Viaggio in Birmania
1° giorno Quando finalmente siamo approdati a Yangon (via Bangok!) avevamo fretta di iniziare il percorso culturale, sapevamo infatti che al ritorno il desiderio degli ultimi acquisti avrebbe posto in secondo piano la visita della grande pagoda mon, la Shwedagon Paya, il luogo più sacro del Myanmar, da visitare almeno una volta nella vita, una sorta di grande santuario, un complesso di costruzioni religiose che segnano un percorso storico di circa 1500 anni, la leggenda parla di 2500, in realtà quella attuale è stata ricostruita, dopo l’ennesimo terremoto, nel 1769.
La coda del monsone estivo ci aveva regalato un acquazzone che ci aveva fatto temere che la visita sarebbe stata compromessa, invece dopo la Pagoda Sule nel bel mezzo del traffico cittadino, accanto al monolite che ricorda l’indipendenza del Paese, siamo saliti alla collina (alta 58 m.), fino “al mistero dorato, alla meraviglia ammiccante” (Kipling) proprio nel momento magico del tramonto, quando i raggi del sole accarezzano lo zedi, la cupola dorata a forma di campana, alta 98 metri. La doratura fu iniziata da una donna, la regina Shinsawbu, che offrì l’equivalente del suo peso in oro (40 Kg) era troppo magra, ecco perché il genero offrì l’equivalente in oro del peso suo e della moglie moltiplicato per 4, leggenda a parte, la doratura è perfettamente riuscita. Lo stupa è a base quadrata, ma poi si passa alla struttura ottagona che permette di raggiungere la sezione circolare; nella parte più alta,oltre il coronamento, l’hti a forma di ombrello, sono contenute le reliquie, i capelli del Buddha, più di 5.000 diamanti e altre pietre preziose…Lo stupa centrale è circondato da otto stupa più piccoli su ogni lato, ma in totale sono cento i piccoli stupa che decorano la grande pagoda. Per la visita del complesso si procede in senso orario, tenendo il santuario alla propria destra, seguendo quindi la direzione del sole e l’armonia universale. Il camminamento è vigilato da demoni Nat e da Cinthe (metà leone, metà drago) dall’aspetto terrificante.
Tra i tanti padiglioni merita un ricordo quello della campana la Maha Ganda Bell del peso di 23 tonnellate; fusa tra il 1775-79 che fu rimossa dagli inglesi nel tentativo di impadronirsene dopo la 1° guerra birmana, ma la campana cadde nel fiume Yangon prima di giungere al porto. Tutti i tentativo di recupero fallirono, allora i grandi predoni, (i loro musei sono il frutto di razzie perpetrate in tutto il mondo) con magnanimità, promisero la restituzione se i Birmani fossero stati in grado di recuperarla, come puntualmente avvenne grazie ai tronchi di bambù che riuscirono a sollevarla. All’ingresso, invitati dalla Guida, avevamo subito osservato un baniano, (Ficus Bengalensis) l’albero sotto cui Buddha aveva raggiunto l’illuminazione. Abbiamo lasciato la collina quando il sole era ormai tramontato, e siamo scesi a malincuore, perché l’impatto emotivo è stato forte: è veramente un luogo incantato .
Prima di continuare con la descrizione dei vari monumenti riteniamo sia utile chiarire il significato della terminologia utilizzata nel corso di questo resoconto di viaggio. Spesso il termine Pagoda è polivalente e può determinare equivoci, anche il termine Tempio deve essere ben definito e la Guida Lonely Planet fornisce, nella parte introduttiva, delle spiegazioni esaurienti.
Il termine birmano Paya non significa Pagoda, ma “cosa sacra”. Due sono le forme fondamentali di Paya: gli Stupa o Zedi, privi di spazi interni, a forma di campana che di solito contengono reliquie (capelli, denti, ossa del Buddha) o i Patho, a pianta quadrata o rettangolare, dotati di ambienti interni, e cioè i Templi o Santuari.
Questi ultimi sono simili alle piramidi Maya o Azteche dell’Amercia centrale ed evocano l’immagine della montagna che il credente deve scalare osservando i bassorilievi o gli affreschi che incontra. Per intenderci la Shwedagon Paya (Shwe significa oro) di Yangon è uno zedi, mentre il più famoso patho di Bagan è l’Ananda Paya. Le Paya più importanti sono circondate da piccoli padiglioni, passaggi coperti, edifici sontuosamente decorati, e nei templi mon e birmani si ritrova spesso la combinazione di dorature e mosaico policromo in vetro.
Gli Zedi chiamati Dagoba in Sri Lanka, Chedi in Thailandia, Stupa in India avevano all’inizio forma emisferica (Sagaing, vicino a Mandalay), poi a bulbo come abbiamo osservato in quello di Bupaya a Bagan, (confidenzialmente chiamato “il bottiglione”), poi a campana sormontata da un’alta guglia, la Shwedagon Paya di Yangon.
E, forse, è anche bene chiarire subito il significato delle posture del Buddha.
La figura seduta con una mano in grembo e l’altra che tocca con le dita la terra significa testimonianza. Mentre Buddha cercava di raggiungere l’illuminazione, Mara, il demonio, provocò tempeste, inondazioni, festini, giovani donne procaci nel tentativo di interrompere la sua meditazione, ma Buddha rispose chiamando la terra a testimone della sua determinazione.
