La natura ed il sociale sudafricani

Finalmente la famiglia (Enrico, Maria Rosaria, Andrea, Riccardo) parte; parte per un luogo lontano, forse troppo … Si parte un paio di giorni prima della chiusura dell’anno scolastico: fortunatamente quest’anno abbiamo seminato bene, niente “debiti”, per cui si può partire rilassati … (si fa per dire !!). Destinazione: Sudafrica...
Scritto da: Pedrenco
la natura ed il sociale sudafricani
Partenza il: 08/06/2007
Ritorno il: 19/06/2007
Viaggiatori: in gruppo
Finalmente la famiglia (Enrico, Maria Rosaria, Andrea, Riccardo) parte; parte per un luogo lontano, forse troppo … Si parte un paio di giorni prima della chiusura dell’anno scolastico: fortunatamente quest’anno abbiamo seminato bene, niente “debiti”, per cui si può partire rilassati … (si fa per dire !!).

Destinazione: Sudafrica (repubblica – capitali: Pretoria (amministrativa e politica) – Città del Capo (legislativa) – abitanti: 45 milioni). Lontano circa 10.000 km dall’Italia. Lo visiteremo in 12 giorni.

A parte la distanza, la famiglia è entusiasta. Gli altri compagni di viaggio, M. Grazia e Roberto, pensano già alla destinazione del prossimo viaggio (2008: forse anticipano troppo i tempi …). Inconveniente: in Italia non è previsto un volo diretto per il Sudafrica; occorre recarsi in Germania, a Francoforte: non c’è problema, ci adeguiamo.

Venerdì 8 giugno 2007 Lasciamo l’auto al Parkingo di Fiumicino; la navetta ci porta all’aeroporto. Ci accorgiamo subito di un problema che ci perseguiterà per tutti i trasferimenti del viaggio sudafricano: i bagagli numerosi e pesanti !!! La prossima volta “taglieremo” sull’abbigliamento, a vantaggio dei souvenir.

Abbiamo appuntamento con il “gruppo vacanze” alla statua dell’uomo di Vitruvio, alle partenze internazionali dell’aeroporto di Leonardo da Vinci: siamo 24 partecipanti: il 95% ha un’età maggiore di 40-45 anni; Riccardo è il più piccolo; un solo altro ragazzo, Tiziano, ha l’età di Andrea.

Il volo Roma-Francoforte (ora partenza: 13.30) con la Lufthansa rimarrà nelle statistiche perchè è il primo volo di Riccardo e della famiglia al completo. Arriviamo a Francoforte alle 15.20 e ripartiamo alle 17.40, dopo aver regalato 5 Euro per 2 lattine di Coca-Cola (la cara Germania !).

Il volo Francoforte – Cape Town è invece gestito dalla compagnia South African Airways; ci sono molti posti non occupati; gli “iniziati”, furbi, occupano, subito dopo la partenza, due/tre poltrone vuote vicine per potersi poi allungare a riposare nella notte; ci accorgiamo infatti che i posti in classe economica della South African Airways non sono comodi per affrontare viaggi così lunghi. Sicuramente utile lo schermo personale disponibile sullo schienale di ogni passeggero; tramite un telecomando, ognuno può scegliere il programma desiderato; inattesa e “molto gustosa” la ripresa diretta della parte iniziale del volo proiettata sul visore da una telecamera posta sulla coda dell’aereo.

La notte è pungente: ci copriamo con le coperte che ci mettono a disposizione (con calzini, spazzolino e dentifricio). Andrea e Riccardo riescono ad allungarsi. Frequentemente occorre “abbozzare” esercizi ginnici, raccomandati anche da un programma dello schermo, e per riattivare la circolazione nelle gambe.

Sabato 9 giugno 2007 Oggi 9 giugno è il compleanno di Riccardo. Riceve i primi auguri alle 4.00 (chissà quando li riceverà di nuovo a quest’ora): è l’ora della colazione. Arriviamo, un pochino sconvolti, a Cape Town (la Perla d’Africa) alle 5.00 di mattina: c’è solo il nostro volo in arrivo. Ci rechiamo in dogana; vorremmo cambiare 200 Euro; per il personale del cambio sono “troppi”: non conoscono le nostre abitudini consumistiche; comunque riusciamo a cambiare 100 Euro in Rand (la moneta sudafricana – 1 Euro sono circa 10 Rands).

All’uscita dell’aeroporto, ci accoglie la nostra guida a Cape Town: Marcello, 33 anni e nonno italiano, è un tipo molto in gamba, preparato, deciso e di facile comunicazione. Saliamo su un pulmino con il carrello per i bagagli e ci rechiamo a vedere l’alba sull’oceano Atlantico in un hotel Protea; “rifacciamo” la colazione all’europea e cominciamo a conoscerci con quelli del gruppo vacanze. Verso le 7.00 si parte per una visita orientativa di Cape Town: il castello di Buona Speranza (sventolano le 6 bandiere dei diversi stati che nel tempo hanno colonizzato la città) e un parco botanico (con la casa del presidente della repubblica), al centro della città. Piove !!! Pioggerellina leggera, continua, … che disturba. La città si presenta pulita e ordinata, con poco traffico; con edifici di origine vittoriana e costruzioni recentissime. Non si riesce a capire in quale continente siamo: infatti, a seconda dei quartieri, sembra di essere una volta in Europa, una volta in America, una volta in Asia. Magnifiche sono le montagne che la circondano: piatte come la Table Mountain (la Tavola) o appuntite come la Lion’s head (Testa del leone). Marcello ci racconta che in Sudafrica le persone di colore si rivolgono agli stregoni per guarire dall’AIDS con conseguenze negative sulla popolazione; la malattia cresce invece di diminuire; i malati si recano all’ospedale quando è ormai troppo tardi. Pensare che gli ospedali africani sono tra i migliori del mondo; basta ricordare il primo trapianto del cuore, effettuato nel 1967 nell’ospedale di Groote Schuur (lo abbiamo visto dall’autostrada), dal cardiochirurgo sudafricano, Christian Barnard.

