Un tuffo in Madagascar

Alla scoperta dell'affascinante Madagascar lungo la RN 7, poi verso l'isola della Reunion
Scritto da: moroLi
un tuffo in madagascar
Partenza il: 19/07/2017
Ritorno il: 07/08/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Dopo svariati aggiustamenti e modifiche, riusciamo a stilare un itinerario che, pensiamo, sia in grado di fornirci un quadro esauriente di questa remota scheggia di Africa e ci consenta di effettuare anche una breve visita sull’isola di Reunion. Per quanto concerne il Madagascar, decidiamo di visitare alcuni parchi posti sull’altopiano centrale e di seguire la principale arteria di comunicazione (la RN 7) fino al suo sfociare nel canale del Mozambico dove ci riposeremo qualche giorno prima di intraprendere in viaggio di ritorno. Abbiamo deciso di gestire le viste ai parchi distribuendole tra il viaggio di andata e quello di ritorno in modo da evitare lunghe tappe di mero trasferimento, e per riuscire in questo intento ci siamo avvalsi dell’ausilio di un’agenzia locale visto che tutte le fonti consultate preventivamente sconsigliavano vivamente di viaggiare con un automezzo a noleggio e reperire sul posto gli alloggi come facciamo di solito (..e, col senno di poi, ci sentiamo di condividere questo consiglio a chiunque baleni in testa di viaggiare autonomamente). Ci siamo quindi affidati a Mahery (Maheryt@yahoo.fr, tel 00261 3412294 ), un malgascio che si è “specializzato” nel trattamento dei turisti italiani e che, insieme a sua moglie Malala (00261 3418252 ) e ad un numero imprecisato di fratelli, cugini e parenti vari, gestisce una decina di fuoristrada che sguinzaglia per tutto il Madagascar organizzando in modo funzionale scambi tra le varie comitive di turisti e gli automezzi in perenne circolazione (noi durante il nostro tour di 13 gg abbiamo cambiato tre volte mezzo e autista con scambi sempre perfettamente organizzati). Arrivati all’aeroporto di Antananarivo (Tana) da Roma (via Addis Abeba). Troviamo Malala che ci accoglie e ci trasferisce ad un albergo in centro da dove partiremo la mattina seguente verso Nord per una visita al Parco di Anjozorobe alla ricerca dei lemuri Indri (la specie più grande di questi simpatici primati). Qui abbiamo subito un esperienza piuttosto shoccante: dopo aver cenato in albergo, e visto che eravamo a poche centinaia di metri dalla principale arteria della città, decidiamo di fare 2 passi ma, a 30 metri dall’albergo, veniamo bloccati da una pattuglia a piedi della polizia locale che dopo aver consultato i nostri passaporti, li trattiene e ci fa capire che ci porterà al centro di polizia (con inequivocabili gesti che simboleggiano le manette!) a meno che… non gli sganciamo una mancia ! Riusciamo ad attirare l’attenzione del portiere del nostro albergo che interviene e dopo aver parlato con la pattuglia ci comunica che abbiamo 2 sole alternative: aspettare la mattina successiva quando il titolare dell’albergo andrà al centro di polizia e recupererà i nostri passaporti o allungare una piccola mancia (molto ridotta rispetto alla richiesta iniziale ) e seguirlo in albergo. Naturalmente scegliamo l’opzione 2, schifati dalla sfacciata corruzione delle locali “forze dell’ordine”.

