Viaggio nel Sud-Ovest degli Stati Uniti: parchi e

Viaggio nel Sud-Ovest degli Stati Uniti: parchi e non solo… Le date e le tappe: 13/9/03 Venezia-Monaco – Los Angeles – Ridgecrest 14/9/03 Sequoia National Forest – Death Valley 15/9/03 Death Valley – Las Vegas 16/9/03 Las Vegas – Zion National Park – Mount Carmel Junction 17/9/03 Pink Coral Sand Dunes – Brice Canyon -...
Scritto da: gingroni
viaggio nel sud-ovest degli stati uniti: parchi e
Partenza il: 13/09/2003
Ritorno il: 26/09/2003
Viaggiatori: in coppia
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Viaggio nel Sud-Ovest degli Stati Uniti: parchi e non solo… Le date e le tappe: 13/9/03 Venezia-Monaco – Los Angeles – Ridgecrest 14/9/03 Sequoia National Forest – Death Valley 15/9/03 Death Valley – Las Vegas 16/9/03 Las Vegas – Zion National Park – Mount Carmel Junction 17/9/03 Pink Coral Sand Dunes – Brice Canyon – Escalante 18/9/03 Escalante Pietrified Forest – Capitol Reef Natl. Park – Moab 19/9/03 Arches Park – Monument Valley – Mexican Hat 20/9/03 Grand Canyon 21/9/03 Grand Canyon – Sedona – Yuma 22/9/03 Yuma – San Diego 23 -24/9/03 San Diego 25/9/03 San Diego – Los Angeles 26/9/03 Los Angeles – Monaco – Venezia Miglia percorse: 3100 (5000 Km)) Galloni di benzina consumati : 90 (340 litri) Spesa complessiva per due (shopping, volo e noleggio auto inclusi): 4000 Euro Spese principali Volo aereo : 1.226 euro (613 a testa) Contanti per spese piccole : 340 euro Auto a noleggio : 715 euro Motels : 470 euro La benzina costava circa 1,70-1,90 US$ al gallone, ma il prezzo varia anche di settimana in settimana (quando siamo arrivati a Los Angeles era a 2,15 al nostro ritorno era a 1,85), e fuori dalle grandi città costa un po’ meno. Il consumo poi è contenutissimo soprattutto per via delle ridotte e delle sempre costanti velocità che bisogna mantenere.

Sabato 13/9, ore 4.15 a.M. Finalmente siamo…Sulla strada… non ancora quella giusta, ma , superati tutti gli intoppi finalmente ci siamo, stiamo partendo per un viaggio che sognamo da 3 anni. Nonostante la levataccia, siamo elettrizzati! Arriviamo all’aeroporto di Venezia accompagnati dal pulmino del parcheggio Brusutti, a un minuto scarso di strada, ma molto economico : 50 euro per 15 giorni, molto meno della metà di quello “ufficiale”.

Al check-in e perdiamo quasi un’ora in fila per colpa di un gruppo di attempati viaggiatori con diverse custodie che avevamo supposto contenessero strumenti musicali: l’addetto al check-in invece ci informa che si tratta di armi e munizioni…Vanno a fare una mostra di armamenti d’epoca, e con i tempi che corrono non è che si tratti dei compagni di viaggio ideali! Arriviamo a Monaco in orario e facciamo colazione in stile bavarese, birra e wurstel (io mi sono accontentata di un’enorme pastina al cioccolato). I controlli di sicurezza prima di salire sull’aereo che ci porterà a L.A. Sono capillari: controllo delle borse, delle scarpe (occhio ai calzini bucati), perquisizione con metal detector e foto a vuoto per dimostrare cha la macchina fotografica é esattamente quello che sembra.

