Un continente tutto da scoprire
In ogni modo, da brava viaggiatrice, incomincio a documentarmi circa otto mesi prima del viaggio, e dopo aver letto guide su guide, visitato numerosi siti internet, stilo un itinerario di massima che sottopongo al giudizio di mio marito. Con la sua entusiastica approvazione ci rivolgiamo alla nostra agenzia di fiducia che in breve tempo ci fa avere un preventivo dei voli+pernottamenti.
Il viaggio è finalmente programmato e il 22 Agosto 2002 il sogno diventa realtà.
Arriviamo a Sydney dopo circa 26 ore dalla nostra partenza da Malpensa (avendo fatto scalo a Francoforte e Singapore). La prima sensazione che ho uscendo dall’aeroporto è particolare: siamo dall’altra parte del mondo, in una metropoli che apparentemente sembra una città europea, accendo il cellulare e in pochi minuti invio un SMS ai miei genitori e ne ricevo subito risposta, mi chiedo: “ma sono veramente a Sydney? “ Ben presto mi accorgo che Sydney è sì una metropoli, ma con caratteristiche completamente diverse dalle nostre città: il traffico non è caotico, la gente non è presa da quella spasmodica fretta che possiamo vedere a Milano nelle ore di punta nelle stazioni della metro. E’ come se gli Europei, colonizzando questo nuovo continente abbiano fatto tesoro degli errori commessi e abbiano deciso di creare un mondo nuovo, con città a misura d’uomo dove il verde è onnipresente e la qualità della vita è messa al primo posto.
Sono sempre più affascinata dall’Australia e con curiosità ed entusiasmo mi accingo a visitare Sydney; iniziamo con il simbolo della città l’Opera House: è veramente uno spettacolo e passiamo l’intero pomeriggio nel parco adiacente godendoci il panorama sulla baia ed osservando la varietà di colori che l’Opera assume con l’avvicinarsi del tramonto. Il giorno seguente proseguiamo con il classico giro in battello nella baia, con la visita dell’acquario e di Darling Harbour. Quest’ultima di notte è veramente affascinante con i suoi localini che propongono ogni tipo di cucina e divertimento.
L’ultimo giorno a Sydney lo passiamo all’insegna dell’avventura: decidiamo di scalare il famoso ponte di Sydney. Si tratta di un’esperienza veramente unica, che consiglio vivamente a tutti coloro che si accingono a visitare questa città. Inizialmente avevo un po’ paura, visto dal basso il ponte è veramente imponente, ma quando sono entrata nell’ufficio informazioni ho subito cambiato idea: in un’enorme bacheca sono appese fotografie di personaggi illustri e non che hanno effettuato la scalata, tra cui un’arzilla vecchietta, perciò mi sono detta “ce la posso fare”.
Devo dire che l’attrazione è gestita benissimo, la scalata è solo una parte del divertimento: si viene divisi in gruppetti di una decina di persone a cui è assegnato un istruttore che ci fornisce tutto l’abbigliamento necessario e ci “istruisce” sul suo utilizzo sottoponendoci a prove pratiche con i diversi ostacoli che potremmo incontrare durante il percorso; il tutto condito con una buona dose d’umorismo e simpatia. Il panorama che si gode dal ponte è impagabile, e a meno che non si soffra di vertigini, la scalata non presenta alcuna difficoltà.
Il giorno seguente a malincuore dobbiamo lasciare Sydney, ma il mio pensiero è già rivolto alla prossima meta: “L’Isola dei Canguri”.
Si tratta di un’isola situata a Sud dell’Australia che è stata trasformata in parco naturale, qui è possibile ammirare la tipica fauna australiana nel suo habitat naturale.
