Turisti per cibo: Il Risotto alla Pilota è una fede
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Il Risotto alla Pilota è una fede
Mantova Cari Patrizio e Syusy, Credo ci sia un solo luogo in Italia dove la parola “risotto” non ha un significato univoco, ed è Mantova. Posto unico in Italia e quindi anche nel mondo, visto che il risotto è un’invenzione italiana, tanto che si chiama “risotto” anche in Germania nei paesi anglofoni e in quelli francofoni. Universalmente, dunque, per “risotto” si intende quel buon piatto che tutti conosciamo a base di riso, più altri ingredienti, “tirato” a cottura con l’aggiunta progressiva di mestoli di brodo bollente. A Mantova no. Qui bisogna distinguere tra il risotto “menà”, che è quello classico cui ho accennato, e il risotto “alla pilota” che è difficile persino da raccontare figuriamoci da preparare. Quindi non c’è alternativa: o si impara a farlo preventivando un tot di tentativi, o si viene a mangiarlo a Mantova. In questo caso si può anche pensare a una gita per “pile”, le piccole riserie della bassa mantovana dove si può acquistare il riso vialone semifino nano, l’unico idoneo a preparare questo tipo di risotto che deve il suo nome proprio ai pilotini, i lavoratori delle riserie. Inoltre, alcune tra le “pile” sono anche agriturismi, quindi il riso oltre che acquistarlo lo si può gustare, ovviamente “alla pilota”.
Ma cosa ha di tanto strano la preparazione del risotto alla pilota? Tutto: non è un risotto “tirato”, come quello alla milanese, e questo lo sappiamo già. Ma non è neanche un riso bollito, né al vapore, né pilaw o forse è tutte e tre le cose insieme mescolate come in un procedimento alchemico. Il risultato finale di questa singolare cottura realizzata con sola acqua e tutta giocata sulla giusta proporzione tra acqua e riso, sui tempi di cottura, sull’uso del coperchio e su un preciso tempo di riposo a fuoco spento è un risotto che non si presenta cremoso ma asciutto e soprattutto “sgranato”. Quanto più i chicchi sono separati uno dall’altro, tanto più pregiato è il risotto. Non vi dico, a questo proposito, quante opinioni ho sentito durante la mia perlustrazione della bassa mantovana su chi facesse il risotto migliore.Visto poi che esistono piccole ma decise varianti delle procedure ho acceso discussioni veramente infuocate su quale fosse la maniera migliore per farlo: se calcolare tanta acqua quanto riso misurando entrambe le quantità in tazze, (quindi una tazza di riso e una tazza di acqua) o se aggiungere il 10 per cento di acqua rispetto alla quantità di riso. Se versare nel tegame di rame il riso come si fa normalmente o a piramide, versandolo da un foglio di carta. Di quanti centimetri deve emergere al vertice della piramide di riso dall’acqua, se due o tre …E potrei continuare a lungo. Non vi dico poi le discussioni che scattavano quando si trattava di decidere dove si mangiasse il risotto migliore. In conclusione, ho realizzato che per i mantovani la variante preferita di risotto alla pilota è un partito, una squadra del cuore, una fede.
Su un punto, però, erano tutti d’accordo: il riso da usare è il vialone semifino nano, l’unico capace di garantire un risotto con chicchi sgranati e in grado di reggere i tempi di riposo a fuoco spento senza scuocere. E ci vuole il riso della bassa mantovana e veronese, perché il vialone nano di Vercelli non dà gli stessi risultati. Il motivo pare sia dovuto all’alto tenore in argilla delle risaie di questa zona che drena opportunamente le acque conferendo al riso il giusto contenuto in amido. Il vialone semifino nano, comunque, è ottimo anche per la preparazione del classico risotto tirato. Non a caso, nella confinante bassa Veronese con il vialone nano – che qui è riuscito a conquistare la “Dop” – si prepara il risotto “menà”, quindi tirato. Tornando al nostro pilota, una volta cotto va arricchito con un condimento. Il più classico è il “pistum” o “pist”, l’impasto della salamella mantovana, un insaccato fresco che merita una breve digressione: è una salsiccia di carne suina fatta con magro di spalla, prosciutto e grasso morbido di rifilatura di pancetta. Le carni sono macinate, salate, condite con aglio e pepe e insaccate in budelli. Devo dire che il sapore di questa salsiccia è unico e inconfondibile. Vietato, dunque, sostituirla con altre salsicce.
Infine, il risotto con le salamelle può essere arricchito con il “puntèl”, il puntello, costituito da costine di maiale arrostite in tegame o braciole sempre di maiale. Io ho avuto anche la buona ventura di assaggiare il risotto con la “psina”, piccoli pesci di risaia fritti, con i saltarèi (gamberetti di fosso) con le rane e con le lumache. Ma ho girato per molte pile… Vostro Martino
Post Scriptum La patria del risotto alla pilota è Castel D’Ario, a pochi chilometri da Mantova e annunciato dal cartello stradale come “Paese del risotto”. Qui trovate ben 11 ristoranti tutti specializzati nel risotto alla pilota Eccovi la ricetta del risotto alla pilota.
