Il Nilo, Il Cairo e il deserto del Sahara di 1

Viaggio nella terra dei Faraoni (…e appendice con tanti consigli utili!) 7 notti di crociera 3 notti a Il Cairo 4 notti nel deserto del Sahara PREMESSA Finalmente l’ Egitto! Ecco un viaggio che aspettavamo di fare da tanto tempo! Una civiltà straordinaria, un fiume leggendario, antichi templi, sabbie infinite… Per scoprire le...
Scritto da: BEATRICE1973
il nilo, il cairo e il deserto del sahara di 1
Partenza il: 10/02/2003
Ritorno il: 24/02/2003
Viaggiatori: in coppia
Viaggio nella terra dei Faraoni (…E appendice con tanti consigli utili!) 7 notti di crociera 3 notti a Il Cairo 4 notti nel deserto del Sahara PREMESSA Finalmente l’ Egitto! Ecco un viaggio che aspettavamo di fare da tanto tempo! Una civiltà straordinaria, un fiume leggendario, antichi templi, sabbie infinite… Per scoprire le meraviglie di questo Paese mio marito ed io abbiamo scelto un viaggio un po’ particolare, con una navigazione sul Nilo più lunga del consueto, che alle classiche mete ha visto aggiungersi la visita di due siti incantevoli, generalmente “dimenticati” dal turismo di massa, Abydos e Dendera, e alcuni giorni nel mitico deserto del Sahara.

Premetto che la prima cosa che ci ha colpito sono le misure di sicurezza! Ci sono ovunque poliziotti armati e con mitra inquietanti pronti all’uso, poliziotti su dromedario e in borghese anche all’interno dei siti, poliziotti su torrette, posti di blocco frequenti, metal detector negli alberghi, sulle navi, all’ingresso dei siti e dei musei! Questo per la protezione del turista, a seguito degli episodi di terrorismo degli anni scorsi (vd. Appendice).

La seconda cosa che più ci ha colpito è lo stridente contrasto tra il glorioso passato di questo Paese, che ha ospitato una delle più incredibili civiltà del pianeta, e le condizioni odierne della popolazione! Gli Egiziani sono al 50% dediti all’agricoltura, in particolare alla produzione di cotone, e poi di canna da zucchero, cereali, ortaggi, legumi, lino e sesamo. Nell’economia dell’Egitto poco rilievo ha l’allevamento, a causa della scarsa disponibilità di pascoli e di foraggi, così come le risorse minerarie. Il Governo, negli ultimi anni, ha cercato di dare impulso alla siderurgia, alla produzione di cemento e fertilizzanti, all’industria tessile e a quella in grado di esportare i propri prodotti. Ma è l’industria turistica quella che porta la maggior ricchezza nel Paese, anche se colpisce che, tranne una piccola minoranza di appassionati eruditi, il popolo egiziano è totalmente indifferente al suo glorioso passato…Forse perché troppo impegnato nella quotidiana lotta per la sopravvivenza: nelle campagne abbiamo visto case di fango coperte di paglia, spesso senza luce e acqua, bimbi laceri e mezzi nudi impegnati a pascolare vacche e capre, o a lavorare per ore chini su telai. E la vita nella caotica e inquinata capitale non va certo meglio, con migliaia di persone che vivono di espedienti, abitando edifici fatiscenti, ancora in costruzione o abbandonati. Non c’è da stupirsi, quindi, se i turisti sono quasi “presi d’assalto” dai locali e subissati da mille richieste e offerte. Questo approccio, talvolta molto aggressivo, è comune anche ad altri paesi di cultura araba (ricordo gli stessi assalti subiti in Turchia!) e risulta talvolta spiacevole e fastidioso. Il turista occidentale, che vorrebbe essere lasciato in pace ad ammirare le bellezze del paese, si ritrova invece al centro dell’attenzione e si fa talvolta l’idea che il popolo egiziano sia maleducato, ingannatore e furbo. Sì, furbo, nel richiedere continue mance o mazzette, pronto sempre a fregare il turista ingenuo. Peccato che si pensi questo. Peccato che si dimentichi che ci troviamo in un paese povero, dove il tasso di alfabetizzazione degli adulti è ancora molto basso (52%) e l’accesso all’istruzione, soprattutto per le donne delle aree rurali, non è garantito. Peccato che non si tenga a mente che in Egitto la speranza di vita alla nascita è di circa 63 anni, contro i 78 dell’Italia e che la mortalità infantile è piuttosto alta e riguarda ben 57 bimbi su 1.000 nati vivi.

Peccato che a volte i turisti, troppo impegnati a godersi le dolcezze e gli agi della crociere o la spensieratezza dei soggiorni balneari, dimentichino che l’ Egitto è anche questo e non si sforzino di mostrare un po’ più di comprensione e sensibilità. Noi ci abbiamo provato e abbiamo cercato di visitare questo splendido paese con atteggiamento di rispetto e apertura mentale. Risultato? Un viaggio che non dimenticheremo e che ci resterà per sempre nel cuore.

CRONACA DI VIAGGIO 1° giorno: ITALIA-EGITTO Finalmente, dunque, siamo sull’aereo di linea della Egypt Air che ci condurrà, in sole 3 ore e ½ di volo, a Luxor. Da qui, infatti, parte la motonave che ci porterà in crociera lungo il Nilo. Il volo è tranquillo e parte con soli 20 minuti di ritardo. A bordo la cena è più che discreta e il servizio piuttosto cortese. Unico neo negativo: a bordo e’ consentito fumare! Pertanto, se come noi, non siete fumatori, cercate di farvi assegnare posti nella parte anteriore dell’aereo, perché si fuma solo in fondo! L’aeroporto di Luxor è piuttosto piccolo e semplice. Ad accoglierci (siamo solo 6) c’è l’accompagnatore, il simpatico Alì, un cairota che parla abbastanza bene l’italiano ed è molto gentile. Ci carica subito su un piccolo pullman e in un quarto d’ora siamo già alla motonave. Una curiosità: le navi sono ancorate, sì, lungo il fiume, ma sono anche affiancate, perciò per arrivare alla propria imbarcazione si deve talvolta attraversare anche altre navi. La prima sera scopriamo che la nostra barca, è in 6 posizione! Riusciamo ad imbarcarci alle ore 23 e ci offrono subito del karladè. Poi, compilati i moduli e lasciati i passaporti, entriamo finalmente in cabina, dove troviamo frutta fresca, datteri e panini. Restiamo ancorati a Luxor, dove trascorriamo la nostra prima notte in Egitto.

Per me e mio marito si tratta della prima volta in crociera! Il ns. Battello si chiama “Queen of Nile”: non è nuovissimo, ma è abbastanza curato, molto informale. Non è molto grande e ha le cabine distribuite su 4 ponti, mentre un quinto, quello più in alto, è il ponte sole.

E’ arredato in stile arabo moderno e offre un ristorante, un bar sul ponte sole e un salone bar dove si assiste agli spettacoli, una piscinetta bassissima e non riscaldata sul ponte sole, un negozietto di souvenirs, una piccola gioielleria, il cambio valuta molto buono! La ns. Cabina è una mini-suite di 21 mq. Sul 4 ponte, ha due letti bassi (NON ESISTONO LETTI MATRIMONIALI), un piccolo bagno con doccia e un angolino salotto. Abbiamo un frigobar vuoto, un televisore che non piglia la tv italiana (meglio così, che ci disintossichiamo), il telefono, l’aria condizionata (che non useremo mai): per una settimana questa sarà la ns. Graziosa “casina”! 2° giorno: KARNAK e LUXOR La notte trascorre tranquilla, ma dobbiamo abituarci ai rumori dei generatori, che si sentono un po’. Scopriremo che è molto più bello dormire mentre la nave è in navigazione, dolcemente cullati dal quasi impercepibile rumore del fiume.

Alì di primo mattino ci informa che il ns. Viaggio seguirà un ordine diverso da quello da catalogo e che come primo giorno avremo la visita dei templi di Karnak e Luxor. Cavolo! Si comincia con la creme de la creme… Alì ci presenta subito la guida che ci accompagnerà per 10 gg.: si chiama Ahmed ed è un ragazzo laureato in egittologia, che si sta specializzando. E’ un mostro di cultura e preparazione: non c’è stata domanda alla quale non abbia saputo rispondere. Si è prodigato in tutti i modi per farci capire la sua cultura e il mondo egizio, approfittando di ogni momento (tragitti sul pullman, riunioni sul ponte sole in barca, interrogazioni di gruppo!) per farci apprezzare quanto visto. Auguro a tutti voi di incontrarlo, perché in tanti anni non ho mai incontrato una guida preparata come lui! A colazione conosciamo il resto del gruppo, che arriva dal Cairo e ha già visitato la capitale. In tutto siamo 16, che meraviglia, e tutti del nord: oltre a noi, ci sono una coppia di romagnoli, 4 friulani, una famiglia di liguri e 2 coppie di torinesi. Il gruppo è il migliore che abbia mai trovato: attento, tranquillo, veramente interessante e decisamente poco “caciarone”. Insomma, siamo stati proprio bene insieme! Dopo la prima colazione, non esageratamente abbondante, scendiamo dalla motonave e con un pullmino, ci rechiamo al Tempio di Karnak, il santuario più importante e potente dell’antico Egitto: gli storici evidenziano che a Karnak si è costruito per quasi duemila anni, poiché fu iniziato verso il 2000 a.C. E ampliato fino all’epoca romana.

Appena scesi, dopo una brevissima passeggiata ci troviamo di fronte al Viale delle Sfingi, un viale delimitato da quaranta sfingi a testa di ariete, animale sacro a Amon, che conduce alle maestose rovine del primo pilone, costruito dai faraoni della XXX dinastia o di primi tolomei e rimasto incompiuto. Io sono allibita e emozionata. Quello che vedo mi pare incredibile e bellissimo, ma per tutta la mattinata non riuscirò a liberarmi della strana sensazione che tutto sia così incredibile da sembrare finto. “Mi sembra di essere a Gardaland”, mormoro a mio marito, “perché è tutto perfetto!!!”.

Il sito, uno fra i più spettacolari complessi monumentali del mondo, comprende i recinti templari di Amon, della sua sposa Mut e del dio falco Montu. Il complesso di Karnak aveva anche un lago sacro lungo 120 metri dove i sacerdoti compivano i riti notturni: oggi il lago riflette gli imponenti resti del tempio.