Saliamo sulla Signal Hill (Collina dei segnali), collina che sovrasta la città per vederne lo stupendo panorama: vi si trova un antico cannone utilizzato per lanciare segnali di pericolo; è stato utilizzato negli ultimi decenni per segnalare lo scoccare del mezzogiorno. C’è vento e le nuvole passano particolarmente grigie. Individuiamo i lavori (in ritardo …) per la costruzione dello stadio che ospiterà i mondiali di calcio del 2010. Marcello ci ricorda gli sport nazionali del Sudafrica, in ordine: I) football, II) rugby e III) golf. Visitiamo alcuni quartieri tipici (olandesi, portoricani, ..); il quartiere malese è caratterizzato da case multicolore tra le quali spicca la sinagoga che è colorata di verde. Andiamo da amici di Marcello che gestiscono un bar che produce (si fa per dire) caffè espresso. Il tempo non permette di visitare la Table Mountain (la sommità è totalmente piatta), spesso la montagna è circondata dalle nuvole: si dice che quando la tavola è coperta (dalle nuvole), Dio ha messo la “mitica” tovaglia e non si può disturbare. Arriviamo quindi al centro commerciale Waterfront (300 negozi): lo visitiamo, in un supermercato (tipo SMA) acquistiamo le torte per festeggiare il compleanno di Riccardo (vorremo fargli una sorpresa a pranzo). Una sbirciatina al porto. Arrivata l’ora di pranzo, si va al Protea President Hotel. Scarichiamo i bagagli; ci assegnano le stanze: il tour operator non ha pensato di tenere vicine le due stanze per la famiglia; pertanto dobbiamo (e lo dovremo fare più volte nei trasferimenti) scambiare una stanza con quella di altri compagni di viaggio. In questo caso “rimediamo” due bellissime suite, ciascuna con 2 TV, e con una stupenda vista sulla Testa del leone. Scendiamo a pranzo; niente di eccezionale, servizio compreso – si inizia con un piatto di zuppa vegetale, non male comunque, che verrà poi riproposta in tutte le salse e in tutte le occasioni culinarie. A fine pranzo festeggiamo Riccardo: partecipa tutto il gruppo vacanze e il personale della cucina in processione, chef in testa, ci porta le due torte con le candeline accese; le note di un Happy Birthday a Riccardo si diffondono alte nell’albergo. Riccardo sorride soddisfatto; le torte: niente male. L’indomani alcune signore del gruppo vacanze gli regaleranno una maglietta “africana”. Nel pomeriggio torniamo al Centro Waterfront, senza guida (120 rands al taxi); effettuiamo i primi acquisti nei negozi “Out of Africa”. Visitiamo il porto che si presenta con le sue costruzioni in stile nordico, color pastello. Sulla banchina del porto, assistiamo alla rappresentazione di balli e canti, tipici, da parte di giovani ragazze e ragazzi neri. Rientriamo in albergo con qualche difficoltà, utilizzando un bus pubblico (al ritorno, il tassista ci ha dato buca); siamo particolarmente stanchi e nervosi; ma a cena (buffet) le musiche del pianista (in particolare alcune tipiche italiane) ci rasserenano. Domenica 10 giugno 2007 Ore 8.20, si parte in pulmino per raggiungere il battello per l’isola delle foche. Qualcuno del gruppo è arrivato tardi all’appuntamento (+ 20 minuti); Marcello chiede per i prossimi giorni maggiore puntualità, altrimenti si rischia di saltare degli eventi che sono tanti e ben “incastrati” tra di loro.

Anche oggi piove, anche se leggermente. Siamo diretti a Hout Bay, la baia di legno in afrikaans, chiamata così perché un tempo ricca di foreste di alberi tipo quercia. Arriviamo al porto di Hout Bay, dove sono ancorati molti pescherecci; dopo aver giocato con una foca, particolarmente socievole, e visitato il mercatino locale, ci imbarchiamo, insieme ad altri gruppi, sul battello Drumbeat Charters della Circe (mi ricorda qualcosa ?) Launches. C’è vento; alti cavalloni; il battello ondeggia pericolosamente; qualcuno si preoccupa. Comunque dopo 20 minuti, arriviamo all’isola delle foche (Duiker (Seal) Island). Ne vediamo a centinaia sugli scogli e in acqua (in 500 vivono indisturbate, a parte gli squali): bello spettacolo. E’ sì brutto tempo: ma questa atmosfera ci piace !!! Al ritorno, quando attracchiamo, non piove più (e non pioverà più per il resto del viaggio). Prendiamo la bellissima strada panoramica, scavata nelle enormi falesie di arenaria e granito che ci porterà a Cape Point, che dista 6.000 km dal polo Sud. Incrociamo alcuni babbuini (primi animali incontrati). Natura bellissima, scogliere e paesaggi incredibili. Attraversiamo la riserva naturale della penisola del Capo con brulla e bassa vegetazione; incontriamo altri babbuini e antilopi; ecco anche una farm dove si allevano struzzi. Raggiungiamo il punto più estremo, Cape Point. Prendiamo una cabinovia che ci porta al faro sulla montagna. Come ti giri, spettacoli naturali a 360°. Nel punto più in alto della punta, osserviamo, con un po’ di immaginazione, l’incontro delle acque dei due oceani (Indiano ed Atlantico) nella False Bay; la baia è così soprannominata perché, simile alla baia di Buona Speranza, traeva in inganno (false) i naviganti. Sotto di noi, splendida spiaggia e scoscesa scogliera. Il tutto comunque lo visitiamo un po’ troppo in fretta: paghiamo infatti il ritardo della partenza di questa mattina.

Raggiungiamo Simon’s Town, base navale dell’esercito sudafricano. Pranzo a base di pesce, accettabile; locale affollatissimo (è normale: è domenica). Vicino al ristorante, è situata la spiaggia di Boulders Beach, la spiaggia dei pinguini “jackass”(letteralmente, pinguini mulo, così chiamati per il verso che emettono, simile a un raglio); dopo il pranzo infatti vi accediamo, in silenzio, attraverso un camminamento obbligato. Vediamo pinguini a decine e decine, sono di piccola taglia; si odono, a destra e a manca, questi violenti “ragli”, inaspettati da animali così piccoli. Un bel gruppetto di pinguini approda alla spiaggia, arrivando sincronizzati dal mare: scenario stupendo e simpatico. Acquistiamo, quale ricordo, pinguini in coccio e legno.