La mattina successiva il viaggio verso il parco (circa 100 km) inizia a svelarci lo stile di vita di questo popolo ed iniziamo a prendere confidenza con le voragini che ammantano le strade, con le miriadi di Taxi bus (mini bus da 12 posti, con all’interno una trentina di persone, che viaggiano con il portellone posteriore sempre aperto e dal quale salgono e scendono i passeggeri quando il mezzo… rallenta!), con i carri trainati da zebù, con le onnipresenti risaie lavorate esclusivamente a mano da contadini di ogni età (compresi bambini), con le manifatture di mattoni realizzati con l’argilla del fondo delle stesse risaie e, soprattutto, con la costante presente di uomini e donne che camminano al bordo della strada anche in zone apparentemente prive di centri abitati. Dopo aver percorso gli ultimi km su una carrettiera sconnessa raggiungiamo un prato tra le distese di eucalipti che reca l’indicazione “parcheggio saha forest camp”, che è il lodge dove siamo alloggiati ma del quale non intravediamo neppure un… indizio. La nostra guida/autista (che in questa fase è un cugino di Mahery che, per la verità non parla una parola di italiano, contrariamente alle aspettative) fa una telefonata e poco dopo da un sentiero sbucano due addetti che ci aiutano a trasportare i bagagli fino alla struttura ricettiva, distante 4/500 metri e composta da un corpo centrale con la reception e il ristorante e una serie di bungalow inseriti in modo assolutamente non impattante nella foresta circostante e forniti di acqua calda e fredda e di corrente elettrica… solo dalle 5 del pomeriggio alle 7 di mattina grazie ad un generatore. Il programma prevede che l’escursione alla ricerca dei lemuri indri avverrà la mattina successiva, nel momento in cui sono più attivi ed individuabili, per cui ci sediamo al ristorante e consumiamo il pasto in un contesto di per se affascinante. Mentre stiamo per terminare, vediamo sopraggiungere un ragazzo che sale velocemente lo scalone di legno e, dopo aver contattato la direttrice della struttura, si avvicina al nostro tavolo. Si tratta di una guida del parco che ha informato la direttrice di aver avvistato una coppia di indri in una zona di foresta relativamente vicina e che, se a noi va bene, ci accompagnerebbe subito a cercare di ammirali invece di attendere la mattina successiva ma che ..” subito “ significa… subito! Con il boccone in bocca iniziamo a seguire la guida nella foresta pluviale che estende al di la del canalone dove è situato il lodge e, non senza qualche difficoltà, scaliamo le impervie pendici della collina, fuori dai sentieri. Fortunatamente dopo 10/15 minuti la guida ci fa segno di procedere con cautela, siamo vicini… ed è emozionante scorgere il musetto vispo e dolce di un lemure appollaiato su di un ramo a circa 15/20 mt da noi. Ci avviciniamo ancora e riusciamo a scorgere distintamente tutti e due i lemuri, adesso siamo a meno di 10 metri da loro ma non sembrano essere spaventati pur essendo animali completamente selvatici (a differenza di altri che stanziando in zone adibite alle visite dei turisti sono ormai abituati alla presenza umana), dopo averli ripresi ed ammirati la guida ci dice di star pronti che adesso provocherà il loro allontanamento e che sarà interessante vederli saltare di ramo in ramo. Si porta sotto all’albero che li sostiene e smuove alcuni rami, lo spettacolo che segue non lo dimenticherò facilmente: in pochi secondi il lemure si trasferisce a circa 50 metri saltando di ramo in ramo, ma lo fa con una modalità che ricorda molto più un essere umano che una scimmia. Fantastico. Poco prima di cena facciamo un’altra escursione per tentare di trovare qualche lemure notturno ma, pur essendo forniti di potenti torce, riusciamo solo a scorgere dei piccoli camaleonti sui rami, poi una buona cena e una dormita nei nostri bungalow e la mattina dopo siamo pronti per partire verso la capitale in anticipo sulla tabella di marcia. Sentiamo comunque il lamento mattutino degli indri mentre torniamo verso il parcheggio e approfittiamo del tempo a disposizione per effettuare alcune soste lungo il percorso e per dare una veloce occhiata al Palazzo Reale, posto su di un altura nelle vicinanze di tana e per la verità non molto interessante.

Dormiamo nello stesso albergo di Tana, guardandoci bene di varcare la soglia esterna, e la mattina dopo ci facciamo accompagnare all’aeroporto dopo prendiamo il volo per l’isola di Reunion. Qui siamo in Europa, non solo formalmente ma anche di fatto. Anzi, in una Europa evoluta e benestante. L’isola di Reunion è a tutti gli effetti territorio francese e, ci dicevano, che qui lo stipendio medio è più del doppio che in Francia. Ciò determina un opulenza evidente sia dallo stile di vita che dalle infrastrutture logistiche e

Viarie. Unica cosa su cui fanno economia sono i cartelli stradali! Praticamente inesistenti le indicazioni e la segnaletica verticale. Prendiamo la nostra macchina a noleggio (che rappresenterà un’altra esperienza… non positiva) e raggiungiamo la casa che abbiamo affittato a Saint Leu (a circa 65 km dalla capitale sede dell’aeroporto S. Denis), nella parte dell’isola più protetta dai venti e che presenta spiagge bianche a barriera corallina nell’immediata vicinanza della battigia. Purtroppo il mare è agitato da una pregressa burrasca e non è possibile fare in bagno, neppure nella laguna creata dalla barriera ove l’acqua è comunque torbida.