Il volo é lunghissimo, sarà che non siamo stati fortunati con la posizione ma sembra non finire mai. Alla fine sbarchiamo, il viaggio vero sta per cominciare! L’addetto al banco doganale si mostra sorpreso che la nostra prima destinazione é Ridgecrest, un paesino sperduto a tre ore di strada da LA, ci ripete diverse volte che „it’s in the desert“, forse gli sembriamo un po‘ strani perché preferiamo il deserto a una serata in LA. Fuori dall’aeroporto, saliamo sul pulmino della Alamo che ci porta gratis all’autonoleggio; avevamo prenotato l’auto via Internet ma ci siamo fatti lo stesso un’ora di fila: saliamo sulla nostra Buick 3100 cc V6 (massiccia e spartana ma con i sedili come divani) e partiamo alla volta di Ridgecrest. Percorrendo le trafficate Highway per uscire da LA passiamo accanto a collinette aride sulle quali ogni tanto spunta una villa circondata da siepi: la maggior parte delle case però é bassa, sono prefabbricati in legno con un aspetto decisamente strano per chi é abituato alle case di mattoni: a me danno l’impressione di qualcosa di provvisorio, di certo sono fatte con l’idea di poterle spostare facilmente, nel corso del viaggio ci siamo imbattuti in un tir che ne trasportava una… Raggiungiamo Ridgecrest verso le 9 di sera. Siamo svegli da circa 27 ore e la stanchezza inizia a farsi sentire. Arriviamo abbastanza facilmente al Motel 6 dove avevamo prenotato una stanza e dopo una cena veloce da Denny’s andiamo subito a nanna.

14/9/03 Sequoia National Forest – Death Valley Sveglia presto, poco faticosa complice il fuso orario, colazione allo Starbucks Café‘ di Ridgecrest, giretto panoramico per la cittadina – una strada principale larga come le più grandi delle nostre autostrade, casette basse prefabbricate, una specie di mini-centro commerciale e poco altro – benzina e poi via verso la Death Valley. Prima di muoverci facciamo una piccola spesa: acquistiamo soprattutto acqua, ma in realtà non c’era bisogno di fare grandi scorte perché ovunque ci sia un distributore c’é un drugstore dove comprare da bere e vari generi di conforto (é incredibile la quantità di tipi di patatine, barrette di cioccolato, biscotti e pasticci vari!). Paghiamo 14 dollari per 27 litri di benzina e 13 dollari per 4 bottiglie di acqua di frigo!!! Comprate i contenitori grandi da un gallone, costano 1 dollaro e l’acqua è la stessa anche se non è fredda.

Decidiamo di attraversare il Sequoia Natl. Park, visto che non abbiamo tempo di andare nel Giant Sequoia ma vogliamo ugualmente vedere questi grandi alberi. La prima metà del tragitto si rivela davvero deludente: la strada é tortuosa e le sequoie hanno più o meno le dimensioni dei nostri abeti. Continuiamo però a vedere i Joshua Tree che crescono in mezzo al deserto. A me piacciono molto. Finalmente la strada inizia a salire, e le sequoie a diventare imponenti; siamo felici di incontrare un paesaggio boschivo, il deserto ha il suo fascino ma non ci siamo ancora abituati. Continuiamo in direzione Death Valley, la strada corre dritta e larga in mezzo al nulla, ogni tanto incontriamo qualche paesetto di 10 case, e ogni volta penso agli abitanti e mi chiedo ma questi che ci fanno qui … inizio a rendermi conto di che cosa siano gli spazi sconfinati di cui mi avevano parlato. Incontriamo un lago che è stato interamente prosciugato 4-5 anni fa per dare acqua alla città di Los Angeles, il cui comune si è comprato il fiume che lo alimentava. Adesso esiste infatti una enorme canalizzazione che corre per più di 200 miglia dalle sorgenti della Sierra Nevada fino alla megalopoli. Per dare un’idea delle dimensioni del disastro che è stato fatto, il lato che abbiamo costeggiato era lungo 14 miglia! Quando si dice “tutto il mondo è paese”…

Arriviamo alla Death Valley nel primo pomeriggio; già dalla strada il paesaggio é incredibile, scendiamo lentamente e vediamo dall’alto il fondo della depressione che é la valle, una specie di catino riarso dal sole attraversato dalla strada che stiamo percorrendo. Prenotiamo una camera a Stovepipe Wells, é costosa ma non ci sono alternative, questo é l’unico motel disponibile. Fuori fa caldissimo, in camera la temperatura si aggira sui 18 gradi e il condizionatore fa un rumore terribile ma per il resto la stanza é spaziosa e pulita.