Sempre la figura seduta con le mani in grembo e i palmi rivolti verso l’alto: meditazione La figura è seduta e le dita hanno il pollice e l’indice che si chiudono a cerchio, esposizione della dottrina, insegnamento.
La figura è seduta e le mani sono con i palmi rivolti verso l’alto, offerta dell’insegnamento, ma forse la postura più bella è quella delle mani con i palmi rivolti verso il fedele: nessun timore, offerta di protezione e libertà dalla paura.
Talvolta il Buddha è in piedi, altre volte è reclinato ed ha raggiunto il paranibbana, cioè la morte senza più rinascite, la pace definitiva.
Per il 2° giorno era prevista l’inizio della visita di BAGO, ma la nostra Guida ha preferito rinviare tutto al ritorno dalla grande escursione a KYAIKTIYO, al “Golden Rock”, la roccia d’oro. Il piccolo reliquiario è stato infatti costruito su di un grande masso interamente ricoperto di lamine d’oro che i fedeli distendono sulla roccia. Secondo la fede buddista il precario equilibrio è mantenuto da un capello del Buddha conservato nella pagoda. Questo santuario insieme alla Shwedagon Paya di Yangon e alla Mahamuni Paya di Mandaly è uno dei siti più sacri del Mianmar L’avventura è iniziata dal paese di KIN PUN con un percorso montano accidentato di 11 Km a bordo di camioncini tipo pick up, seduti su panche di legno, che ci hanno condotto, attraverso un paesaggio segnato da una ricca vegetazione, al nostro albergo: il Golden Rock. Da lì si poteva scegliere tra i quattro km in salita per raggiungere il santuario o la portantina che riduceva i meriti spirituali della scalata. Tre uomini e quattro donne sono giunti alla vetta, districandosi a fatica dall’insistenza dei portatori che attendevano il cedimento e la rinuncia a proseguire a piedi. Giunti alla sommità, i panorami con il sole calante hanno ripagato abbondantemente lo sforzo. La leggenda vuole che il re mon, Tissa, nell’XI secolo, ricevette il capello sacro da un eremita che lo aveva nascosto tra i suoi capelli, laboriosa fu la ricerca del masso che somigliasse alla testa dell’eremita. Finalmente fu trovato in fondo al mare e miracolosamente trasportato sulla cima, con l’aiuto del re dei Nat, tanto è vero che poco distante, a trecento metri dal masso in precario equilibrio, è possibile vedere lo stupa della barca di Pietra…Numerosi sono i pellegrini che compiono tutto il percorso a piedi e la visita dura ininterrottamente anche durante la notte.
3° giorno. Visita di BAGO, l’antica capitale del regno Mon che nel 1500 era uno dei più fiorenti porti asiatici per il commercio di rubini, lacche e spezie. Si comincia con la pagoda Shwemawdaw, (Grande Pagoda d’oro di Dio) che risale a più di 1000 anni fa. E’ alta 114 metri e il suo hti, tempestato di diamanti, conserva due capelli e due denti del Buddha. E’ stata ricostruita dopo numerosi terremoti tra cui quello che la rase al suolo nel 1930, tra il 1952-54 e in un angolo è stato incorporato parte dello hti crollato. Supera di 14 metri quella di Yangon. Collina Hintha Gone si trova subito dietro la Shwemadaw e dal tetto del santuario c’è una bellissima vista su Bago. Secondo la leggenda questa era l’isola che emergeva dal lago, quando l’hintha, un uccello mitologico, simile a un’anatra-cigno, riuscì a posarsi, grazie all’aiuto di un uccello maschio, e nel simbolo della città si ritrova un uccello sul dorso di un altro.
E poi, attraversando un quartiere di tradizionali case su palafitte si giunge alla Shwe Tha Lyaung, all’immensa figura del Buddha reclinato, lunga 55 metri e alta 16, il cui dito mignolo è lungo 3 metri e ½. Secondo alcuni il Buddha non è in posizione paranibbana perché ha gli occhi aperti, il braccio piegato che sostiene la testa e i piedi divaricati e quindi non paralleli. Quando nel 1757 la città fu distrutta, lentamente la grande statua fu ricoperta di vegetazione. Il ritrovamento avvenne casualmente un secolo dopo, durante lo scavo per la costruzione della linea ferroviaria nel periodo coloniale britannico e la copertura in acciaio, prodotta a Calcutta, fu completata nel 1903.
Sul retro ci sono grandi rilievi dipinti che illustrano la leggenda dell’immagine e l’accettazione del Buddhismo da parte del re del luogo. Il figlio del re, durante una partita di caccia, aveva incontrato una bella fanciulla, fervente buddista, che ben presto lo converte alla sua religione. Il re per tutta risposta imprigiona i due giovani, ma un male terribile lo colpisce e solo la preghiera a Buddha ottiene la guarigione con il lieto fine dell’intera vicenda.