Dopo il viale delle Sfingi si arriva a una sorta di piazzetta con incredibili bellezze. E’ davvero emozionante trovarsi per la prima volta davanti ai geroglifici collocati nei luoghi originali! Che cosa splendida! Dopo mesi di letture (vd. Appendice) e studi, eccoli di fronte a me! Sono meravigliosi e mi hanno sempre affascinata, così come è affascinante la scoperta della loro traduzione! Nell’ agosto del 1799 nella cittadina di Rosetta l’ufficiale francese Bouchard portò alla luce una pietra coperta di iscrizioni; si trattava di un decreto redatto da alcuni sacerdoti in onore del re Tolomeo V nel 196 a.C. E riportava lo stesso testo redatto in tre lingue diverse: greco, demotico (lingua usata in Egitto in epoca tarda) e geroglifico. I tentativi di decifrazione furono numerosi, ma fu il geniale studioso Jean-Francois Champollion, nella storica data del 14 settembre 1822, che ebbe una folgorante intuizione! Prima di Champollion erano state proposte due grandi teorie: la prima diceva che i geroglifici erano solo simboli e immagini; la seconda teoria credeva che ogni geroglifico rappresentasse un suono o una lettera. Champollion capì che la scrittura geroglifica è un po’ l’una e un po’ l’altra, è cioè una scrittura figurativa, simbolica e fonetica al tempo stesso… Finalmente l’antica lingua, dopo secoli, tornava a parlare! Si scoprì così che l’alfabeto egizio possiede solo consonanti e nessuna vocale (sono sottintese); che esistono oltre 650 geroglifici, i quali possono essere scritti da sinistra a destra, orizzontalmente o verticalmente, ma MAI dal basso verso l’alto; si scoprì che nella scrittura geroglifica manca qualsiasi punteggiatura o spazio tra una parola e l’altra e che gli Egizi evitavano con cura gli spazi vuoti.

Si scoprì che esistevano tre tipi di scrittura egizia, ciascuno usato per uno scopo diverso: la geroglifica (che significa “segno sacro inciso”), di tipo pittografico, era incisa sulla pietra con uno scalpello o dipinta su pareti appositamente preparate (è quella tipica delle tombe!); lo ieratico era lo stile di scrittura impiegato dai sacerdoti scribi nei libri religiosi, nei testi letterari e nei documenti ufficiali; il demotico (popolare) fu usato a partire dall’VIII sec a.C. Circa, generalmente per le esigenze della vita quotidiana.

Ma torniamo a Karnak e alla visita del tempio. Il recinto templare di Amon (oltre 400 mt. Per 600 mt.) è di gran lunga il più grande.

Fu eretto in onore di Amon, che divenne col tempo la divinità principale dell’Olimpo egizio e si fuse con Ra, dio del Sole. Le barche processionali arrivavano al recinto di Amon per un canale derivato dal Nilo e accostavano ad una banchina segnata da due piccoli obelischi di granito di Sethi I. Questo è uno dei luoghi più emozionanti e celebri dell’architettura egiziana: resto quasi senza fiato i fronte alla grande sala ipostila, che pare quasi una foresta, con le sue 134 enormi colonne alte 23 metri, ornate da figure e geroglifici. Sulla facciata esterna dei due muri laterali ammiriamo i rilievi che illustrano le campagne militari di Sethi I e di Ramses II e la famosa battaglia di Qadesh.

Tra il primo ed il secondo pilone si stende il grande cortile fiancheggiato da due portici. Sulla sinistra vi è il tempio a tre cappelle parallele di Sethi II, destinato a deposito delle barche sacre della triade tebana del dio Amon, la moglie Mut e il figlio Khonsu. La parte centrale del cortile del tempio di Amon è occupata dai resti del portico o chiosco di Taharqa (XXV dinastia) che conduceva alla porta del secondo pilone (Horemheb, XVIII dinastia), preceduta da due statue colossali di granito rosa – di cui una in piedi – di Ramses II alta 15 metri, che reca sui piedi la piccola statua di una regina. Da vedere: la “sala delle feste” eretta da Thutmosi III, che è un monumento che commemora il giubileo regale, ossia quella cerimonia che era originariamente la riconsacrazione periodica del re.

Il faraone Thutmose III era figlio della regina Hatshepsut, che gli impedì di regnare fino a quando morì. In odio alla memoria della madre egli allora si vendicò facendo cancellare il suo nome da tutti i monumenti di Karnak e di Deir el Bahari! Con Thutmose III l’Egitto visse uno dei suoi momenti più splendidi e si estese fino alle Cicladi, Creta e Cipro. Il faraone è celebre anche perché al suo regno risale una misteriosa testimonianza, da alcuni ritenuta una delle più antiche testimonianze scritte sugli UFO. Nel 1934, un misterioso papiro (poi noto col nome di Papiro Tulli) fu trovato nel negozio di un antiquario egiziano, da 2 fratelli: il professor Alberto Tulli (allora direttore del Pontificio Museo Egizio Vaticano) e monsignor Augusto Tulli.

Il testo del papiro (che non poté essere acquistato per l’alto prezzo) fu ricopiato dal professor Tulli: narrava di una serie di avvistamenti di oggetti misteriosi nel cielo. Il papiro sembrava inoltre presentare delle cancellature fatte volontariamente, quasi per impedire la comprensibile dell’intera vicenda…

Il professor Solas Boncompagni, studioso di clipeologia, nel 1963, venne a conoscenza dell’esistenza del papiro e lo tradusse così: “…Il ventiduesimo giorno del terzo mese d’inverno, alla sesta ora del giorno gli Scribi, gli Archivisti e gli Annalisti della Casa della Vita si accorsero che un cerchio di fuoco … (lacuna). Dalla bocca emetteva un soffio pestifero, ma non aveva “testa”, il suo corpo misurava una pertica per una pertica ed era silenzioso. Ed i cuori degli Scribi, degli Archivisti tutti furono atterriti e confusi ed essi si gettarono nella polvere col ventre a terra… (lacuna) essi riferirono allora la cosa al Faraone. Sua Maestà ordinò di… (lacuna) è stato esaminato… (lacuna) ed egli stava meditando su ciò che era accaduto, che era registrato dai papiri della Casa della Vita. Ora, dopo che fu trascorso qualche giorno, ecco che queste cose divennero sempre più numerose nei cieli d’Egitto. Il loro splendore superava quello del sole ed essi andavano e venivano liberamente per i quattro angoli del cielo… (lacuna). Alta e sovrastante nel cielo era la stazione da cui andavano e venivano questi cerchi di fuoco. L’esercito del Faraone la osservò a lungo con lo stesso Re. Ciò accadde dopo cena. Di poi questi cerchi di fuoco salirono più che mai alti nel cielo e si diressero verso il Sud. Pesci ed uccelli caddero allora dal cielo. Grande fenomeno che mai a memoria d’uomo fu in questa terra osservato… (lacuna) ed il Faraone fece portare dell’incenso per rimettersi in pace con la Terra … (lacuna) e quanto accadde il Faraone diede ordine di scriverlo e di conservarlo negli Annali della Casa della Vita, affinché fosse ricordato per sempre dai posteri…” MOLTO affascinante, vero? Ma torniamo al tempio: belli sono anche i santuari dedicati agli antenati del re, ad Amon e al culto solare. Una delle stanze di quest’ultimo gruppo è detta “dell’orto botanico”, perché è decorata con piante esotiche conosciute nelle campagne militari in Asia. L’asse dei 4 Propilei del sud divide la parte meridionale del recinto di Amon in due spazi. In quello occidentale vi è il tempio di Khonsu, costruito da Ramses III, e un tempio tolemaico di Opet, dea ippopotamo tebana, in epoca tarda considerata madre di Osiride, cui avrebbe dato vita in questo tempio. In quello orientale vi è il lago sacro e sulla cui riva si alza un gigantesco scarabeo di granito, opera di Amenhotep III.

Secondo la tradizione le donne che compiono tre giri attorno allo scarabeo si sposeranno entro l’anno, e quelle che ne fanno sette rimarranno incinte entro l’anno.

Arriviamo quindi al recinto di Mut, un trapezio di circa duecentocinquanta per quattrocento metri. Costruito da Amenhotep III, restaurato da Ramses III e ancora ridecorato in epoca tolemaica, il tempio di Mut è circondato da un lago sacro a forma di ferro di cavallo. Nello stesso recinto vi sono anche i resti, molto rovinati, di un tempio di Amenhotep III dedicato ad Amon-Ra e di un altro tempio di Ramses III.

Anche il recinto di Montu, molto rovinato, è opera di Amenhotep III ed è il più piccolo: è un quadrato di circa centocinquanta metri. Vi è addossato anche un tempio di Maat di cui è curioso ricordare che fu a sede di un processo, alla fine della XX dinastia contro i saccheggiatori di una tomba della Valle delle Regine.

A Karnak ammiriamo anche due splendidi obelischi: quello del faraone Thutmosi I (1528-1498 a. C.), il primo faraone sepolto nella Valle dei Re, e quello della regina Hatshepsut, l’unico faraone donna della storia egizia.

Gran parte di ciò che abbiamo visto si deve ad Amenofi III (1394-1356 a.C), uno dei più famosi faraoni d’Egitto, noto con l’appellativo di “’re Sole’.

Il sovrano, soprannominato ‘disco splendente del Sole’, trasferì la sua residenza a Tebe e si circondò di una splendida corte. Abbellì la città con splendide e sontuose costruzioni impreziosite dai fregi architettonici e ornate di verdi giardini che, con gusto importato dall’Oriente, divennero parte essenziale delle architetture. Sposò la nubiana Tye, e con lei governò: la Grande Sposa nelle raffigurazioni compare a fianco del marito, a sottolineare il profondo accordo della coppia. Il periodo del regno di Amenofi III fu improntato a grande tranquillità sia interna sia esterna. Qualche tentativo di ribellione fu domato, ma l’Egitto visse in pace con i potenti vicini. Dopo la visita di Karnak ci spostiamo di 2 km e arriviamo al Tempio di Luxor, posto proprio al centro della cittadina. Anche questo tempio ci colpisce per la bellezza! Era il cosiddetto “Harem meridionale di Amon”ed era collegato, tramite il viale delle Sfingi, al più importante Tempio di Karnak.

All’ingresso ammiriamo due enormi statue in granito alte pressappoco quindici metri (ma un tempo le statue colossali erano sei): rappresentano Ramses II seduto in trono e la moglie Nefertari. Di fronte a loro resta uno dei due obelischi in granito che un tempo abbellivano l’ingresso (l’obelisco gemello è in Place de la Concorde a Parigi). Poi Ramses II fece aggiungere, davanti alla struttura già esistente, un cortile porticato, sorretto da 72 colonne fittamente decorate e disposte su due file, e un enorme pilone (il torrione in pietra che inquadra il portale d’ingresso del tempio), sulle cui pareti sono rappresentate scene della battaglia di Qadesh. A malincuore torniamo sulla motonave, che comincia subito la navigazione verso l’Alto Egitto. Per tutto il pomeriggio e la notte saremo in navigazione. Purtroppo la giornata peggiora: cielo coperto e aria piuttosto fredda, quindi ce ne stiamo malinconicamente in cabina! Vabbè, segno che una pennichella è d’obbligo fino alle 16, quando sul ponte sole comincia il tea time, a suon di biscotti e tè/caffè bollenti.

