentre il taxi collettivo lascia San Cristóbal e comincia ad arrampicarsi sulle strette strade chiapaneche una fitta nebbia impedisce di vedere qualsiasi cosa. A darmi il benvenuto sono l’immancabile cartello “benvenuti in territorio zapatista in rebeldia” e una ragazza con il volto nascosto da un paliacate rosso chi mi dice di attendere nella caffetteria mentre controlla il passaporto e la lettera di presentazione. Dentro la piccola capanna fa freddo quanto fuori e il caffè bollente che mi serve un’indigena sorridente con un bambino accucciato sulle spalle mi sembra una benedizione. Quando finalmente mi vengono a chiamare la pioggia ha ricominciato a cadere insistentemente e una domanda fa capolino tra una goccia e l’altra: “Ma questa non era la stagione secca?”. Più del calore di una bevanda possono fare le parole e la lezione che mi attende.

Quando i due indios della Commissione di ricevimento (formata da rappresentanti del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno) cominciano a raccontare la loro storia, la nebbia che penetra nell’edificio attraverso gli spazi fra le assi si dirada per lasciare spazio alle immagini evocate dalle loro parole. “Benvenuti nel Caracol Resistencia y rebeldia por la humanidad” e poi cominciano a narrare.

Caracol, in italiano chiocciola, conchiglia; un tempo grandi conchiglie venivano utilizzate per chiamare a raccolta le comunità quando c’era la necessita di prendere decisioni importanti. Il suono prodotto soffiando all’interno del caracol percorreva le valli e rimbalzava sui monti e tutti sapevano che era arrivato il momento di riunirsi. Oggi i cinque caracoles in cui è organizzato il territorio zapatista (Caracol de La Realidad: Madre de los caracoles del mar de nuestros sueños; Caracol di Morelia: Torbellino de nuestras palabras; Caracol de La Garricha: Resistencia hacia un nuevo amanecer; Caracol di Roberto Barrios: El caracol que habla per todos; Caracol di Oventik: Resistenncia y rebeldia por la humanidad) oltre ad essere un luogo d’incontro per tutti, zapatisti e stranieri, sono dei luoghi dove si può venire per raccontare, per proporre e festeggiare ed avranno un importante ruolo organizzativo e amministrativo cercando di equilibrare lo sviluppo ed i benefici delle comunità indigene, di applicare la giustizia, di vigilare sull’applicazione degli accordi e di offrire un canale di relazioni chiaro con altri attori politici. Nel luglio del 2003, poco prima della festa che dava vita a questa nuova tappa della lotta zapatista, in un comunicato diffuso in tutto il mondo Marcos così li definiva: “Così i Caracoles saranno come porte per entrare nelle comunità e perché le comunità escano; come finestre per vederci dentro e perché vediamo fuori; come altoparlanti per lanciare lontano la nostra parola e per ascoltare quella che viene da lontano. Ma soprattutto, per ricordarci che dobbiamo vegliare e stare attenti a come stanno i mondi che popolano il mondo”. È difficile comprendere questo sogno in cammino.

Nel sudest messicano esiste un mondo parallelo, i cartelli pitturati a mano che spesso si incontrano lungo le strade sono solo un segnale, dietro la loro semplicità si cela una complicata organizzazione che raccoglie circa 1111 comunità organizzate a loro volta in circa 28 Municipi autonomi, del tutto indipendenti da qualsiasi governo, statale o federale. Ogni parola porta con sè nuove domande ma il mio interlocutore, con il volto coperto da un passamontagna nero, sembra ben felice di assecondare la mia curiosità, così la storia continua. Ogni comunità riunita in assemblea (assemblee in cui tutti hanno il diritto di voto) eleggono i propri rappresentanti all’interno del Consiglio Municipale Autonomo, al suo interno ogni delegato si occupa di un determinato ambito dell’amministrazione e può essere rimosso qualora la comunità decida che non sta svolgendo correttamente il proprio compito. Rappresentanti di ogni Municipio si riuniscono periodicamente all’interno del Caracol e formano la Giunta di Buon Governo che ha compiti organizzativi a livello regionale. La ribellione zapatista in questi dieci anni ha avuto la capacità di attirare l’attenzione di un pubblico internazionale e questo ha fatto sì che molti gruppi e organizzazioni abbiano deciso di sostenere il movimento anche finanziariamente. Uno dei compiti delle Giunte e proprio quello di gestire questi aiuti economici per impedire che si concentrino in pochi municipi ma possano essere utilizzati per uno sviluppo più diffuso a livello regionale. Vorrei saperne di più ma sono passate ormai due ore, altre delegazioni attendono di essere ricevute e così arriva il momento di andarsene. Mi salutano con una stretta si mano, un abbraccio e la richiesta di raccontare tutto al mio ritorno in Italia. “È importante che la gente sappia che sì, si può”. Quando torno in città, San Cristóbal mi sembra diversa, poco alla volta sto cominciando a capire. Mentre cammino verso casa attraversando il mercato pieno di turisti, mendicanti e indios con i vestiti colorati, il sole timidamente saluta il mio ritorno facendo capolino tra le nuvole in viaggio verso una nuova destinazione. Fonti: oltre alle parole della Commissione che ci ha ricevuto, per l’elaborazione del testo ho utilizzato “La tredicesima stele- parte III” comunicato del Sub comandante Marcos di Luglio 2003 (www.Ipsnet.It/chiapas/2003/260703co.Htm), un documento sui Municipi autonomi fornito dal gruppo Manitese di Lucca (www.Manitese.It) e documenti reperibili sul sito www.Ciepac.Org e tradotti su questo sito.



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