Facciamo un bel giro da Stovepipe Wells fino a Badwater: ci fermiamo alle Sand Dunes, la sabbia é sottile come farina e ci addentriamo un po‘ verso l’interno, il caldo é terribile e ci sono troppe persone per godersi davvero la solitudine di questo luogo. Rimontiamo in macchina e raggiungiamo Salted Creek; all’ingresso della passeggiata ci sono dei cartelli che spiegano come nel fiumiciattolo che incontreremo lungo il percorso viva una specie di pesci che si é adattata alla altissima salinità dell’acqua. Devo assolutamente vederli, così ci incamminiamo per una passeggiata di 15 minuti con un caldo infernale lungo l’argine di un torrentello … del tutto in secca, e dei pesci nessuna traccia. Delusi ritorniamo in auto e proseguiamo. Lungo la strada si trovano diversi cartelli che indicano le stradine che portano ai punti panoramici, le seguiamo e vediamo l’Artist’s Palette, una zona dove le montagne sono colorate di rosa, giallo, azzurro dai minerali presenti nella roccia, il Devil’s Golf Course con la terra ricoperta di cristalli di sale in continua formazione che scricchiolano sotto il sole e Badwater, una pozza di acqua che non si proscuga neanche nella stagione più torrida e nella quale vedo finalmente degli animaletti.

Torniamo in albergo percorrendo la strada a ritroso nella luce del tramonto, ceniamo al ristorante dell’hotel (senza dubbio la migliore delle molte bisteccone della vacanza) e andiamo a vedere le stelle sulle sand dunes e vediamo un coyote che attraversa la valle.

15/9/03 Death Valley – Las Vegas Sveglia prima dell’alba per andare a Zabriskie Point. In molti hanno avuto la nostra stessa idea, ma lo spettacolo vale la pena, passiamo più di un’ora ad ammirare nel silenzio i colori che il sole nascente risveglia sulle dune e facciamo una quantita‘ di foto, nessuna delle quali purtroppo una volta sviluppata dara‘ neanche lontanamente l’idea della realtà. Da lì ci muoviamo verso Dantés Wiew, un punto panoramico dal quale si scorgono tutti i siti visitati fin’ora, in particolare vediamo bene il fondo della valle e le tracce bianche del sale lasciato dall’acqua. Passiamo per il fondo di un lago preistorico, quindi usciamo dalla valle e ci dirigiamo verso il Nevada. Facciamo il nostro ingresso nello stato del gioco d’azzardo a metà mattina (alzarsi prestissimo ha i suoi vantaggi…) e ci fermiamo a fare colazione in un hotel –casinò a poche centinaia di metri dal confine. Sono le 10 e 30 del mattino e ci sono diverse persone impegnate alle slot machines! Lungo il percorso incontriamo molte carceri di massima sicurezza e numerosi cartelli che vietano fermarsi, fare fotografie e dare passaggi ad autostoppisti, che potrebbero appunto essere degli evasi. La cosa incredibile è che queste prigioni sono costruite nel mezzo del deserto tra vallate e montagne senza nemmeno un albero o un cespuglio dove nascondersi in caso di fuga, considerando comunque che i 40-50 gradi che ci sono di giorno stroncherebbero anche il più allenato degli etiopi Ci fa veramente uno strano effetto.

Raggiungiamo Las Vegas senza soste lasciamo la macchina nel parcheggio dell’hotel (il Flamingo) e facciamo subito un giro a piedi. La città é incredibile; un parco dei divertimenti per adulti, come la descrivono in molti e in effetti é questa la definizione migliore che si possa trovare. Quello che vediamo adesso non é niente in confronto all’aspetto che assume di notte, con una quantità inimmaginabile i luci, hotel con le montagne russe all’interno, una folla di persone di tutti i tipi, sembra di stare in un film. Ci riposiamo in piscina e poi usciamo di nuovo. Entriamo in diversi Hotel sullo Strip, all’interno sono tutti più o meno uguali, tavoli da gioco, macchinette varie, negozi di ogni tipo e illuminazione costante sia di giorno che di notte… Molto bello l’interno della piramide dell’Hotel Luxor, i giochi d’acqua nel „laghetto“ di fronte al Bellagio, e il centro commerciale all’interno dell‘ Aladdin con il soffitto dipinto come un realistico cielo primaverile, e talmente grande da perdere l’orientamento… Mezzanotte arriva in fretta, siamo stanchissimi.