Ci rechiamo al giardino botanico di Kirstenbosh, dedicato a Nelson Mandela, dove ci sono decine di esemplari della pianta nazionale: la tropea. Anche qui scenari naturali indescrivibili: ci immergiamo in una natura in certi momenti lussureggiante, con l’alternanza di un verde violento (piante) e di un marrone (montagna), interrotto dal grigio-scuro delle nuvole. Tale tonalità di verde esiste solo nelle favole. Ci aspettiamo da un momento all’altro l’apparizione di un dinosauro; in effetti i colori dell’ambiente ci ricordano quelli di Jurassic Park: sicuramente indimenticabile !!! Rientro in hotel alle 18.30 (è buio). Cena a buffet. Lunedì 11 giugno 2007 Giornata rivolta al sociale (la prima). Partenza in battello per Robben Island, emblema dell’apartheid. E’ l’isola dove Nelson Mandela è stato in prigione per 27 anni (1964 – 1971 con il numero 64.446), oggi museo. Ex-detenuti descrivono le condizioni di vita dei condannati per propaganda contro il governo. I detenuti subivano tre tipi diversi di trattamento: 1) il migliore ai bianchi; 2) un trattamento medio ai malesi e 3) il peggiore ai neri. I prigionieri erano costretti sotto il sole cocente a rompere sassi in una cava di calcare e a trasportarli continuamente da un posto all’altro e viceversa. E’ qui che Mandela scrisse la costituzione. La visita ha sicuramente un suo significato, ma ci aspettavano di più. Ritorniamo a Cape Town con il traghetto Sea Princess. C’è un piccolo, pallido sole; il tempo cambia rapidamente da queste parti; qui si dice infatti: “o aspetti 5 minuti o ti sposti di 5 metri”. Per il pranzo, ci rechiamo a far visita alla Primary school di Khayeltsha, una scuola, a cui il nostro tour operator finanzia alcune iniziative (p.E. Sala pc). L’autostrada, che percorriamo per raggiungere la scuola, costeggia un’immensa baraccopoli (“zona informale” – Township), uno di quei famigerati ghetti di cui tanto si è sentito parlare al tempo dell’apartheid. La baracche sono costruite con legno, cartone, laminato metallico, racchiuse all’interno di un alto steccato che però non impedisce la vista a chi transita lungo la strada. Arrivati alla scuola, siamo accolti da decine di bambini, ovviamente neri, e dalle direttrici, tutti sorridenti e felici. In questa scuola ci sono 1071 alunni con 25 insegnanti. I ragazzi cantano e ballano, come solo loro neri sanno fare. Pranziamo insieme a loro, sulla stessa tavola. E’ una bella esperienza. Sempre cantando e ballando, gli alunni ci riaccompagnano al pullman. In Sudafrica è in atto da 3 settimane uno sciopero dei professori per il rinnovo del contratto di lavoro.

Riusciamo finalmente a salire sulla Table Mountain (Riccardo è stato soddisfatto in zona Cesarini) con una cabinovia semiaperta e rotante, che ci permette di vedere il panorama a 360° senza spostarci; ci porta a 1800 metri (il tetto della città). Ecco il panorama di Cape Town. Ci sono nuvole, nuvole, nuvole, che avvolgono anche noi; ma, per chi pazientemente aspetta, ecco che, per qualche decina di secondi, la tovaglia scompare ed appare uno scenario pulito della città: foto su foto. Sulla tavola, è presente una flora molto simile alla macchia mediterranea. Per arrivare all’ora di cena, visitiamo un laboratorio di diamanti e tanzanite: si fanno acquisti importanti. La metà del gruppo, stanchi del solito buffet a base di carne, sceglie di cenare in un altro ristorante (con 20 Euro, una barca di stupendo pesce. Nell’hotel invece, ci organizzano la cena di commiato da Cape Town a base di pesce; purtroppo il gruppo vacanze non è stato avvertito. In pochi quindi godono di questa cena e di un ottimo servizio. Peccato !!! Martedì 12 giugno 2007 Giornata fondamentalmente di trasferimento. Alzataccia: 5.30. Partenza da Cape Town (8.40) per Johannesburg. Salutiamo malinconicamente Marcello, che evita di salutarci singolarmente e scappa di corsa per evitare inevitabili commozioni. Poco più di 2 ore di aereo e arriviamo a Johannesburg (10.40). La nuova guida è Olivia, italiana, anche lei di elevato livello culturale e professionale. Dobbiamo raggiungere il parco Kruger per il safari fotografico previsto per domani. Partiamo per la regione di Mpumalanga. Un pullman da 50 posti ci attende. Finalmente possiamo allargarci e allungarci (Andrea). Attraversiamo per 5 ore l’altopiano (800 metri) con stupendi panorami, coltivazioni diversificate (anche di pini e larici), centrali di carbone all’orizzonte. Spesso incontriamo anche colline di terra, che stanno ad indicare miniere di carbone. Per il pranzo ci fermiano sull’altopiano, presso una farm, azienda agricola, anche con allevamento di cavalli; a fianco della farm, è presente un villaggio Ndebele con relative padrone di casa. Gli Ndebele sono una etnia che, grazie al forte senso di identità sociale e al valore attribuito ai legami di parentela, sono riusciti a mantenere le proprie tradizioni. I villaggi presentano ancora l’antica struttura e sono costituiti da capanne di fasci di erbe e di legname; una robusta siepe preserva l’abitato dalle incursioni di bestie selvatiche. L’abbigliamento, soprattutto in occasioni lavorative, segue fogge europee, mentre nelle feste torna quello di un tempo: i guerrieri sfoggiano tenute complicate ricche di piume, pelli di animali selvaggi, collane e bracciali di perle di vetro o di metallo; le donne, se molto giovani, si limitano a un piccolo grembiule di pelle, se sposate indossano una vera e propria gonna di pelle di bue trattata internamente con grasso animale: è il nostro caso. Visitiamo le 4 capanne, particolarmente simpatiche variopinte con color pastello; lasciamo qualche soldo di supporto e ci avviamo verso il caseggiato dell’azienda. Veniamo ospitati in un bel salone: ci offrono uno spaccato della loro produzione: passato di verdura, carne (+ tipi), insalate varie, dolce (torta al cioccolato con crema di latte: squisita), macedonia, espresso (vero). Eccellente.

