Un mese tra mosca e san pietroburgo

LA FASCINOSA TERRA DEGLI ZAR Ma dove vado? In Russia?! Da studentessa di lingua russa, prima o poi dovevo farlo! Allora parto, per un mese, piena di pacchi e pacchettini, ma non i miei, di un’altra persona, una russa che approfittando del mio volo, vorrebbe fare assaggiare a sua madre il parmigiano italiano, la pasta italiana, il vino...
Scritto da: farefagotto
un mese tra mosca e san pietroburgo
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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LA FASCINOSA TERRA DEGLI ZAR Ma dove vado? In Russia?! Da studentessa di lingua russa, prima o poi dovevo farlo! Allora parto, per un mese, piena di pacchi e pacchettini, ma non i miei, di un’altra persona, una russa che approfittando del mio volo, vorrebbe fare assaggiare a sua madre il parmigiano italiano, la pasta italiana, il vino italiano… E così mi faccio tutto questo viaggio con lo spazio già stretto fra il sedile e il finestrino completamente dimezzato! Arrivo, è notte, la famiglia che ha deciso di ospitarmi (dietro lauto compenso) è all’aeroporto e tutti i componenti, mamma, babbo, figlia, alla mia vista iniziano a parlare. Allora si che è veramente buio! Cinese, arabo, croato, non so ma questo non è russo; per lo meno non è quel russo lento e rassicurante, che avevo finora sentito dai cd: “Il russo per Italiani! “Menja savut Silvia” è tutto quello che riesco a dire. E se nei precedenti viaggi all’estero sapevo che quando non si capiscono le domande che ti vengono rivolte l’importante è sorridere, beh qui non ne avevo nemmeno la forza.

Saliti in macchina vedo solo luci e neon, ma non focalizzo nulla. Finalmente a casa, ma non è finita: qui c’è anche una nonna e…Giù anche lei a fare domande! Poi sola, nel mio nuovo letto, abbandonata nel mio cantuccio, la tristezza ha avuto terreno fertile: “Aiuto! Voglio tornare a casa!”.

Il mattino dopo è sole, luce, è ora di fare colazione: semolino (dicesi kasca), succo di mela, frutta e peperoni crudi (questa è la tradizionale colazione russa!). Tutti chiacchierano e come in una Torre di Babele non c’è una persona che parla la mia lingua, o almeno una vicina ad essa. Mi sarei accontentata di un francese scarso o di uno spagnolo inventato! Primo giorno nella terra russa, primo giorno nella Piazza Rossa. Sì, tutto bello, la facciata del Kremlino, la Chiesa di San Basilio, ma è domenica e la domenica è già triste di per sé, figuriamoci in questa terra lontana e desolata. Il giorno dopo, tutti (tranne la nonna) vanno a lavorare. Un tratto di metropolitana insieme, una fermata in una stazione sconosciuta, le porte si aprono, pakà, pakà e d’un tratto sono sola a Mosca! Con un pezzetto di carta con l’indirizzo di casa in una mano e le chiavi nell’altra. Mi fermo in una piazzetta, mi siedo su un muretto e con la testa fra le mani ripercorro a ritroso tutti i miei buoni propositi: “Sì, in una casa famiglia è meglio, in un collegio per studenti stranieri non imparerei nulla della lingua, non resisterei alla tentazione di parlare con gli immancabili italiani, e poi così entro in diretto contatto con usi e costumi russi…” E così mi scrollo di dosso quella fatalistica sensazione di spaesamento, compro una mappa della città e mi creo dei piccoli obiettivi. Ed ecco, tutti lì, a portata di mano: il museo di Majakovskij, la casa di Gorkij, la Tretjakovskaja Galleria, e intanto il cervello sgrana, come un rosario, parole russe. Non so dove le peschi, ma piano piano vengono fuori e anche la tanto detestata grammatica russa, qui acquista una sua precisa funzione. Riesco a comunicare! Così i giorni passano, ma non gli sguardi strani e incuriositi della gente che vede questa piccola straniera passare tutti i giorni per le strade del quartiere Sokol, comprare frutta e verdura ai bordi delle strade, pagare in rubli e bucare con un chiodo (dicesi obliterazione o convalida) il biglietto dell’autobus proprio come i veri russi. Poi, con un nuovo umore e una nuova predisposizione ritorno sulla Piazza Rossa e noto (è difficile non notarlo…Eppure il primo giorno…)l’esterno del Mausoleo di Lenin – una costruzione di granito rosa – e decido di entrare. Ma non è cosa semplice. Le macchine fotografiche vanno depositate in apposite buste (somiglianti ai sacchi neri della nostra spazzatura) che saranno debitamente sorvegliate dai funzionari dello Stato (ovvero due vecchietti che cercano di arrotondare lo stipendio). Poi segue una minuziosa perquisizione.