Mi godo comunque la navigazione dall’ampio finestrone della cabina: per 7 giorni vedremo palme da dattero e banani. Dalla terraferma ci giungeranno i richiami e i saluti degli egiziani di tutte le età, intenti alla coltivazione della terra e all’allevamento di pecore e mucche: davvero amichevoli! Poi alle 17 del pomeriggio ci fermiamo, o meglio areniamo, tra le decine di navi che, come noi, devono attraversare la chiusa di Esna. Le barche e le navi sembrano affrontarla con paziente rassegnazione: si mettono in coda diligentemente e aspettano che la diga si apra per consentire l’ingresso e fare poi alzare il livello dell’acqua. Noi, però, questo non lo vedremo, perché riusciremo a passare solo in piena notte, verso le 4! Ma tanto la rifaremo al ritorno, in pieno pomeriggio! La cosa singolare è che mentre siamo in coda, allo scafo della motonave si avvicinano tantissime barchette con a bordo venditori ambulanti che lanciano sul ponte della nave delle buste di plastica contenenti magliette, tuniche, tovaglie e tappeti, urlandone i prezzi in tutte le lingue! Non resistiamo, anche se poi scopriremo di aver pagato tutto a prezzi molto alti, e, una volta raggiunto l’accordo sul prezzo, lanciamo al venditore un pacchetto con i soldi. Risultato: acquistiamo i costumi per la cena egiziana in costume! 3° giorno: EDFU Finalmente in mattinata sbarchiamo ad Edfu, piccola città a 100 km a sud di Luxor, dove si trova il tempio meglio conservato di tutto l’Egitto: il famoso Tempio di Horus, di epoca tolemaica, eretto per celebrare le nozze del dio con la dea Hathor, nozze che venivano qui festeggiate ogni anno. Appena scesi dalla nave troviamo ad attenderci sulla terraferma piccole carrozze trainate da cavalli. In pochi minuti siamo al tempio. Il cielo è ancora un po’ nuvoloso, ma va migliorando e esce finalmente anche il sole, che non ci abbandonerà più! La costruzione del tempio, iniziata dal santuario, è stata lunghissima, almeno dal 237 al 57 a.C.! Per l’imponenza delle sue dimensioni, è da considerarsi il più importante dopo quello di Karnak: 137 metri di lunghezza con un pilone alto 36 metri e un fronte di 79.

A guardia dell’ingresso del tempio stanno due bellissime sculture di granito nero, raffiguranti Horus sotto forma di falcone. Dietro si alzano le pareti esterne del tempio, con grandi figure di Horus e di Hathor. Sulle mura sono raffigurate enormi scene del faraone che sacrifica dei prigionieri al dio. All’interno del tempio c’è un cortile, su un lato del quale si trovava un tempo una ricchissima biblioteca, che conteneva un grandissimo numero di papiri, la cui catalogazione è incisa sulle pareti: alcuni riportavano la cura di malattie, le stesse per le quali i sudditi venivano a invocarne la guarigione.

Oltre il cortile appare la facciata del pronao, su sei colonne unite fino a mezza altezza da muri, mentre all’interno il pronao è una maestosa ipostila di dodici colonne su due file. Seguono una seconda ipostila più piccola, e due vestiboli, dei quali il primo è la camera delle offerte e infine il santuario, che conserva il naos monolitico di granito grigio, alto quattro metri, di Nekhtharehbe, appartenente al tempio che qui sorgeva prima della costruzione tolemaica.

Prima di entrare nel tempio si può ammirare il “mammisi”, che in copto significa “luogo del parto”, e sta ad indicare il luogo dove simbolicamente, ogni giorno, rinasce Horus: per questo motivo era sacro alle partorienti e alle le donne che desideravano un figlio.

Il sacrario ne conteneva un altro di legno, racchiudente la statua del dio. Attorno al santuario, un corridoio dà accesso a dieci camere rituali, ciascuna con un nome, come per esempio “camera delle stoffe”, “la tomba”, “la culla”. Molto rovinata, diversamente dal tempio, la “casa della nascita” si trova sulla sinistra, prima del pilone: i capitelli del portico sono a forma di testa di Bes, genio protettore della casa e dei bambini. Il sito è splendido e maestoso. Che peccato rientrare in nave…

Proseguiamo la navigazione fino alle 18, quando ci fermiamo a Kom Ombo, dove però ci limitiamo a gironzolare per un’oretta nel minuscolo mercatino dislocato sotto al tempio. C’è tantissima gente in festa, perché siamo capitati durante 4 gg. Di festa importanti: le celebrazioni del sacrificio di Isacco. Alì ci dice che torneremo a Kom Ombo per visitare il tempio in un momento di quiete. Noi siamo piuttosto avviliti: ci pare quasi di perdere tempo prezioso, e non siamo abituati a ritmi di viaggio così lenti; ma la crociera è così: prendere o lasciare!!! La sera, mentre navighiamo verso Assuan, ci gustiamo una cena egiziana (per modo di dire: gli ultimi giorni, quando saremo nel Sahara e mangeremo davvero egiziano, scopriremo che è tutto molto più buono di quanto ci hanno offerto in nave, adattandolo un po’ ai gusti europei). Dopo cena, anziché ballare in disco, si gioca a back gammon con una simpatica coppia di Assisi, che per 4 giorni saranno sulla ns. Nave, sotto le precise istruzioni di un cameriere! 4° giorno: ASSUAN In mattinata arriviamo ad Assuan, il “gioiello del Nilo”, una delle città più affascinanti d’Egitto, grazie alla bellezza del suo paesaggio e il piacevolissima clima asciutto e temperato. La popolazione dei Nubiani è scura e molto diversa da quella del basso Egitto: gentili e curiosi, tutti ci salutano e guardano con curiosità! La città di Assuan è celebre per la costruzione, tra il 1964 ed il 1970, della famosa Grande Diga che diede origine al lago Nasser, il secondo bacino idrico mondiale per dimensioni. Quello che accadde fu incredibile: per evitare che le acque del lago Nasser sommergessero il gran patrimonio storico ed artistico ivi presente da millenni, fu organizzato un piano di recupero internazionale e si decise di recuperare i monumenti dell’isola di File operandone lo smontaggio ed il trasferimento sulla vicina isola di Agilkia, rimodellata ad hoc per ripetere l’aspetto dell’isola originaria.

Subito dopo colazione, raggiungiamo un luogo piuttosto ameno e bruttarello e entriamo nelle cave di granito, dove steso a terra giace il celebre obelisco incompiuto. Una ripida salita tra i massi ci permette di ammirare dall’alto l’enorme obelisco che, ahimè si frantumò poco prima dell’ultimazione e non poté essere utilizzato! Subito dopo raggiungiamo le rive del lago Nasser e ci prepariamo all’escursione verso l’isola di File. Il sole non riesce tuttavia a scaldare l’aria, davvero fresca. Infreddoliti saliamo su una barca a motore, stipata tra le altre nel piccolo e pittoresco porticciolo, e partiamo! In circa 15 minuti raggiungiamo l’isoletta che conserva l’incantevole Tempio di Philae, consacrato ad Iside, figlia della dea del Cielo Nut e del dio della terra Geb, nonché sorella e moglie di Osiride; gli Egizi la consideravano la grande maga, la dea madre e regina, prototipo della fedeltà. Il sito è incantevole! Oltrepassati il padiglione di Nectanebo I, il tempio di Arensnufi e l’edicola degli Antonini (o porta di Adriano), giungiamo al vero e proprio tempio di Iside, uno dei più belli e meglio conservati monumenti dell’arte religiosa Egizia. Ammiriamo la splendida sala ipostila a dieci colonne, con il vicino santuario e, sulla terrazza del tetto, una cappella funeraria dedicata a Osiride, dio supremo del culto funerario, giudice e reggitore dei morti, nonché sposo di Iside.

Il pylon principale è interamente decorato con scene di massacri e sacrifici di prigionieri eseguiti per ordine del re Tolomeo Aulete, padre di Cleopatra. Sulle le pareti si ripetono scene di nascita, vita e morte, sacrifici, viaggi dopo la morte, scene di battaglia e immagini di divinità. Alle spalle del tempio si trova un arco romano, detto porta di Diocleziano e, sulla riva orientale, l’edificio più bello dell’isola: il padiglione di Traiano, un portico rettangolare con quattordici colonne decorate da capitelli campaniformi. Mi fermo ad ammirare il lago dalla “piazzetta” che sorge proprio dietro al padiglione di Traiano: il Nasser è splendido e sembra un vero mare. Il sole ce lo mostra al meglio, con i suoi splendidi colori e illumina anche le palme e le piante in fiore dell’isola: un vero incanto! Ma è subito tempo di rientrare in nave per il pranzo, non prima però di fare una breve escursione all’ l’imponente Grande Diga, vanto dell’intero Egitto.

Ci concediamo anche una breve sosta in una “fabbrica di essenze e profumi”.

Qui è possibile acquistare essenze concentrate e boccette di vetro colorato. Un dipendente, parlante perfettamente italiano, ci fa accomodare su comodi divanetti, ci offre tè, caffè turco e karkadè e passa a spiegarci tutte le proprietà medicamentose delle essenze: il muschio cura il mal di testa, il sandalo i dolori muscolari, la menta i raffreddamenti ecc…

Rientriamo infine in nave per pranzare e riposare.

Nel pomeriggio proponiamo un’escursione all’ isola di Kitchener, celebre per il suo lussureggiante giardino botanico, arricchito da numerose e rare specie di piante e di uccelli provenienti da zone tropicali, per lo più africane.

Il gruppo è d’accordo e con una splendida feluca, un’imbarcazione a vela, raggiungiamo l’isolotto. A bordo la nostra guida mostra subito un’irrazionale paura per l’acqua. Alì lo prende in giro e ci fa ridere, poi per vincere la paura Ahmed ci insegna una canzoncina egiziana, che urliamo a squarciagola.

Sull’isolotto, oltre alle piante troviamo anche tantissimi Nubiani che festeggiano e fanno pic nic! Siamo accolti con sorrisi e saluti, davvero bello! Nel viaggio di ritorno, la feluca ci porta un bel po’ a zonzo, cullati dalle acque e dal vento. La nostra guida, ancora terrorizzata dall’acqua, ci fa tuttavia notare la piccola isola di Elefantina con i suoi densi palmeti e i bei giardini e il Mausoleo dell’Agha Khan (il capo supremo della setta religiosa musulmana di osservanza israelita).