Nel pomeriggio prendiamo visione del circondario, ci informiamo riguardo alla possibilità di escursioni in barca per avvistare le balene, e provvediamo a fare rifornimento al supermercato in quanto abbiamo deciso di limitare al massimo le esperienza nei ristoranti (dai prezzi superiori a quelli che si registrano da noi in Italia) e di cucinarci la cena nel comodo bungalow che abbiamo affittato. Per i pranzi provvederemo con soste veloci a qualche bar.

La mattina seguente partiamo per il Piton de la Fournaise, uno dei vulcani più attivi al mondo, anche se quasi assolutamente non pericoloso in quanto la sua attività non è di tipo “esplosivo” ma il magma al suo interno si limita a variare placidamente di livello e, quando raggiunge il limite della caldera, a tracimare all’esterno. Avevamo in programma di raggiungere la caldera attuale, posta al centro di un enorme cerchio formato da pareti a picco alte circa 50/100 mt e che rappresentano la caldera precedente (a sua volta inserita in una caldera ancora più antica entro la quale si può accedere con l’auto) ma non sapevamo che l’accesso è in questo periodo interdetto in quanto di sta verificando una fuoriuscita di lava da una cratere laterale e per sicurezza non è consentito avvicinarsi . Ci limitiamo quindi ad una lunga camminata sul bordo della caldera per raggiungere il punto da cui si può intravedere in lontananza l’eruzione in corso e il rivolo di lava che scorre sul pendio, e questo si rivela una esperienza fantastica in uno scenario veramente… lunare. Un panino ad un ristorante in quota ed iniziamo la discesa verso la costa ma, dopo pochi Km avvertiamo che c’è qualcosa che non va, ci fermiamo e ci accorgiamo di avere una gomma a terra, dopo averla sostituita ci rechiamo da un gommista che ci informa che la gomma non è forata ma talmente usurata e deformata lateralmente da non riuscire a contenere l’aria all’interno e che va sostituita, qui inizia un calvario troppo lungo da raccontare con l’agenzia di noleggio che decide di far pagare a noi la sostituzione completa del copertone ( pur riconoscendo che la gomma è usurata, come anche l’altra gomma anteriore ) e che non accetta di sostituirci l’auto lasciandoci per il resto della vacanza con un macchina insicura e senza ruota di scorta! Agenzia Jumbo Runcar, da evitare assolutamente! Nonostante questo inconveniente riusciamo a completare il programma previsto con un paio di uscite di snorkeling in prossimità della barriera (all’hermitage pesci da barriera già in un fondale che arriva alla cintura!), visita al Piton de Neiges (vulcano non più attivo ma dalle pendici spettacolari) e alla Cascata du Bassin (fantastica, in prossimità di S. Gilles de Bains) e anche un’escursione in gommone (con imbarco fortunoso senza prenotazione) per avvistare le balene (veramente bello, anche se il protocollo che adottano qui impone di mantenersi ad un minino di 300 mt dai cetacei e quindi non consente una visone ottimale). Ripartiamo dalla Reunion con la soddisfazione di aver visitato un sito veramente interessante in cui vale la pena soggiornare… a patto di evitare Jumbo Runcar per il noleggio auto. All’aeroporto di Tana troviamo ad attenderci lo stesso autista con lo stesso fuoristrada e partiamo subito con destinazione Antsirabe per il pernotto… dopo un paio d’ore di coda per uscire dalla città in un orario di punta e una veloce cena per strada.

Il giorno dopo altro trasferimento verso Ranomafana (e l’omonimo parco) fermandoci per il pranzo ad Ambositra e con soste varie nei laboratori artigianali di oggettistica realizzata con corna di zebù, di cooperative di ricamatrici e altre manifatture varie. Lungo il percorso altre visioni avvincenti sempre relative al modo di vivere dei malgasci e… ancora tanta gente che cammina lungo il margine della strada… ovunque. Dopo un’escursione serale ai margini del parco per vedere i “lemuri topo” (così chiamati perché giusto delle dimensioni di un roditore e con enormi occhi che brillano al buio), cena a base di una zuppa che si rivelerà causa di problemini intestinali (risolti grazie alla cospicua scorta di imodium e codex al seguito) e la mattina dopo partenza di buonora per la vista al parco situato in piena foresta pluviale e quindi, come il nome stesso suggerisce, sotto una insistente pioggerella che rende scivolose le pendici della collina che ci troviamo ad esplorare in compagnia di una guida parlante italiano e di un “ battitore “ che ci precede con il compito di individuare i lemuri ed avvisare via radio la guida, riusciamo a scorgere qualche lemure dalla testa rossa ed una coppia di lemuri dal naso largo ma non riusciamo a goderci a pieno la visione la visone a causa della pioggia e… della zuppa della sera prima! Fradici rientriamo nel fuoristrada e ci avviamo al riprendere la RN 7 per continuare il nostro viaggio verso sud ovest. Giunti all’intersezione con la statale effettuiamo il primo cambio, ad attenderci c’è Mahery in persona con il suo enorme fuoristrada reduce da un tour con altri turisti e che dà indicazioni a suo cugino per il suo prossimo viaggio. Con lui ci troviamo un po’ meglio in quanto parla perfettamente l’italiano ed è in grado di fornirci indicazioni su quello che abbiamo visto e/o che vediamo e di rispondere alle nostre domande o richieste di spiegazioni . Sosta per un pranzo a base di frutta a Fiaranantsoa e poi trasferimento ad