Adelaide era per noi solo uno scalo di passaggio, il nostro viaggio ha come obiettivo la scoperta della natura australiana, ma ancora una volta queste metropoli ci stupiscono. Il centro di Adelaide è letteralmente circondato dal verde: invece di tangenziali, raccordi e quant’altro solo parchi e campi da golf pubblici! Adelaide è inoltre il centro culturale dell’Australia, numerose sono le chiese e palazzi di epoca coloniale, i musei, i teatri che assieme ai due campus universitari ne fanno una città giovane e piena di vita. Passata la notte a Adelaide ci accingiamo a partire per l’Isola dei Canguri: il volo è da brivido su un piccolo aereo a 10 posti, ma ne vale la pena. Appena arrivati la nostra guida, un ranger, ci viene a prendere con il suo fuoristrada ed inizia la scoperta della natura di questo straordinario continente: visitiamo una colonia di leoni marini intenti a scaldarsi sulla spiaggia dopo lunghe giornate passate in mare alla ricerca di cibo, un cucciolo, che non ha voglia di riposarsi, si diverte a fare surf sulle lunghe onde dell’oceano, poi, finalmente, scorgiamo i primi marsupiali, sono dei Wallaby, molto simili ai canguri, ma di dimensioni ridotte. Dopo un ottimo picnic a base di prodotti tipici australiani andiamo alla ricerca dei Koala, è un‘emozione unica scorgere tra i rami di eucalipto una femmina che nella sua tasca tiene il proprio cucciolo e cerca di ripararlo dal forte vento. Più tardi riusciamo anche ad avvicinare i primi gruppi di canguri che placidamente se ne vanno al pascolo.
La sera, completamente appagati di tutte le straordinarie emozioni vissute, ci rifugiamo in un bed & breakfast in puro stile anglosassone. La serata scorre in allegria in compagnia di una famiglia italiana, ma l’Isola dei Canguri ha ancora una sorpresa in serbo per noi: scopriamo che all’imbrunire, sulla spiaggia sottostante il paese, è possibile ammirare una colonia di pinguini che ritorna alle proprie tane dopo una giornata di pesca; quindi, muniti di torce, ci appostiamo lungo la spiaggia e senza attendere troppo vediamo spuntare dall’acqua le prime sagome scure che goffamente iniziano la risalita verso i loro rifugi. Sono veramente buffi e teneri nella loro andatura barcollante, mi sento come ipnotizzata da questo spettacolo e nonostante il freddo pungente starei ore ed ore ad ammirarli. Al risveglio facciamo una passeggiata nel paesino: l’aria è frizzante e intrisa dell’odore salmastro proveniente dal mare, all’orizzonte le dolci colline verdeggianti battute dal vento contrastano con il mare scuro e minaccioso dove stormi di gabbiani si muovono alla ricerca di cibo. Il paesaggio mi è molto familiare, mi ricorda la Scozia, ed ancora una volta questo continente non mi sembra poi tanto lontano.
La tappa successiva è Ayers Rock, il simbolo dell’Australia e cuore della cultura aborigena.
A Sydney avevamo già incontrato alcuni aborigeni che sulle piazze intrattenevano i turisti con le loro danze al suono del loro strumento per eccellenza, il didgeridoo, tutto ciò mi era sembrato molto umiliante e degradante: mettere in piazza per pochi soldi una cultura come una semplice attrazione turistica; per cui avevo iniziato a informarmi sulle loro attuali condizioni di vita e integrazione all’interno della comunità australiana. Il quadro che ne veniva fuori era molto triste e desolante: ancora una volta la sete di conquista e di civilizzazione dell’uomo bianco aveva portato all’emarginazione, per “fortuna” in questo caso non allo sterminio, delle popolazioni dominate. Forse per il ritardo nella colonizzazione di queste terre, sembra che non tutto sia irrimediabilmente perduto: gli aborigeni sono, per lo meno nominalmente, ridiventati proprietari delle loro terre, anche se economicamente sono sempre i bianchi a sfruttarle, ma il movimento ed interesse intorno alla cultura aborigena è forte e le iniziative per preservarla e farla conoscere a “noi civilizzati” sono molteplici e non tutte di natura prettamente economico-turistica.
