USA & CANADA: a tale of two countries

Siamo appena tornati da un bellissimo viaggio negli Stati Uniti e Canada (11-29 agosto): ecco i dettagli del nostro itinerario: BOSTON: qui abbiamo passato le prime 3 notti. Arrivati con un volo Alitalia via Roma: il primo sorriso si scioglie quando ritiriamo le valigie, spedite direttamente da Linate nonostante le preoccupazioni legate alllo...
Scritto da: andrea1970
usa & canada: a tale of two countries
Partenza il: 11/08/2007
Ritorno il: 29/08/2007
Viaggiatori: fino a 6
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Siamo appena tornati da un bellissimo viaggio negli Stati Uniti e Canada (11-29 agosto): ecco i dettagli del nostro itinerario: BOSTON: qui abbiamo passato le prime 3 notti. Arrivati con un volo Alitalia via Roma: il primo sorriso si scioglie quando ritiriamo le valigie, spedite direttamente da Linate nonostante le preoccupazioni legate alllo scalo a Fiumicino. Boston si presenta subito gradevole: bella la zona dell’harbour con un paio di bar all’aperto affollati ed in piena atmosfera da saturday nite. Ceniamo nel North End, nel cuore del quartiere italiano. Non siamo soliti bazzicare ristoranti italiani quando siamo all’estero ma stavolta facciamo un’eccezione, probabilmente suggestionati dagli entusiastici racconti promozionali di un bostoniano incontrato sull’aereo. Tutti da Monica’s dunque per un’ottima (davvero!) zuppa di pesce e un discreto piatto di pasta. 60 USD a testa, mance escluse. Abbiamo calcolato poco meno del 10 % di mancia e il cameriere ci ha rincorso fino a fuori per restituircela indignato. Che caratterino! Ok, non lo sapevamo che nei ristoranti “belli” la mancia deve essere tra il 15 e il 20 % : prima figuraccia ma non importa, a nanna presto, il fuso incombe.

Il giorno dopo iniziamo a camminare: il modo più semplice di vedere le “attrazioni” di Boston è percorrere il Freedom Trail, ovvero un percorso di qualche Km segnalato da una doppia fila di mattoni rossi sull’asfalto. Bello il parco, Boston Common, e soprattutto Beacon Hill, sede di una storica battaglia della guerra di indipendenza americana. Siamo saliti sull’obelisco commemorativo: circa 392 gradini su per una scala stretta stretta. In cima, esausti, si gode però di una splendia vista sulla città e dalle anguste finestrelle si possono scattare delle belle foto.

Altre cose da fare a Boston: Cambridge, con Harvard e l’MIT possono essere interessanti ma a mio avviso ci sono troppi turisti per respirare la magica atmosfera dei college americani. Vale la pena anche una gita al Museum of Fine Arts e una passeggiata in Newbury St, ottima per lo shopping, sia per l’abbigliamento di marca sia per quello un pò particolare.

Per mangiare, non male la food gallery al Quincy Market dove trovi di tutto: dall’indiano al cinese, dal messicano alla pizza, per finire all’aragosta. E soprattutto la mitica clam chowder, specialità del New England rappresentata da una zuppa a base di vongole, patate sminuzzate, latte, panna, farina: buonissima! NEW YORK: nella grande Mela siamo arrivati con il treno Acela Express della Amtrak che, dopo un confortevole viaggio di tre ore e mezza, ci ha scaricato nella centralissima Penn Station. Una particolarità del treno: ci siamo, inconsapevolmente, accomodati in una “quiet car”, vale a dire in una carrozza dove era proibito parlare al telefonino (suonerie rigorosamente spente o al massimo con la vibrazione) nonchè chiacchierare ad alta voce. A ricordarci i severissimi precetti ogni 20 minuti ci pensava il capotreno, solerte nell’invitare tutti gli occupanti della carrozza del silenzio al rispetto delle regole. Di NY è stato detto tutto: era la mia 2a volta ma la magia è sempre lì.

Siamo rimasti per tre notti compiendo un canonico giro turistico dilazionato in tre interminabili camminate: Central Park, Upper East side, ponte di Brooklin, Ground Zero, la Borsa, Chelsea, Soho, Tribeca, l’Empire State Building e le principali avenue.

Qualche tip gastronomico: di giorno, per colazione, provate il mercatino biologico davanti al Rockfeller Centre (mercoledì e venerdì), per pranzo vero must è l’hamburgerone al Cafè Toda, sulla Broadway dalle parti di Ground Zero sul marciapiede che ti porta al toro della Borsa: da fuori il posto sembra un pò fetido ma vi ricrederete al primo morso.

