Mille e una notte in Uzbekistan

La Via della Seta, la strada percorsa dai mercanti europei per arrivare in Cina, ha sempre costituito un itinerario in grado di esercitare un profondo fascino, tanto che già parecchi anni fa con i miei amici Massimo e Matteo avevamo progettato un viaggio che la percorresse, almeno in parte. Non se ne era fatto nulla a causa di quella che...
Scritto da: Il Decano
mille e una notte in uzbekistan
Partenza il: 28/04/2008
Ritorno il: 05/05/2008
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
La Via della Seta, la strada percorsa dai mercanti europei per arrivare in Cina, ha sempre costituito un itinerario in grado di esercitare un profondo fascino, tanto che già parecchi anni fa con i miei amici Massimo e Matteo avevamo progettato un viaggio che la percorresse, almeno in parte. Non se ne era fatto nulla a causa di quella che ritenevamo la situazione sociale dei paesi d’interesse, o quantomeno a causa della nostra paura di incontrare guerre e sommovimenti vari in Uzbekistan, Kirghizstan e Tajikistan che venivano descritti, intorno all’anno 2000, come potenzialmente molto pericolosi. Ma l’idea non era stata mai abbandonata tanto che per la settimana del primo maggio del 2008 abbiamo deciso, in 4 amici, di andare a visitare questo paese, una volta appurato che di pericoli potenziali e reali non ce n’erano assolutamente. L’Uzbekistan, benchè molto grande (una volta e mezzo l’Italia), presenta sostanzialmente 3 mete principali, oltre alla capitale Tashkent: la leggendaria Samarcanda, Bukhara (Buxoro, famosa per i tappeti), e Khiva, la cittadella fortificata nel deserto.

Ci sono anche altre mete d’interesse: ad esempio la valle di Fergana, ad est ai confini con il Kirghizistan, i paesaggi alpini sulle alte montagne a nord-est di Tashkent e quello che una volta era il quarto lago più grande del mondo: il lago d’Aral, al giorno d’oggi notevolmente ridotto a causa dell’irrigazione intensiva dei campi di cotone dell’epoca sovietica. Avendo a disposizione una sola settimana però, abbiamo optato per le mete classiche e, per essere sicuri di non sbagliare e perdere tempo inutilmente, abbiamo deciso di contattare un tour operator locale (come nostra abitudine in questo genere di viaggi) che ci organizzasse alloggi e trasporti per la nostra vacanza.

Siamo così entrati in contatto con il tour operator di Tashkent, che ci ha preparato l’itinerario seguendo le nostre indicazioni e i nostri vincoli di tempo: saremmo arrivati con l’aereo diretto da Roma dell’Uzbekistan Air la sera di lunedi 28 aprile, avremmo dormito a Tashkent che avremmo visitato nel corso della mattinata successiva per poi partire con il nostro minivan alla volta di Samarcanda dove saremmo arrivati nel tardo pomeriggio. Dopo la visita della città, che avrebbe impegnato tutta la giornata successiva, il giovedi saremmo partiti alla volta di Bukhara che avremmo visitato in un giorno e mezzo. Infine, dopo un’intera giornata di viaggio per raggiungerla, avremmo visitato Khiva per poi in serata tornare in aereo a Tashkent e da qui, all’alba, ripartire per Roma, dove saremmo arrivati alle 9,30 di lunedi 5 maggio.

Un programma piuttosto fitto che ci avrebbe consentito di visitare un paese di cui ben poco sapevamo, se non che c’era Samarcanda, che c’era arrivato Alessandro Magno, che era stato per decenni una delle repubbliche sovietiche, che aveva un clima estremamente continentale, che era di religione islamica e dove il costo della vita probabilmente non sarebbe stato troppo elevato. Nel corso del viaggio abbiamo scoperto in realtà un paese meraviglioso, ordinatissimo ed estremamente sicuro, popolato da gente cordiale e in gamba e con città degne di far da sfondo a storie da “Mille e una Notte” fra moschee, madrasse, minareti, cupole e cupolette coperte di maioliche blu…