Chiusa questa brevissima parentesi sulla cultura aborigena, ritorniamo al nostro viaggio; eccoci finalmente nel cuore di questo paese, e non solo metaforicamente. Già dall’aereo c’eravamo resi conto che come ci si allontana di qualche centinaio di chilometri dalla costa il paesaggio si uniforma: tutto è pianeggiante, un’immensa distesa rossa che fa da sfondo a ciuffi verdi di vegetazione che diventano gialli nelle zone più aride, ma sanno anche inaspettatamente acquistare colori decisi come il viola, il rosso e il blu durante il periodo di fioritura. Quest’immensa tavolozza di colori non è nient’altro che l’Outback Australiano, ma la meraviglia accresce quando all’improvviso ti trovi davanti l’imponente sagoma dell’Uluru il gigantesco monolito. La sacralità di questo luogo si respira in ogni angolo: le sfumature cangianti che questa pietra acquista per effetto del sole e della pioggia, le sagome che il tempo ha modellato, le leggende aborigene che narrano della creazione, danno vita a questa pietra e la ricoprono di fascino e misticismo.
Mi sembra che per il momento l’organizzazione economico-commerciale rispetti la sacralità del luogo, anche se il turismo è in espansione. Esiste un unico mega-resort dove si possono trovare sistemazioni per tutti i gusti e tutte le tasche: dal campeggio all’hotel a quattro stelle.
Noi preferiamo per una soluzione in tipico stile Outback, e la sera ci divertiamo ad improvvisare un barbecue con carni australiane tra cui canguro, emu e coccodrillo (no comment!).
Il giorno seguente partiamo alla volta di Kings Canyon per una splendida passeggiata tra pareti alte più di 100 metri. I paesaggi sono mozzafiato, i colori intensi, inaspettatamente la vegetazione è molto ricca, le piogge danno anche vita a specchi d’acqua che incastonati tra queste rocce, creano angoli di rara bellezza. Ma la cosa che più mi colpisce è il senso d’infinito e maestosità che si percepisce da queste alture: dovunque si rivolga lo sguardo solo immense distese, nessuna traccia d’insediamenti umani.
La sera ci riproviamo con il barbecue, ma questa volta preferiamo una succulenta bistecca di manzo! L’ultima tappa, ahimè, del nostro viaggio è Perth e la costa Occidentale.
Perth si conferma come una metropoli a misura d’uomo: affittiamo una macchina in pieno centro e con l’handicap della guida a sinistra non abbiamo alcun problema a lasciare la città.
Il nostro itinerario prevede di spostarci verso nord, seguendo la costa, fino ad arrivare alla splendida Monkey Mia, la baia dove ogni mattina un gruppo di delfini si presenta a riva alla ricerca di cibo gentilmente offerto dai benevoli turisti.
Entrati nell’Outback il traffico diventa immediatamente inesistente, infatti, è consuetudine salutare ogni qualvolta s’incrocia un altro veicolo (non si sa mai quando si rincontrerà qualcuno!). Le strade sono dritte e larghe, lo spazio non manca di certo, l’unico ‘movimento’ è dato da dossi che spesso s’incontrano lungo il percorso, particolari sono anche i tir a tre o quattro rimorchi: non corrono certo il pericolo di imbattersi in una curva a gomito o non aver abbastanza spazio per parcheggiare! Un’altra cosa che mi ha colpito sono le stazioni di benzina: si percorrono centinaia di chilometri senza incontrare alcun segno di presenza umana e poi tutto ad un tratto ti imbatti in queste stazioni dove puoi rifocillarti, magari dormire e volendo leggerti la tua posta su internet, e poi per altre centinaia di chilometri il nulla; mi chiedo che razza di vita conducono coloro che gestiscono queste attività? Penso che sia un po’ come vivere in un isola deserta… Comunque, ritornando al nostro viaggio, la prima tappa che effettuiamo è il Deserto dei Pinnacoli, si tratta di una distesa di dune sabbiose da cui affiorano pilastri calcarei dalle forme più improponibili, sarà la giornata che minaccia pioggia, ma contrasto tra il cielo cupo e la sabbia dorata infonde un non so ché di lunare a questo paesaggio.