16/9/03 Las Vegas – Zion National Park – Mount Carmel Junction Partiamo da LV in ritardo, sbagliamo strada e perdiamo ulteriormente tempo, ma alla fine arriviamo allo Zion National Park. Dal parcheggio parte un pullman ogni 10 minuti circa, che percorre in lunghezza tutto il parco e si ferma in tutti i punti dai quali si puo‘ partire per le escursioni a piedi; noi facciamo una passeggiata abbastanza semplice, fino alle tre Emerald Pools; la salita fino alla terza é faticosa ma ne vale la pena: anche se la pozza non ha niente di smeraldino (forse a causa del cielo nuvoloso), é circondata da pareti a strapiombo che sembrano incombere sullo spettatore, sono affascinata dalla atmosfera da bosco fatato e dalla quiete quasi soprannaturale … Torniamo indietro, prendiamo di nuovo il pullman, e ci fermiamo per un’altra piccola passeggiata fino alle Weeping Rocks (rocce gocciolanti?), niente di speciale. Torniamo indietro, riprendiamo la macchina e attraversiamo tutto il parco da Ovest verso Est: la luce del tramonto ci permette di godere al meglio dello spettacolo offerto dai costoni di roccia colorati, in molti punti spezzati in modo da sembrare tagliati con un’accetta. Purtroppo non abbiamo molto tempo, ma questo è decisamente il miglior parco se si vogliono fare escursioni nei boschi senza morire di caldo. Troviamo un motel a Mount Carmel Junction, con annesso ristorante dove consumiamo una cena leggera a base di zuppa di mais (ottima) e verdure, con grande stupore della cameriera e degli altri avventori che invece si strafogano con i soliti piatti formato gigante.

17/9/03 Coral Pink Sand Dunes – Brice Canyon – Escalante Svegli a all’alba, ci vestiamo per uscire ma stamattina fa freddissimo, ci saranno 6-7 gradi, noi forse non siamo abbastanza attrezzati. Comunque partiamo alla volta delle Coral Pink Sand Dunes, a poche miglia da Mt. Carmel Jct. La sabbia é davvero color corallo e così sottile, mi fermo a toccarla ed é gelida. É stata una sensazione stranissima avventurarsi in mezzo alle dune e vedere tutte le tracce lasciate dagli animali notturni, un po‘ come quando si cammina sulla neve appena caduta, sembra quasi di commettere una profanazione lasciando orme troppo grandi sulla superficie liscia e perfetta. Anche questa volta le fotografie con o senza filtri, non possono descrivere il fascino di questa vallata.

Alle 10 :30 circa arriviamo al Brice Canyon. La parola spettacolare non rende giustizia a questo posto, un anfiteatro di pinnacoli e guglie di roccia rossastra scolpite dall’acqua e dal vento; scendiamo lungo le pareti del canyon, il sentiero é ripido ma facile da percorrere, ci sono delle sequoie che crescono tra le guglie e si allungano verso l’alto per diversi metri, e sul fondo scopriamo il letto di un fiume che ora é in secca ma che in un periodo meno arido deve aggiungere ancora fascino a questo luogo. Usciamo dal parco per il pranzo, e prima di rientrare percorriamo una bella strada sterrata a poche miglia dall’ingresso del parco. Giriamo in macchina per il parco, fermandoci nei diversi punti panoramici, purtroppo non abbiamo il tempo di fare altre escursioni a piedi e inoltre si avvicina la sera a inizia a fare davvero freddo. Altra cosa che abbiamo imparato oggi è che questi parchi sono talmente grandi che ci vorrebbero almeno un paio di settimane per poterli girare tutti a piedi, Grand Canyon escluso dove credo che ci vorrebbe senza esagerare almeno un anno.

Terminata la visita ci rimettiamo in viaggio, verso il Capitol Reef National Park. Ci fermiamo lungo la strada, ad Escalante, un paesino di 800 abitanti dove passeremo la notte. Non smetto di stupirmi di fronte a questi paesetti di poche anime che si conoscono tutte, chissà se non desiderano cambiare la loro vita andandosene da lí…Forse questo mio modo di pensare significa che ho dell’America una visione patinata e distorta da troppi anni di telefilm. Prendiamo una stanza al CircleD Motel, poi andiamo a cena; la proprietaria del motel ci consiglia il Cowboy Blues, ci andiamo visto che l’unico locale alternativo é desolatamente vuoto: la bistecca é discreta ma il ristorante é pieno, sarà merito della cameriere (Escalante é il primo paese dove vediamo delle ragazze carine).