Nel complesso Assuan è una splendida località e meriterebbe sicuramente un giorno in più, per visitare anche i villaggi nubiani di Sehel, che ancora conservano alcune tradizioni dei popoli che per millenni hanno abitato questa regione, e il Monastero di san Simeone, costruito nel VI secolo ed abbandonato nel 1300.

Nel tardo pomeriggio usciamo in escursione sempre in carrozza e visitiamo il mercato dei locali (davvero povero), con piccole bancarelle di arance e limoni, carote, pesce sotto sale, spezie. In tutto l’Egitto vengono impiegati gli asinelli come mezzo di trasporto e carico. Io me ne innamoro subito e li immortalo in foto per tutto il viaggio! Sempre a cavallo raggiungiamo la moschea della città, piuttosto moderna e semplice e poi il mercatino per turisti, coloratissimo e divertente. Qui acquistiamo i tipici scarabei portafortuna, verdi e blu, da regalare a colleghi e amici al ns. Ritorno.

N.B. Assuan è la zona delle spezie, dei profumi e delle boccette da profumo! 5° giorno: ABU SIMBEL San Valentino in Egitto: ma che bello! Per di più è il ns. Primo San Valentino da sposati! Lo festeggiamo nel modo migliore: in mattinata partiamo di buon ora per visitare nientemeno che Abu Simbel! L’escursione, facoltativa, è piuttosto costosa (300 euro a coppia), ma ne vale la pena. Nel 1964 anche i templi di Abu Simbel rischiarono di essere sommersi dalle acque del Nilo, a causa della costruzione della nuova diga di Assuan; furono allora smontati pezzo per pezzo e ricostruiti a 200 metri di distanza e 35 metri di altezza dalla posizione originaria.

Un moderno aereo ci porta in circa 35 minuti a 290 km a sud di Assuan, nel cuore del territorio nubiano. Approfitto del breve volo per approfondire la conoscenza della vita di Ramses II, forse il più importante faraone della storia egizia.

Ramses II regnò dal 1279 al 1212 a.C. E secondo la tradizione visse fino a novantasette anni, ebbe cinque o sei spose reali (tra le quali la preferita, Nefertari) e innumerevoli mogli secondarie, che gli diedero un centinaio di figli. Co-reggente fin da bambino col padre Sethi, alla sua morte Ramses II ordinò il completamento del tempio di Abydos, iniziato dal genitore. Poi trasferì la capitale da Tebe ad Avaris, e la chiamò Pi-Ramses (oggi purtroppo distrutta). Con Ramses l’Egitto raggiunse la massima potenza e splendore, allargando enormemente i propri confini. Ramses vinse i non meglio definiti ‘Popoli del mare’, pirati che attaccavano le coste egizie e la zona del Delta:li sconfisse e integrò i prigionieri nel corpo delle Guardie Reali. Vinse poi gli eserciti delle città di Byblos, in Asia Minore, e di Amurru.

La guerra più difficile fu però quella combattuta contro gli Ittiti, che durò circa 20 anni e si concluse con la pace e un patto di mutuo soccorso in cui i due popoli si impegnavano a non combattersi più e ad aiutarsi se attaccati da terzi. Per suggellare questo accordo, Ramses II sposò una principessa ittita.

La battaglia più celebre combattuta tra Egizi e Ittiti fu quella di Qadesh, nell’attuale Siria del nord. Ramses II schierò un attacco con circa 20.0000 fanti, 400 guerrieri e 200 carri, ma gli avversari schierarono forze molto più ingenti. Nonostante ciò la battaglia si concluse con una situazione di parità. L’importanza della battaglia di Qadesh nel mondo antico fu immensa, perché rappresentò la fine dell’ Età del Bronzo. Ramses fu anche un incessante costruttore e diede all’Egitto magnifiche costruzioni: il monumentale Ramesseum, detto anche “Tempio del milione di anni”, sulla piana di Tebe; il completamento della grande sala ipostila del tempio di Amon a Karnak; la propria grandiosa tomba nella Valle dei Re, la tomba KV5 a Biban el-Muluk, da lui voluta per i suoi numerosissimi figli. E soprattutto Abu Simbel, località prescelta per la costruzione di un ambizioso edificio sepolcrale.

Il celebre sito rimase sepolto nella sabbia fino al 1813, quando il geniale archeologo Johann Burckhardt, già scopritore di Petra in Giordania, riportò alla luce il Tempio di Ramses II il Grande, dedicato a Amon-Ra, Harakhte e a Ptah.

Giunti in aeroporto i turisti portati in 10 minuti all’ingresso del sito. Una breve passeggiata a strapiombo sul lago ci porta al Tempio, che si mostra improvvisamente sulla nostra sinistra. Il sito è un capolavoro dell’arte egizia scolpito in un unico pezzo di roccia, su un fronte di 38 mt. Per 65 mt. di profondità. La parete rocciosa è maestosamente tagliata in forma di pilone, davanti al quale si ergono i quattro celeberrimi colossi alti 20 mt, anch’essi tagliati nella stessa roccia e raffiguranti lo stesso Ramses II (il terzo da sinistra) autodeificato in vita, accanto alle grandi divinità dei tre principali centri dell’Egitto: -Ptah, dio di Menfi e creatore dell’universo. Patrono degli scultori e dei forgiatori, il suo animale sacro era il toro Apis; è anche una divinità delle tenebre.

-Amon-Ra, dio di Tebe, divenne il dio supremo, la divinità solare Amon-ra. Il suo nome significa “il misterioso” e il suo animale sacro era l’ariete; -Ra-Harakhte, una delle manifestazioni del dio falco Horus, divinità adorata a Elaiopoli.

Tra le gambe dei colossi si trovano le statue di alcune mogli, figli e figlie di Ramses, scolpiti di dimensioni molto piccole.

Sopra l’ingresso si può vedere una piccola nicchia che ospita la statua raffigurante il dio Ra-Harakhte: il dio è rappresentato con il disco solare di Ra sulla testa e la testa di falco di Horus. Alla sinistra della statua del dio si intravede una scena in cui Ramses II, con la Corona Blu sul capo, gli offre una statua della dea della verità e della giustizia Maet. Il coronamento della facciata è costituito da una fila di babbuini con le braccia e le mani levate al cielo in adorazione del sole nascente (gli Egizi credevano che i babbuini aiutassero il dio solare Ra a sconfiggere l’oscurità).

Appena entrati nel tempio, sulla parete sinistra della sala ipostila, ammiriamo un bellissimo bassorilievo che raffigura Ramses durante la battaglia di Quadesh: il Faraone è raffigurato su un carro in corsa, attorniato da altri carri più piccoli, nel momento in cui tende l’arco. In questo tempio ha luogo quello che è stato chiamato il “miracolo del sole”: 2 volte all’anno, nei giorni degli equinozi, quando giorno e notte hanno la stessa durata per tutte le località della Terra, un raggio di sole mattutino sole penetra nel tempio, lo attraversa in tutta la sua lunghezza, fino ad illuminare le statue delle divinità poste nel sacello terminale: tutte e tre, ma non Ptah, dio delle tenebre! Una curiosità: a causa dello spostamento del tempio, il miracolo del sole ai nostri giorni avviene con un giorno di ritardo! Poco dopo il tempio, sempre a dominare il lago, sorge il Tempio Minore di Abu Simbel, o Tempio di Nefertari, costruito da Ramses II in onore della dea dell’amore Hathor, patrona della musica e della danza. Il tempio è alto 10 metri e consta di un’ipostila divisa in tre navate da sei pilastri hathoriani, cui segue un vestibolo che immette al piccolo santuario con Hathor in forma di vacca che esce dalla parete di roccia e protegge il re. La facciata, scavata nella roccia come anche tutto il tempio, alterna quattro statue colossali del re e due della regina Nefertari, raffigurata come Hathor, fiancheggiata da principi e principesse: per la prima volta la sposa di un faraone era raffigurata addirittura sulla facciata di un tempio! Ciò denota i privilegi di cui la donna godeva nell’Antico Egitto: aveva diritto dopo la morte ad una tomba tutta sua al pari dell’uomo; condivideva con il marito la vita sociale e disponeva di un patrimonio che portava in dote e che le veniva in parte restituito in caso di vedovanza; la sua posizione giuridica non differiva da quella dell’uomo; si preoccupava assieme allo sposo dell’educazione dei figli; in caso di divorzio il marito passava gli alimenti alla moglie.

Abu Simbel è forse il sito più bello dell’intero Egitto e consiglio a tutti di visitarlo, anche quando si tratta di un’escursione extra, come nel ns. Caso. Rientriamo in nave per le 14, in tempo per il pranzo. La sera in nave un piccolo gruppo si cimenta in danze nubiane: intrattenimento per turisti che dubito rispetti realmente le autentiche tradizioni! 6° giorno: ESNA e KOM OMBO In mattinata sbarchiamo ad Esna, a soli 54 km a sud di Luxor, sulla riva sinistra del Nilo. Quella che fino alla fine dell’800 era un importante punto di riferimento per le carovane di cammelli dirette in Nubia, oggi è una piccola città capoluogo di provincia. Raggiungiamo a piedi il Tempio di Khnum (170-164 d.C.) o meglio di ciò che ne rimane: l’imponente sala ipostila del tempio dedicato al dio ariete Khnum, al quale sono dedicati due inni incisi su alcune colonne interne. Il dio caprone era considerato il creatore degli uomini, che egli aveva modellato al tornio del vasaio, per questo divenuto il simbolo del dio! Khnum era chiamato anche il “Signore della cascata”, poiché gli Egizi credevano che regolasse le piene del Nilo.

La sala del Tempio è davvero imponente: è sorretta da ventiquattro grandi colonne; il suo muro di fondo è tolemaico, risale cioè al II sec. A.C., mentre i rilievi della decorazione sono stati realizzati tra I e III secolo d.C. Il tempo è splendido e fa molto caldo. Per tornare alla nave attraversiamo il mercatino rincorsi dai mille venditori che cercano di venderci tappeti, sciarpe e vestiti! Subito dopo pranzo la nave si avvicina alla Chiusa di Esna e questa volta ci godiamo tranquillamente il passaggio, che avviene attraverso strettissime pareti di cemento tra le quali la nave passa a filo. Anche questa volta i venditori ci lanciano di tutto, ma dalla chiusa stessa, senza avvalersi delle barchette! La navigazione prosegue placida e si interrompe di fronte a Kom Ombo, località un tempo crocevia di carovane che si recavano alle grandi miniere d’oro del Deserto Orientale e importante via carovaniera che collegava l’Egitto alla Nubia. L’antico nome di Kom Ombo era Pa-Sebek, cioè “dimora di Sebek”, il dio coccodrillo: nella vicina necropoli sono infatti state ritrovate mummie di coccodrilli, un tempo allevati nel tempio. Il tour prevede una visita serale del tempio di Kom Ombo, un tempio dallo schema insolito: interamente doppio, ottenuto cioè unendo due templi affiancati.

