La nostra Giordania

Una meta originale e paesaggi fantastici, grandissima ospitalità e immenso cuore, questa è stata "la nostra Giordania".
Scritto da: Sookie
la nostra giordania
Partenza il: 12/08/2007
Ritorno il: 19/08/2007
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Saremmo dovuti andare in Cina, la proposta di una meta alternativa per me non aveva senso. Punto. L’impiegata dell’agenzia di viaggi aveva utilizzato per la Giordania l’appellativo di “indimenticabile” e descritta come una terra assolutamente sicura. Nell’osservarne però i confini da una cartina appesa dietro alle sue spalle, Siria, Iraq, Arabia Saudita e Israele, non riuscii che a immaginare scenari apocalittici, tipo il Tg che apriva con la notizia del nostro rapimento e i miei che morivano d’infarto. Filippo entusiasmato aveva già messo da parte la Cina con tutti i suoi problemi organizzativi per la Giordania, mentre io ancora sognavo le montagne di Guilin (….e’ che caratterialmente ci metto una vita ad abituarmi ai cambiamenti). Decidemmo di iscriverci al sito di Viaggiare Sicuri – Dove Siamo nel Mondo, un servizio messo a disposizione dalla Farnesina che permette in caso di necessità di essere rintracciati all’estero e inoltre avvisa, tramite e-mail o sms, se si verificano problemi sia a livello di salute che di sicurezza nel Paese che si è scelto di visitare, prima, durante e dopo la partenza (gli avvisi continuano ad arrivare anche anni dopo essere tornati). Avevamo scelto un tour di otto giorni, partenza 12 di agosto e ci siamo dovuti sobbarcare per questo anche l’onere del supplemento ferragosto. Il Tour Operator ci aveva fornito una ricca documentazione su storia, tradizioni, usi e consigli utili sulla Giordania e mi ritrovai quindi a fare la valigia abbastanza speditamente mettendo solo pantaloni lunghi, magliette a maniche corte, un costume da bagno intero per il Mar Morto (sebbene lasciasse sempre troppa pelle scoperta per l’idea di costume da bagno musulmano che avevo già avuto modo di conoscere nel viaggio in Tunisia) e una crema protettiva con fattore alto. Arrivammo a destinazione la sera tardi e trovammo subito chi ci aspettava in aeroporto. Ci accorgemmo che le cose funzionavano alla maniera partenopea, con una ricca mazzetta i nostri bagagli furono trovati in men che non si dica. Facemmo in quel momento la nostra prima meravigliosa scoperta: avremmo fatto il tour noi soli con la guida! Il trasporto in albergo fu vociante e chiassoso, ma anche istruttivo. Sia il nostro accompagnatore che l’autista, con un buon inglese (il nostro era paurosamente al livello “the cat’s is on the table”….e con sgomento lo stavo realizzando solo in quel momento), ci spiegarono che il Re Abdullah II aveva stanziato enormi finanziamenti per la cultura: l’inglese era la loro seconda lingua, in ogni casa era presente un computer e la stragrande maggioranza dei giovani, anche dei ceti più bassi, frequentavano l’università. Grazie all’istruzione era in atto una vera e propria riscossa sociale. Questo per me aveva il sapore di una grande impresa! Scoprimmo anche che, per le loro usanze, alla nostra età (io 32, mio marito 34) eravamo sposati da troppo poco tempo (uno) e avevamo davvero troppi pochi figli (nessuno). Stravolti dalle chiacchiere e con la sensazione di aver dato una mancia troppo grossa eravamo finalmente arrivati a destinazione: Hotel Cham Palace di Amman (bello ma un po’ decentrato) e non vedevo l’ora di prendere possesso della nostra stanza. La camera era accogliente e pulita, tutto nei toni del blu, dalla moquette alle mantovane. Dal balconcino il panorama notturno visto così dall’alto era suggestivo: avevamo la torre di una grande moschea proprio vicino a noi e se ne vedevano