Io ne ho provate più d’una e questa è quella che mi ha pienamente soddisfatto.
Ricetta del risotto alla pilota Ingredienti per 8-10 persone: 1 kg di riso semifini vialone nano – 1,1 litri di acqua – 800 g di pesto per risotto o di salamella mantovana – 80 g di burro – 120 g di formaggio grana, grattugiato a mano – sale Fate bollire l’acqua in un paioletto di rame non stagnato (stagnada).
Appena l’acqua bolle, salatela e versate il riso da un foglio di carta facendo in modo che formi un cono la cui punta deve emergere dal pelo dell’acqua di due centimetri. Cuocete per sette minuti a fuoco allegro e senza coperchio giostrando per tre volte la pentola in entrambi i sensi per scuotere il riso e spianarlo. Nei sette minuti il riso assorbirà tutta l’acqua.Togliete dal fuoco, coprite la pentola con un canovaccio che deve essere posto a contatto con il riso e incoperchiate. Fate riposare per 10 minuti durante i quali il riso completerà la sua cottura. Fate sciogliere il burro in un tegame, unite il pesto (o la salsiccia) sgranato e fatelo cuocere velocemente evitando che rosoli. Trascorsi i dieci minuti, scoperchiate il riso, sgranatelo con una forchetta e conditelo con il pesto caldo e abbondante grana.
Nel caso del “risot col puntel”, aggiungete, nello stesso piatto le braciole o le costine arrostite in tegame.
Mantova, Il mio risotto
Caro Martino, Adesso capisco veramente cosa prova un lettore di questo nostro epistolario, cioè di questa nostra raccolta di lettere.
Intendiamoci, io e Syusy siamo comunque da sempre lettori interessati e appassionati delle tue “corrispondenze” gastronomiche, ma stavolta mi hai punto sul vivo. Stavolta ho capito che tu – parlando di prodotti, luoghi e ricette – colpisci l’intimità delle varie identità regionali, tocchi le corde dei ricordi, entri dentro la storia di ognuno. L’ho capito leggendo questa tua lettera sul risotto mantovano. Io, che appunto sono mantovano d’origine, nel precedente Golosi per Caso ti avevo scritto proprio a proposito del risotto. Tra le altre cose, se ricordi, ti avevo raccontato che addirittura la vita politica di Mantova è stata forse legata al risotto: infatti i risotti del festival dell’Avanti sono stati per decenni i migliori, certo migliori di quelli della festa dell’Unità. Da cui l’importanza, nella zona, dei Socialisti! Adesso leggendo la tua lettera da Mantova provo un po’ di nostalgia e mi pongo qualche problema. Intendiamoci, la tua relazione gastronomica sul risotto è ineccepibile. E da “mantovano in esilio” ci ho ritrovato i problemi che trovo ogni volta che, a Bologna dove abito normalmente, voglio fare un risotto.
È incredibile ma in Italia, dove la varietà di prodotti, ricette, tradizioni gastronomiche è vastissima, già a pochi chilometri da un luogo in cui si cucina un piatto tipico, fai fatica a trovare gli ingredienti. A Bologna, per esempio, il riso vialone semifino nano non si trova molto facilmente: io ho dovuto chiedere in vari panifici e drogherie, ma alla fine l’ho trovato. Quella che invece non si trova affatto è la salamella, o pesto. A Bologna mi sono dovuto accontentare di usare la salsiccia romagnola, che è comunque più morbida di altre salsicce. Ma, nonostante me la faccia macinare e rimacinare dal macellaio, non ha mai la stessa consistenza di quella mantovana. Tra l’altro si “imbalocca” (o raggruma) quando la metto a soffriggere… Un altro problema è il recipiente. Lo so che i sacri testi recitano che bisogna usare un paiolo di rame non stagnato, però non è facile…
Una mia cara amica, anche lei mantovana-fuoriuscita, mi ha regalato una pentola di coccio, suggerendomi di usarla per il risotto. I puristi forse non saranno d’accordo, ma anche il coccio tiene perfettamente la temperatura, e i risotti che faccio alla fine vengono unanimemente lodati.
A proposito… Se posso… Io rispetto alla tua ricetta avrei qualche cosa da dire: a me la montagnetta di riso che deve emergere dal pelo dell’acqua mi pare una cazzata… E anche riguardo all’acqua… Io ci metto circa il 15% di acqua più del riso, non il 10%… E anche la dose di salamella… Io la aumenterei un po’, diciamo un chilo di pesto per un chilo di riso… E aumenterei anche i tempi, non sette minuti di cottura e dieci di riposo, ma almeno dieci e dieci… Senza offesa naturalmente! Non te la prendere, è che il risotto alla mantovana che fanno a Cerese è molto diverso da quello che fanno a Sant’Antonio (parliamo di contrade che distano tra loro in linea d’aria pochissimi chilometri!).
Questo è il bello dell’Italia! Ciao, a presto Patrizio