Abbiamo poi sostato alla Kyaik-Pun, pagoda costituita da quattro gigantesche figure del Buddha seduto, alte 30 m, che poggiano su di un pilastro quadrato, schiena contro schiena, e i loro volti guardano i quattro punti cardinali. La leggenda lega la sorte delle statue a quella di quattro sorelle che non dovevano sposarsi se non volevano provocare il crollo delle statue. Una di queste crollò durante il terremoto del 1930, forse aveva vinto l’amore… e a tutt’oggi sono in fase di restauro. A Bago abbiamo anche visitato il monastero Kya Khet Waii durante l’ora del pranzo e quindi prima di mezzogiorno, perché è vietato ai monaci il cibo dopo quell’ora, in quanto impedisce la meditazione. Quindi i monaci, circa un migliaio, mangiano all’alba e a mezzogiorno e tutto viene loro donato.
Prima del ritorno a Yangon abbiamo sostato dinanzi a un tempietto Nat che sorge vicino ad un grande albero. I demoni Nat sono il segno della persistenza delle credenze animistiche che inutilmente il re Anawrahta, il grande re di Bagan di cui parleremo tra poco, aveva cercato di sradicare. Resosi conto che il culto vietato veniva praticato privatamente, preferì accettarli in posizione subordinata rispetto al Buddismo, stabilendo un numero massimo di 37.
.
4° giorno Siamo giunti a BAGAN con un volo interno. Una profonda ansa del fiume Ayeyarwadi ospita una delle meraviglie archeologiche del mondo, dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità. Tra il 1004 e il 1287 in un’area di circa 40 Km quadrati furono costruiti 13.000 edifici religiosi. Nella città che fu capitale del regno birmano per oltre due secoli, i templi, pagode e monasteri celebrano la religione buddhista. Prima di passare in rassegna i monumenti previsti dal programma, controllando le numerose cartoline acquistate, abbiamo avuto la sorpresa di vedere, almeno in due casi, le condizioni prima del restauro e poi il monumento restituito a nuovo splendore e quello che è più importante con le tecniche tradizionali birmane.
Nel 1990 il governo del Paese ha separato l’Old Bagan dalla New Bagan, trasferendo la popolazione residente per favorire la conservazione dei monumenti, (sembra con una settimana di preavviso!), unico neo l’orribile torre che sorge da un complesso alberghiero a capitale misto che, costruita come punto di osservazione privilegiato data la sua altezza, alla base evoca la forma degli ziqqurat, ma poi l’inserimento delle finestre altera pesantemente l’armonia del paesaggio.
La Shwezigon Paya fu costruita dal re Anawrahta nell’XI secolo,. Con l’elegante forma a campana che, oltre ad essere uno dei templi più antichi, è anche il luogo in cui i 37 Nat dell’era precedente il Buddhismo furono ammessi nell’Olimpo birmano. Un posto di rilievo tocca a uno dei tempi più belli e meglio conservato, il Pahto Ananda, (cugino e discepolo del Buddha), eretto verso il 1105 dal re Kyanzittha: La pianta è a croce greca, il quadrato centrale è sormontato da terrazze e queste sono abbellite da mattonelle invetriate raffiguranti scene tratte dallo Jataka (le precedenti vite del Buddha). Attorno alla struttura centrale del tempio sono presenti le quattro nicchie, una per ogni punto cardinale. Al loro interno ospitano una statua di legno di teak alta 9,5 m. Di Buddha in piedi, ci sono poi corridoio labirintici e Chinthe rosso e oro, e Nat che cavalcano le Chinthe ed anche dipinti, bisognosi di restauro, che evocano la miracolosa nascita del Buddha (da un fianco della madre!).
Nel vicino paese di Minkaba si trovano due grandi templi: Molto importante è il tempio Ku Byanuk Gyi (Gubyaukgy) costruito nel 1113 è in stile indiano (stile pyu o antico) e all’interno sono conservati i dipinti con le scene di Jataka e cioè racconti che narrano le precedenti vite di Buddha che non abbiamo potuto vedere perché chiuso fino a dicembre. Ma è soprattutto fondamentale, perché conserva il Myazedi o “stupa di smeraldo” un pilastro a sezione quadrata situato in una gabbia che reca un’iscrizione per la consacrazione del tempio in quattro lingue: pyu, mon, birmano antico e pali . Questo ha reso possibile la traduzione della lingua pyu rimasta a lungo sconosciuta. Ecco perché è stato definito “La stele di Rosetta birmana”. Per chiarire il significato del secondo tempio, il Manuha Paya, un edificio importantissimo, anche per il suo valore simbolico, dobbiamo ricordare che il grande re bamar Anawrahta, convertito al Buddhismo grazie all’invio di un santo monaco da parte del re Manuha, aveva poi preteso dallo stesso re, sovrano Mon di Thaton (nel sud della regione) il Tripitaka (sacro canone del buddismo Theravada). Al rifiuto di consegnarlo, Thaton fu conquistata nel 1057 e furono portate via, caricate su 30 elefanti, non solo le scritture buddiste (realizzate su fogli di palma sensibili alla luce e per le quali sarà realizzata una biblioteca, la Pitaka Taik), ma anche il re e la sua corte: circa 30.000 persone prigioniere e questo determinò una forte influenza della cultura Mon su quella Bamar.