18/9/03 Escalante Pietrified Forest – Capitol Reef Natl. Park – Moab Sveglia presto con l’idea di partire alla svelta per la Escalante Pietrified Forest, che speriamo possa darci un’idea seppur vaga di che cosa sia una foresta pietrificata, dato che ci manca il tempo per visitare quella più conosciuta. In realtà perdiamo un’ora per fare una mediocre colazione in un piccolo bar strapieno, partiamo molto tardi e la foresta pietrificata non meritava tanto una visita. Facciamo comunque una breve passeggiata e varie foto.

Nel primo pomeriggio raggiungiamo il Capitol Reef N.Tl Park: prima sosta obbligata al Gooseneck, uno strapiombo davvero emozionante sul quale ci soffermiamo alcuni minuti. Foto di rito, anche se questa volta un po’ più pericolose del solito, e ripartiamo alla volta di Fruita sita all’ingresso del parco che, come ci aspettavamo, è molto grande (si parla di nuovo di decine e decine di miglia) con diversi sentieri da percorrere a piedi, tutti abbastanza facili ma troppo lunghi per una visita di mezza giornata. Riusciamo a fare solo qualche breve passeggiata tra i costoni di roccia colorata, raggiungiamo l’ingresso delle miniere di uranio ormai chiuse (vari cartelli raccomandano di non avvicinarsi, di non toccare niente eccetera, mi chiedo se ci sia ancora dell’uranio da quelle parti), osserviamo i petroglifi lasciati dagli indiani Anasazi che vivevano in quest’area nel 1300 dC e infine cogliamo e mangiamo le mele che crescono nei giardini del villaggio di Fruita. In serata raggiungiamo Moab: sarebbe stato bello arrivarci un po‘ prima per poter ammirare le rocce che costeggiano la Highway, hanno un colore che ricorda la terra rossa dei campi da tennis e si estendono per chilometri, ma lo spettacolo che si presenta entrando nella valle è comunque mozzafiato, senza dubbio uno dei ricordi più indelebili di questa nostra vacanza. Moab é una cittadina nata all’epoca dello sfruttamento dell’uranio che veniva estratto qui. Ora le miniere non sono più attive ma la città é rimasta viva grazie al turismo: ci sono diversi ristoranti e hotels e negozietti di cianfrusaglie più o meno costose. Troviamo una stanza al Sand Rose Inn, molto carino e molto europeo, la stanza é attrezzata con frigorifero e macchinetta per il caffè. Ceniamo messicano al La Hacienda, ottimo. Domani ci aspetta la sveglia all’alba.

19/9/03 Arches Park – Monument Valley – Mexican Hat Ennesima levataccia, fuori é ancora assolutamente buio e in più fa un freddo polare, ma ci dirigiamo subito verso l’Arches Park. Entriamo nel parco verso le 7, e partiamo subito per una passeggiata fino alla Balanced Rock. Restiamo lí fino a che il sole non illumina la pietra, uno spettacolo che meritava vedere, poi ci addentriamo nel parco e facciamo qualche passeggiata. Qui si trovano alcuni dei luoghi che hanno avuto su di me il maggior impatto emotivo; il parco va visitato quasi esclusivamente a piedi, le passeggiate non sono facilissime né brevi e richiedono allenamento; tuttavia, la atmosfera che circonda gli archi é magica. Dopo pranzo (Moab Brewery, piattoni di carne enormi e anelli di cipolla fritta) partiamo alla volta della Monument Valley. Arriviamo nella Navajo Nation verso le 5 di pomeriggio, la prima impressione non é delle migliori: i Navajo non sono molto cortesi, anzi sembra che facciano il possibile per far capire al turista che é un intruso mal sopportato; é la prima volta da che siamo qui che incontriamo persone che non salutano né sorridono: forse ci siamo abituati troppo bene. Questo purtroppo condiziona negativamente tutta la nostra visita: i monoliti sono impressionanti nella luce del tramonto, ma il contorno non é davvero granché – stradine all’interno della M.V. Conducono a baracche nelle quali questi eredi dei fieri Nativi vivono in condizioni di povertà e sciatteria assoluta, vendendo cianfrusaglie in chioschetti di compensato grezzo. Io non ho visto alcuna fierezza in loro, piuttosto un atteggiamento di passivitá nei confronti delle ingiustizie che sono state fatte loro dai bianchi invasori, della cattiva sorte (qualcosa di molto simile si trova facilmente anche in Italia…) e nessun desiderio di risollevarsi o di sfruttare al meglio quello che gli rimane per migliorare le loro condizioni di vita. In tutti i parchi degli Stati Uniti i soldi portati dai turisti sono serviti per migliorare le strutture esistenti e la vita degli abitanti del luogo: quelli gestiti dagli indiani sono male attrezzati e la popolazione vive in regime di povertà estrema con gravissimi problemi che vanno dalla scarsa scolarizzazione all’alcolismo. La nostra impressione è che non abbiano proprio voglia di lavorare, di integrarsi nel sistema cosiddetto “civile”. Capibile ma non attuabile nel ventunesimo secolo. Hanno perso una guerra combattuta non ad armi pari ma comunque persa ormai più di un secolo fa. La loro migliore vittoria sarebbe oggi quella di rivalutarsi nella civiltà moderna (un po’ quello che hanno fatto i Giapponesi alla fine della Seconda Guerra Mondiale) e smetterla di pensare alla caccia dei bisonti (ormai quasi estinti) e alla vita nelle tende.