tantissime altre in lontananza risplendere di verde, poi cupole e palazzoni con terrazzi illuminati. Sotto, al bordo piscina, era in atto una festa con la musica e balli. Le donne vestivano in modo variegato: con velo e tunica, all’occidentale ma con il velo, oppure niente velo. L’indomani è iniziata la nostra avventura facendo la conoscenza della nostra guida Samih, un giordano di origine beduina che ha vissuto 14 anni in Italia, profondamente innamorato della propria terra. Neanche avevamo fatto due parole che già ci prendeva in giro su Berlusconi; i giordani come gli arabi in genere, sono sempre molto informati su ciò che accade nel nostro Paese. Ci ha raccontato ad esempio della loro reazione alla morte di Papa Giovanni Paolo II, considerato come una sorta di Gesù moderno, ammirato per la devozione e il rispetto mostrati in più di un’occasione per la religione musulmana e per aver sempre incoraggiato il dialogo tra le religioni monoteiste. Il pensiero invece sull’attuale Papa era in estrema antitesi su quanto espresso sul suo predecessore. Abbiamo raggiunto così il primo sito Umm Quays, appollaiato sulla cima di una collina da dove si dominano le Alture del Golan e il Lago di Tiberiade, con un suggestivo terrazzo colonnato e le rovine di due teatri. Proseguiamo per Jarash e intanto si era fatta ora di pranzo. La bellezza di muoversi in tre non consisteva solo nel viaggiare su una comoda auto, avere spiegazioni e attenzioni solo per noi (il che era un grosso passo avanti dopo l’esperienza da gita scolastica del tour del Messico l’anno prima), quello che non mi aspettavo era anche di avere tempi rilassati per pranzare, godere di quel magnifico cibo mangiato prevalentemente con le mani e chiacchierare con la nostra guida che ci forniva mille informazioni su usi e abitudini locali, raccontandoci spaccati della sua esperienza di vita in Italia, sorseggiando il loro meraviglioso caffè speziato al cardamomo (credo che alla fine ne fossi diventata dipendente perché al ritorno in Italia mi mancava come l’aria). A partire da quel primo giorno, dalla visita del primo sito, al primo pasto insieme eravamo già entrati in modalità “shway shway”, che in arabo significa piano piano. Tornavamo in hotel che avevamo visto un milione di cose, macinato chilometri su chilometri, ma il giorno dopo eravamo sempre freschi come una rosa e pronti a ricominciare. Strutturare una vacanza culturale in questo modo secondo me è il massimo! L’arco di Adriano ci aveva già salutati prima di raggiungere il ristorante e mi aveva colpito per la sua maestosità. L’intero sito, che ha conosciuto il suo massimo splendore sotto la dominazione romana, risulta essere davvero ben conservato. Bellissimi il foro dalla sua forma ellittica, il cardo maximo, l’ippodromo, il Ninfeo, il Tempio di Zeus ed in particolare quello di Artemide con le colonne che si muovono con il vento. Agosto insieme a luglio è il mese del Festival delle Arti e della Cultura che si svolge presso il Teatro Meridionale, con una magnifica acustica. Lì mi sono divertita a ballare al suono delle cornamuse della banda della polizia del deserto in pensione. In questo sito abbiamo trovato un grosso spiegamento di militari, anche perché il giorno dopo avrebbe dovuto presenziare al Festival il Re in persona, ma in generale la polizia è stata sempre presente in tutti i luoghi da noi visitati. In due casi abbiamo dovuto superare dei check-point e abbiamo notato che la nostra guida al cospetto dei militari armati perdeva la sua consueta disinvoltura. Dopo averli passati ci raccontava di aver giurato e spergiurato che eravamo italiani, che non eravamo stati in Israele e che eravamo turisti. Essendo Samih una guida con molta esperienza (ha