Di sera, per l’aperitivo o per un drink della staffa ottima la terrazza dell’Hotel Hudson e quella del Gansvoort Hotel nel Meatpacking District, vera mecca dei posti più cool. Per cena buoni lo Spice Market (sempre nel Meatpacking Dct) e il Buddakan (di fronte all’hotel Maritime) BUFFALO e NIAGARA FALLS Con un volo Jet Blue da JFK (98 USD a persona solo andata) raggiungiamo Buffalo, gateway per le cascate del Niagara. Peccato che a causa di un improvviso nubifragio patiamo un ritardo di 2 ore e mezza! Al nostro arrivo a Buffalo però, il tempo di una rapida sosta in bagno e le valigie sono già lì che ci aspettano sul nastro: che efficienza! Il clima è decisamente più freddino rispetto a Boston e NY. Anche se è ormai tardi riusciamo a scovare l’Anchor Bar che si vanta di essere l’inventore delle “mitiche” Buffalo Wings: alette di pollo fritte, passate in una salsa all’aceto e servite con una salsa blue cheese. Insomma, una porcata! Proprio come quelle che piacciono a me! Buone, alla lunga non eccezionali, sicuramente un pò difficili da digerire, anche per chi ha uno stomaco di ferro come il mio. Il locale è veramente carino però, finalmente un vero posto americano dopo le sofisticate Boston e NY.

Dopo una notte in un tutt’altro che memorabile Best Western di Buffalo, l’indomani mattina ci rechiamo di nuovo in aeroporto per ritirare la macchina che avevamo prenotato dall’Italia. Prima di andare alla cascate però, sosta d’obbligo in un gigantesco mall di Buffalo (dalle parti di Military Road), alla ricerca di affari scontati. Buono lo shopping da Polo Ralph Lauren, Brooks Brothers, Tommy Hilfiger, Timberland: il resto, poca roba. Gli sconti sono davvero invitanti rispetto al prezzo che pagheremmo in Italia, in più ci si mette anche il cambio favorevole (1,36 USD per un euro) ad alimentare la nostra voglia di saldi.

Riempita la macchina di sacchetti arriviamo finalmente alle cascate del Niagara. Iniziamo prima con il lato americano: belle, ma me le aspettavo più maestose. Forse perché le vedi dall’altezza in cui compiono il salto nel vuoto. D’altra parte non avevamo voglia di aspettare più di due ore in coda per vederle direttamente dal lago dalla barca (Maid of the Mist) che si spinge da sotto, quasi fino al punto di caduta dell’acqua.

Proseguiamo quindi per il versante canadese e ti accorgi che, basta superare un ponte e lo spettacolo è già più bello. Dal lato canadese infatti la vista è migliore e si riesce soprattutto ad ammirare le cascate a ferro di cavallo, impossibili da vedere in tutta la loro maestosità rimanendo negli States. Quello che colpisce però sono gli hotel eco-mostri costruiti sulle colline circostanti, a picco sulle cascate: come rovinare un’oasi naturale bellissima, inquinandone irrimediabilmente il paesaggio.

Attraversare il confine è stato facilissimo: nonostante fosse domenica totale assenza di coda (mentre a rientrare…Km di auto in fila) e soprattutto poche domande di rito in dogana: sembra che i canadesi siano contenti di farti entrare nel loro paese…

Da Niagara Falls imbocchiamo l’autostrada e dopo 140 km, con un limite assurdo di 100 orari, arriviamo a Toronto.

TORONTO Toronto è la prima città canadese che vediamo. Ci arriviamo all’imbrunire e già in lontananza si nota nella skyline cittadina la Canadian Tower (535 metri di altezza) che svetta incontrastata. La città appare moderna, di impostazione americana e non eccessivamente grande. Dopo una buona oretta a cercare un hotel (non abbiamo una prenotazione ed è tutto strapieno) troviamo “rifugio” al Four Seasons: qui c’è posto, immaginate da soli il perchè…

Anyway, non vogliamo perderci nemmeno un minuto della night-life torontina e dopo una breve sosta ai (lussuosi) box siamo già in giro alla ricerca di un posto carino per bere un paio di drink. Alla fine troviamo un bar con terrazza vicino al FS dove riusciamo anche a mangiare uno stuzzichino. L’atmosfera è molto rilassata e ci verrebbe voglia di fermarci un pò più a lungo a conoscere la città.