Il tempio di destra è quello consacrato al dio Sebek, , dio della fertilità e creatore del mondo, raffigurato col volto di coccodrillo, mentre il tempio di sinistra è dedicato al dio Horus, dio solare guerriero raffigurato con il volto di falco, figlio di Iside e Osiride e sovrano dell’Egitto dopo la morte del padre.

Qui i sacerdoti del dio Horus catturavano i coccodrilli utilizzando pozzi-trappola scavati all’interno del tempio, li imprigionavano in apposite celle e infine li sacrificavano. Ancora oggi, alla destra dell’entrata, c’è una piccola cappella dove sono conservati coccodrilli mummificati! Il tempio conserva raffigurazioni interessanti: in particolare ci colpisce quella conservata in una delle sale retrostanti: raffigura due Dee sedute su di una sedia predisposta per il parto (e per praticare aborti); dietro di loro, poggiati su un tavolo, sono disposti alcuni strumenti chirurgici (forcipe, cesoie, bisturi e bilance…) del tutto simili a quelli usati oggigiorno, a testimoniare le incredibili conoscenze scientifiche di questo popolo. Basti pensare che il sistema sanitario era molto simile al nostro: c’erano medici ordinari (“sunu”), affiancati da professionisti di grado superiore, ispettori e sovrintendenti, che ad assisterli avevano del personale paramedico (tipo i ns. Infermieri) di sesso maschile. C’erano poi numerosi “specialisti”, che si occupavano quasi esclusivamente delle malattie che meglio conoscevano: l’oculista (“sunu-irty”), lo specialista per l’addome (“sunu khef”), lo specialista per le malattie di origine sconosciuta ecc… Le malattie venivano considerate risultato di misteriose influenze esterne che penetravano nel corpo attraverso gli orifizi naturali corrompendo gli “umori”. Compito del medico era quindi quello di evacuare questi umori “corrotti”, facendoli uscire attraverso le normali vie di escrezione. Le medicine erano a base di grasso, acqua, latte, vino o birra, ai quali si aggiungeva, per renderli più graditi, un po’ di miele. I medicamenti (ne esistevano centinaia) erano di origine vegetale, animale o minerale; molti dei quali figurano ancora nelle moderne farmacopee, come la trementina, la senna, l’olio di ricino, il timo, la celidonia. Anche la birra veniva usata come medicamento e come medicina disinfettante per i disturbi intestinali e contro le infiammazioni e le ulcere delle gambe.

I medici egizi erano grandi conoscitori di anatomia, grazie all’osservazione degli animali durante il macello (non potevano però assistere ai riti di imbalsamazione, poiché questa era riservata ai sacerdoti). La medicina egizia considerava il cuore come la sede delle emozioni e dell’intelletto e per questo lo ricollocava nel corpo imbalsamato. Gli Egizi avevano idee già abbastanza precise sul funzionamento del cuore e dei vasi sanguigni: sapevano ad esempio che il cuore pompa sangue a tutto il corpo, quasi 3000 anni prima di Harvey scoprisse la circolazione del sangue! Molto progredite erano le cognizioni relative allo stomaco, il fegato, la vescica e l’utero. C’è un papiro (p.Di Ebers) dove compare per la prima volta la parola “cervello”, e del quale vengono accuratamente descritte la forma, le circonvoluzioni e le meningi! Nell’antico Egitto la chirurgia raggiunse livelli incredibili: riguardava soprattutto la riduzione delle fratture, l’estrazione di calcoli, le operazioni agli occhi, l’asportazione di tumori esterni, la circoncisione. Gli Egizi praticavano l’anestesia, sfruttando gli effetti sedativi del coriandolo, della polvere di carruba; usavano anche il velenoso guscuiamo, che contiene un potente sedativo del sistema nervoso centrale! Anche della mandragora conoscevano i suoi effetti ipnotici e analgesici… Al medico Imhotep è da molti attribuita la scoperta dei batteri e la sperimentazione di soluzioni antibatteriologiche, specialmente quelle riguardanti le malattie degli occhi. MA DI QUALI MALATTIE SOFFRIVANO GLI ANTICHI EGIZI? Oggi sappiamo che le malattie più diffuse nell’Antico Egitto erano polmonite e tubercolosi, dovute alla continua inalazione di sabbia e fumo dei focolari domestici. Erano diffusissime le malattie parassitarie, per la mancanza di igiene. Non mancavano l’asma bronchiale, l’epatite tropicale, la gonorrea, lo scorbuto, l’epilessia, le epidemie di lebbra e di vaiolo.

C’erano persino le malattie delle arterie periferiche e delle coronarie: la mummia di Ramses II mostra infatti segni di arteriosclerosi! Infine alcune curiosità, che ho trovato in alcuni libri e siti internet: 1) gli Egizi costruivano e applicavano ai pazienti protesi artificiali di eccellente qualità! 2) gli Egizi usavano i purganti e a tal scopo usavano l’olio di ricino e la senna; praticavano anche il clistere, effettuato con l’aiuto di un corno, e impiegando come lavanda bile di bue, olii e sostanze medicamentose. 3) gli Egizi usavano il profilattico e altri metodi contraccettivi a base di pozioni o di applicazioni locali! Un metodo molto in uso consisteva nell’applicare un po’ di feci di coccodrillo nel profondo della vagina oppure applicavano, sempre nel fondo della vagina, un tampone imbevuto di succo d’acacia (la gomma acacia, fermentando con il calore, produce acido lattico, dotato di un intenso potere spermicida).

4) gli Egizi usavano un metodo per prevederne il sesso del nascituro: ogni giorno la donna doveva bagnare con la sua urina, due sacchetti di tela contenenti orzo e grano: se germogliava prima l’orzo sarebbe nata una femmina, se germogliava prima il grano sarebbe nato un maschio. Una nota curiosa: nel 1933 lo studioso J. Manger, dell’Istituto di Farmacologia dell’Università di Würzburg, dimostrò che l’urina della donna gravida di un maschio accelera la crescita del grano, mentre quella di donna gravida di una femmina accelera lo sviluppo dell’orzo! Ma torniamo al ns. Tempio di Khnum. Un’altra parete riporta una curiosa immagine che raffigura una piccola pietra con incisi un paio di occhi e delle orecchie: la guida ci spiega che questo è il luogo dove tutte le persone venivano al cospetto del dio per consultarlo. Da qui iniziava la parte più sacra del tempio. Dietro la pietra è stata trovata una piccola camera nascosta dove si sedeva il sacerdote che rispondeva alle domande. Si può ancora vedere l’entrata segreta di questa piccola camera: un cunicolo aperto nel pavimento in mezzo ai due santuari che oggi non esistono più. Su una parete ammiriamo un ritratto di Cleopatra VII, eletta regina d’Egitto nel 51 a.C. Colta, determinata, non bella, ma affascinante, Cleopatra fu amante di Cesare, dal quale ebbe un figlio, Tolomeo XV Cesarione (poi fatto assassinare) e divenne poi amante di Antonio. Dopo la battaglia di Azio, il 2 settembre del 31 a.C., vinta da Ottaviano, erede di Cesare, e la morte di Antonio, Cleopatra preferì suicidarsi con un aspide piuttosto che cadere prigioniera dei Romani.

Il Tempio di kom Ombo è celebre anche per uno splendido calendario, scolpito su un muro interno.

Un’ultima curiosità: sulla sinistra della struttura principale del tempio di Kom Ombo si trova il Nilometro, un pozzo che serviva per misurare la portata delle acque del Nilo. Era utilizzato dagli Egizi come sistema fiscale in quanto le tasse venivano calcolate in base al livello raggiunto dalle acque in piena: più il livello era alto, più limo (fertilizzante) veniva depositato sul terreno e, quindi, più abbondante sarebbe stato il raccolto successivo, perciò maggiore la quantità da versare nei magazzini reali. Ingegnoso, non c’è che dire! Del resto la società egizia era perfettamente organizzata e possedeva un apparato politico e amministrativo incredibilmente moderno: in cima alla piramide sociale c’era il Faraone, suprema autorità il cui nome significa “grande casa”. Come un moderno sovrano, la sua giornata tipo era minuziosamente organizzata e divisa tra i moltissimi impegni ufficiali e le occupazioni private.

Per governare il Faraone di avvaleva dei “Visir” (quello dell’Alto e quello del Basso Egitto), o funzionari, veri e propri sovrintendenti a tutti i lavori, nonché giudici supremi. I visir trasmettevano gli ordini del Faraone agli scribi di palazzo, si occupavano dell’imposizione di tasse e corvée e della gestione delle trattative diplomatiche. C’era poi la casta sacerdotale, che affiancava il Faraone nella gestione del potere e officiava i riti imposti dagli innumerevoli Dei. Ai sacerdoti, ai quali era consentito sposarsi, era consentito l’accesso alla parte più interna del tempio, quella dove era conservata la statua del Dio.

Una professione molto ambita era quella di scriba, che prevedeva una lunghissima formazione (solo i migliori erano presi a corte). Gli scribi scrivevano su papiro servendosi di uno stilo, possedevano un astuccio con gli incavi per contenere l’inchiostro in pasta, e una cordicella che reggeva un piccolo contenitore per l’acqua in cui intingere e ripulire i pennelli. C’era poi l’esercito organizzato e permanente (a partire dal Medio Regno), diviso in vari reparti, comandati da sovrintendenti, a loro volta comandati da un generale. I soldati erano costretti a lunghi turni di addestramento e all’obbedienza della rigida disciplina. Combattevano servendosi di lance e frecce, pugnale, spada, clava e bastone. Dagli Ittiti gli Egizi appresero l’uso del carro da guerra.

Più in basso nella scala sociale c’erano i piccoli artigiani, spesso costretti a faticosi e prolungati spostamenti in cerca di lavoro. Gli Egizi erano abili orafi e ottimi falegnami e mobilieri.

Ancora più in basso c’erano i contadini, analfabeti e senza terra (coltivavano quella della corona o degli ordini sacerdotali). Al momento della raccolta, dovevano lavorare sotto lo sguardo degli ispettori del Faraone, impegnati a determinare la quota di prodotto che gli sarebbe stata sottratta. Dopo la raccolta, si presentava lo scriba per definire l’ammontare delle tasse.