La prima tappa del viaggio è stata Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan: con 2 milioni e 700 mila abitanti è la quarta città più grande dell’ex-URSS dopo Mosca, San Pietroburgo e Kiev. Ci siamo arrivati direttamente con il volo dell’Uzbekistan Air da Roma Fiumicino, partito a mezzogiorno meno 10 (quasi un’ora di ritardo a causa di problemi di carico dei bagagli), un pò dopo le 10 di sera dopo 6 ore e 20 minuti di trasvolata e 3 ore di fuso orario. Una volta controllati i passaporti, abbiamo atteso i bagagli per poi effettuare le complicate pratiche doganali (occorre compilare due modulini in cui si dichiara cosa si importa nel paese in termini di valuta e oggetti vari, passare ad un controllo ai raggi X il bagaglio e far timbrare dal doganiere detto modulino che va poi conservato fino alla fine del viaggio): purtroppo del mio bagaglio però non si è vista traccia tanto che, dopo oltre un’ora dal nostro arrivo, mi sono recato insieme ad altri passeggeri aventi lo stesso problema all’ufficio reclami posto fuori dall’aeroporto (!), con grandissime difficoltà a causa dell’assenza assoluta di personale parlante inglese o quantomeno disponibile ad aiutarci. Il primo impatto con il paese è stato dunque pessimo, ma per fortuna, proprio quando stavo sporgendo il mio reclamo, miracolosamente si è materializzata la mia valigia e quindi ho potuto raggiungere gli altri che intanto avevano incontrato il rappresentante dell’Advantour. Costui sarebbe stato il nostro autista per l’intero viaggio e per prima cosa ci ha portato all’albergo Poytaht, proprio al centro della città, su Amir Temur Square. Abbiamo così potuto avere una prima impressione della città, dall’aspetto ordinatissimo, con poche macchine in giro (erano pure le 10,30 di sera) e soprattutto enormi, spettacolari vialoni alberati con pioppi secolari dalla base imbiancata, come succedeva da noi fino agli anni ’70.

Arrivati in albergo, abbiamo subito cenato al ristorante (spendendo ben 95000 sum, piu’ o meno 45 euro in quattro) e fatto una breve passeggiata fuori in strada, fino alla grande piazza. La mattina dopo la nostra guida Said ci avrebbe accompagnato a visitare la città.

La visita è durata mezza giornata: abbiamo girato per la città sovietica con la piazza Amir Temur e il teatro dell’Opera costruito dai giapponesi (prigionieri di guerra deportati qui da Stalin) con Puccini in cartellone; abbiamo poi visitato il bazar, incredibilmente silenzioso e ordinato, e scoperto come gli oggetti in legno intagliato siano fra i prodotti più caratteristici del paese. Infine, abbiamo visitato il centro religioso di Khast Imom, vicino al quartiere vecchio (fatto di viuzze intricate e dall’aspetto sconnesso, con basse case di fango), dove abbiamo visto la nostra prima madrassa (scuola islamica) con la moschea e l’annessa biblioteca, dove è custodita un’antichissima e venerata copia del Corano dell’VIII secolo. A pranzo abbiamo assaggiato dell’ottimo plov (riso con carne e carote, piatto caratteristico locale consumato prevalentemente a pranzo) in un ristorante frequentato da impiegati in pausa pranzo, poi abbiamo fatto rotta verso Samarcanda.

Evocare il nome Samarcanda per me significa anzitutto tornare indietro con la memoria agli anni ’70 quando una canzone di Vecchioni parlava di un cavallo che correva correva e arrivava in questa mitica città sulla via della seta, piena di fascino, immaginavo in mezzo al deserto e costellata di monumenti esotici. Già una prima delusione era emersa quando, da piccolo, avevo aperto l’atlante e constatato che questa città non era nemmeno una capitale, ma semplicemente un grosso centro abitato di uno stato dallo strano nome: l’Uzbekistan, la cui capitale avevo scoperto essere Tashkent.

Nel corso degli anni successivi poi era andata formandosi in me l’idea che Samarcanda fosse la classica città mediorientale caotica, disordinata, dall’aspetto cadente con qualche monumento isolato da visitare stando attenti ai borseggiatori: idea piuttosto lontana dalla realtà che ho scoperto andandola a visitare di persona.