Comunque sia, nessuna strada all’interno del parco é percorribile a piedi perciò si visita solo in macchina, facendo molta attenzione alle buche. É vietato uscire dai tracciati e fare foto ai nativi o alle loro abitazioni. La luce migliore per ammirare i monoliti é senza dubbio quella del tramonto, all’alba il sole sorge dalla parte sbagliata e li illumina solo quando é già alto. Ceniamo in un ristorante sulle sponde del San Juan River, in un’atmosfera strana, tra nativi poco ospitali e in compagnia di altri turisti italiani e francesi. Ordiniamo insalata e Navajo Taco, una specie di pizza/focaccia a base di una specie di pasta sfoglia ripiena di legumi, carne di manzo e insalata. Niente di particolare, ma abbiamo deciso di provare a mangiare un po’ tutto durante questa nostra vacanza.

20/9/03 Grand Canyon Partiamo volentieri da Mexican Hat e ci dirigiamo spediti verso il Grand Canyon. Il paesaggio lungo la strada é piuttosto monotono. Attraversiamo Tuba City (altro paesino di poche anime) e entriamo in Arizona. Facciamo il nostro ingresso nel Grand Canyon verso le 13.00, e andiamo subito in uno dei punti panoramici raggiungibili dall’entrata a Est. Lo spettacolo toglie il fiato, il canyon é talmente grande da sembrare irreale. Troviamo incredibilmente una stanza in uno degli alberghi presenti all’interno del parco, é piccola e il bagno é esterno ma vale la pena di sopportare qualche scomodità per l’emozione di dormire a pochi metri dal ciglio del canyon. Facciamo una piccola passeggiata e poi scendiamo fino a Tusayan per la cena.

21/9/03 Grand Canyon – Sedona – Yuma Il Grand Canyon va visitato a piedi, e i sentieri sono tutti molto lunghi e faticosi: per scendere fino al Colorado e tornare bisogna prevedere una notte in tenda; la discesa a dorso di mulo dura 6 ore e permette di arrivare solo a metà strada. Purtroppo niente di tutto questo é alla nostra portata, facciamo quindi qualche passeggiata lungo il Rim Trail che costeggia il Canyon, poi partiamo in direzione Sud. Ci fermiamo al mercatino Navajo di Tusayan (molti gioielli e bellissime ceramiche, peccato che sarebbe tropo complicato trasportarle in aereo) e proseguiamo. Raggiungiamo Sedona verso mezzogiorno: per arrivarci si percorre una valle nella quale scorre un bellissimo torrente dalle acque cristalline (tutti quelli visti fin’ora, Colorado compreso, avevano un aspetto paludoso) circondato da magnifiche case ma la città é una vera delusione: é solo una grande trappola per turisti con vari negozietti di souvenir di tutti i tipi e non c’é traccia della atmosfera esoterica e New Age che mi aspettavo dopo averne letto nelle guide. Facciamo una visita veloce e ripartiamo, con l’idea di percorrere più Km possibile. Lungo la strada incominciano ad apparire i cactus Saguaro, sono davvero enormi e sembrano quelli dei cartoni. A qualche miglio da Phoenix incontriamo un Outlet Store: entriamo sfiduciati ma i prezzi sono incredibilmente bassi; shopping sfrenato in vari negozi, compriamo una quantità enorme di abiti e scarpe per poco più di 300$. Verso le 9 di sera raggiungiamo Yuma: sembra una città poco sicura, ci fermiamo al Country Inn and Suites prima di entrare in città. 22/9/03 Yuma – San Diego Al mattino facciamo un giro in macchina per Yuma: non é una città nel senso convenzionale del termine, é più un reticolo di case prefabbricate basse e non riusciamo ad individuare un vero e proprio centro. Facciamo un’ottima colazione al Brownies Café, la cameriera é una signora che sembra uscita da una puntata di Happy Days e ci serve bistecca con uova fritte, patate e Franch Toast (fette di pane bagnate con uovo battuto e fritte nel burro) più tre deliziosi pancakes formato gigante con fragole e panna. La miglior colazione di tutto il nostro soggiorno.