accompagnato in visita anche l’ex presidente Ciampi e consorte) conosceva praticamente tutti. Mentre raggiungevamo un bar che vantava la presenza di una macchinetta italiana per fare il caffè (che però a stento si poteva bere), siamo passati davanti ad un folto gruppo di ragazzi che gli si sono rivolti indicandoci. Volevano sapere di che nazionalità fossimo. Samih ci ha spiegato che americani ed inglesi non sono benvoluti, mentre hanno molta simpatia per noi italiani. Alcuni di loro mi hanno offerto dei fiori colti da un albero vicino oltre che profondersi in mille sorrisi e saluti. Samih ci ha raccontato che all’ambasciata italiana le guardie spesso giocano a pallone con i ragazzi giordani mentre all’ambasciata americana i ragazzi vanno a tirare scarpe, in segno di sdegno e pietre. Prima di tornare in hotel la nostra guida ci ha portato a casa di sua sorella, sposata con quattro figli. Abbiamo iniziato così a toccare con mano la grande ospitalità giordana, in particolare quella beduina. Sua sorella non portava il velo ma indossava un completo tradizionale casacca pantaloni turchese che faceva risaltare la sua pelle ambrata. La coppia, che erano un uomo e una donna d’affari, aveva un’aria giovanile pur avendo due figli all’università e parlavano un inglese fluente. Sua sorella ci ha colto dei fichi dal suo giardino e dei fiori per me; naturalmente è arrivato anche l’invito a cena, che abbiamo declinato però. Quando abbiamo visitato l’interno della casa, le bambine nella loro camera mi hanno fatto vedere l’interno di alcuni cassetti, uno era pieno di elastici e fermagli per capelli, allora la loro madre ne ha presi alcuni e me li ha regalati; prima di andare via ci hanno dato anche un cappello con i colori della Giordania e un rosario musulmano. Volevo salutare suo marito con una stretta di mano, ma doveva recarsi a pregare alla moschea e se una donna lo avesse toccato a pelle nuda avrebbe dovuto lavarsi di nuovo, ho potuto farlo però sul braccio coperto dalla camicia. Me lo ha spiegato con un bellissimo sorriso e non ho potuto offendermi. Secondo giorno visita panoramica di Amman con la Cittadella dominante il Teatro Romano capace di 5.000 posti e ancora utilizzato, il Tempio di Ercole e il Castello Omayyade. In Giordania non esiste il divieto di fumo e non è esistito per mio marito e per la guida neanche all’interno del museo archeologico. Mentre giravamo tra le teche per osservare i rotoli del Mar Morto (le pergamene del Vecchio Testamento) vedevo volute di fumo uscire dalle loro bocche e non potevo davvero credere ai miei occhi… questa terra era il paradiso del fumatore e Filippo era in piena estasi. Nel museo erano presenti in visita anche diverse donne completamente vestite di nero dalla testa ai piedi (che avevo già osservato a Jarash o per strada, ma mai da così da vicino) tutte coperte ad eccezione degli occhi, alcune avevano anche guanti neri. I loro occhi erano comunque molto mobili: sebbene fossero accompagnate le vedevo seguire Filippo con lo sguardo. In bagno una di loro si stava rinfrescando ed era davvero bellissima, perfettamente truccata e pettinata, con una maglietta aderente e scollata. Samih ci ha detto che erano donne Saudite in vacanza. Nella cultura in cui le donne devono essere coperte per nascondere la propria bellezza agli uomini (ma anche estrema bruttezza, ci ha confidato la guida), si prevede che esse si rendano desiderabili e attraenti per il proprio marito; ed è talmente vero a giudicare dalle numerose vetrine di intimo dei negozi di Amman che ho potuto osservare, con il gusto sfacciato di capi degni di un sexy shop. Abbandoniamo i paradossi delle donne musulmane ad Amman per lanciarci all’avventura della visita ai Castelli del