L’indomani facciamo un giro nel quadrilatero del centro intorno a Yonge St e Front St. In città c’è fermento, giocano i Toronto Blue Jays di baseball. Seguiamo la fiumana di gente che si muove verso lo stadio (Rogers Center, fantastico impianto con il tetto retraibile) e ci troviamo ai piedi della CN Tower. Dopo quasi un’ora di coda (e 25 dollari canadesi!!! cosa dovrebbe costare allora una visita al Colosseo???) saliamo in ascensore fino al primo livello panoramico (circa 325 metri): andare più in alto costa ancora di più e, soprattutto, devi fare un’altra ora di coda. 325 metri possono bastare: la vista è fantastica e anche la visibilità è buona. Al nostro piano c’è inoltre la possibilità di camminare su un pavimento trasparente: a dirlo così sembra una boiata, ma vi assicuro che un pò di strizza ti viene mentre fai il passo..”nel vuoto”.

Scesi dalla torre ci rilassiamo un pò al sole nella zona dell’Harbourfront, un elegante quartiere con bei palazzi moderni affacciati sul lago Ontario.

Il nostro tempo a Toronto volge al termine: torniamo in hotel a prendere l’auto, si parte per Montreal.

MONTREAL Da Toronto a Montreal sono circa 540 km: noi li abbiamo spezzati due tappe (fermandoci a mangiare a Kingston e a dormire in motel Travelodge lungo l’autostrada nei pressi di Brockville). La sosta notturna ci consente di arrivare a Montreal l’indomani verso ora di pranzo. Per evitare di finire nuovamente al Four Seasons, questa volta abbiamo prenotato con Expedia, scegliendo l’Hotel Du Fort. Una piacevole sorpresa, tre stelle per un hotel del genere sono decisamente riduttive. La stanza è grande (letto grande e comodissimo), il bagno estremamente pulito e lo staff è molto cordiale, il tutto per 93 € la doppia.

Montreal è davvero carina: la zona del vecchio porto è incantevole e molto caratteristica. Si sente, e si vede, che siamo nel Canada francofono. Non male nemmeno il Quartiere Latino. Non riusciamo a vedere il circuito di F1 però..

A Montreal (così come a Toronto) per ripararsi dalle gelide temperature invernali (dicono arrivi anche a – 30!!) hanno costruito una sorta di città sotterranea, con tanto di negozi e centri commerciali, consentendo così alla popolazione di camminare con tranquillità in centro città senza il rischio di finire assiderati. Idea geniale: i sottopassaggi sono climatizzati d’estate e riscaldati d’inverno, ben illuminati e sempre telesorvegliati. Il che significa sicurezza abbinata a comodità, non male. Lasciamo Montreal con un pò di nostalgia ma anche con la voglia di arrivare nel Maine il, più presto possibile. Avvertiamo l’esigenza di riposarci un pò: in questi primi 11 giorni avremo camminato una media di 8-10 km al giorno e la fatica inizia a farsi sentire Vermont, New Hampshire e finalmente PORTLAND (MAINE) Il viaggio di ritorno verso gli Stati Uniti è stato bellissimo: tempo splendido e poco traffico, strade meravigliose e panoramiche. Da quanto avevamo letto nelle guide ci aspettavamo alla frontiera qualche ora di attesa prima che la polizia, a causa della scrupolosa osservanza dell’Homeland Security Act, ci permettesse di oltrepassare il confine: invece non abbiamo avuto nessun problema, qualche domanda di rito, tanta gentilezza e addirittura il poliziotto che ci ha fornito delle indicazioni per iscritto per raggiungere la nostra destinazione. Che popolo questi americani..

Aldilà del confine canadese sei subito il Vermont: neanche a dirlo, verde dappertutto, specchi d’acqua e spazi aperti; pochissime case o villaggi. Pochi Km e sei nello New Hampshire: se possibile il paesaggio è ancora più bello! Ci fermiamo in un’area di sosta in autostrada ed ammiriamo un panorama da cartolina di un lago immerso nel verde. Man mano che ci avviciniamo alle White Mountains il paesaggio diventa più di montagna: bellissimi i cottage ed i B&B che sorgono a lato della strada, sarebbe bello fermarsi a dormire ma la nostra mission è quella di arrivare nel Maine il più presto possibile. Con le baguette e i salumi comprati a Montreal ci fermiamo alle prime ombre della sera per un pic-nic in una stazione sciistica qualche km dopo di Bretton Woods, storico luogo in cui si è tenuto il vertice economico mondiale post-bellico voluto da Roosevelt. Mangiamo all’ombra di una seggiovia e fa piuttosto freschino, ma è divertente.