La tappa successiva è Shell Beach, che, come dice il nome, è una spiaggia di minuscole conchigliette. Come sempre è bene porre l’accento sulle dimensioni: la spiaggia è talmente larga che all’inizio fai fatica a capire dove inizia il mare, ciò è anche dovuto al colore trasparente delle acque e alla completa assenza di moto ondoso, inoltre la baia è anche molto lunga e al nostro arrivo c’era solo un altro gruppo di persone centinaia di metri più avanti; se penso alle nostre minuscole spiagge tappezzate di gente a ferragosto! Finalmente arriviamo a Monkey Mia, proprio sulla spiaggia dei delfini sorge l’unico resort con graziosi bungalow che si affacciano sul mare. Siamo a settembre, fine inverno per l’Australia, ma il sole è comunque caldo e speriamo di passare due giornate di relax prima di iniziare il nostro rientro verso l’Italia. La sera non c’è molto da fare, dopo una cena all’unico ristorante non esiste neanche il diversivo della televisione, ma noi siamo così stanchi che neanche ci pesa. Il mattino seguente, alle otto, siamo già in attesa del primo passaggio dei delfini. La zona è naturalmente un parco marino e il contatto coi delfini è vigilato dai rangers; i delfini sono assolutamente liberi e da alcuni decenni hanno iniziato queste visite mattutine a pochi metri dalla costa, ora il gruppo è costituito da una decina d’esemplari, alcuni di essi figli dei primi visitatori, sono quasi tutte femmine e ben presto si avrà una terza generazione poiché Niki, la star del gruppo, è in dolce attesa.
Nel pomeriggio ne approfittiamo per fare un giro in catamarano, hanno detto che in queste acque è possibile, se si è fortunati, incontrare alcuni esemplari di dugonghi, una specie di cetacei dalla fisionomia molto buffa, ma molto schivi ed abituati a vivere sui fondali giacché si nutrono d’erba marina. L’equipaggio è molto simpatico e ci rende partecipe delle varie attività a bordo, la giornata scorre in allegria, dopo aver incontrato vari gruppi di delfini, ci imbattiamo in una tartaruga. Quando sembra oramai impossibile, ecco l’incontro con un esemplare di dugongo che incurante della nostra curiosità, dopo aver preso un po’ d’aria si immerge in profondità alla ricerca di cibo; niente a che fare con la smania di protagonismo di Niki e delle sue compagne! E’ oramai tempo di ripensare al rientro, ma ci concediamo ancora una sosta nel Parco nazionale del Kalbarri, per imprimere una volta di più la maestosità di questa natura nelle nostre menti. Qui è possibile ammirare la cosiddetta Nature’s Window, una celebrazione che la natura fa di se stessa: un arco roccioso modellato dal vento sembra essere stato creato appositamente per incorniciare il panorama mozzafiato sottostante ed indicare all’uomo guarda cosa sono capace di creare: il fiume con le sue acque blu cobalto da secoli, con la sua opera d’erosione, modella la roccia come uno scultore alla ricerca della forma perfetta.
Ma un’ultima emozione ancora ci attende, lungo il nostro rientro verso Perth, facciamo alcune soste per ammirare il paesaggio costiero, in una di queste un signore ci corre incontro urlando qualcosa; visto il nostro inglese piuttosto rudimentale subito non capiamo, ma il signore continua ad indicarci un punto preciso del mare e dopo alcuni attimi tutto ci è chiaro: un enorme spruzzo seguito dall’emergere di una grossa sagoma nera ci fa capire che quella è una balena, una piacevole sorpresa che per un attimo cancella la malinconia che ci sta assalendo. Purtroppo il nostro viaggio è arrivato al termine e mai come questa volta il desiderio di non partire è forte, ma il lavoro e la nostra vita quotidiana ci attendono.
Con questi miei appunti spero di aver insinuato in alcuni di voi il desiderio di visitare questi meravigliosi territori, a me è bastato rileggerli per riaccendere la voglia di partire, perché questo per me è stato un arrivederci e non un addio. NB: un grazie a mio marito, mio compagno di viaggio e di vita.