deserto e Samih mi ha fatto una sorpresa, un turbante per proteggermi dal sole, facendomi sembrare così davvero un’ araba. Il primo castello visitato è stato quello di Qasr Harranah, un bellissimo caravanserraglio dal cui tetto abbiamo potuto ammirare il deserto di sabbia battuta, attraversato da una strada percorsa da un’infinità di autoarticolati che dall’Iraq si dirigevano ad Amman, trasportando materiale da costruzione. I Paesi confinanti stavano investendo i loro capitali in Giordania per la sua stabilità politica e ovunque andassimo trovavamo cantieri aperti. Per raggiungere il secondo ci siamo spinti fino a circa 150 km dal confine col l’Iraq. Qasr Azraq in basalto nero fu il quartier generale di Lawrence d’Arabia; è stato bellissimo mentre eravamo nel suo interno ascoltare il richiamo alla preghiera di una moschea vicino. L’ultimo castello visitato è stato quello di Quasr Amra. Una residenza privata di un califfo con un bagno termale e le mura del suo interno ricoperte di affreschi raffiguranti persone, anche nudi femminili e animali, purtroppo danneggiati da graffiti; uno di questi volti su un arco a botte sembra essere addirittura quello di Gesù Cristo. Tutto ciò è davvero sorprendente in quanto la tradizione islamica vieta l’arte figurativa in quanto considerano blasfemo copiare l’opera creatrice di Dio. Per questo gli artisti musulmani si esprimono con forme astratte che trasformano e quasi mimetizzano le cose reali. Infatti molti dei bellissimi mosaici visti in Giordani avevano subito “ritocchi” con la scomposizione delle tessere proprio in corrispondenza delle figure. A ritorno ad Amman abbiamo visitato il mercato vecchio della città e assaggiato da un chiosco i meravigliosi felafel: palline fritte di farina di ceci, cipolle, prezzemolo e spezie . Spacciandoci per giornalisti Samih ci ha fatto fotografare i negozi del souk con la loro variegata mercanzia (facendoci chiedere prima il permesso) e con la scusa di dover fare spese per sua moglie, ci ha lasciati liberi dandoci appuntamento davanti alla grande moschea alla fine del viale. Attraversare una strada, anche in presenza della polizia stessa, è stata un’impresa non da poco. Le auto si infilavano in ogni dove, suonando clacson a destra e a manca in una bolgia infernale tipica del mondo arabo. Nel Terzo giorno la vacanza si è caricata, per chi è cristiano naturalmente, anche di significato religioso. Il Monte Nebo, luogo dove si pensa sia morto Mosè e sia stato sepolto, si trova su un altopiano dal quale si gode una vista mozzafiato sulla Valle del Giordano e il Mar Morto, fino ai tetti di Gerusalemme e Betlemme. A protezione delle rovine delle chiese del IV e V secolo i francescani della Custodia della Terrasanta hanno eretto una chiesa. La pavimentazione di mosaici è davvero notevole. Scendiamo poi a raggiungere Al Maghtas, Betania, luogo dove è avvenuto il Battesimo di Gesù e dove viveva Giovanni Battista. Ci siamo addentrati con un trenino in mezzo ad una fitta vegetazione, fino a raggiungere il fiume Giordano che funge da confine naturale con lo Stato di Israele. Scavi archeologici hanno riportato alla luce rovine appartenenti al I secolo d.C., che confermano che il sito era abitato ai tempi di Gesù. Riprendiamo l’auto e man mano ci avviciniamo alla depressione del Mar Morto il paesaggio sembra appartenere ad un altro pianeta, è quasi lunare. Anche qui la maggior parte degli stabilimenti erano in fase di costruzione, noi abbiamo utilizzato la cabina di un bellissimo hotel per cambiarci e poi via in spiaggia a vedere questo spettacolare mare unico al mondo dove non si va mai a fondo. Che strana sensazione rimanere sempre a galla, ma che divertimento!. Attenzione però a non bagnarsi bocca