Ambalavao con sosta per vedere la lavorazione della seta e della famosa carta Antaimoro, ottenuta dalle foglie di avoe. Dopo il pernotto ad Ambalavao ci accingiamo a compiere il trasferimento più lungo di tutto il tour: viaggeremo

Tutto il giorno per raggiungere verso le 17 La zona di Toliara, sul canale del

Mozambico, dove sosteremo 4 giorni per vedere quello che offre il circondario

E rilassarci un po’ sul mare. Pensavamo di annoiarci durante queste ore in auto ed invece il viaggio si rivela interessante ed è bello leggere i cambiamenti che si susseguono fuori del finestrino, i cambiamenti di paesaggio man mano che scendiamo dall’altopiano e ci dirigiamo verso sud, con i boschi di eucalipti che lasciano il posto a paesaggi man mano meno verdi fino a raggiungere gradualmente l’aspetto di una savana al punto che ti aspetti quasi di veder spuntare la criniera di un leone da dietro un cespuglio . Ed invece gli unici animali che spuntano sono gli zebù, padroni incontrastati di queste distese desolate, abituati a nutrirsi di erba secca ed addirittura di foglie di cactus macinate, siamo nelle terre dell’etnia Bara, pastori per vocazione, di zebù e di capre, prevalentemente adepti di una religione animista che vede della natura la manifestazione dell’entità suprema e che quindi adora le sue forme, guidata nelle scelte di ogni natura dal parere dello stregone e dedita a sacrifici di animali e sangue. Si nota anche nel vestiario il cambiamento, non più abiti di richiamo europeggiante ma “ lamba “ (un drappo di stoffa) colorati e sgargianti indossati fieramente da uomini e donne, piedi prevalentemente nudi e mercatini improvvisati lungo le strade dove viene offerto il poco che possono permettersi in attese che sembrano destinate a non avere fine . Donne con neonato legato sul dorso che espongono 4 pomodori e tre patate dolci su uno straccio steso sulla polvere subito a ridosso della strada, mentre nello spazio retrostante un nugolo di bambini gioca con quello che trova tra capanne di fango e sterpi e tra galline

Striminzite e mucchi di radici di manioca messe ad essiccare ( la manioca è un tubero di cui si nutrono i malgasci che… non possono premettersi il riso!). Visioni affascinanti nella sua asprezza e che appartengono ad un mondo a noi alieno. Una sola cosa non cambia rispetto alle zone dell’altopiano e a quelle vicine alla capitale: anche qui, ovunque, gente che cammina ai bordi della strada! Anche tra praterie dove non si vedono costruzioni a perdita d’occhio. Non c’è il tempo di annoiarsi, transitiamo da Ilakaka, dove si sono insediate imprese cinesi e cingalesi dedite alla ricerca e alla vendita degli zaffiri e dietro alle costruzioni moderne sede di queste aziende, si scorgono