Il tempio fu quindi costruito nel 1059 dal re prigioniero, che ha voluto esprimere, sia nell’architettura che nella scultura delle varie statue di Buddha, la sofferenza della privazione della libertà, sentimenti condivisi da tutti gli uomini che anelano a conquistare questo valore fondamentale dell’esistenza. La leggenda dice che per reperire i fondi per la realizzazione di questo tempio unico, Manuha giunse a vendere la sua preziosa corona. La struttura è costituita da un grande parallelepipedo sormontato da uno più piccolo. All’interno ci sono tre enormi Buddha seduti, sproporzionati rispetto all’ambiente che li contiene, ma che generano un senso di oppressione nel visitatore. Importante è soprattutto l’enorme Buddha reclinato, nella posizione che indica il Nibbana, cioè l’ultimo Nirvana che è la morte definitiva, senza più reincarnazioni. Solo questo è felice, perché la morte ci libera da tutti i mali.
Accanto sorge il tempio Nanpaya, (visto soltanto dall’esterno) Secondo la leggenda la prigione del re di Thaton, ma secondo recenti studi, l’edificio è posteriore. Prima di continuare con la rassegna dei templi visitati è bene chiarire alcuni punti essenziali della dottrina Buddhista. Myanmar è uno dei Paesi a più forte presenza buddhista, più del 70% della popolazione. E forse quando pensiamo ai volti sereni e sorridenti non solo dei bambini, ma di tutto un popolo, un certo peso può averlo anche la visione religiosa della vita. Premesso che Buddha non è Dio, più che di religione bisognerebbe parlare di filosofia, una grande filosofia che si propone di liberare l’uomo dal dolore. Il re Anawrahta aveva scelto per il suo popolo il Buddismo Theravada, la via degli anziani, quello del “Piccolo Veicolo” cioè il Buddismo originale che tende alla salvezza individuale e che si basa sulle quattro nobili verità: la verità del dolore, della sua origine, della sua estinzione e della via che ad essa conduce. La verità del dolore sottolinea il carattere negativo dell’esistenza, concepita come una catena ininterrotta di vite con la possibilità di incarnarsi come uomo, animale, essere infernale o celeste. Tutto è sofferenza causata dal desiderio, la distruzione del desiderio è la distruzione della sofferenza e la via per giungervi è l’ottuplice sentiero: retta cognizione, retta volontà, retta parola, retta azione, retto modo di sostentarsi, retto sforzo, retta meditazione, retta concentrazione che porta alla liberazione finale da tutte le passioni, compresa la volontà di vivere e conduce al Nirvana.(estinzione). Può sembrare tutto molto complicato, in realtà il popolo deve rispettar essenzialmente cinque regole che vietano l’omicidio, il furto, la menzogna, l’adulterio e l’ubriachezza.
Nei primi secoli dell’era cristiana all’interno del Buddhismo si formerà una nuova via detta Mahaiana o “Grande veicolo” diffusa in Tibet, Nepal, Cina e Giappone: l’adepto rinuncia alla salvezza individuale e, spinto dalla compassione, vuole portare la salvezza a tutti gli uomini.
Abbiamo visitato alcuni monasteri buddisti e siamo rimasti sorpresi dalla disponibilità a mostrare tutto: le loro camerate, con le loro povere cose, i loro refettori, i loro bagni… vorrei aggiungere che l’occupazione principale di migliaia di monaci birmani oltre la meditazione, e lo studio è l’insegnamento. Abbiamo osservato con interesse il monaco che scriveva al computer con la tastiera universale ma, come per magia, avveniva la traslitterazione e i caratteri sullo schermo erano quelli della lingua birmana… Secondo le indicazioni del Buddha ogni uomo dovrebbe farsi monaco (non vorremmo essere irriverenti, ma è facile chiedersi: poi chi li mantiene se vivono esclusivamente di elemosine?) e infatti ogni birmano per un periodo più o meno lungo segue le regole monastiche, se non altro per imparare a leggere e a scrivere, in quanto i libri di testo sono quasi tutti di argomento religioso. Il ragazzo diventa novizio a otto anni ed è accompagnato al monastero con una grande festa: la sua testa viene rasata e indossa la toga arancione. Ogni mattina farà la questua con la ciotola destinata a raccoglier le offerte che vengono date spontaneamente, perché tutti riservano una parte del loro cibo per i monaci. Sono presenti anche le bambine, tutte rigorosamente dietro i maschi, ma è già qualcosa… Se ancora in Italia si discute di “quote rosa”… Sia i novizi che i bonzi (dopo i voti) possono allontanarsi dall’Ordine se lo desiderano, ma se trasgrediscono le regole sono cacciati e disprezzati. Anche le donne portano la testa rasata, ma vestono di rosa.
Il monaco fa voto di povertà e possiede soltanto tre tonache, un rasoio, un ago da cucito, una cintura, una ciotola e un setaccio che serve per non inghiottire esseri viventi..
Il primo giorno a Bagan si chiude con la vista del tramonto dalla Shwesandaw Paya. Cinque terrazze quadrate sostengono due basi ottagonali e infine la campana dello zedi. Questo è stato il primo monumento di Bagan ad avere delle scalinate che conducevano alla base rotonda dello Stupa che conserva un capello del Buddha. Anche questo elegante monumento è stato voluto da Anawrata nel 1057, dopo la conquista di Thaton. Dopo la chiusura al pubblico di alcuni grandi templi, questo è uno dei più alti per osservare il tramonto. .