Riprendiamo il viaggio tra coltivazioni di granoturco, fichi d’india ed arance. Ne approfittiamo per fare un pisolino e recuperare l’alzataccia. In serata arriviamo a Skukuza, al lodge “Protea Hotel Kruger Gate” del parco Kruger, molto molto bello e particolarmente integrato con la natura circostante. Soliti problemi per le stanze della famiglia. Ma la cena è memorabile, sulla sabbia della savana, sotto le stelle a lume di candela: è all’aperto con la possibilità, su grandi bracieri, di farsi cucinare qualunque tipo di animale selvatico; qualcuno esagera (Andrea): gnu, coccodrillo, struzzo, e, i più classici, pollo, manzo e maiale. Andrea e Riccardo (furbi !) fanno amicizia con una bella cuoca nera. Si va a letto alle 0.30: all’alba di domani ci aspetta il Kruger Park. L’adrenalina cresce. Mercoledì 13 giugno 2007 Giornata “storica”: ce ne saranno anche altre importanti, ma meno “forti”. Obiettivo: ammirare (e fotografare) i “big five”: leone, leopardo, rinoceronte, elefante, bufalo e, magari, qualche altro animale. Il parco Kruger è il più grande del Sudafrica (più o meno la superficie del Veneto) e ospita un numero stupefacente di animali. Sveglia alle 5.00. Colazione al sacco.

Gli animali si muovono più volentieri nel fresco. L’ingresso del parco è a pochi passi dal lodge che ci ospita. Partiamo alle 5.45 con 3 jeep per il parco; noi siamo su quella di John su 3 file di posti con M. Grazia, Roberto, Annamaria e Sergio. E’ Rosaria che si sacrifica: si siede nei posti di mezzo, lasciando agli altri la possibilità di sporgersi direttamente dallo sportello. La jeep è aperta; fa freddo, indossiamo cappelli per ripararci; John ci fornisce delle coperte e ci catechizza sul comportamento da tenere con alcune raccomandazioni:  non mettere occhiali da sole;  nessun movimento improvviso;  nessun urlo;  non alzarsi in piedi;  non scendere dalla jeep. Non appena entrati nel parco, subito un’emozione: incontriamo il re della foresta (primo big) con la sua compagna. E’ ancora buio: per le prime foto dobbiamo usare il flash; il leone non è disturbato, non si scompone, va tranquillo per la sua strada, anzi ad un certo punto si sdraia e, in posizione “Paolina Bonaparte”, ci guarda: sontuoso !!! Riusciamo a fargli dei primi piani (a decine), sempre con il flash; le foto gli evidenzieranno gli occhi verdi (fenomeno legato ad un tipico pigmento della pupilla dei felini, illuminato dalla luce del flash). Le strade del parco sono in parte asfaltate (le principali) e in parte sterrate (le deviazioni); occorre circolare rigorosamente a non più di 40 km all’ora.

E’ il momento dell’alba: il sole sale rapidamente, un colore rosso “tuorlo d’uovo” si diffonde, interrotto, in controluce, dalle ombre scure di acacie e delle piante di mopane: meravigliosa natura !!! La guida Olivia ci ricorda che, forse per il caldo, il gruppo vacanze della settimana precedente non è riuscito ad incontrare tutti i “big five”. Sulla base di queste parole, pensiamo che sia il caso di sfruttare ogni occasione: anche per un animale lontano, ordiniamo a John di fermarsi e fotografiamo; fortunatamente ci dovremo ricredere nel corso della giornata. Ecco un rinoceronte (secondo big), lo apprezziamo anche se di schiena: non avremo comunque migliori immagini di tale animale. Gi impala, vispi e allegri, belli da vedere, li trovi ovunque: sono i più numerosi; nel parco ce ne sono 250.000 (saranno spesso anche sui nostri piatti). Le 3 jeep del gruppo vacanze sono costantemente in contatto radio: quando un ranger vede qualcosa, avverte gli altri. Il nostro John (che nella vita di tutti i giorni è chef nel suo ristorante) è il capo guida. Grazie ad una sua intuizione, riusciamo ad intravedere da lontano un leopardo, che attraversa la strada a grandi falcate, come un gattone (terzo big e sono solo le 8.00 di mattina). Riccardo, impegnato in quel momento a filmare il paesaggio, non riesce a vedere il leopardo (si rifarà più avanti).

Sulla strada, incontriamo una famiglia di bertucce con i piccoli: simpatiche, ma pericolose e ladre. Ecco i kudu, gli springbok, gli orici, i facoceri. Arriva la notizia da una jeep che dei leoni stanno attraversando la strada: John si precipita sul posto: ammiriamo la famiglia con 4 cuccioli che, dopo i genitori, uno alla volta, anche se con prudenza, attraversano la strada, tra le 5-6 jeep ferme e “in estasi”: very good !!!.

Dopo queste emozioni, ci vuole un break; verso le 9.30 ci fermiano nel paesino di Skukuza, dentro al parco, per fare la colazione; bertucce in azione; sotto un tetto di un capanno, centinaia di pipistrelli appesi e dormienti: orribili !!! Notiamo una serie di alberi della salsiccia: questa pianta prende il nome dai suoi enormi frutti marroni, a forma appunto di salsiccia, che possono crescere fino a un metro di lunghezza e diciotto centimetri di diametro. Il frutto è molto apprezzato dalle antilopi, ma essiccato e trasformato in pasta è usato come unguento: la crema ottenuta da questo procedimento viene utilizzata come cura per il carcinoma delle cellule basali, un tipo di cancro della pelle che insorge con l’invecchiamento e la prolungata esposizione al sole. Alle 10.15, si riparte per la savana; incontriamo famiglie di zebre, molto numerose (particolarmente apprezzate da Enrico e Andrea, appassionati juventini) e gnu; ammiriamo da lontano giraffe single o, al più, a coppia. Incrociamo anche un falco africano, degli avvoltoi, dei procioni e dei marabù. Per un lungo periodo non vediamo animali, ma ci orientiamo sulla natura floreale.