e occhi e se avete feritine non ancora rimarginate il bruciore si sentirà tutto. Appena siamo scesi un inserviente dell’hotel ci ha spalmati il famoso fango nero su tutto il corpo (sembravamo due cormorani spiaggiati inzuppati di petrolio), sotto lo sguardo attento di un giordano che con l’invadenza tipica di noi italiani ci ha dato molte dritte, un po’ in arabo, un po’ inglese un po’ a gesti (direi molto in quest’ultima forma). Mi ha presentato persino i suoi tre figlioletti mentre ero a fare una gradevolissima doccia calda che ha lavato via tutto il fango lasciando la pelle liscia come seta. Visitata una fabbrica di prodotti cosmetici tipici del Mar Morto, che però non erano affatto economici, siamo tornati in hotel. Quarto giorno, con bagagli alla mano, partiamo per Wadi Rum e Petra, alloggeremo per due giorni al Grand View Resort di Wadi Mousa. Percorrendo la Desert Highway le capre e i cavalli incontrati per strada diventano dromedari , in macchina musica araba, le bellissime chiacchiere con Samih che finalmente ci ha spiegato la differenza tra sciiti e sunniti, il tutto sorseggiando il rinfrescante karkadè che ci aveva preparato sua moglie. In prossimità del deserto abbiamo osservato alcuni gruppi di case tutte uguali con scuole (una maschile e una femminile) e una moschea. Si trattava di case popolari che lo Stato metteva a disposizione dei meno abbienti, fornite di tutto il necessario per essere abitate complete anche di Tv e stoviglie. D’un tratto il deserto da giallo inizia a diventare rosso con le montagne color cioccolata che si stagliano in un cielo terso, alcune di queste rocce hanno la forma di funghi o animali grazie all’opera corrosiva del vento, il paesaggio naturale è così meraviglioso che viene voglia di darsi un pizzicotto per capire se è vero. Pranziamo in un campo beduino per turisti che aveva in dotazione anche una tendopoli e dei bungalow, per poi raggiungere la casa di quella che è stata la nostra guida nel deserto e mi accorgo che tutt’intorno all’abitato ci sono piante di ulivo (crescono davvero dappertutto!). Saliamo su una vecchia jeep bianca e mentre ci addentriamo nel deserto la guida ferma la macchina, scende e fa guidare me. Ero emozionatissima ma con l’entusiasmo a mille: finalmente stavo provando l’ebbrezza di una guida sportiva tipo rally, scalando dune e schivando rocce che affioravano dalla sabbia, con il beduino che mi gridava dove passare e Samih che applaudiva. Purtroppo poi mi sono insabbiata e ho passato a malincuore il volante a mio marito. Ci siamo fermati ad ammirare il massiccio roccioso dei “Sette pilastri della saggezza” chiamato così in memoria del capolavoro letterario dell’alto ufficiale britannico Thomas Edward Lawrence, che fissò qui la sua base operativa durante la Rivolta Araba e osservato alcune delle incisioni rupestri sull’arenaria, il deserto è stato abitato dall’uomo fin dalla preistoria. Poi ci siamo seduti sulla sabbia ad ascoltare il silenzio e tutto è stato perfetto fino a quando poco lontano non ho visto passare un fuoristrada che è sparito sotto una specie di viadotto che non avevo notato, ed è squillato il cellulare alla guida del deserto. Era andato distrutto un momento di grande estasi e non nascondo di essermela presa molto. Siamo andati via che avevo l’amaro in bocca perché venivo dall’esperienza magica del deserto sabbioso tunisino che mi aveva fortemente colpita, tanto da piangere tutte le mie lacrime quando è venuto il momento di ripartire per l’Italia. Ho provato una sensazione di infinito, pace e tranquillità, mi sentivo piccola e grata al cospetto della natura che mi offriva uno spettacolo toccante e maestoso, e avrei voluto riviverla in qualche modo anche qui in Giordania, sebbene