5° giorno Bagan La giornata si è aperta con la visita a Lawkananda Pagoda lungo il fiume Ayeyarwadi. Le imbarcazioni provenienti dalle varie regioni e perfino da Ceylon approdavano vicino al monastero, caratterizzato da una cupola cilindrica allungata. Costruito nel 1059 dal re Anawrata per custodire una copia di un dente del Buddha ora è famoso per gli splendidi panorami sul fiume.
Nel vicino villaggio Min Nan Thu si trovano due templi molto interessanti per i dipinti murali, il primo Payathonezu, cioè tre stupa, non fu completato forse per l’invasione di Kublai Khan, risale infatti alla fine del XIII secolo ed è sormontato da grandi Sikhara, pinnacoli simili a pannocchie di stile indiano. La discussione sui dipinti è vivace, perché alcuni vi ravvisano influenze induiste e dato che i templi sono tre è facile pensare alla trimurti hindu: Visnù Shiva e Brama, una trinità associata anche al Buddismo tantrico, cioè testi ritualistici a carattere inziatico tra cui la tecnica della meditazione per raggiungere come Buddha l’illuminazione.
Infine il piccolo tempio di Nandamannya Pahto , costituito da una sola camera, presenta affreschi simili al tempio precedente, forse dello stesso artista, in particolare sono raffigurate le “tentazioni di Mara” in cui alcune giovani donne, quasi nude, tentarono inutilmente di distrarre Buddha dalla sua meditazione.
Monastero Kyat Kan Cave: un interessante luogo di preghiera che si potrebbe definire un eremitaggio, perché un santone aveva deciso di trascorre in una grotta tutti i giorni della sua vita, ora il suo posto è stato preso da un discepolo che, a giudicare dalle medicine esposte non dovrebbe godere di molta salute…
Bella la lunga passeggiata con i carretti per visitare i monumenti della periferia o comunque quelli con strade praticabili solo da questi simpatici mezzi di locomozione: Lo sguardo spazia sulla pianura segnata da snelle pagode e templi massicci, armoniosamente inseriti nel paesaggio popolato di palme. Sullo sfondo verde bruciato dei prati, spiccano l’oro, il bianco e il mattone, i colori dominanti del grandi monumenti.
E per finire la pagoda Bupaya, la più antica di Bagan, costruita intorno all’85° d.C. È di stile pyu ha forma di bulbo e sì trova sulle sponde dell’Ayeyarwadi, tanto è vero che il terremoto del 1975 l’aveva precipitata nel fiume, ma poi è stata perfettamente ricostruita e dalla sua terrazza merlata è possibile godere una bella visione serale sul grande fiume.
La tesi più diffusa sulla fine dello splendore di Bagan è quella che si riferisce all’invasione di Kublai Khan alla fine del XIII secolo, ma Marco Polo afferma che i Mongoli si impadroniscono di una città disabitata, probabilmente quindi l’ultimo re aveva abbattuto molti templi per erigere fortificazioni e poi aveva abbandonato la città ritenendola indifendibile. Comunque sia è sempre a causa dell’espansionismo cinese se Bagan conosce una rapida rovina.
A Bagan non ci sono soltanto i templi, ma è anche la capitale della lacca, uno dei settori più fiorenti dell’artigianato. Le lacche birmane, pur inferiori a quelle giapponesi, risalgono all’XI secolo e furono realizzate secondo lo stile cinese, ma la tecnica delle lacche policrome incise è stata importata dalla Thailandia. La lacca utilizzata in Myanmar viene estratta dalla Melanorrhea usitata o albero di Kusum , mescolata alla pula di riso per formare un rivestimento leggero e impermeabile steso su una intelaiatura di bambù. Se l’oggetto è di prima qualità il bambù è legato con crine di cavallo, per la qualità inferiore si usa solo il bambù. Dopo aver steso la lacca si lascia asciugare, si sottopone a sabbiatura con le ceneri della pula di riso e poi si procede all’applicazione di un altro strato di lacca. Un articolo di ottima qualità può avere fino a sette strati di lacca Abbiamo visitato una fabbrica e osservato la tecnica dell’intreccio del bambù fissato con il crine di cavallo. Durante la visita si segue l’intero procedimento effettuato ancora con metodi tradizionali Per l’ultima sera a Bagan è stato organizzato un piacevole spettacolo di marionette.
6° giorno Partendo da Bagan verso il Monte Popa ci siamo fermati in un villaggio ove abbiamo assistito all’estrazione dell’olio di arachide o di sesamo e soprattutto alla raccolta del liquido zuccherino che secerne un germoglio di palma “dum” Si produce poi una sorta di melassa, necessaria per la fabbricazione delle caramelle di zucchero o, se si sceglie di farlo fermentare, si può ottenere un liquido poco alcolico, il Toddy, e infine con la distillazione si avrà un vero e proprio liquore che può essere servito accompagnato da the verde, piselli e fagioli tostati, arachidi, ecc.. E’ stata anche l’occasione per osservare la straordinaria manualità e la disinvoltura con cui da un frammento di foglia di palma dei giovani producono una sorta di fiori o addirittura dei cestini per le caramelle di zucchero.