Proseguiamo il viaggio verso S. Diego, lungo la strada incontriamo un altro outlet e ci fermiamo per comprare altre cose: quanto avrei pagato a casa la maglietta Nike (perfetta) che qui ho comprato per 5$? Nel primo pomeriggio arriviamo a S. Diego. Incontriamo il nostro amico Trevor al bar del ristorante “The Brigantine” (molto bello, ci mangeremo l’ultimo giorno) all’uscita dell’autostrada, ed esaurite le presentazioni, chiediamo consigli su cosa fare e dove andare, e lui ci offre soggiorno a casa sua, nel suo cottage per i seguenti 4 giorni. Le resistenze iniziali vengono rotte da qualche birra a bordo della sua piscina e così accettiamo di buon grado.

23 -24/9/03 San Diego Raggiungiamo la città verso le 10, purtroppo c’é una fitta nebbia dovuta al dissolversi di un uragano al largo della costa: noi passeremo la giornata camminando e perciò il cielo coperto non ci disturba molto. Fin’ora non abbiamo avuto una sola giornata con il cielo coperto, e trovare le nuvole proprio sull’oceano dove sarebbe stato bellissimo avere il sole, é un po‘ una delusione.

La città é enorme e non é pensabile visitarla solo a piedi; parcheggiamo e visitiamo il Seaport Vilage, la riproduzione di un villaggio di pescatori con tanti negozietti pieni di oggetti a tema, notevole il negozio di tazze e quello di aquiloni. Riprendiamo la macchina e andiamo a La Jolla, a nord della città: case bellissime e surfisti sulla spiaggia, facciamo una passeggiata con i piedi nell’acqua che avrà 18-20 gradi, ci sono persone che passeggiano sul lungomare, ragazzi in bici o sui roller, il grigio del cielo si confonde con l‘acqua; la sabbia é fredda e l’oceano é sconfinato, respiro l’odore salmastro nell’aria e penso che questo posto mi piace davvero, nonostante il cielo nuvoloso.

Piú tardi nel pomeriggio andiamo a Coronado Island. Per cena torniamo in centro e andiamo da Croce (che scopriremo poi essere un locale molto rinomato), ambiente molto bello, cucina americana moderna (almeno così c’era scritto all’entrata del locale) mangiamo pesce cucinato in modo insolito accompagnato da musica jazz suonata dal vivo. Nonostante fosse uno dei più esclusivi locali di San Diego (e noi non lo sapevamo) il conto ammonta a circa 30$ a testa mancia inclusa, veramente niente a confronto di quanto costerebbe andare in una Roma o Milano a mangiare in un ristorante di grido.

24/9 Visitiamo la Old Town: qui é ricostruito un villaggio messicano, le case sono simili a quelle che si vedono nei film western e tutto é molto colorato, tanto rosso, arancione, giallo e blu; in effetti é tutto molto turistico. Giriamo per tutti i negozietti di souvenirs e compriamo qualche cianfrusaglia scaricando almeno due rullini di fotografie.

Ceniamo al “The Brigantine” vicino a casa, pesce ottimo e abbondante (125$ per tre mancia compresa).