il deserto roccioso a mio parere comunichi altre sensazioni. Essendo il deserto in genere un luogo che può essere davvero sorprendente ed è possibile viverlo in tanti modi, il mio consiglio è di organizzare, se è possibile, un’escursione di un’intera giornata e magari anche pernottarvi. Ripartiamo alla volta di Wadi Mousa e perfettamente in orario, da un belvedere, ci godiamo il tramonto su Petra che vista così dall’alto offre un paesaggio da “Storia infinita”. Incastonato in una delle pareti rocciose è anche il nostro Hotel Grand View Resort. Hall bellissima con quadri e arazzi alle pareti, ma dalle camere e i bagni si vede che è datato. La nostra guida aveva ritenuto opportuno farci vedere Beida al mattino presto invece che andare subito a Petra come da programma, per evitare che ci fosse gente. Visitarla e pensare che questa è solo un minimo assaggio di quello che vedremo poi mi ha caricato di aspettativa, anche se è ero già contenta se mi fossi dovuta fermare qui. E’ sorprendente percorrere la strada che passa in mezzo a queste altissime rocce di arenaria giallo-rosa e vedere che su queste l’uomo ha costruito grotte ma anche grandiosi accessi che dovevano servire ai tempi dei Nabatei per ospitare le carovane provenienti dall’Arabia e dall’Oriente che andavano sino in Siria ed in Egitto. Acquistati dei piccoli dallah (caffettiere) che da neri pulendoli con il limone sono tornati di un ottone splendente, abbiamo raggiunto Petra. Varcare il suo ingresso in groppa ad un cavallo è stato ridicolo ma divertente, il tragitto è stato breve e il cavallo, puzzolentissimo, era lanciato in corsa da un ragazzino che lo teneva da una corda. Scesi abbiamo trovato Samih circondato da alcuni ragazzi italiani che avevano visitato Israele e che avrebbero fatto tappa ad Aqaba, bellissimo posto di mare in Giordania, che non avendo una guida a disposizione hanno chiesto di potersi unire a noi. Inizialmente la cosa non ci ha entusiasmati, ormai eravamo una squadra di tre persone, sulle prime siamo stati colti da un vero e proprio attacco di gelosia nei confronti di Samih ma poi non ci è dispiaciuta la loro compagnia e scambiare commenti su quanto finora visitato dei rispettivi Paesi. Il lungo corridoio, detto Suq, tra le sponde colorate del canyon di arenaria è stato bellissimo e accendeva passo passo la nostra curiosità, si è viaggiato quasi sempre a testa in su per seguire i colori e le forme delle pareti. Poi d’un tratto Samih ci fa fermare per indicarci un’insenatura, mi prende e mi fa fare pochi passi e scoprire per prima il Tesoro che si affacciava rosa tra le pareti. Raggiungiamo la piazza dove troneggia El Khasneh in tutta la sua bellezza ed era tutto un brulicare di gente che si muoveva a coppie, a gruppi, in mezzo a dromedari e asinelli. Siamo andati subito a sbirciare cosa si vedesse dalla porta del Tesoro e con un po’ di delusione ci si trova davanti a una stanza spoglia, con il soffitto parzialmente annerito. Foto di rito e ci incamminiamo alla sua destra dove la guida ci fa notare le tombe scavate nella roccia, in basso i poveri i ricchi in alto. Il colpo d’occhio su quello che si apre davanti a noi è notevole, ma ci vuole tempo per permettere agli occhi di mettere a fuoco i particolari, ogni parete ti strappa un oh! di ammirazione per le spettacolari variazioni cromatiche: giallo, rosa, bianco, rosso fuoco, azzurro. Le tombe reali che si stagliano sulla montagna sono assolutamente fantastiche e più ci avviciniamo, ci addentriamo, scaliamo, che mi rendo conto perché Petra è una delle sette meraviglie del mondo. Quello che mi ha colpito è stato che a seconda del movimento del sole i colori mutavano mettendo in luce altri particolari, dando l’impressione di vedere