E’ arrivata l’ora del pranzo; lo consumiamo in un ristorante panoramico di Lower Sabie Camp, affacciato sull’omonimo fiume Sabie con veduta di coccodrilli e ippopotami “a mollo” e al sole: spettacolare !!! Un elefante (quarto big), adulto e molto grande, attraversa il fiume, che al suo pari sembra un ruscello. E’ lontano, ma imponente e carismatico.

Nel pomeriggio, incontriamo “de visu” un vecchio elefante; sta a due metri dalla jeep e notiamo in primo piano la sua pelle rugosa. Improvvisamente arriva la notizia della presenza di un leopardo in zona; ci avviciniamo al luogo: è accucciato in un cespuglio vicino alla strada. Non si riesce a vederlo in modo chiaro: si riescono comunque ad intravedere le caratteristiche macchie. In quel punto c’è un via vai di jeep ed auto che manovrano per trovare la posizione migliore per vederlo e magari farlo spostare: il giovane leopardo, malgrado il trambusto di auto, rimane tranquillo e non si muove. Dopo 30 minuti in attesa di un suo movimento, stremati ci allontaniamo. Riccardo ora si è tranquillizzato; anche lui ha “trovato” il suo quarto big. Il ranger John comincia ad essere stanco; non risponde efficacemente alle nostre richieste; abbiamo capito che è ora di rientrare alla base; riusciamo comunque a fare l’en-plein: sotto un ponte, individuiamo due bufali (bingo !!!): serie “big five” completata. A questo punto possiamo rilassarci; sono circa le 17.00: il sole scende, facciamo decine di foto al tramonto, con la speranza di immortalare qualcosa che meriti di diventare un poster. Abbiamo attraversato le diverse tipologie di savana: boscosa, sabbiosa, rocciosa, foreste di alberi di baobab, Molane (albero farfalla), stagni, fiumi. Abbiamo praticamente esaurito la scorta di emozioni: a questo punto, gli animali che incontriamo non ci fanno più effetto, ora li consideriamo i “soliti animali”. Torniamo al Kruger Hotel, dopo una giornata veramente storica: non la dimenticheremo mai !!! Ringraziamento e mancia a John.

La cena (a buffet), questa volta in una sala interna e non all’aperto (avremmo desiderato un bis), passa in secondo ordine, ancora inebriati dalle emozioni vissute. Giovedì 14 giugno 2007 Giornata varia, ma non particolarmente pesante. Lasciamo con nostalgia il parco Kruger; ci avviamo per la visita della bella regione montuosa circostante del Mpumalanga (luogo dove sorge il sole), percorrendo la Panoramic Route verso il Blyde River Canyon. Incontriamo vegetazioni di abeti ed eucalipti (dell’Australia), che crescono in 15-20 anni. Prima però ci fermiamo a Pilgrim’s Rest, una graziosa cittadina che nel passato è stata testimone della corsa all’oro con le sue miniere. Fondata nel 1827, è divenuta museo nazionale nel 1972 quando si esaurì il filone aurifero che l’aveva resa fiorente negli anni precedenti. Qui tutto è rimasto come allora, le case con gli arredi d’epoca, le strade, i negozi, persino la vecchia tipografia e sede del giornale locale. Sono presenti costruzioni dell’era vittoriana, come il famoso Hotel Royal. Molto interessanti le memorie storiche dei cercatori d’oro. Caratteristico anche il suo antico cimitero. Visitato anche il mercatino.

Rapida puntata alle Lisbon Fall, cascate alte 92 metri: uno splendido scenario (non avevamo ancora visto le Victoria Falls). Arriviamo al Blyde River Canyon, 3° canyon al mondo, scavato nel corso dei millenni dai fiumi Blyde e Olifants.

Visitiamo la parte che riguarda le Bourke’s Luck Potholes, rocce bucate di forma cilindrica e di colore rosso, a forma di marmitta. Il canyon è profondo 800 metri. Percorriamo ponti costruiti tra una gola e l’altra. Solo l’orario, sono le 12.00, ci penalizza: sole troppo alto e forte; sarebbe ideale la visita al tramonto. Pranzo in Adventure, zona turistica, in un hotel dalla veduta straordinaria, da cui si vedono le caratteristiche e rotondeggianti Three Roudavels, le tre capanne africane, dette anche le tre sorelle. Anche il vitto e la sua presentazione non è male.

Dopo il pranzo, Olivia offre a ciascun partecipante il seme del coral e ci mostra il relativo fiore; poi, ci meritiamo una camminata di 15 minuti attraverso un sentiero in un posto impervio da cui vedere centralmente le tre capanne (foto su foto). Riprendiamo il pulmann per risalire l’altopiano; rivediamo il Blyde River Canyon dall’alto: uno spettacolo, sicuramente paragonabile a quello dell’Arizona: affascinante (foto su foto). Ci rechiamo, in particolare, alla God’s Window (la finestra di Dio), in una zona ventilatissima, ed ammiriamo tutta la vallata del canyon. Ore 15.30 si riparte per la cittadina di Graskop. Bellissimi negozi, alcuni anche troppo eleganti: ovviamente facciamo acquisti. Si arriva a Nelspruit, capitale della regione di Mpumalanga. L’hotel Protea Hotel Nelspruit risulterà il meno apprezzato della vacanza, dal punto di vista culinario e del servizio. Da ricordare invece i letti single grandi (1 piazza e ½), alti e morbidi; Andrea ancora se li sogna, Riccardo al contrario non ha apprezzato la morbidezza: non riusciva a trovare la giusta posizione. Venerdì 15 giugno 2007 Giornata (la seconda) dedicata a problematiche sociali.