A metà mattina siamo giunti al MONTE POPA, vulcano spento con intorno una foresta pietrificata. Sulla vetta sorge il tempio dedicato ai Nat che vi dimorano. La vegetazione è ricca grazie alla fertilità del terreno e alle piogge, Popa significa infatti fiore e uno dei Nat è patrono delle erbe officinali che servono a curare le malattie del corpo e che crescono abbondanti in questa zona. Il percorso prevede 777 gradini più o meno ripidi da salire senza scarpe, perché si tratta di un santuario e tutto è complicato dalla presenza di piccole scimmie che sono alla ricerca continua del cibo che, per fortuna, è loro somministrato dagli abitanti del luogo che si incaricano anche di tenere puliti i gradini dagli escrementi delle scimmie stesse. Giunti alla cima la vista è gratificante. Dopo pranzo abbiamo iniziato un lungo viaggio attraverso paesaggi montani, bella vegetazione, ma strade in precarie condizioni, circa cinque ore per giungere a Mandalay.
7° giorno E’ dedicato ad un percorso che tocca le antiche città, vicine a Mandalay, tutte capitali nel corso della storia, ad eccezione di Mingun.
MINGUN (significa elefante forte) è una delle antiche città che circonda Mandalay, ed è raggiungibile con un breve viaggio sul fiume Ayeyarwadi , perché si trova sulla riva opposta. Se il re Bodawpaya avesse potuto realizzare il suo progetto faraonico probabilmente il Mingun Paya sarebbe stato lo zedi più grande del mondo, perché avrebbe raggiunto i 150 m. Di altezza e avrebbe avuto una campana adeguata, la Mingun Bell, forse anch’essa la più grande mai fusa. Invece lo stupa, iniziato alla fine del 1700, manifestò subito problemi statici dovuti probabilmente alla composizione del terreno e rimase incompiuto alla morte del re; si ammira però un basamento che si erge fino a raggiungere i 50 m. dal quale si gode una splendida vista sul fiume. Tutto è gigantesco, perfino i resti del posteriore delle cinthe o leoni guardiani del tempio… Hsinbyme Paya costruito nel 1816 ha il nome di una delle mogli del re che succederà a Bodawpaya. La struttura di questo tempio riprende la cosmologia buddista, secondo la quale la pagoda Sulami si trova sulla cima del Monte Meru, al centro dell’universo. Il re degli dei vive sulla vetta della montagna che è circondata da sette catene di monti rievocate dalle sette terrazze concentriche e ondulate del tempio.
MANDALAY Ultima capitale del regno Birmano, prima della conquista inglese è un importante centro culturale e ospita molti monasteri, è il centro più importante di studi buddisti, ma le costruzioni sono relativamente recenti, perché è stata fondata dal re Mindon nel 1857 sulla riva del fiume Ayeyarwadi. Il suo nome deriva da Mandalay Hill, la collina non lontana dal Forte e dal Palazzo Reale che ospita numerosi templi e pagode. Dalla cima, a 230 m di altezza si gode un bellissimo panorama della città e del palazzo reale, ricostruito dopo la distruzione durante la II guerra mondiale, perché sede del comando giapponese, circondato da un fosso fortificato. Sullo sfondo il fiume, le colline indorate dalla luce del tramonto. Dall’alto si può percepire la grandezza della pagoda Kuthodaw che conserva il libro più grande del mondo. Oggi, dopo la riapertura della Burma Road, la strada che conduce in Cina, la città ha conosciuto un boom economico derivante dal commercio di quello che la Guida Planet definisce la linea rossa: i rubini, la linea verde: la giada e infine la linea bianca: l’eroina.
Prima di salire alla collina abbiamo visitato la Mahamuni Pagoda (la Paya del Grande saggio) che ospita una antica (I sec. D.C). E venerata immagine di Buddha., alta 4 metri, in bronzo rivestita di foglie d’oro che in alcuni punti raggiungono lo spessore di 15 cm. Gli uomini del gruppo hanno avuto il permesso di avvicinarsi alla statua, le donne dovevano rimanere in basso, al solito emarginate e se non c’erano le cartoline non riuscivamo neppure a distinguere bene il volto del Buddha, l’unica parte del corpo ove è vietato aggiungere oro. Ogni mattina alle 4 un gruppo di monaci lava il volto e i denti della statua… Nel cortile interno, dotato di un grande gong, sono ospitate sei figure khmer in bronzo provenienti da Angkor Wat in Cambogia: tre sono leoni, due il dio Shiva, una l’elefante tricipite. La via di accesso al santuario è delimitata da numerosi esercizi commerciali che vendono di tutto, in un settore speciale, con un funzionario governativo, c’è anche la vendita delle foglie d’oro.