La strada da Tashkent a Samarcanda è un’autostrada a 4 corsie che per circa 320 km si snoda lungo il confine con il Kazakhstan, attraverso un paesaggio piuttosto simile alla pianura padana d’estate con vasti campi irrigati, alberi e fattorie, fino ai primi contrafforti delle montagne che segnano il confine con il Tajikistan a sud e che arrivano a superare i 5000 metri. Dopo aver constatato che il nostro albergo (il Samarkand Plaza) non era certo la paventata bettola a due stelle ma un lussuoso 4 stelle con cameriere estremamente carine e un giardino con prato all’inglese, abbiamo esplorato nel corso della serata e della giornata successiva i vari punti di interesse di questa città che si è rivelata veramente piena di siti interessanti: dal mausoleo di Gur-i-Amir alla Piazza Registan con le tre madrasse decorate a maiolica, alla moschea di Bibi Kanym, all’osservatorio di Ulugbek, alla vecchia Afrosia distrutta da Gengis Khan al cimitero di Shai Zinda (per le foto, che rendono meglio l’idea, si vada su www.Decano.It). Abbiamo a cena sperimentato i favolosi shashlikh (spiedini di manzo macinato e speziato oppure d’agnello, oppure di pollo) e il lagma (zuppa con carne e verdure) oltre alla birra locale Sarbast. Fra le esperienze più significative, la salita in cima al minareto proprio sopra Registan Square da cui abbiamo potuto ammirare un panorama della città a 360°. Dopo la seconda notte al Samarcand Plaza, siamo partiti per Bukhara.

Bukhara (Buxoro nella lingua uzbeka) si trova a circa 280 km a sudovest di Samarcanda, collegata con un’ottima strada a 4 corsie che prima attraversa la fertile pianura ondulata irrigata con le acque canalizzate dell’Amu Darya poi si addentra in un paesaggio più arido che prelude alla zona desertica ad ovest di Bukhara. Siamo partiti sotto un sole luminoso e l’aria limpida di Samarcanda e siamo arrivati a Bukhara sotto quella che sembrava una nube di sabbia alzata dal vento, che conferiva al paesaggio un’atmosfera cupa che inizialmente ci ha un pò scoraggiato. Scoraggiamento che è aumentato quando, superati i quartieri periferici della città, ci siamo addentrati in un dedalo di viuzze in mezzo a case apparentemente cadenti, cumuli di calcinacci e mattoni sparsi per strada: l’autista ci ha detto che era la zona antica della città e si è fermato proprio davanti ad una di queste case dall’aspetto macilento. Costernati, siamo scesi dall’auto constatando però che il portone di quello che era il nostro albergo era molto bello, come tutti i portoni qui nell’Uzbekistan meridionale (regione di Bukhara e di Khorezm) il che ci ha fatto supporre che le cose non dovessero essere così disastrose come sembravano. Ed infatti, l’albergo (il Komil) era spettacolare: una vecchia casa restaurata con due cortiletti interni e le stanze decorate, veramente bellissimo. Pochi minuti dopo il nostro arrivo ci è venuto a prendere Bekhruz, la nostra guida, un brillantissimo ragazzo di 22 anni laureato in storia dell’arte che ci ha condotto alla prima tappa della nostra visita: la piazza Poy Kalyan, dove si affacciano una moschea, una madrassa (scuola islamica) e uno spettacolare minareto, il simbolo della città.

Bukhara è costituita da una città moderna di circa 300mila abitanti che circonda il vecchio insediamento fatto di viuzze strette e case di fango e mattoni, con alcuni punti molto caratteristici fra i quali, a parte la splendida piazza di Poy Kalyan e il suo incredibile minareto, ci sono il mausoleo dei Samanidi (con decorazioni ottenute disponendo i mattoni nelle forme più svariate), l’Ark Citadel, la fortezza in cui alloggiava l’emiro e si trovavano le temibili prigioni, la piazza Lyabi Kauz dove c’è una delle piscine che alimentavano d’acqua la città e ai bordi della quale oggi ci sono i ristorantini più carini (da segnalare il Lyabi Haus dove per 10mila sum si mangia bene e in abbondanza), i taqi, ossia i mercati coperti, la moschea Bala Hauz con il soffitto di legno, la madrassa Chor Minor con i quattro minareti dalle cupolette azzurre e il palazzo d’estate, leggermente fuori città. Una città bellissima, turistica quanto basta ma che ci ha dato delle bellissime sensazioni, ad esempio quando ci siamo messi a prendere la birra su una terrazza sopra la piazza Poy Kalyan in attesa del crepuscolo. La tappa successiva, e ultima, sarebbe stata Khiva Il viaggio da Bukhara a Khiva è durato all’incirca 7 ore: la strada non più a quattro corsie attraversa un territorio sempre più desertico man mano che ci si sposta verso ovest, lungo il confine con il Turkmenistan, con la comparsa addirittura di qualche duna sabbiosa. Il tempo oggi è stato piuttosto cupo: all’inizio sembrava la solita nuvola di sabbia ma poi ci siamo resi conto che effettivamente il cielo era coperto da nuvole grigie. Dopo qualche ora ci siamo fermati per una pausa nei paraggi del fiume Amu Darya dove abbiamo preso un caffè con la solita pagnotta in una bettola dove altri turisti hanno assaggiato il pesce del fiume. Siamo stati contenti di non averlo fatto dopo aver visto come tali pesci vengono conservati: morti, dentro una piscina d’acqua ferma, al sole. Ce ne siamo accorti quando il ristoratore ne è andato a prendere uno, enorme (35 kg) e l’ha portato dentro per prepararlo. Ecco spiegati, secondo noi, i racconti di dissenterie e mal di pancia vari che più di una persona ha riportato dal viaggio in Uzbekistan. Noi dunque non ci siamo azzardati a prendere il pesce e siamo arrivati a Khiva qualche ora dopo, sani e salvi, dopo aver attraversato su un gigantesco ponte di barche il larghissimo corso dell’Amu Darya, ai tempi di Alessandro Magno largo fino ad 8 km e oggi molto ridotto a causa dell’irrigazione intensiva a monte che fra le altre cose ha provocato l’inaridimento progressivo del non lontano lago d’Aral.