Partiamo da Nelspruit per Johnannesburg, dove arriviamo in tarda mattinata: attraversiamo la città in pullman; è sconsigliabile per i bianchi passeggiare. La città ora è in mano ai neri. C’è molta confusione e movimento di gente; rileviamo che stupendi hotel sono occupati o abbandonati; barbieri e parrucchiere esercitano direttamente sulla strada; mercatini di qualunque genere e di scarsa qualità, … Dei quartieri degli affari di una volta, quando governavano i bianchi, non rimane nulla. Ci deprimiamo.

Arriviamo a Soweto, l’enorme quartiere nero (2.500.000 abitanti) teatro in passato di scontri violentissimi, per visitare la primary school; la polizia ci attende nella scuola, poi si allontana. Ritornerà alla nostra ripartenza.

E’ un’esperienza migliore di Cape Town: non saprei però dirne i motivi: è a pelle; forse eravamo preparati. Molto coinvolgente il coro di una famiglia (15 membri), vestita elegante, appena tornata da un funerale, dove ha cantato durante la cerimonia. Sono stati invitati per accoglierci. Mitica è la loro interpretazione di SHOSHOLOZA, canzone simbolo del popolo nero del Sudafrica, magistralmente orchestrata dal capo famiglia con cappello e vestito nero. Pranziamo con i docenti e gli amministrativi. Patatine per i bambini. Molte foto con loro: bellissimi !!!.

Sempre a Soweto, visitiamo la chiesa dedicata alla “Regina Mundi”, La “Madonna nera”, la grande chiesa cattolica, in cui si rifugiavano i neri durante le rivolte del passato; sulle travi del soffitto sono ancora evidenti i fori delle pallottole testimonianze degli interventi, addirittura nella chiesa, da parte della polizia ai tempi dell’apartheid. Vediamo dall’esterno la vecchia casa di Nelson Mandela. Visitiamo il monumento dedicato ai caduti per la libertà dei diritti, in particolare viene riportata la foto del ferimento mortale di Hector Peterson (13 anni), il primo martire della libertà dall’apartheid. Ecco i fatti: il 16 giugno 1976 diecimila studenti, furiosi di dover imparare l’afrikaans (simbolo degli oppressori), decisero di protestare e di scendere in piazza con dimostrazione pacifica. La polizia rispose con la forza, usando gas lacrimogeni; avvennero degli scontri, durante i quali morirono 152 ragazzi. Hector Peterson era uno di questi; la foto che lo vede portato in braccio da un altro ragazzo e con la sorella disperata accanto è diventata un simbolo dell’oppressione dell’apartheid. L’hotel che ci ospita per la cena è il Wanderes Protea Hotel; il pernottamento e la cena è senza infamia e senza lode: non lo ricorderemo. Un rappresentante del Tour operator ci presenta il programma dei prossimi giorni (estensioni in Zimbabwe e in Botswana) e ci da delle dritte da utilizzare alla dogana dello Zimbabwe. Purtroppo per 7 persone del gruppo vacanze, il viaggio termina qui: non hanno acquistato le estensioni e ritornano in Italia. Ci salutiamo.

Sabato 16 giugno 2007 Si parte per lo Zimbabwe (repubblica – capitale: Harare – abitanti:13 milioni). Alzataccia (come al solito, del resto) per la predisposizione delle valigie, soprattutto per distribuire il maggior peso sui bagagli a mano, in modo da non far superare la soglia di peso al bagaglio da imbarco (18-20 kg a collo). Travagliato il check-in; passiamo comunque indenni la bilancia (per 3 kg). Fortunatamente il peso dei bagagli da imbarcare è stato gestito a livello di famiglia e non per singolo collo. Facciamo in tempo a farci rimborsare l’IVA del 20% sugli acquisti fatti. Salutiamo la nostra seconda guida Olivia: anche lei, come Marcello, “inarrivabile”. Nell’attesa della partenza, approfittiamo per scrivere e spedire cartoline (una trentina) ad amici e parenti. Volo alle 9.15. Dopo quasi due ore, eccoci alle 11.00 a Victoria Falls Airport, piccolissimo; sono previsti due voli al giorno.

In dogana, facciamo la fila con Giapponesi e Coreani per il visto d’ingresso; dopo circa 30 minuti, tocca a noi: paghiamo 25 Euro a persona; risparmiamo: Riccardo è “p i c c o l o”, non paga.

All’uscita dell’aeroporto un gruppo di neri in costume locale ci accoglie cantando e danzando.

La nuova guida è Mariolina: un’italiana che è nata, ed è sempre stata, in Africa; in particolare per lungo tempo è vissuta nello Zambia. Gestisce un lodge con la famiglia; il marito caccia coccodrilli. Simpatico l’autista del pulmino. Il dollaro dello Zimbabwe è inflazionato; quando in albergo ordiniamo una bottiglia d’acqua, lo scontrino di riscontro dell’albergo indica il costo in decine di migliaia di loro dollari. Vengono accettate le banconote delle valute straniere; ma non le monete. Ci viene un dubbio: perché la Comunità Europea non ha predisposto un Euro in banconota ? Per le contrattazioni, noi europei dobbiamo infatti utilizzare le banconote da 5 Euro, mentre all’americano è sufficiente quella di 1 dollaro. Victoria Falls Town è un piccolo paese; ci sono due sontuosi alberghi, di cui uno è il nostro: il Kingdom Hotel; è magnifico e unico nel suo scenario (ponticelli, ruscelli, bertucce che girano tra gli appartamenti e balconi, elefanti che “masticano” tutta la notte, …). Non saprei scegliere tra questo e quello del Kruger. Il servizio è esageratamente perfetto. Non ti puoi muovere che arriva il cameriere. In questo caso il Kingdom è meglio (e imbarazzante) del Kruger. Ci viene servito un pranzo leggero.