25/9/03 San Diego – Los Angeles Partiamo verso le 10, consapevoli che questa é l’ultima tappa della nostra bellissima vacanza. Torniamo a La Jolla, attraversiamo la cittá universitaria e andiamo a rivedere la spiaggia dall’alto. Lungo la strada verso LA, incontriamo diversi paesi, ci fermiamo a Oceanside dove riusciamo finalmente a vedere i surfisti in azione sotto il sole. Subito fuori dalla spiaggia ci sono i trampolini per gli skateboard con gli skateboardisti che saltano (e cadono) di qua e di lá.

Oltrepassata Oceanside non c’é piú nulla che non sia LA: incontriamo il primo cartello che indica l’ingresso in LA immettendoci sulla Highway che la sovrasta e guidiamo per 1 ora e mezza prima di arrivare a Hollywood; il traffico é sempre scorrevole ma non mi sento subito a mio agio su questa autostrada a 6-8 corsie dove tutti zigzagano liberamente. Alloggiamo al Motel 6 al 54 di Whistle St., al limite tra la zona „sicura“ e quella degradata di Hollywood Boulevard: facciamo un giro a piedi finché c’é luce ma la sensazione é quella di non sentirsi completamente sicuri anche se ci sono tanti turisti in giro. La sera andiamo in macchina a Little Tokio per una cena giapponese:il sushi era ottimo e la gita é stata interessante: di notte nessuno va in giro a piedi, lo stato delle strade cambia di isolato in isolato: si percorre una via illuminata ed elegante e il blocco successivo é un dormitorio a cielo aperto per barboni accampati in cartoni e tende di fortuna. A prima vista LA é una città sporca e piena di gente strana di ogni tipo, molti poveri e sballati che vivono per strada a pochi metri di distanza da hotels e ristoranti con il parcheggio pieno di macchine lussuose; 200-300 metri di strada dove tutto parla di ricchezza, e subito oltre poveracci e delinquenza. Una volta in stanza sentiamo i rumori di una sparatoria provenienti dal posteggio dove abbiamo lasciato la macchina, con tanto di sirene e elicottero di pattuglia con gli infrarossi …

26/9/03 Los Angeles – Monaco – Venezia Foto di rito alla scritta Hollywood sulla collina sopra LA, e poi tristemente guidiamo verso la Alamo dove restituiremo l’auto. Dopo un severissimo controllo ai bagagli ci imbarchiamo alle 4 di pomeriggio, é venerdí e le nostre ferie sono finite. Porto con me immagini di paesaggi e di luoghi, di deserti immobili e desolati e di terre selvagge e ostili; di visi di persone di ogni genere, di un modo di vivere cosí diverso dal nostro, di un paese fatto di contraddizioni non solo geografiche. E la certezza di tornarci, prima o poi. Il viaggio di ritorno è lungo ma allietato da una splendida aurora boreale.

12 ore dopo atterriamo a Venezia, la nostra macchina sembra cosí piccola dopo la Buick; quando salgo mi rendo davvero conto che stiamo tornando a casa.

NOTE per i Turisti Per Caso: – L’acqua refrigerata (3 litri, circa 9 dollari!) costa molto di più di quella tenuta fuori dai frighi. Nei drugstore come quasi dappertutto la temperatura ambiente é piuttosto bassa perché l’aria condizionata é al massimo, e a meno che non abbiate un frigo portatile anche l’acqua più fredda diventa brodo dopo qualche ora in auto.

– Conviene sempre prenotare dall‘Italia via Internet, sia il noleggio dell’auto che gli Hotels: si risparmia anche il 40 – 50%. Quindi se trovate un internet cafè prenotate anche dall’altra parte della strada! – Come ci è stato detto prima di partire, una porzione di qualsiasi cosa é spesso un pasto molto più che sufficiente: in tutti i ristoranti, anche quelli di lusso, é possibile richiedere la „doggy bag“ per portarsi via gli avanzi: é una prassi consolidata e spesso é lo stesso cameriere a proporvela. É anche possibile portarsi il vino o la birra da casa (nei ristoranti gli alcolici sono costosi). In genere sono comunque molto economici.

– E’ vero anche che i motel si trovano facilmente anche alle otto o nove di sera a meno di non essere in mezzo al nulla nell’unica cittadina turistica rimasta (vedi Mexican Hat)



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