Al pomeriggio abbiamo visitato uno splendido monastero, lo Shwenandaw Kyaung o Golden Palace Monastery e cioè (Monastero del Palazzo d’oro) interamente in legno e magistralmente scolpito. L’edificio faceva parte del Palazzo reale ove morì il re Mindon, il successore, il re Thibaw fece smantellare l’edificio e volle che venisse ricostruito come monastero ove spesso si raccoglieva in meditazione. All’interno alcuni panneli scolpiti illustrano lo Jataka, le precedenti vite di Buddha, ma all’esterno le condizioni di conservazione sono piuttosto precarie… Molto importante la pagoda Kuthodaw per le 729 pagode “pitaka” erette nel 1872 per conservare le tavole di marmo sulla quali è stato registrato il Tripitaka, definito “il libro più grande del mondo”, cioè le regole buddiste in scrittura pali. In origine le lettere erano ricoperte da foglie d’oro. E’ stato calcolato che un monaco che leggesse ininterrottamente per otto ore al giorno impiegherebbe 45 giorni per completare la lettura.
8° giorno Dopo la caduta di Bagan il ruolo di capitale fu assunto a turno dalle quattro città antiche: prima da Mandalay poi Sagaing, (Segang). Inwa (Ava), Amarapura, mentre Mingun non è mai stata capitale. Le costruzioni in muratura erano quasi sempre edifici religiosi, mentre il palazzo reale, in legno, veniva di volta in volta smontato e trasferito nelle varie città capitali. Sono tutte situate sulla sponda orientale del fiume Ayeyarwadi, mentre Sagaing è situato sulla sponda occidentale, ma si raggiunge facilmente grazie al lungo Ava Bridge. Questo ponte, costruito dagli Inglesi è stato l’unico sul Ayeyarwadi fino al 1998 e dispone di due corsie per il traffico automobilistico e una per la linea ferroviaria. Oggi sul grande fiume ci sono altri due ponti di cui uno progettato dai cinesi. AMARAPURA possiede U Bein, il più lungo (1,2 Km) ponte di legno di teak al mondo, costruito nel 1782, quando la città era capitale, di forma curva per resistere al vento e ai flutti anche se nella stagione secca il lago è quasi asciutto. All’inizio del ponte si trova il Maha Gandayon in cui risiedono centinaia di monaci sottoposti ad una rigida disciplina religiosa. Visita a un laboratorio di seta ove tutti i telai sono di tipo tradizionale.
INWA (Ava) in lingua pali che significa “città delle gemme” fu capitale del regno birmano per 400 anni fino a quando nel 1841 il ruolo fu assegnato ad Amarapura Raggiunta Inwa in barca, la visita è stata fatta su dei simpatici carretti. Dapprima abbiamo visitato un bel monastero ottocentesco in legno Bagaya Kyaung con delle colonne in teak che ricordavano quelle del Monastero reale di Mandalay e che oggi ospita una scuola, proseguendo il percorso con i carretti abbiamo constatato che come segno del palazzo reale di Inwa resta una malconcia torre di guardia in muratura Nanmyin o Watch Tower in cui molti di noi sono saliti, perché quando si è in gruppo si abbassa il livello di percezione del pericolo, ma veramente quella torre pendente, superstite di un terremoto, dovrebbe essere chiusa al pubblico. E infine il bellissimo monastero in muratura di Maha Aungmye Bonzan fatto edificare nel 1818 dalla regina del tempo per l’abate reale.
SAGAING divenne capitale di un regno Shan indipendente nel 1315, dopo Bagan, oggi è soprattutto famosa come importante centro monastico che comprende anche un ospedale. Non l’abbiamo visitata, ma siamo rimasti colpiti dal sito meraviglioso. Splendide colline sul fiume, punteggiate di pagode.
9° giorno Secondo trasferimento aereo interno da Mandalay a Heho. Si entra nello stato Shan, un terreno montuoso situato nella parte orientale del Myanmar. Confina infatti con la Cina, il Laos, la Thailandia., il cuore del Triangolo d’oro da cui proviene l’oppio. Abbiamo visitato innanzi tutto PINDAYA, famosa per le sue grotte che si trovano sotto uno sperone roccioso affacciato sul lago omonimo. Oltre alle stalattiti che, percosse da una mazza di legno, suonano un gong, conservano più di ottomila statue del Buddha di ogni materiale (alabastro, teak, mattoni, lacca, cemento) foggia e dimensioni accumulate nel corso dei secoli e disposte in modo da formare un labirinto che si snoda nelle varie camere della grotta. Siccome le statue sono tutte donate da devoti, tra queste ne abbiamo trovato una con una targa degli abitanti di Gubbio, ci limitiamo a registrare il fatto senza commento…Terminata la visita,. Mentre eravamo intenti alla pulizia dei piedi per indossare la nostre scarpe, abbiamo notato qualcosa di insolito. Qualcuno ha detto: una macchina non si è fermata al parcheggio, ma è giunta fino all’ingresso, facile rispondere che un autobus ha regole diverse, ma poi abbiamo capito che si trattava di un ospite speciale, niente meno che il Ministro della Cultura in compagnia della moglie e del figlio, scortato da uomini armati di mitra. A piedi scalzi, come tutti, il “generale” non faceva veramente paura, era un pellegrino o se volete un turista come tanti… ma i commercianti del luogo erano paralizzati, nessuno osava uscire dal proprio box per il consueto assalto ai turisti… 10° giorno LAGO INLE E’ di grande bellezza, acque calme, segnate dalla vegetazione galleggiante e canoe per la pesca. Sulle sponde e sulle isole ci sono i villaggi con case di bambù su palafitte collegate da passerelle, abitate da una popolazione Intha che proviene dal sud del Paese. E, come gli Shan, i Mon e i Bamar, praticano il buddismo.