sempre un nuovo paesaggio. Colta dalla sindrome della giapponese impazzita ho fatto milioni di foto, anche alle capre nere che si arrampicavano agili sulle rocce, e nonostante ciò avevo sempre l’impressione di perdermi qualcosa. Anche se i romani avevano lasciato il loro passaggio con teatri e colonne, preferivo di gran lunga l’opera originale dei Nabatei. Siamo andati via che era il tramonto e tornando dietro verso il Tesoro lo abbiamo trovato ad aspettarci quasi da solo, erano rimasti sono gli asinelli a sonnecchiare contro le pareti della montagna e un gruppo di italiani con lo zaino, Samih quindi ne ha approfittato per dilungarsi in spiegazioni e ci ha raccontato che il nome con il quale è conosciuta la tomba, Tesoro del faraone, deriva dalla leggenda che un tesoro fosse nascosto nell’urna intagliata alla sommità del secondo ordine del portale, che fu per questo oggetto di spari nel tentativo di romperla. Andare via ci è costato parecchio, Petra ci aveva conquistati e non voleva farci andare via, ogni scusa era buona per fermarsi e rimirare il paesaggio, fino all’uscita dal sito. Non siamo tornati subito in hotel, ma ci siamo seduti in una locanda a bere qualcosa insieme e lanciarci come al solito in fitte chiacchiere come buoni amici, condite da grandi risate. Ultimo giorno lasciamo il Gran View Resort e il deserto che ci ha regalato davvero tante emozioni e andiamo a Umm er Rassas, strada facendo abbiamo osservato i resti del castello crociato di Karak . Arrivati al sito abbiamo osservato le sue rovine romane-bizantine e lo splendido pavimento mosaicato della chiesa di S. Stefano che raffigurano le città della Palestina, Giordania e del delta del fiume Nilo. Attraverso la panoramica strada dei Re siamo giunti a Wadi Mujib e accostando abbiamo ammirato lo spettacolare canyon profondo 1000 metri. Ultima Madaba, famosa per i suoi mosaici. Visitiamo la chiesa ortodossa di San Giorgio e il mosaico pavimentale della Mappa della Palestina che rappresenta Gerusalemme e altri luoghi sacri. Sapevamo che Samih la sera avrebbe avuto il matrimonio di suo nipote, quello che ci ha lasciati incredibilmente sorpresi e felici è stato ricevere l’invito a parteciparvi. Avevo una grandissima voglia di tornare in hotel per riposarmi un po’, fare una lunga doccia e prepararmi con calma, ma la guida aveva altri programmi: portarci in centro ad Amman a vedere negozi e centri commerciali. Ci eravamo dati appuntamento davanti al nostro hotel alle 21.00. Samih ci è venuto a prendere in ritardo con la sua auto che aveva al suo interno, come in uso in questo Paese, una bandierina della Giordania, mentre per le strade ve ne sono sempre tantissime sventolanti accompagnate dalle immagini del Re da solo, insieme alla Regina Ranja o la famiglia Reale al completo. Raggiungiamo la periferia, ci fermiamo davanti ad un comune palazzo e salendo le scale incrociamo alcuni invitati perlopiù uomini; davvero non sapevo cosa aspettarmi. La prima sorpresa è stata quella di essere separata da Filippo e Samih. Sono entrata in una stanza dove c’erano solo donne e la sposa su un palco era seduta su un divano circondata da fiori. Ho fatto la conoscenza della famiglia di Samih, sua figlia occidentalissima in legghins vestiva mooooolto più alla moda di me in castigato pantalone nero, maglia nera e un foulard nei toni dell’arancio legato sui fianchi, solo i suoi occhi, come quello di tutte le ragazze presenti erano truccate di pesante cajal nero e i capelli scurissimi erano lucenti. Le donne erano belle e sensualissime nelle loro danze, anche a quattro anni sanno essere conturbanti. All’inizio sono stata studiata, mi hanno invitata a ballare e mi sono tuffata in tutti i balli tipici dove si trattava di