Una terra che interpella
Cammino per le strade di Gerusalemme e queste parole mi tornano in mente come un ritornello. Così descrive la sua città A.Yehoshua ma a me sembra di poter estendere queste parole ad ognuno dei luoghi che in questi giorni di cammino abbiamo attraversato e scoperto. E’ impossibile, per esempio, rimanere indifferenti davanti a quel muro insensato che toglie il fiato alla città di Betlemme. Mi colpiscono soprattutto le storie di tanti giovani universitari a cui è negato anche il più basilare diritto di scegliere quale ateneo o quale facoltà frequentare, il diritto a progettare liberamente il proprio futuro.
E poi l’impatto fortissimo con Gerusalemme: la città Santa, ideale punto di convergenza di cristiani, musulmani ed ebrei ma da sempre teatro di aspre divisioni. Proprio nella città in cui Gesù ha portato a pieno compimento il suo progetto di amore universale, il suo messaggio appare più che in ogni altro luogo travisato, frainteso e ridotto a un diritto di proprietà o ad una questione di status quo. La “durezza” di questa città, il difficile percorso diriappacificazione e convivenza appaiono evidenti in tutta la loro forza drammatica. Eppure il fascino di questi luoghi santi perdura, a volte sommerso dai colori, dai suoni e dai profumi del suk o da qualche gruppo di turisti più chiassoso… ma è impossibile non percepire come qui Dio non abbia mai smesso di parlarci, di suscitarci domande profonde, di interrogare la nostra fede e di entrare con insistenza nella nostra vita.
Lasciata Gerusalemme, ci si ritrova improvvisamente nel deserto. E ancora una volta mi vengono in mente le parole di un libro, questa volta di A. De Saint-Exupery: “Mi e’ sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende in silenzio…”. E lascio allora risplendere dentro di me la luce di questi giorni e penso come sarebbe bello portare questa luce nella quotidianità delle nostre vite.
La ferialità dell’esperienza terrena di Gesù ci appare poi con evidenza a Nazareth, dove Gesù ha vissuto per trent’anni, realmente alla periferia della storia e degli eventi. Nazareth è anche il luogo in cui incontriamo più da vicino l’esperienza profetica di Charles De Foucauld, che qui visse per tre anni cercando di “fare suo il vivere di Gesù” e in cui maturò i frutti fondamentali della sua vocazione: la scelta del sacerdozio e la scelta di essere “fratello universale” tra gli uomini, vivendo tra le tribù nomadi musulmane. Penso allora che non sia possibile parlare di “pace” per questi luoghi ma piuttosto di “paci”, perché non esiste una soluzione univoca per lenire le ferite di una Terra che da secoli subisce divisioni e lacerazioni. Possiamo invece ricercare soluzioni molteplici, diverse, piccole esperienze di pace che quotidianamente, pur nel silenzio e nel nascondimento, continuano a far fiorire germogli di fiducia e di speranza.
Realmente allora è impossibile attraversare questa terra senza esprimersi, senza lasciarsi interpellare, senza stupirsi di fronte alle antinomie e ai conflitti che la abitano ma che contribuiscono al tempo stesso a tratteggiare il suo fascino misterioso, la sua bellezza, la sua unicità e il suo profumo intenso e irresistibile di santità.