Moltitudini di malgasci di ogni età intenti a scandagliare con strumenti improvvisati il greto di un fiumiciattolo nella speranza di imbattersi in uno zaffiro sfuggito al dragaggio industriale, e dietro ancora gruppi di minuscole capanne di sterpi issate alla bene meglio usati come ricovero per la notte dopo una giornata trascorsa a setacciare il fango e la ghiaia. Questi per la maggior parte sono “migranti“ che vengono dal profondo sud, oggetto di frequenti carestie, attirati dal miraggio della presenza di zaffiri . Poi transitiamo da un minuscolo villaggio e ai bordi della strada notiamo una infinità di fusti metallici affumicati e fuochi accesi, con varie persone a torso nudo che mescolano qualcosa all’interno o attizzano il fuoco o trasportano questi fusti: una visone da girone infernale. Si tratta di una “distilleria” di Rhum, nei dintorni ci sono delle piante di canna da zucchero e gli abitanti si sono specializzati nel loro sfruttamento in modo… improvvisato. Stiamo per giungere a Toliara, capoluogo dell’etnia Vezo, i pescatori, e Mahery ci illustra come nelle zone che ci stiamo lasciando alle spalle siano attive delle bande di ladri di zebù, che con pochi scrupoli assaltano i villaggi e fanno razzie di bestiame non fermandosi neppure se per far questo si rende necessario assassinare i legittimi proprietari. E come la risposta delle popolazioni locali a questa piaga sia stata, visto che la giustizia istituzionale è impotente, istituire una loro legge marziale. I ladri di zebù se catturati vengono lapidati e arsi vivi! Vediamo finalmente il mare, noi siamo alloggiati a Mangily, subito a nord di Ifaty, in un bel villaggio sul mare dalle caratteristiche… occidentali: spaziosi bungalow con bagni decenti e acqua calda e corrente, ristorante,reception funzionante, piscina, lettini sulla spiaggia ..abbiamo scelto bene! Cena da Chez Cecile, un ristorante sulla spiaggia gestito da una signora francese dove con nostro immenso gaudio troviamo una bottiglia di olio di oliva (assolutamente introvabile), una buona dormita e la mattina successiva escursione in piroga a vela fino alla barriera corallina, distante un paio di miglia dalla costa, che non si rivela poi così colorata e animata come siamo abituati da altre esperienze (almeno nel tratto che esploriamo). E’ interessante scoprire come Daniel, il nostro “capitano” manovra questa stretta piroga ricavata da un tronco d’albero riuscendo ad effettuare anche lati di bolina e con mare non proprio placido, gestendo i pesi sui bilancieri (tronchetti di legno collegati al corpo principale con altri tronchi ancora più esili), saltellando da uno all’altro tenendosi aggrappato a funi di cui cambia spesso il punto di ancoraggio e impartendo ordini al figlio di circa 10/12 anni che impugna il timone. Pomeriggio di relax in spiaggia e a bordo piscina e la sera a cena dallo stesso Daniel che gestisce anche un piccolo ristorante in spiaggia e ci offre il poco pesce che è riuscito a procurarsi visto che le piroghe dei pescatori da un paio di giorni non escono dalla barriera a causa del vento ( l’ultima sera però riuscirà a fornirci delle succulente aragoste).