Si va alla cascate Vittoria, generate dallo Zambesi, il quarto fiume (per lunghezza) dell’Africa, dopo Nilo, Congo e Niger; sono considerate la settima meraviglia del mondo moderno: altezza 128 metri e larghezza 1700, con una portata di 5 milioni di mc d’acqua al minuto. Sono chiamate “Il fumo che tuona” dalle popolazioni locali. Le cascate segnano il confine tra lo Zimbabwe e lo Zambia.

Un rumore assordante ci accoglie. Gli schizzi (riduttivo il termine) delle cascate creano una nebbia che sale fino a 1500 metri di altezza e che si vede a distanza di 35 km; questa nebbia diventa pioggia (siamo nel periodo di piena) in certi punti del percorso di osservazione. Mariolina ci ha fatto organizzare per affrontare la tempesta di acqua: ciabattine e piedi nudi, impermeabili interi con cappuccio, fotocamere e videocamere protette da buste di plastica e continuamente tamponate con fazzoletti di carta, ombrelli e … cambio sul pulmino. Per chi non ha potuto organizzarsi, all’entrata delle cascate noleggiano impermeabili.

La vegetazione è rigogliosa, lussureggiante, viene infatti “innaffiata” continuamente. Le cascate sono incorniciate da due arcobaleni completi. Il fenomeno è bellissimo; ci sentiamo fortunati; ma poi ci viene il dubbio che gli arcobaleni ci siano sempre o spesso, considerato il fenomeno in atto. Percorriamo un sentiero che costeggia le cascate (a 100 metri da loro) per vederle nella loro estensione. Qualcuno del gruppo però rinuncia a fare il percorso completo: troppa pioggia; oltretutto è critico fare filmini e foto in queste condizioni. I più coraggiosi (Andrea, Riccardo, M. Grazia, Roberto) arrivano al ponte che collega le due frontiere (Zimbabwe e Zambia), da quale per 100 Euro è possibile fare “bungee jumping”. Risaliamo sul pulmino dove ci cambiamo, soprattutto scarpe e calzini, e ci rechiamo ad imbarcarci per la crociera sullo Zambesi per ammirare il tramonto, in un punto prima delle cascate. Verso le 16.30 saliamo su un battello a noi dedicato. Siamo “serviti e riveriti” anche in questo caso. L’organizzazione ci propone uno spuntino e, tra l’altro, birra “Zambesi” a volontà. Andrea si riporterà a Roma un “vuoto originale” come ricordo. Lo Zambesi in questo punto è largo 2 km; spesso accostiamo per vedere da vicino ippopotami e coccodrilli, i padroni del fiume; incrociamo altri battelli di gruppi di turisti, comunque pochi e nel rispetto del silenzio della natura.

Sono le 17.15: il battello manovra per posizionarsi al centro del fiume, perpendicolare alla riva per permettere a tutti di vedere l’evento del tramonto (che è un po’ diverso dal tramonto sul Tevere …). Seguiamo passo passo (foto foto) gli ultimi minuti del sole all’orizzonte, finchè scompare. Romantico e rilassante !!!. Rientriamo in albergo, prima però immortaliamo un baobab di quasi 500 anni; ci aspetta la cena a buffet, allietata da balli e canti locali; il gruppo cantante propone alla fine il suo CD: Andrea si impietosisce e per 20 Euro lo acquista (finalmente una buona azione !) .

Dopo cena, visitiamo il classico Hotel Vittoria (1904) che ospitò appunto la regina Vittoria. L’hotel è circondato da uno spettacolare giardino con prato all’inglese ed ha una magnifica vista sulle cascate raggiungibili con una passeggiata a piedi di dieci minuti. Domenica 17 giugno 2007 Ore 7.30 si parte per il parco Chobe, situato in Botswana (repubblica – capitale: Gaborone – abitanti: 1,6 milioni), stato democratico.

Percorriamo una strada sempre diritta senza incontrare auto per decine di km; una ragione c’è: è in atto un boicottaggio contro lo Zimbabwe e la benzina viene razionata: in realtà si acquista solo al mercato nero.

Dopo 35 km arriviamo alla frontiera con il Botswana: dobbiamo strofinare le scarpe su un cuscino, impregnato di acido per evitare di “esportare” eventuali malattie di animali. La cittadina è Kazungula. Arriviamo poi a Kosame dove è posto il molo del battello dedicato al nostro safari acquatico sul fiume Chobe. Presidiamo con fotocamere e videocamere tutte le rive e le isolette che incontriamo: si susseguono gli ambìti (fotograficamente parlando) coccodrilli (single), ippopotami (in gruppo), armadilli, varani, cicogne, oche. Il fiume sembra immenso e presenta diverse sfaccettature. In lontananza elefanti e bufali. Anche la flora sul fiume lascia il segno della sua bellezza. C’è un po’ di vento, ma è gradevole. Andiamo a pranzo in un albergo sul fiume; Giapponesi e Coreani condividono con noi il self-service (sufficiente). Alcuni armadilli si rincorrono tra i tavoli.

Nel pomeriggio, entriamo nel parco Chobe nel delta del Okavango (Angola) per il safari fotografico: notiamo che la savana risulta diversa dal Kruger, più desolante, più selvaggia, alberi più radi, magari più alti. Il ranger è Salomon (che Andrea interfaccia brillantemente in inglese); la jeep è tutta per il nostro gruppo familiare (inclusi M. Grazia e Roberto). Le strade sono sterrate e sabbiose. Incontriamo subito una famiglia di giraffe e siamo testimoni di un evento eccezionale: due maschi si sfidano per una femmina a colpi di collo; a turno prendono la rincorsa per rendere il colpo più violento. Ad un certo punto una delle due cade in terra (ha perso l’equilibrio dopo aver dato un colpo); con estrema difficoltà riesce a rialzarsi. Si allontano nella boscaglia, ma la contesa non sembra conclusa. Sulla riva del Chobe incontriamo mandrie di elefanti e bufali (decine e decine); in qualche circostanza, la vicinanza degli animali (e la loro numerosità) provoca in noi una sensazione di timore; cosa che al Kruger non abbiamo mai manifestato. Non succede fortunatamente nulla, anche se Salomon, in un paio di occasioni, sulla riva del fiume con manovre improvvise e rapide della jeep sembra voler provocare i bufali e gli elefanti. Ecco un’altra mitica visione: un’aquila sulla riva; incredibile !!! Saremo a 3 metri da lei; un varano le passa vicino, lei lo trascura. Non le diamo fastidio; è serena. Si trastulla, passeggiando e guardandosi intorno per circa 4-5 minuti; poi, con una maestosa apertura d’ali, decide d’involarsi (e di salutarci).