Infine c’erano gli schiavi, che erano prigionieri di guerra, poiché il popolo Egizio era costituito da uomini liberi, anche se esistevano i cosiddetti dipendenti, che alle tradizionali attività agricole alternavano corvée obbligatorie finalizzate alla costruzione di complessi funerari o a spedizioni militari.

La visita, compiuta proprio come aveva detto Alì, quasi in solitudine e sotto ad un cielo di stelle incredibile, è davvero suggestiva! Ma è subito tempo di rientrare in nave per proseguire verso Luxor, dove giungiamo verso le 18.30! Appena attraccati, mio marito ed io decidiamo di andare per conto nostro al MUSEO DI LUXOR, quasi sempre “saltato” dai viaggi organizzati, mentre invece è davvero interessante e merita una visita.

Lo raggiungiamo prendendo al volo una carrozza che ci porta proprio di fronte all’ingresso, ci aspetta per oltre un’ora e ci riporta al punto di imbarco. Il museo è sulla strada principale di Luxor, sul lungomare. Appena arrivati notiamo che si tratta di una costruzione moderna (è stato inaugurato nel 1975) e troviamo una lunghissima coda di visitatori, tutti egiziani.

Ci rechiamo alla biglietteria, che è proprio sulla strada e facciamo per andare in coda dietro a tutto gli altri (decine di persone), quando ci sentiamo richiamare: “Ehi miss! Ehi mister!” Tutta la gente ci fa cenno di passare avanti. Noi, molto imbarazzati, facciamo capire che è nostra intenzione andare in coda e aspettare il nostro turno, ma non c’è niente da fare! Poliziotti, addetti al museo e gli stessi visitatori in coda ci “costringono” a passare con sorrisi! Davvero molto molto gentili! Il museo è molto interessante e splendidamente illuminato! Contiene materiali dell’area tebana, dalla grande statuaria agli oggetti della vita quotidiana e domestica. Ci sono ceramiche e basamenti di pietra dell’epoca pre-dinastica e arcaica, ornamenti funebri del Regno Antico e reperti del Regno Medio. Bellissimi sono i reperti provenienti dal tempio di Amon a Karnak: 40.000 lastre decorate, una testa in granito rosso, la Stele di Kamose, la statua di Thutmosis III in pietra verde. Il museo ospita anche due teste monumentali di Achenaton, il faraone preferito di mio marito e il “muro dei Talatati”, un’immensa parete di quasi 300 pezzi rimessi insieme, appartenente a uno dei templi che Akenathon aveva fatto costruire a Tebe.

Da vedere c’è anche anche una parte del corredo funebre di Tutankhamon e i papiri funebri della XXI dinastia ecc… Davvero bellissima è una sala a parte, dove sono conservate splendide statue di divinità.

Rientriamo a cena già inoltrata, stupendo i ns. Compagni per essere andati in giro da soli! Infine tutti insieme ci gustiamo uno spettacolo di danza del ventre.

7° giorno: DENDERA e ABYDOS La giornata è dedicata ad un’eccezionale escursione alla scoperta di due importantissimi siti che gran parte dei tour organizzati inspiegabilmente “saltano”: Dendera e Abydos.

Ci alziamo di buon’ora, perché per raggiungere questi due siti, a diverse ore di pullman dal Nilo, occorre la scorta armata. Partiamo in coda insieme ad altri pullman, con auto della polizia davanti e dietro. Finalmente ammiriamo un po’ di vero Egitto, non solo la solita striscia di palme! Si succedono villaggi piuttosto poveri, spesso con case senza finestre e luce elettrica. Ovunque vediamo povertà, ma ci giungono sempre i saluti di tutti gli Egiziani che dalle strade o dai campi di canna da zucchero ci lanciano saluti.

Dopo oltre tre ore di pullman giungiamo ad Abydos, dove si trova l’imponente Tempio di Sethi I, i cui 36 bassorilievi che decorano le pareti sono di un livello artistico talmente elevato da essere considerati i migliori che l’Egitto abbia mai prodotto! Il luogo dove sorge Abydos era centro del culto del dio Osiride. Il mito di Osiride è il più celebre tra i miti egizi. Racconta che un tempo Osiride regnava felice sull’Egitto insieme alla sposa Iside. Era il dio protettore degli Egiziani, ai quali aveva insegnato a coltivare la terra e la vite, a produrre il vino e la birra, a forgiare i metalli. Iside aveva invece insegnato alle donne egizie l’arte della tessitura e del ricamo.

Ma il malvagio Seth, fratello di entrambi, con un inganno riuscì a imprigionare Osiride in uno scrigno che fece gettare nel Nilo. Iside cominciò a vagare alla ricerca del corpo del marito. Giunse nella città dove lo scrigno si era arenato e trasformato in un albero di acacia, con lo scrigno racchiuso nel tronco. L’acacia era subito stata tagliata e collocata come colonna nel palazzo del re. Iside, divenuta governante del figlioletto del re, riuscì ad avere in dono lo scrigno. Apertolo cercò di ridare vita allo sposo, ma invano. Nascose allora la bara in un luogo paludoso. Ma il malvagio Seth, mentre andava a caccia, trovò la bara del fratello e lacerò il corpo in quattordici pezzi che poi disperse. Iniziò allora la ricerca di Iside delle parti del cadavere dello sposo: furono tutte recuperate tranne il membro virile, mangiato da un pesce del Nilo. Alla fine il corpo di Osiride fu ricomposto, ma egli non regnò più sulla Terra, bensì sull’Oltretomba (non a caso è raffigurato come un uomo barbuto, dalla pelle verdastra o nera, quasi mummiforme).

Il mito racconta che in ognuna delle città dove furono recuperate le parti del corpo di Osiride sorse un tempio. Ad Abydos era stata trovata la testa di Osiride e per questo la località era diventata meta di folle di fedeli che ne celebravano i ‘misteri’.

Tre curiosità che ho trovato in alcuni libri: 1)per gli Egizi Osiride salito in cielo sarebbe identificabile con la costellazione di Orione, verso la quale sono orientati tutti i monumenti funebri, comprese le piramidi.

2)Sempre le tombe si trovano tutte sulla sponda ovest del Nilo, in omaggio al regno dell’Occidente di Osiride.

3)Il giorno della morte di Osiride sarebbe il 17: è da allora che il 17 avrebbe assunto il significato funesto.

Nessun luogo come questo, dunque, si prestava ad eternare la gloria del Faraone Sethi che, morendo, lasciò al figlio, il glorioso Ramses II, un Paese prospero e in pace.

Sethi I (1291-1279 a.C.) fu un grande faraone e, grazie a lui, l’Egitto conobbe un periodo di nuovo splendore, estendendo nuovamente la sua influenza in Asia. Fu un sovrano equilibrato che cercò fin dai primi anni di regno di favorire in ogni campo, nell’amministrazione come nella politica religiosa, nelle questioni interne come in quelle esterne, gli ideali di equilibrio e giustizia. Era consacrato in particolare alla dea Maat, la giustizia per eccellenza, simboleggiata da una piuma (avremo modo di vederla nelle pitture raffiguranti la pesatura del cuore del defunto).

Sethi I represse la rivolta dei beduini asiatici. Penetrò in Palestina e riuscì a batterli, giungendo fino in Siria. Domò anche i tentativi di conquista delle tribù ariane che si erano sparse per tutta l’Europa meridionale, attraversato il Mediterraneo, avevano raggiunto la Libia e, da lì, tentavano di penetrare in Egitto. In Asia condusse una campagna militare, sconfiggendo gli Ittiti vicino a Qadesh in una battaglia che, però, si concluse con la firma di un accordo temporaneo con il re ittita Muwattallis. Il Tempio è costituito da ben sette santuari dedicati a Osiride, Iside e Horus e alle tre grandi divinità dei tre maggiori centri politici o religiosi del paese: Amon di Tebe, Ptah di Menfi, Ra-Harakhte di Eliopoli e infine, il settimo, allo stesso Sethi I. Il tempio ha oggi come facciata il portico di fondo del secondo cortile, che presenta quattro dei sette varchi chiusi da Ramses II e decorati con rilievi del culto reso al padre. La parete di fondo del santuario di Osiride, il terzo da destra, dà accesso alla parte terminale del tempio, dove si trovano due sale a dieci e quattro colonne, due serie di tre piccoli santuari un singolare ambiente a due pilastri, senza accesso. Dalla seconda ipostila si va in un’ala laterale che conferisce al tempio una singolare forma ad “L”. E’ qui che si trovano lungo un corridoio con il soffitto decorato di stelle, il rilievo in cui Sethi I offre incenso ai cartigli di settantasei faraoni fra regnarono in Egitto (è la celebre “tavola di Abydos”). Alì, da buontempone qual è, ci mostra degli strani geroglifici che sembrano raffigurare un elicottero, un sommergibile e un carro armato! Davvero strani!!! Dietro il tempio si trova l’Osireion, portato alla luce dall’archeologo Naville solo nel 1914. Purtroppo è completamente allagato e non è visitabile. Si tratta di una costruzione semplice e austera, costruita con l’impiego di enormi blocchi di pietra, pilastri monolitici di granito rosa ed enormi architravi. L’Osireion era la rappresentazione architettonica della concezione cosmologico-religiosa del tempo: all’interno una sala imita un’isola ed un’altra un soffitto astronomico: ciò simboleggiava la ricreazione delle acque primaverili – l’isola era circondata dall’acqua – con in mezzo la collina primordiale sulla quale probabilmente si faceva germogliare l’orzo a simboleggiare la risurrezione di Osiride”.

La zona di Abydos è ancora talmente poco turistica che non esistono ancora ristoranti per turisti e infatti pranziamo sul pullman, sempre sotto l’occhio vigile dei poliziotti, grazie ai cestini da pic nic che ci ha fornito la nave. Ognuno di noi ha in dotazione: 2 panini al manzo, 2 panini al pollo, 1 panino vuoto, olive, 1 formaggino, una fetta di torta, 1 brick di succo d’arancia, 1 banana, 1 mandarino! Non riusciamo a finire tutto e appena scesi a Dendera pensiamo di donare i cestini ancora pieni ai bimbi che ci sono corsi incontro per venderci le loro poche cose. I bimbi fanno a gara per avere il cibo…Io resto davvero sconvolta a questa visione! Il Tempio della Dea Hathor a Dendera fu costruito in granito, come la maggior parte dei tempi costruiti sotto la dinastia tolemaica. Anticamente Dendera era una città resa sacra da ben tre santuari: il santuario di Ihy, il giovane figlio di Horus suonatore di sistro; il santuario di Horus e il santuario di Hathor. I primi due sono oggi quasi del tutto scomparsi; fortunatamente il terzo santuario ci è pervenuto con il tempio pressoché intatto! Esso era dedicato ad Hathor, dea cosmica e protettrice della danza e della musica. Il tempio attuale è in realtà la ricostruzione di un tempio preesistente molto più antico, risalente probabilmente a Cheope e a Pepi I; il retrostante complesso risale al II secolo d.C.

Il tempio è splendido e abitato da una piccola colonia di pipistrelli, piccini piccini, che in questa stagione se ne stanno tranquillamente a dormire! Il tempio è formato da una splendida sala ipostila decorata al tempo di Augusto e di Nerone, grande 25 metri per 42,50 e alta 18 metri, con 24 colonne hathoriche (cioè colonne a forma di sistro, strumento dedicato alla dea-vacca). Vi è anche una seconda minore ipostila, o sala delle offerte, con cappelle ai lati. Una di queste ha le pareti ricoperte di ricette per la preparazione dei balsami e degli olii con cui si ungeva la statua della dea. Un vestibolo immette nel santuario che conteneva il naos della statua della dea e delle barche sacre. I rilievi della decorazione illustrano le fasi del rito. Davvero belle sono le cripte decorate ricavate nello spessore della muratura esterna, nascondigli degli emblemi e degli strumenti del culto nonché delle ricchezze in metalli e pietre preziose. Accanto al tempio di Hathor vi sono altri edifici o ruderi di grande interesse: le rovine del tempio della nascita di Iside; i resti in mattoni del “sanatorium”, luogo dove i malati cercavano guarigione bagnandosi nelle acque sacre o dormendo nell’attesa di un sogno risanatore…

Dendera è un sito particolarmente importante, perché è l’unico luogo, in tutto l’Egitto, in cui è conservato interamente uno zodiaco completo delle 36 decadi dell’anno egizio. Per alcuni studiosi risale al 700 a.C., ma per altri al 3733 a.C.! Molto curioso è uno stretto cunicolo che in fondo ha strani geroglifici raffiguranti il fiore di loto: secondo alcuni fantasiosi autori, questi disegni rappresenterebbero niente-popo-di-meno-che…Delle lampadine elettriche!!! Infine si torna a casa, anzi in nave! Ma la giornata non è finita qui: la sera riusciamo con gran parte del gruppo, per assistere allo spettacolo “Suoni e Luci” a Karnak. Arriviamo che è già buio e una splendida luna illumina il viale delle sfingi.

Un gong annuncia l’inizio dello spettacolo: suoni, voci d’oltretomba e luci proiettate in alternanza su vari punti del luogo creano un effetto davvero suggestivo. I monumenti e le statue vengono illuminate ad arte, mentre voci raccontano le storie dell’Antico Egitto. Arriviamo infine ad una gradinata che si affaccia sul Lago Sacro e lì restiamo seduti per circa mezz’ora, ascoltando i festeggiamenti in onore del dio Amon, in occasione dell’inizio del nuovo anno. La luna piena illumina il cielo e migliaia di stelle brillano, promettendoci un altro splendido indomani di sole e regalandoci emozioni davvero indimenticabili… 8° giorno: LUXOR L’ottavo giorno di viaggio ci vede finalmente a Luxor, che in arabo significa “la città dei palazzi”. Qui sorge la necropoli di Tebe, uno dei siti archeologici più importanti del mondo. E’ forse il caso di soffermarsi un momento, prima di addentrarci nella necropoli, sull’ incredibile importanza che la morte e l’aldilà rappresentavano per gli Antichi Egizi, altrimenti poi non si capirebbe pienamente la ricchezza e la bellezza delle tombe.

Per gli Egizi la morte non era la fine, ma solo un passaggio verso l’aldilà, dove era possibile una nuova vita, simile a quella terrena. Il passaggio era possibile solo preservando il corpo, perché la degradazione della carne avrebbe impedito per sempre la riunione, nell’aldilà, col ka, l’anima immortale e col ba, la coscienza. Da qui la nascita delle “mummie”, dalla parola greca che indica il bitume, impiegato durante il rito della mummificazione, inizialmente riservata al sovrano ed i suoi familiari, poi gradualmente diffusa anche nei vari strati sociali e addirittura agli animali (sono stati ritrovati centinaia di migliaia di animali: alcuni sacri alle divinità, come gatti, babbuini, sciacalli, scarabeo, toro, coccodrillo, ippopotamo, ma per altri resta l’ enigma: topi, cani, ricci, anguille, serpenti, capre, pesci, pecore…). Dai documenti storici risulta che esistevano tre tipi di imbalsamazione, ma il migliore era quello descritto da Erodoto: per prima cosa, impiegando un ferro ricurvo, veniva estratto il cervello attraverso le narici e poi il cranio era riempito di stoffa; quindi veniva praticata una lunga incisione nell’addome e venivano estratti l’intestino e altri organi. Questi venivano riposti nei quattro vasi canopi, ognuno con un coperchio raffigurante l’effigie dei figli di Horus: Duamtef a testa di sciacallo proteggeva lo stomaco; Hapi a testa di babbuino proteggeva i polmoni; Amset a testa umana proteggeva il fegato; Kebehsenuf a testa di falco proteggeva l’ intestino. Talvolta, però, questi coperchi erano tutti a testa umana, come ad es. Nel caso di Tutankhamon, dove rappresentano tutti il giovane faraone defunto.

La cavità addominale veniva quindi lavata con vino di datteri e aromi tritati e poi riempita con mirra pura tritata, cassia e altri aromi; infine chiusa con l’ applicazione di una placca di metallo; dopodiché il corpo veniva disseccato restando per 70 gg. Immerso nel natron.

Infine il cadavere veniva lavato e avvolto completamente con bende e, dopo 3 gg., riposto nel sarcofago. Durante la bendatura, tra le bende venivano inseriti molti amuleti. Il rito terminava con la cerimonia dell’apertura della bocca, cui seguiva la cerimonia dell’inumazione, con la collocazione del sarcofago nella tomba e la recitazione delle formule magiche, tratte dal cosiddetto “Libro dei morti”. Queste formule servivano a proteggere il defunto durante il pericoloso viaggio nell’aldilà e ad aiutarlo di fronte alle insidie dell’oltremondo. Molte tombe conservano splendide decorazioni che raccontano il viaggio nell’aldilà: il defunto saliva sulla barca notturna, guidata dallo sciacallo Upuaut, protetta dalla dea Hathor e con il dio Horus come marinaio, e navigava lungo il fiume eterno. Doveva attraversare le dodici regioni dell’aldilà, superando i pericoli rappresentati dagli esseri immaginari e mostruosi che si affollano sulle due rive del fiume eterno e compiendo atti rituali e recitando parole magiche per avere il permesso di proseguire da ogni guardiano delle regioni. In tante tombe si trova dipinto il momento più importante, quello del “giudizio del cuore”, quando il cuore del defunto viene messo dal dio Anubi su una bilancia e messo a confronto col peso di una piuma, la dea Maat: se più pesante, l’anima era condannata all’oblio; se più leggera poteva unirsi al suo corpo e vivere nell’aldilà.

Ma torniamo alla necropoli di Tebe, sulla riva occidentale del fiume, dove le pareti rocciose del Deserto Occidentale offrivano l’opportunità di scavarvi delle tombe.

Su queste colline i reali tebani vollero costruire la loro “terra dei morti”, poiché per la religione antica questo era il sito che poteva assicurare la rinascita dei defunti, come il sole che muore dietro questi declivi risorge sempre il giorno successivo.

A causa dei numerosi saccheggi e profanazioni cui erano state sottoposte le tombe dell’antico regno, i faraoni scelsero di costruire le proprie tombe in luoghi più nascosti. Nello stesso periodo si arrivò addirittura ad avere veri e propri villaggi nei pressi della necropoli, abitati soprattutto artigiani, sacerdoti e guardie che potevano così proteggere i monumenti dai continui saccheggi a cui i sepolcri erano sottoposti. Il sito è enorme e comprende più necropoli. Alcune, molto rovinate e raramente visitate (come la Necropoli di Dra Abu’l Naga, la Necropoli di Qurnet Murai, la Neropoli di el Asasif, la Necropoli di el Khokha); altre interessanti, ma solitamente “saltate” dai tour, come la Necropoli di Sheikh Abd el Qurna, con le sue splendide tombe private, tra le quali la celebre “Tomba della vigna”, dedicata al Governatore di Tebe la cui stanza funebre è decorata con un pergolato d’uva. Durante un viaggio organizzati si riescono a vedere non più di 6 tombe, comprese tra quelle della Valle dei Re e delle Regine e generalmente quelle di Nefertari e Tutankhamon non sono mai comprese.

N.B. Nella valle delle Regine all’interno di tutte le tombe è vietato scattare fotografie, anche senza il flash, mentre alla valle dei Re è consentito fotografare senza flash, pagando un biglietto a parte (5 L.E. Per tomba).

Attraversiamo il Nilo con una barca a motore e proseguiamo in pullman verso la celebre Valle delle Regine. Il paesaggio è desertico e roccioso, molto suggestivo. Una breve passeggiata ci porta alla valle dove sono state scoperte circa 80 tombe, generalmente databili dal 1300 a.C. Al 1100 a.C. Che emozione quando tra le rocce e la sabbia scorgiamo le prime aperture delle tombe. La tomba-tipo prevedeva una porta tagliata verticalmente nella roccia come ingresso, un lungo corridoio con ai lati nicchie e cappelle e, al termine, una o più camere e il sarcofago Purtroppo molte sono danneggiate e infatti normalmente sono aperte al pubblico solo 4 o 5 tombe.

Nella valle delle regine sono sepolti anche i figli dei faraoni morti in giovane età. La prima tomba che visitiamo è proprio la Tomba del principe Amon-her-Khopechef, figlio di Ramsete III, dove si ammira una decorazione insolita per la tonalità e l’intensità del colore, un bellissimo blu oltremare. La decorazione della prima stanza ci mostra il faraone che presenta il giovane figlio a varie divinità: Thot, Ptah, e i quattro figli di Horus. Questi ultimi quattro dei dopo aver partecipato con Hanubis al rito della mummificazione di Osiride, divennero patroni dei vasi canopi; visitiamo poi la Tomba della regina Thiti, sposa forse di un faraone della XX dinastia, che conserva dei bellissimi dipinti dalle tenui tinte rosate.