battere le mani a tempo, girare, muoversi alzando le gambe, ma quando si è trattato di azionare i fianchi i miei sembravano essere arrugginiti, nonostante ciò ho ricevuto l’approvazione delle donne più anziane con grandi cenni del capo, da quel momento in poi tutte le ragazze e anche le bambine volevano ballare con me o per me. Filippo nell’altra stanza mi ha raccontato di aver riso e scherzato con tutti e di aver sostenuto una conversazione sulla religione con un arabo vestito da sceicco, con Samih che faceva da interprete. Tutti i presenti in sala erano intenti ad ascoltare il dialogo tra un musulmano e un cristiano, bambini compresi. Da noi donne intanto è arrivata la torta a otto piani che è stata tagliata dagli sposi con una lunga spada beduina che è stata distribuita tra di noi accompagnata da un bicchiere di bibita analcolica. C’era davvero un’aria di festa e grande complicità tra la sposa e le invitate, fra battute, ammiccamenti, grandi risate e anche se non capivo un accidenti, veniva anche a me spontaneo partecipare. Alle 22.30 sono arrivati gli uomini e molte donne si sono coperte indossando il velo, chi mettendosi anche la tunica; la sposa sul suo candido abito vaporoso dal corpetto scintillante che lasciava spalle e schiena parzialmente nude con piccoli tatuaggi all’hennè , ha indossato un giacchino bianco a manica lunga con cappuccio. Abbiamo ballato uomini e donne tutti in cerchio tenendoci per mano, io e Filippo persino in mezzo al cerchio con gli sposi. Siamo stati festeggiati con loro, erano tutti contentissimi, è stato bellissimo! Circa un ora dopo la musica da ballo finisce e inizia una marcia nuziale che sa più di marcia sacrificale. La sposa si mette a piangere salutando la sua famiglia, molte donne le parlano all’orecchio. Lasciamo la sala delle feste e riprendiamo le auto facendo tantissimo rumore con i clacson, molti dei ragazzi erano seduti fuori dal finestrino con l’auto in corsa ( a cui mancavano solo i fucili) e accompagniamo gli sposi fino a alla loro casa. E qui, ma non assisteremo, si consumerà un rito crudele che vuole che la sposa perda la verginità in pochi minuti, con sua madre e quella dello sposo in attesa fuori dalla porta (e che busseranno se si impiegherà più tempo del necessario). Se l’esito sarà positivo la madre della sposa indosserà un abito bianco e getterà quello nero dalla finestra. Sotto i parenti accoglieranno la notizia facendo festa fino al mattino. Da casa degli sposi siamo andati a casa della sorella minore di Samih che mi ha fatto indossare e poi regalato un bellissimo abito beduino nero, ricamato da lei, con un copricapo di perline nere. Era bello stare tutti insieme in veranda a bere l’ultimo caffè al cardamomo, a sorprenderci quando ci sono stati regalati tanti oggetti presi da casa e mi si è stretto il cuore quando la loro figlia minore mi ha regalato un suo giocattolo. Abbiamo paragonato la popolazione giordana a quella del sud Italia, calorosa e avvolgente e generosa (forse un’Italia degli anni cinquanta). Gente sempre sorridente, gentile, che se non capisci fanno i gesti , che ride fino a sbellicarsi quando Filippo dice parolacce in arabo e volevano impararle in italiano in ogni posto dove andavamo.

La Giordania è stata una splendida avventura, oltre che a scenari e paesaggi fantastici, la ricorderò per il loro immenso cuore e la loro ospitalità. Siamo tornati sapendo di aver lasciato una famiglia, la prima telefonata arrivati a Fiumicino è stata fatta a Samih. Siamo tornati molto più consapevoli del mondo arabo, liberati da tanti stupidi preconcetti sul medio oriente.

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Ciao e buon viaggio.



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