Gli Intha sono grandi lavoratori e sono famosi per il modo di navigare con le loro imbarcazioni lunghe, dal fondo piatto. Stanno su di un solo piede a poppa, mentre con l’altro muovono il remo; questo sistema permette di individuare i pesci ed avere le mani libere per manovrare una specie di nassa, una rete di forma conica che immergono dalla parte ampia nella speranza di un copioso bottino. Negli orti galleggianti, costruiti artificialmente con intrecci di vegetazione e fango, si coltivano fiori, verdura, frutta. Precisamente fagiolini, pomodori, insalate. I fiori spontanei sono i fior di loto con un bellissimo colore fucsia e i giacinti d’acqua dal delicato violetto, belle le siepi di creste di gallo tutte fiorite, sporgono anche tante foglie di anturium. Gli Intha vivono in case di bambù e paglia intrecciata costruite su palafitte, vendono i loro prodotti in un mercato galleggiante e si dedicano anche all’artigianato. Abbiamo visitato un ricco mercato e poi la pagoda Phaung Daw Oo che ospita cinque piccole statue di Buddha del XIII secolo, divenute informi per la continua sovrapposizione d’oro e, di fianco alla pagoda, una grande nave dorata, trainata dall’Hintha, l’uccello mitico, simile al cigno, per la parata della festa del lago. Interessante un laboratorio di seta e ci siamo resi conto che anche dai lunghi steli dei fior di lato (ecco perché avevano notato tanti raccoglitori durante la nostra escursione sul lago) tagliati in piccole parti è possibile estrarre un filo che produce un tessuto simile ad una canapa leggera e presumibilmente molto fresca da indossare.
Dopo pranzo abbiamo assistito al confezionamento dei sigari birmani, non i grandi cheroot, avvolti in uno strato sottilissimo di corteccia della palma di betel, ma quelli piccoli e verdi che contengono una miscela di tabacco Virginia, a volte addolcito, prima dell’essicazione, con polpa di tamarindo e zucchero scuro a cui si aggiunge un po’ di segatura per favorire la combustione. Nel villaggio Inn Thein, sulla sponda occidentale del lago Inle abbiamo avuto modo di incontrare tre donne giraffa. Non abitavano in quel luogo, ma si esibivano per i turisti pronti a fotografarsi con loro. Sicuramente è un modo per far quadrare il bilancio, ma è chiaro che si tratta di una barbara usanza che colpisce ancora una volta soltanto le donne, eppure anche gli uomini giraffa dovrebbero essere decorativi… Appartengono alla tribù Padaung (lungo collo) e dall’età di cinque o sei anni le bambine indossano il loro primo anello al collo e, di anno in anno ne aggiungono altri fino a raggiungere la misura di venticinque centimetri al momento del matrimonio. Gli anelli sono di ottone o di rame e pesano fino a nove chilogrammi, e la parte inferiore può essere sganciata per poter dormire. In questo stesso villaggio c’era un interessante mercatino e soprattutto un complesso archeologico di stupa e templi in rovina, non ancora valorizzato, perché fino a poco tempo fa la Guida ci ha detto che era in mano ai ribelli.
11° giorno Abbiamo raggiunto con un volo interno la capitale. Dopo una rapida visita al porto ci siamo gettati famelici sul grande e ricco mercato Bogyoke, ma il tempo era veramente troppo poco, anche perché volevamo acquistare dei libri, vedere il quartiere coloniale inglese e concludere con Chauk Htat Gyi, il grande Budda reclinato, di poco più piccolo di quello di Bago, ma a dire il vero ci è sembrato truccato in una maniera un po’ troppo pesante. Interessanti erano le piante dei piedi caratterizzate dai 108 segni di identificazione. Costeggiando il lago Kandawgi siamo rimasti colpiti dalla riproduzione della chiatta reale trainata da due Garuda i mitici uccelli del dio Vishnu, ma era solo un ristorante in cemento armato… “Questa è la Birmania e sarà diversa da ogni altra terra che tu possa aver conosciuto.” R. Kipling: Lettere dall’Est E per finire il prof. Giorgio Tassini ci chiarisce i dubbi residui sulla scelta della via migliore.
“Quanti siano gli zedi / Se non vedi, tu non credi.
Questa notte ho sognato / In uno zedi d’essere entrato… Da credente mahayana/ Mi ero estinto nel Nirvana, E di me, poverello,/ Rimasto era… solo un capello! Ma poi Buddha, il Benedetto,/ Risvegliato mi ha nel letto/ Ed allora ho capito/ E il concetto ho approfondito/ Del Buddhismo theravada: “Ognun scelga la sua strada!” Bibliografia: Steven Martin Mic LoobyMichael Clark, Joe Cummings Myanmar Guida Lonley Planet, Milanostampa, 2003 Gianni Limonta, Birmania, Leonardo arte, 1998 Than Oo, Bagan, Pays des temples et des pagodes, Asia Publishing House, 2004