La Tomba di Nefertari, dedicata a Nefertari, seconda delle “grandi spose” di Ramses II è la tomba più bella e celebre della valle, ma è attualmente chiusa al pubblica per il forte stato di deperimento dei dipinti. Peccato! Mi sarebbe piaciuto vedere la scena che raffigura la regina, vestita di un trasparente abito bianco a pieghe, mentre gioca seduta davanti ad una scacchiera del senet, un gioco che è considerato un antenato del backgammon. Risaliamo in pullman e ci spostiamo alla Valle dei Re, una valle rocciosa e desertica a circa un km. E mezzo, che nasconde decine di tombe, non appartenenti solo a sovrani, ma anche a membri privilegiati della nobiltà. Qui sono sepolti i più famosi faraoni della storia egiziana! Arriviamo in un piazzale e scesi dal pullman saliamo su un buffo trenino di legno che sale verso il ripido tratto che conduce alla biglietteria. Qui cogliamo al volo l’occasione di vedere anche una tomba extra, quella di Tutankamon, non compresa nel tour. (40 L.E.) Qui sorge la misteriosa e inaccessibile Tomba N°55, un vero enigma per gli egittologi, poiché il nome del proprietario è stato scalpellato via dalle iscrizioni, e lo scheletro ritrovato è stato attribuito alla regina Nefertiti e a Akhenaton. Come vorrei poter entrare! Chissà se è davvero la tomba della regina più bella dell’antichità, la splendida Nefertiti, moglie del faraone eretico Akhenaton, il cui splendido busto, visto tantissimi anni fa nel Museo Egizio di Berlino, ha fatto nascere in me la passione per gli Egizi… O magari è la tomba del suo sposo Amenofi IV (1356-1339 a.C.) detto Akhenaton, il “re eretico”, uno dei faraoni più affascinanti della storia egizia, un faraone che governò per 17 anni lasciando l’Egitto in piena crisi, disarmato di fronte ai vicini potenti.

Mistico e desideroso di liberarsi dall’influenza del clero di Amon, Akhenaton è celebre perché fece sparire la religione del dio Amon, chiuse i suoi templi, ne disperse i sacerdoti, facendo poi scomparire il nome del dio da tutte le iscrizioni monumentali e dai cartigli dei suoi predecessori. Abbandonò Tebe e fondò una nuova capitale, Akhetaten, a Tell-el-Amarna, nel Medio Egitto. La nuova religione rivelò una netta tendenza al monoteismo: il dio per eccellenza era Aton (il disco solare) e il suo culto si svolgeva curiosamente all’aria aperta, fuori dai templi. Poco interessato alla politica, Amenofi IV lasciò che gli Ittiti conseguissero alcuni importanti successi militari e lasciò che in Palestina, i beduini si ribellassero fino a impadronirsi di Gerusalemme. Non stupisce che, alla sua morte, i successori cercarono di disperderne il ricordo, maledicendo e smantellando anche la sua città.

Tristemente rassegnata a non poter entrare (sono tantissime le tombe chiuse al pubblico!) mi dedico alla scoperta di ciò che è possibile vedere… Visitiamo la celebre Tomba di Ramses IX, mai finita, è composta da sette sale e corridoi decorati con scene di sacrifici e scene infernali. La Tomba di Ramses VI, una delle più grandi tombe della valle. Decorata con scene dal Libro dei Morti Iniziata da Ramses V, venne in seguito ampliata alle attuali nove sezioni, fra sale e corridoi. Conserva il testo completo del Libro delle Porte e una vasta raccolta di capitoli del Libro dell’Ade e del Libro dei Morti: ciò le valse l’appellativo di “tomba della metempsicosi”.

Tomba di Ramses VII La sua tomba è la numero 1, vale a dire la prima ad essere esplorata nel XIX secolo; purtroppo è piuttosto degradata e quasi sono si riescono più a distinguere le inscrizioni ed i disegni al suo interno. Poi, mentre il gruppo resta fuori ad attenderci, io e mio marito scendiamo nella Tomba di Tutankhamon, che a mio parere vale la pena di essere visitata, se non altro per l’incredibile importanza storica, visto che è l’unica tomba inviolata dai predoni.

Fu scoperta da Carter e Carnarvon nel 1922 e impressiona per lo spazio ristretto, visto che probabilmente a causa della morte prematura al giovane faraone, morto diciottenne nel 1325 a.C., fu assegnata una tomba destinata ad un alto funzionario.

Tutankhamon era genero di Amenofi IV e della bellissima regina Nefertiti. Salì al trono a soli 9 anni come sposo della principessa Ankhesenpaton e regnò per circa un decennio, sotto la pesante tutela del visir Ay, futuro signore del Paese dopo la sua morte. Fece ritornare gli Egizi al culto del dio Amon, soppiantato da quello di Aton durante il regno incontrastato del suocero Amenofi IV, e infatti modificò il proprio nome da Tutankhaton in Tutankhamon, ‘l’immagine vivente di Amon’. Lasciò quindi la città di Akhetaten per ritornare a Tebe, che riprese così ad essere il principale centro religioso d’Egitto, mentre confermò Menfi come capitale amministrativa. Le fonti raccontano che il faraone fu un grande protettore delle arti e che fece restaurare molte statue e monumenti. Come morì? Forse vittima di una congiura di palazzo ordita dal potente Ay, oppure per una misteriosa malattia… La scoperta delle tombe egizie ha permesso agli storici di fare molteplici scoperte! Anche attraverso le scene affrescate sulle pareti delle tombe, si é potuto ad esempio ricostruire le abitudini alimentari degli antichi Egizi e sapere che erano grandi consumatori di cereali e pane, di zuppe di verdure, di dolci a base di mandorle e frutti tropicali come il mango e l’avocado. La carne veniva riservata alle grandi occasioni, mentre il pesce era molto consumato e conservato in salamoia. Nelle case più ricche i servizi da tavola erano di materiale pregiato, come l’alabastro. Il cibo veniva portato alla bocca con le mani (senza l’utilizzo di posate), che venivano deterse in appositi catini pieni d’acqua. Eleganti ancelle servivano alle mense dei ricchi. Nell’antico Egitto venivano consumate bevande alcoliche come la birra ed il vino, ma anche superalcolici ricavati dalla lavorazione del dattero.

Si ha addirittura notizia di tre tipi di birra: la “zythum”, chiara, la “curmy” di colorazione più scura, e la “sà”, ad alta concentrazione, riservata al Faraone e alle cerimonie religiose. La birra era servita aromatizzata con miele e cannella, ma anche salvia e rosmarino. Attraverso le scene affrescate sulle pareti delle tombe, si é potuto capire qualcosa della cosmesi egizia. Sappiamo che la cura del corpo era molto importante per gli antichi egizi, che utilizzavano creme, unguenti e profumi per ammorbidire e profumare la pelle (i profumi erano utilizzati sia da uomini che donne e venivano estratti da fiori). Nolto diffuse erano le caramelline profuma alito, fatte con mirra e erbe tritate.

Uomini e donne dell’alta società amavano molto le parrucche, fatte con capelli veri! Le donne si depilavano e facevano la manicure, si schiarivano la pelle con un composto cremoso ricavato dalla biacca, e sempre con la biacca ambrata si dipingevano le labbra. Evidenziavano il contorno degli occhi con il kohl nero o verde, rispettivamente estratti dalla golena e dalla malachite. Le unghie, le palme delle mani e dei piedi, spesso anche i capelli venivano tinti con una pasta di hennè (ancora oggi considerato tra i migliori del mondo: provatelo! regala splendidi riflessi ramati ed è fenomenale contro le doppie punte e i capelli sfibrati!).

Terminata la visita proseguiamo verso l’ impedibile sito di Medinet Habu, nella piana sulla sinistra del Nilo di fronte a Luxor, uno dei primi luoghi in cui si stabilì il culto di Amon. Suggeriamo a tutti la visita di questo splendido luogo! Qui il faraone Ramses III eresse il suo gigantesco tempio funerario; lo racchiuse in una possente muraglia di mattoni insieme al tempio di Amon e vi fondò una città, che divenne il cuore del governo e della vita economica di Tebe per alcuni secoli. Il tempio funerario di Ramses III era collegato al Nilo per mezzo di un canale, perché potessero giungervi le barche delle processioni rituali nelle festività religiose. Una torre quadrata, decorata di rilievi è in realtà una porta fortificata che imita le cittadelle asiatiche: Ramses aveva voluto dare alla cinta del suo tempio funerario il militaresco aspetto di una fortezza. Oltrepassata la porta sulla sinistra vi è un tempietto doppio, con le cappelle funerarie delle “spose divine di Amon”; quello sulla destra è dedicato ad Amenardi, figlia di un re etiopico; il triplice santuario sulla sinistra è dedicato, nel sacello centrale, a Shepenupet, figlia del re Piankhy, in quelli laterali alla moglie ed alla figlia, Nitocri, di Psammetico I. Oltrepassata la porta, sulla sinistra, vi sono le rovine della parte più antica del tempio di Amon, che con gli ampliamenti e le aggiunte più tarde nella sua parte anteriore ha finito per oltrepassare la muraglia di Ramses III ed estendersi davanti ad essa. Dall’ingresso verso il santuario, si trovano successivamente un cortile romano terminante in un portico, un pilone tolemaico, le colonne di Nectanebo I, il pilone di Shabaka, usurpato dal suo successore Taharqa e, infine, dopo un cortile, il tempio della XVIII dinastia. Quest’ultimo fu costruito principalmente da Hatshepsut e da Thutmosi III, che sono raffigurati a compiere riti nell’interno della cella, che precede un complesso di ambienti al fondo del quale vi è il santuario. E’ considerato uno degli edifici più importanti dell’architettura religiosa tebana, anche per l’unità della sua costruzione che è nell’impianto analoga al Ramesseo, con tutta probabilità deliberatamente imitato. Il primo pilone, diviso in due dal portale, è alquanto più largo del rettangolo dei cortili e delle sale che lo seguono; subito dietro, il primo cortile è fiancheggiato sulla destra da una fila di pilastri osiriaci e sulla sinistra da un colonnato, dietro il quale vi è la facciata del palazzo reale, con la “finestra delle apparizioni”, alla quale il re si affacciava presentandosi alla popolazione esultante. Il palazzo comprendeva una sala delle udienze a colonne e una sala del trono. Il lato di fondo del primo cortile è costituito dal secondo pilone, dietro il quale si apre il secondo cortile, piuttosto ben conservato, porticato sui quattro lati e con pilastri osiriaci su due. Oltrepassato il secondo cortile, resta intatto il proseguimento del muro perimetrale, ma la distribuzione degli ambienti è riconoscibile solo in pianta. Vi erano comunque tre successive sale ipostile, fiancheggiate da stanze ed infine tre santuari affiancati, quello centrale dedicato ad Amon, quelli laterali alla dea Mut e al dio Khonsu.

******** continua *********



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