Il giorno dopo il mare è abbastanza calmo e possiamo imbarcarci sulla lancia di Pierre ( un francese che da anni vive qui ) per andare a cercare di scorgere le balene fuori dalla barriera . Transitiamo da un canale che taglia la diga formata dalla barriera e ci spingiamo un paio di miglia al largo di questa, intanto sulla barca facciamo conoscenza con i nostri compagni di escursione ed in modo particolare con Paolo & Elena, una coppia di viaggiatori ( la V maiuscola non è un refuso ) con cui stabiliamo subito un simpatico rapporto e che cerchiamo di frequentare per quanto possibile nel resto del tour ( loro sono con un altro fuoristrada di Mahery guidato da un altro cugino ma alcune tappe del loro giro si sovrappongono alle nostre ). Abbiamo fortuna e riusciamo ad avvistare diversi gruppi di balene che incuranti della presenza della lancia spesso si soffermano per qualche minuto a pelo d’acqua per poi sparire nelle profondità con fantastici colpi di coda finali. Riusciamo a vederle e filmarle dettagliatamente perché qui il protocollo impone solo di ..non cozzarci contro… Altra esperienza formidabile è la visita al villaggio di pescatori Vezo, partendo dal mercato sulla strada fino ad arrivare alla spiaggia dove staziona una imponente flotta peschereccia formata da un paio di centinaia di piroghe colorate. Riusciamo a cogliere uno spaccato della vita che conducono i nativi e siamo sopraffatti da sentimenti contrastanti : un interesse incessante per il loro modo di vestire, di mercanteggiare, per i giochi dei bambini sulla spiaggia, per l’atteggiamento fiero degli anziani avvolti negli sgargianti lamba e contemporaneamente compassione infinita per le condizioni di vita ed igienico sanitari in cui, serenamente, con naturalezza, vivono e fanno vivere i loro bambini: capanne di soli 3 / 4 mq di sterpi e giunco con tetto di foglie di palma piantate nella nuda terra e senza nessuna comodità con animali di ogni genere che razzolano tra rivoletti di liquido sulla cui natura non vogliamo approfondire. All’uscita del villaggio una scena attira la nostra attenzione: una ragazza di 18/20 anni seduta per terra,con un abitino polveroso dal colore indefinito sta svolgendo il proprio lavoro con accanto il proprio bimbo di circa 2 anni. È sorridente e ci saluta affabilmente. Ha in mano una mazzetta da murature e con essa sta frantumando con potenti colpi e senza soluzione di continuità, dei sassi della dimensione di una patata fino a ridurli in ghiaia. Davanti a se ha una piramide di sassi grossi e un mucchio di ghiaia! Prima di lasciare questa zona che ci ha regalato tante emozioni, abbiamo il tempo anche per vistare la riserva di Renala con i suoi baobab bottiglia giganti e le spinose euforbie. Di buon mattino iniziamo il viaggio di ritorno con un nuovo autista e un nuovo fuoristrada (il titolare dell’agenzia ci ha affidato al 4° dei suoi 5 fratelli, che almeno un po’ parla italiano, mentre lui è partito ieri sera con altri turisti per un tour su strade sterrate lungo la costa verso Morondova) avendo come prima tappa il parco dell’Isalo e non abbiamo modo di annoiarci lungo il tragitto. Ogni capanna che incontriamo, ogni villaggio che attraversiamo, ogni bambino che ci spara un sorriso, meriterebbero una foto. Per non parlare delle persone che, ormai è inutile ripeterlo, incrociamo ai bordi della strada in perenne movimento. Il parco dell’Isalo si rivela non così entusiasmante, una colonia di lemuri dalla coda ad anello attende i turisti in prossimità di una zona adibita ai pic nic e manca solo che si diano una pettinata prima di ogni foto per risultare perfetti, poi le conformazioni rocciose sono notevoli e farebbero la felicità di ogni geologo ma… noi geologi non siamo e solo la frescura e bellezza della piscina nera e quella azzurra rendono accettabili le due ore di cammino in un caldo noioso. La sera ci ricongiungiamo all’Hotel con Paolo e Elena e continuiamo il nostro scambio di esperienze di viaggio rendendo piacevole una serata disturbata solo da…problemini intestinali.

La mattina nuova tappa verso Ambalavao, nelle cui vicinanze abbiamo modo di visitare un’altra riserva abitata da colonie di lemuri dalla coda ad anelli, solo un pizzico meno domestici di quelli dell’isalo, ed osserviamo alcuni grossi camaleonti. Poi un po’ di shopping in un negozietto locale e quindi raggiungiamo il nostro albergo ove ci comunicano che la fornitura d’acqua non è attiva in tutta la zona e ci portano in camera un bidone di acqua fredda ed uno di acqua calda per la docci… ed anche un miscelatore… una specie di piccolo vaso da notte con cui prendere un po’ di acqua calda e po’ di quella fredda per versarseli in testa. Ceniamo insieme a P & E e poi li salutiamo in quanto il nostro itinerario prevede il raggiungimento in tempi strettamente tecnici di Tana ( dopo un’altra notte a Antsirabe ) per imbarcarci per il volo di ritorno, mentre loro hanno ancora alcune mete tra cui il parco di Ranomafana ( che noi abbiamo fatto all’andata). Gli ultimi km servono giusto per riflettere un pò e fare un bilancio a caldo : una esperienza interessantissima che ci ha permesso di scoprire un modo di vivere assolutamente impossibile da immaginare ( e pensiamo che a molti adolescenti con in testa il nuovo modello di tablet o di scarpe da ginnastica farebbe bene vivere esperienze del genere), che ci ha permesso di stupirci per il degrado in cui vivono i malgasci (soprattutto fuori dalle grandi città) ma anche per la serenità e la fierezza con cui perpetrano le loro usanze ed affrontano la quotidianità, per la possibilità che abbiamo avuto di ammirare i lemuri nel loro ambiente, le balene a dieci metri di distanza, i camaleonti e tutta la stupenda natura di questo meraviglioso travagliato paese… compresa la costante, inspiegabile presenza di uomini in cammino lungo il bordo delle strade.

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colpo di coda della balena

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baobab a bottiglia

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isola di reunion

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malgascio con lamba 1

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mercatino improvvisato

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Malgascio con lamba

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in spiaggia

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lemure indri nella foresta

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..senza parole

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vita di paese

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lemure dalla coda ad anelli

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camaleonte



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