Ci rimettiamo sulla nostra Chevrolet Trailblazer e puntiamo diretti verso Portland, dove arriviamo verso le ore 22, dopo aver percorso, da Montreal, più di 420 Km.

L’oscurità, l’assoluta mancanza di conoscenza della città e forse un pò di stanchezza ci impedisce di trovare una sistemazione decente per la notte: così finiamo in un orrido motel (Quality Inn Motel & Suites), per la non modica cifra di 149 USD!! La nostra stanza avrebbe dovuto essere una “suite”, ma di lussuoso aveva veramente poco: abbondavano, in verità, ragni e ragnatele.

Dopo una notte tutt’altro che memorabile, alla mattina ci rechiamo ad Old Orchard Beach, nei pressi di Portland per cercare una soluzione migliore. Alla fine, dopo quasi tre ore di ricerche e plurime ispezioni e sopralluoghi di stanze (fregati una volta va bene, due sarebbe stato troppo) optiamo per l’Atlantis Motel, che ci sembra ragionevolmente pulito e, soprattutto, a due passi (letteralmente) dall’oceano. Lo staff del motel è estremamente gentile ed ospitale, gli altri ospiti del motel sono quasi tutti canadesi. Finalmente, l’agognata spiaggia! C’è il sole ma soffia un pò di vento: come previsto l’acqua è gelida ma alla fine della vacanza riuscirò a vincere ogni timore e concedermi diversi bagni.

Il Maine è molto esteso in lunghezza: noi eravamo nella parte centro-meridionale, che ha spiagge più sabbiose. In macchina ci siamo spinti più a nord fino a Boothbay dove la costa inizia ad incresparsi. La conformazione della costa è però così frastagliata che ogni strada è spostata verso l’interno, cosìcché dalla macchina non si vede un gran che. Visto che lo shopping a Buffalo non ci è evidentemente bastato, decidiamo di fare una puntata a Kittery, città a sud del Maine alle porte del Massachussets famosa per ospitare un altro immenso centro commerciale, pronto ad accogliere i nostri ultimi dollari. Esaurita la mania dell’acquisto sotto costo, la penultima sera decidiamo di provare una mini crociera al tramonto per ammirare qualche faro e la costa dal mare. Abbiamo fortuna: il tempo, che al mattino prometteva pioggia, è buono; il vento è leggero e il tramonto spettacolare. Siamo su una barca a vela tipo Schooner costruita nel 1924 interamente in mogano: bellissima ed elegante. L’equipaggio è formato da tre ragazze, vere lupe di mare! In acqua scorgiamo una foca: allora non siamo noi, l’acqua è veramente fredda…

Un capitolo a parte nel Maine lo merita l’aragosta, vera protagonista (o quotidiana vittima!) della gastronomia locale. Lobster sembra essere la parola d’ordine di ogni ristorante. Viene venduta ad un prezzo più che ragionevole rispetto ai parametri italani: circa 22 dollari per un’aragosta da 1 pound al ristorante (circa 13 dollari se comprata fresca in un Lobster Pound, una sorta di mercato delle aragoste presente quasi ad ogni angolo di strada). Assolutamente da provare sono inoltre le fried clams (vongole giganti fritte in croccante pastella) e l’immancabile clam chowder.

L’ultima sera decidiamo di farci una grigliata in casa utilizzando il barbecue gigante a disposizione dei clienti del motel: il tempo di disporre sulla griglia i primi gamberi e le prime capesante che suona l’allarme antincendio! Oh my God, saremo stati noi?? Nel tempo di tre minuti arrivano 2 camion dei pompieri e una macchina della polizia. Niente paura, falso allarme: sembra che la padrona del motel si sia addormentata con una canna in mano facendo scattare l’allarme!! Che ridere, da non crederci…

Dopo 5 giorni e sei notti nel Maine (e tanti gusci di aragosta lasciati alle spalle) è ora di tornare a casa. Circa 120 Km ci dividono dall’aeroporto di Boston dove un non nuovissimo B767 dell’Alitalia è pronto a riportarci a Milano.

Dopo sette ore e mezza di volo siamo a Malpensa: cielo grigio e una sgradevole dolciastra sensazione di famigliarità con tutto quello che ci circonda, acuita dalla snervante attesa davanti ad un nastro trasporta-bagagli che non ne vuol sapere di partire e di mettersi finalmente a restituire le nostre valigie (alla fine anche questa volta andrà tutto bene) e dalla consapevolezza che è davvero finita.

Siamo tornati a CASA.

Andrea&Gaia



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