Fuori il sole è accecante, entro e il buio è totale, l’aria è greve, solenne. Percorro tesa e impaurita un corridoio semi-discendente, ad ogni angolo una guardia, ad ogni angolo un colpo al cuore; fino a quando non giungo nella Sala dove, custodito in una bara di cristallo, giace il corpo di Lenin. Uno sguardo veloce, importante, in cui vorresti che quell’immagine s’imprimesse per sempre nella memoria, e via. Una guardia, vigile e attenta, fa segno che devo muovermi, passare oltre e uscire, non si può mica sostare davanti alla Rivoluzione! Dopo due settimane a Mosca faccio i bagagli e parto per Pietroburgo. Sul treno incontro una chiassosa scolaresca italiana in vacanza e, se solo una settimana prima avrei pregato per sentire un qualche suono italiano, ora passo oltre e snobbisticamente cerco posto fra i russi, perché ora: Ja gavarju pa russkij! Alla stazione la mia nuova famiglia mi aspetta: si tratta di due distinti signori (marito e moglie in pensione). Mi bastano pochi passi per accorgermi che l’uomo è afflitto da un brutto male: la logorrea. E non solo è logorroico, ma anche fissato con la storia romana, gli imperatori, Giulio Cesare, poi la geografia di Roma, i Colli, il Tevere e come se non bastasse (arrivata a casa) vedo che ha il poster di Adriano Celentano e Claudia Mori. Io cerco di spiegargli che sì, sono italiana, ma che abito un po’ più a nord di Roma e che purtroppo non mi sono mai particolarmente interessata allo studio della storia romana e tanto meno alla vita di Celentano. Ma lui non riesce a farsene una ragione e via con le domande… Qui, nella “città più astratta e premeditata di tutto il globo terrestre”, come scrisse Dostoevskij, si respira un’aria diversa. In questa città costruita con grande rigore da Pietro il Grande, dove tutto è un intrico di ponti e canali, si ha la sensazione di perdersi. È un perdersi vago e aleatorio, aurorale. E così passeggio per il più grande punto di riferimento, la Prospettiva Nevskij. Mi fermo a guardare lo scorrere della Neva e decido di entrare all’Ermitaje. Qui, per avere lo sconto bisogna mostrare il tesserino da studenti. Dico che sono italiana, che sono una studentessa e che se non lo fossi molto probabilmente non riuscirei a spiccicare nemmeno queste poche parole, ma che la nostra università non dota gli studenti di un tesserino di riconoscimento. La signorina allo sportello risponde che anche gli studenti africani ce l’hanno. Quindi pago il prezzo intero ed entro. L’interno è un trionfo d’arte: Leonardo, Caravaggio, Raffaello, e statue di imperatori romani…..

Trascorro numerose serate a teatro, passando per una vasta gamma di rappresentazioni, dalla prosa alla lirica, da “La dama di picche” di Puskin a l’ “Aida” di Verdi, perché qui, magari i pensionati prendono ventiquattro dollari di pensione (più o meno), magari avvicinarsi ai banconi della carne e del pesce è proibitivo, ma la cultura è veramente fruibile da tutti. Dopo giorni di convivenza i due pietroburghesi si sono affezionati e mi fanno fare un ritratto dai più conosciuti ritrattisti della città. Non ancora soddisfatti mi regalano una corteccia di betulla intagliata con l’immagine di Pietro il Grande a cavallo e poi si continua tutto il giorno in cerca di souvenir: matrioske, effigi del regime sovietico, vodka, caviale fino a quando – dimagrita e culturalmente arricchita – non torno a casa piena di pacchi e pacchettini per la mia mamma.

Silvia Argentati



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