Ci passa vicino un’antilope d’acqua (water buck). Ci gustiamo una giraffa che beve; ammiriamo la posizione delle zampe dell’animale più alto del modo in questa situazione.

Siamo vicini al tramonto: fotografiamo comunque e dovunque (come al tramonto al Kruger).

Qui finisce l’incontro con gli animali dell’Africa; ricordiamo, a parte i big five: antilopi di molte specie (kudu, impala, springbok, orici, water buck, …), facoceri, zebre, gnu, bertucce, babbuini, varani, coccodrilli, ippopotami, armadilli, giraffe, struzzi, pinguini, foche, molte specie di uccelli (sua regina l’aquila, avvoltoi, martin pescatore, …) ed altri (che ci scuseranno la dimenticanza …); non abbiamo visto nè iene, né sciacalli, né ghepardi.

Torniamo molto soddisfatti in Zimbabwe. La sera è prevista una cena folcloristica in un locale tipico, “The Boma”. Sono a disposizione le carni dei diversi animali che abbiamo ammirato nei safari; non solo, ma Andrea e Riccardo si convincono a mangiare bachi da seta (vermi): le loro prestazioni vengono formalizzate su certificati, redatti in inglese (li vogliono incorniciare !). A ciascun ospite viene fornito un tamburo ed impartiti i comandi base per batterlo con le mani e i polsi: caratteristico e … assordante!!!.

E’ disponibile anche lo stregone: per un dollaro prevede il futuro; Riccardo lo incontra: avrà 3 figli maschi. Torniamo in albergo verso mezzanotte e malinconicamente ci rediamo conto che il viaggio è giunto al termine. Anticipiamo il saldo del conto dell’albergo; il personale della cassa, come al solito, compie un errore; meno male che è presente la guida Mariolina, che con molta calma e pazienza risolve la questione. Il concetto di tempo e di ansia degli occidentali qui in Africa non esiste. Lunedì 18 giugno 2007 Si rientra in Italia.

Alle 9.00 ci fermiamo ad un mercatino per gli ultimi (poche decine) acquisti; ci siamo solo noi del gruppo Graffiti; Riccardo ed Andrea vengono avvicinati continuamente dai venditori. Ad Andrea chiedono maglietta e scarpe: gli offrono una serie interminabile di animali in legno. Acquistiamo vari esemplari di big five e giraffe. Compriamo collanine; una con il dente di leone. Contrattiamo un altro dente di leone; ma la trattativa non si conclude per il già citato discorso sulle banconote. Diamo in maniera furtiva, per non farci vedere dagli altri compagni di viaggio, una semplice mancia all’autista del pulmino, che ci ha ospitato in questi due giorni in Zimbabwe; gli stessi compagni si accorgono del fatto e ci fanno presente che l’autista si è emozionato, gli sono venuti gli occhi umidi: cuore caldo dell’Africa. All’aeroporto di Victoria Falls, prima imbarchiamo i bagagli (questa volta li pesano a livello gruppo e non a famiglia: anche in questa occasione senza debiti); poi continuiamo gli acquisti (tra cui un acquarello delle cascate Vittoria, già incorniciato ed esposto nel salone dell’appartamento di Roma). Si vola a Johannesburg (11.30).

Nell’aeroporto di Johannesburg dobbiamo attendere 5 ore: ovviamente passiamo il tempo a fare (indovinate …) acquisti (magliette, camicie, animali di pietra/legno, braccialetti, …). Alle 20.00 si parte per Francoforte. Al check-in otteniamo 4 posti consecutivi sulla fila centrale in modo da far allungare Riccardo; ma ci prepariamo anche per “allargare” i nostri posti. Niente da fare: l’aereo stavolta è completo. Si rivela (e sarà) un viaggio più pesante dell’andata. Non si riesce a riposare per un tempo più lungo di mezz’ora che le gambe “formicolano”. Martedì 19 giugno 2007 Alle 6.00 arriviamo (finalmente) a Francoforte: non c’è (fortunatamente) tempo per fare spese: qui in Germania oltretutto neanche conviene.

Alle 7.30 ci imbarchiamo per Roma: volo senza sussulti, in stato comatoso (non ricordiamo nulla), il solo desiderio è arrivare al più presto.

Alle 9.20 atterriamo a Fiumicino (appena tocchiamo terra, vorremmo fare un forte applauso all’equipaggio; cerchiamo inutili consensi). Recuperiamo i bagagli: ci sono fortunatamente tutti. E’ arrivato il momento di salutare i nostri compagni di viaggio con l’augurio di rivederci presto; M. Grazia e Roberto vengono presi in carico da Edoardo.

Parkingo ci porta alla nostra Ford Escort; alle 11.00 arriviamo a casa, felici e contenti !!!! Scaricati i bagagli, ciascuno si prende in carico delle cose di competenza; particolare cura viene rivolta ai componenti fotografici e ai filmati, vere testimonianze dello straordinario viaggio. Tutti i souvenir, raccolti dalle diverse valigie, zaini, … vengono concentrati su un unico tavolo: sono veramente tanti (foto di gruppo dei souvenir).

Passeremo numerose serate autunnali e invernali a: – selezionare le foto (oltre 2.000) per farne stampe e poster; – analizzare i filmati (5 ore) per organizzare un montaggio ridotto; – rivivere e far vivere il viaggio (attraverso i media sopra indicati) agli amici.

Però che viaggio stupendo !!! AFRICA, BELLISSIMA AFRICA !!! TORNEREMO PRESTO !!!



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