Khiva ci ha accolto, dopo il lunghissimo rettilineo dotato di filobus che la collega ad Urgench, con la sua cerchia di mura color sabbia al cui interno spiccano le maioliche di minareti, cupole e facciate. Il nostro albergo (Malika Khiva) era proprio di fronte alla porta ovest e subito dopo avervi lasciato i bagagli ed esserci rinfrescati, abbiamo iniziato l’esplorazione della cittadella, in attesa della guida che ci avrebbe accompagnato l’indomani.

La visita di Khiva sembra quella ad un parco tematico, con i suoi strani monumenti (il minareto incompleto di Kalta, che sembra la torre di raffreddamento di una centrale nucleare rivestita di piastrelle azzurre) e il suo profilo da mille e una notte. Essendo stata restaurata da poco poi è in condizioni pressochè perfette il che, se da un lato la priva del fascino dell’età, dall’altro la fa apprezzare in tutta la sua bellezza. Abbiamo girato per ore sia per conto nostro sia accompagnati dalla guida, siamo saliti sul minareto più alto, abbiamo fatto numerosi acquisti (ceramiche, artigianato in legno, pashmine) e ci siamo goduti anche a tarda sera (quando non c’era più nessuno) questa stupenda cittadella che di giorno è invasa da sciami di studenti locali in gita scolastica: abbiamo avuto così modo di vedere da vicino la gioventù uzbeka e renderci conto così di come questo paese probabilmente abbia un bellissimo futuro davanti a sé.

Dopo Khiva, siamo tornati in aereo a Tashkent e da qui a Roma: in definitiva, uno splendido viaggio che mi sento di consigliare a tutti, magari prima che il turismo di massa si accorga di questo paese con tutte le negative conseguenze che si possono immaginare. Dal punto di vista logistico, a causa della limitatezza del tempo a disposizione (una settimana) abbiamo voluto organizzare il viaggio in modo tale da evitare qualsiasi possibile perdita di tempo connessa con orari dei treni, ritardi dei medesimi, errori di strada, ricerca dell’albergo in loco, ecc, considerando anche che le mete erano ben definite e chiare. Ritengo tuttavia che un viaggio in completa autonomia, organizzato prenotando gli hotel via internet e spostandosi in treno/taxi, sia fattibilissimo. Quindi abbiamo prenotato per conto nostro gli aerei Roma-Tashkent e come detto abbiamo affidato l’organizzazione delle tappe con alloggio, trasporti e guide al tour operator locale Advantour, che si è rivelato davvero molto efficiente. Ci ha infatti proposto due alternative, una più cara, una più “spartana” (a loro dire): noi abbiamo optato da veri uomini per quest’ultima (che comprendeva alloggi a due stelle e non comprendeva i pasti) che ci è venuta a costare 420 euro (volo interno Urgench-Tashkent, ingressi ai siti e guide in parlanti inglese inclusi). Considerando che un pasto medio (a base di shashlik ossia spiedini, zuppa, pane e birrone) costava dai 6mila sum (3 euro) ai 15mila sum (7 euro) e che la vita era straordinariamente a buon mercato, in 7 giorni ci siamo trovati a dover cambiare solamente 110 euro con cui abbiamo anche abbondato con i souvenirs, alcuni di ottima qualità. Per cui sommando a cio’ i circa 700 euro spesi per il volo diretto Roma-Tashkent-Roma, il costo totale del viaggio è stato di circa 1200 euro.

Il resoconto completo con tutte le foto è su http://www.Decano.It nella sezione Viaggi.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche