“Tuttun’altra Troia”

Da Taranto al Gargano, passando per la Valle d'Itria, Bari, Castel del Monte, Canne e concludere con Troia
Scritto da: Gerardo Guida
tuttun'altra troia
Partenza il: 19/08/2012
Ritorno il: 25/08/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
*Se il titolo ti incuriosisce, nel testo troverai la risposta

19 Agosto 2012, Domenica

La nostra piccola odissea estiva comincia da Lagonegro (dove abbiamo trascorso una prima settimana di relax), direzione della prima meta, la città di Efesto: Taranto.

Il posto in cui sorge la città è bellissimo: un grande bacino interno (Mare Piccolo) e un bacino ancora più esteso (Mare Grande), separati da uno stretto istmo. Proprio lì i Greci fondarono la città, un comodo porto naturale, ambito sempre da tanti. Dopo varie trafile storiche, ai giorni nostri la città è preda di un enorme porto commerciale, di un porto e arsenale militare (corazzate, sommergibili…), di una raffineria di petrolio con le sue sbuffanti torri di raffinazione e infine della sede attuale dell’uomo delle vecchie 50 lire, la gigantesca acciaieria dell’Ilva. Superata la cortina di mefitica arriviamo alla città vecchia (l’ex acropoli greca) separata dal Borgo Antico (città romana con decumani e cardi) dal canale (artificiale) dei Due Mari, ma unite dal ponte girevole. Posteggiato nel quartiere Borgo Antico (oggi formato da abitazioni tutte dalle facciate Ottocentesche), chiediamo suggerimenti su cosa vedere in città al chioschetto informativo. Una volontaria sciorina la cantilena delle cose da non perdere e tira fuori un libretto con le immagini della città. Con gesto attento e studiato lo apre delicatamente alla metà, dove ci sono le spille, armeggia con il ripiegato paginone centrale e con colpo di teatro, sicura di impressionare il suo pubblico, spiega in modo secco tutto il foglio. Compare una foto panoramica, larghissima, dell’altare iperpolicromo della Cattedrale San Cataldo. Con orgoglio si gira verso di noi e pare che dica: “e scusate se è poco”. In effetti è un altare circondato da un abside completamente rivestito di marmi e statue, molto barocco, pure troppo. Ad ogni modo ringraziamo, salutiamo ma cominciamo col Museo Archeologico di Taranto, attirati dall’aver letto che è il più grande museo della Magna Grecia. Di magno è magno. E’ un palazzo di almeno 3 piani, nuovissimo. Dotato di tutto il necessario di un museo che si rispetti, compreso le custodi con la Settimana Enigmistica. Peccato che è riempita solo una metà di un solo piano…. Comunque ospita dei bellissimi oggetti della città greca e altri manufatti del periodo romano (statue e dei bei mosaici) tutti trovati nella città. A differenza di altri musei (come quello di Policoro/Heraclea, molto ben fatto pur essendo piccolissimo) non è molto didattico, non racconta la storia della città, la sua vita etc. Diciamo che c’è spazio per lavorare. Tra i vari reperti del museo siamo stati colpiti da un bellissimo orecchino a forma di navicella, ma soprattutto da un superbo ed elegantissimo schiaccianoci Lasciato il museo, riattraversiamo il ponte girevole per tornare alla parte vecchia. Gustando un calippo ghiacciato scattiamo qualche foto a due possenti colonne doriche, piantate di lato al palazzo comunale. Queste colonne erano inglobate in un vecchio palazzo ed in una chiesa. Negli anni ’70 è stato demolito il palazzo per liberarle e farle rivivere.

Decidiamo di saltare la Cattedrale tanto coreograficamente presentata, per visitare il Castelllo Aragonese. Il comando generale dello Ionio e del canale di Otranto della Marina lo occupa come sua sede (di rappresentaza) ma lo fa visitare al pubblico, gratuitamente, come più volte ci viene ricordato dalla guida. Molto affabile, vestita di bianco dalla punta delle scarpe al cappello, il nostro accompagnatore ha un tono gentile da mètre di grand hotel. Ci accompagna per le sale del castello commentando i vari punti con delle battute dall’aria un po’ stantia (si vede che con riflesso pavloviano ripete sempre le stesse cose appena arriva negli stessi angoli) Il castello è posto a difesa della città vecchia e del porto. Costruito dai Bizantini, è stato trasformato dagli Svevi dotandolo di alte e strette torri (così come in altri castelli Svevi). Giunto in mano Aragonese, essendo cambiate le tecnologie (la polvere da sparo), non andava più bene una difesa “a caduta” (cioè lanciare dall’alto pietre contro il nemico assediante) ma dovendosi difendere dalle bombe, le torri sono state abbassate e “ingrassate”. I muri sono diventati circolari e spessi fino ad 8 metri. Con l’arrivo degli “spagnoli” (così come diceva la guida, malgrado gli aragonesi fossero anch’essi spagnoli) le torri furono riempite di terra per poter sopportare il peso dei nuovi e più pesanti cannoni. Negli anni 2000 sono cominciati i lavori di restauro. Hanno asportato l’intonaco alle pareti per riportate a facciavista il tufo, e archeologicamente hanno scavato nelle torri scoprendo tunnel, cunicoli, sale (oggi visitabili in un labirinto degno di Escher) e hanno trovato moltissimi resti, tra cui monete romane di tutti i tagli e di tutte le epoche.

Ci dirigiamo verso la nuova meta: Martina Franca. La cittadina è molto carina. Merito dell’ora più calda della giornata, per le strade lastricate non troviamo quasi nessuno. Ci fermiamo a mangiare il nostro primo pasto pugliese e lo troviamo ottimo (“Al dolce morso”). Ci servono una lunga ed ottima serie di antipasti mare/terra, tanto abbondante che le orecchiette pomodoro e ricotta salata non riesco a finirle. Con la pancia piena, alle due di un pomeriggio caldo e assolato visitiamo l’esterno della Basilica di San Martino con la sua bella facciata. Le stradine bianche, il palazzo Comunale e la porta di accesso alla città. Esausti raggiungiamo il nostro B&B Masseria Piccola attraversando il bel paesaggio della valle d’Itria, punteggiato da trulli. Ed è proprio in un trullo che siamo ospitati. Il nostro è stato appena terminato, il padrone ne è molto orgoglioso quando ce lo presenta: “è un bel trulletto, no?” ci chiede fregandosi le mani. E’ molto carino, nuovissimo con un bel giardino curato intorno.

Riprendiamo i nostri giri andando a visitare Ostuni. Una bella cittadina costruita su un cucuzzolo, con una bella cattedrale che non possiamo visitare per via della messa. A differenza di Martina Franca, visitata ad una ora improponibile, ad Ostuni, nel tardo pomeriggio troviamo una folla di turisti, tutti i negozietti di chincaglierie cinesi aperti e i ristoranti con i buttadentro al lavoro.

Per la cena andiamo alla consigliata Cisternino. Un’altra bella cittadina della valle d’Itria, famosa per i “fornelli”. Si tratta di macellerie, aperte fino a tardi, che vendono carne semplice o preparata (involtini, bombette, gnummarieddi etc) che il cliente compra e che vengono cotti seduta stante. L’aria dei bei vicoli è satura del bell’odore di barbecue, una delizia per il nostro olfatto, ma certamente un inferno per i vegetariani. Visto che il nostro pranzo è stato pesantissimo, non approfittiamo degli invitanti assaggi e ci limitiamo ad un frullato in un locale arredato in stile Jazz americano (un po’ lontano dallo stile del resto, ma carino) Ritorniamo alla macchina, faticosamente parcheggiata visto l’affollamento, e finalmente si dorme.

20 Agosto 2012, Lunedì

Al risveglio la colazione del trullo è molto piacevole, un bel piatto di frutta fresca e di fichi freschi, da gustare sotto un ombreggiato pergolato. Nicola, il proprietario orgoglioso del trullo, è molto gentile, anzi direi un po’ teso. Sembra che sia alle prime armi ed è molto premuroso. La nostra prossima tappa è Torre Guaceto: una riserva naturale. Lasciata la macchina al parcheggione sterrato, una navetta (il trenino dei bambini, in realtà) ci porta più vicino alla torre, cuore della riserva marina integrale (non ci si può fare il bagno). Dopo aver camminato un po’ si arriva alla costa rocciosa, man mano che ci si avvicina alla torre si trovano alcune spiaggette. Ci sistemiamo sull’ultima prima dell’inizio della parte più integrale della riserva. L’acqua è molto bella malgrado il vento agiti il mare. E’ piena di pesci colorati che riusciamo a distingure Donzelle, Salpe, Saraghi e Occhiate (in foto). Ecco la flora ittica (simile a quella visibile a Maratea).

Il piano prevedeva di sostare mezza giornata per poi visitare Alberobello e gli scavi di Egnazia, ma la pigrizia ha avuto facile vita con noi e ci siamo lasciati andare al riposo. Con una breve passeggiata siamo andati a vedere la torre da vicino. Posta sul basso promontorio, domina la vista sulla grande baia, riserva integrale. A piedi costeggiamo la riva. A differenza del lato balneabile, l’acqua è calmissima, ma il bagnasciuga è pieno di alghe (poseidonia oceanica) morte e puzzolenti. Qua e la ci sono dei rifiuti, evidentemente portati dal mare, ma che nessuno sgombera. L’acqua è anche un po’ scuretta. Sarà perchè non circola molto? Ad ogni modo, da questo lato, non viene voglia di infrangere il divieto di balneazione.

Raccolti i cuoppoli, procediamo verso nord alla ricerca di altre spiagge. Ci fermiamo poco oltre Torre Canne, in un punto qualsiasi. La costa è piena di scogli, ma ci sono punti in cui c’è della sabbia ed è possibile entrare in mare più o meno comodamente. L’acqua è pulita, ma in superficie c’è la fioritura di alghe marroni galleggianti (forse Ostreopsis Ovata?), che emanano un odore un po’ forte… Facciamo un rapido bagno e poi ci asciughiamo al sole. Per la cena raggiungiamo Savelletri, un porto con una cittadina attorno, nel comune di Fasano. Sul lungo mare incontriamo anche qua una serie di “fornelli”, ma stavolta di pesce. La Puglia sembra un grande ristorante. Ogni paese ha la sua ottima specialità culinaria che prepara e vende in piazza. Il ristorante Da Renzina, ci è stato suggerito da Antonio (che incontreremo domani). E’ proprio sul mare ed abbiamo mangiato benissimo. A notte fatta arriviamo all’hotel di Polignano a Mare. Prima che sia troppo tardi andiamo a fare un giretto per la città. Bellissima. E’ piazzata proprio su degli speroni di roccia a picco sul mare, ha dei bellissimi balconi che si affacciano sull’acqua. Manco a dirlo è pienissima di turisti, negozi e ristoranti. Malgrado ciò è un piacere visitarla e scoprire i suoi scorci pittoreschi.

21 Agosto 2012, Martedì

La colazione in hotel (che sarebbe a 4 stelle) lascia un po’ a desiderare. E’ abbondante, ma ci sono le solite marmellate, il cornetto scongelato, le fettine di gommoso emmenthal. Da Polignano ci dirigiamo a Bari dove ci aspetta Antonio. Con un po’ di difficoltà raggiungiamo l’appuntamento. Il navigatore (inaugurato per l’occasione) ci porta nella piazza della chiesa San Nicola e vorrebbe farci sfondare un paio di cancelli di ferro. Ci ritroviamo ai piedi del grande Castello Svevo, facciamo una lunga passeggiata per il quartiere Murattiano, presso i vari teatri della città, la via dello struscio, fino alla rotonda del lungomare. Poi torniamo nella Bari vecchia, ben recuperata negli ultimi anni, dove si trova in nostro B&B L’abbazia degli Svevi. E’ stato appena recuperato, molto bene, la doccia ha persino i getti dell’idromassaggio (che scopriremo essere inefficaci come quelli che ci sono a casa nostra). L’unico appunto è che si trova a pian terreno ed è un po’ umido. Pranziamo alle “Arpie” e poi andiamo a visitare Castel del Monte.

In una mezzoretta si arriva ai piedi della collina su cui sorge. Parcheggione (vuoto) e navetta che ci porta fino a su. Il castello è decisamente bello. Mentre facciamo la fila per il biglietto ci avvicina una guida volotaria che ci chiede se vogliamo accodarci al gruppo che sta per partire. E’ simpatica e ci accompagna nella vistita con molto trasporto e entusiasmo. Ci racconta della numerologia del castello misterioso. L’otto è il numero che ossessivamente si ripete nel castello. Il mistero sta nel fatto che non si sa bene perchè sia stato costruito. La nostra guida ci fa notare che non è un castello di difesa: manca il fossato, i merli, le feritoie ed altri dettagli, tra cui il fatto che è situato molto all’interno della regione, dietro una serie di altri castelli difensivi. Quindi deve essere stato costruito come simbolo ben visibile (e lo è) per far sentire la presenza dell’Imperatore svevo nelle sue terre. Mentre percorriamo le spoglie 16 stanze (2 per 8) la guida ci racconta della vita di Federico II, dei suoi rapporti con la chiesa e le crociate, e delle ipotesi sulla natura del castello. Al termine della visita dopo i saluti, c’è una piccola polemica di uno dei visitatori, offeso dalle parole della guida a proposito della chiesa medievale oscurantista, protesta vivacemente nel suo accento toscano accusando la guida di seminare scorretto anticlericalismo, specie nei bambini sempre presenti nelle visite. Lo vediamo andare via borbottando con la moglie che cerca di calmarlo. Dopo la visita al bel castello, andiamo a vedere la cattedrale di Ruvo di Puglia. Un bellissimo esempio di romanico pugliese. La facciata bianchissima ha un bellissimo portale ed è adornata da svariate figure si animali. In alto un bel rosone da luce alla chiesa.

Per rinfrescarci andiamo al primo bar aperto che troviamo nella piazza. Appena entrati nel bar Arcobaleno tutti e tre rimaniamo senza parole. L’eccentrico barista, ha riempito l’interno con migliaia di oggetti e centinaia di sue foto in cui si presenta con abbigliamenti sempre diversi. Le foto, così come delle massime scritte su rettangoli di carta, pendono fitte dal soffitto. Danno al bar l’aria dell’antro della Pizia. Ci serve le consumazioni calzando una colorata fascia per la fronte. In religioso e attonito silenzio usciamo a rivedere le stelle.

Da Ruvo andiamo a mangiare a Sammichele, una cittadina con dei “fornelli”, in una macelleria/ristorante consigliata da Antonio. La cena è ottima. La carne è tenera, gustosa. Il vino scelto dall’esperto Antonio è buonissimo. Ritorniamo nella città di San Nicola, breve passeggiata attorno alla chiesa del santo e poi salutiamo il nostro gentilissimo amico, augurandoci di rivederci presto.

22 Agosto 2012, Mercoledì

Dopo una silenziosa notte nel cuore del centro storico di Bari, facciamo colazione al bar. C’è un certo via vai di locali che nel loro forte e stretto dialetto barese commentano gli ultimi acquisti calcistici. Paseggiando tra le belle e intricate strade del centro storico, lastricate di pregiata “chianga bianca”, arriviamo a visitare la chiesa romanica di San Nicola. Nella cripta al suo interno si trovano i resti del santo trafugati da Mira (meta di un mio passato viaggio in Turchia). Il santo ha molta devozione in Russia, ci sono molte descrizioni in cirillico, tavole con icone dall’aria bizantina, e troviamo anche una fedele col capo coperto da fazzoletto che sembra pregare in maniera ortodossa. Mentre gironzoliamo sento delle signore pregare presso una delle statue del santo in dialetto barese. Fuori della chiesa, a lato della chiesa di San Gregorio, una iscrizione dorata riporta parole di devozione e firma di Vladimir Putin, in visita alla città nel 2003, in italiano e in russo.

E’ giunto il momento di dirigerci al Gargano. Da Bari proseguiamo verso nord sostando a Trani. La città ha costruito la sua cattedrale proprio sul mare. L’ubicazione è impressionante. La chiesa altissima (allungata in verticale ad un certo punto della sua storia per rivaleggiare con altre città) è dedicata a San Nicola (ma non quello di Bari, un’altro. Mai sia!). E’ in una magnifica posizione, circondata da vari antichi palazzi recententemente restaurati e dall’immancabile castello Svevo. Al suo interno, dotato di due distinte cripte, nei pressi dell’altare si trova un bel mosaico, in parte andato perduto, in cui si nota un Alessandro Magno, ed una rappresentazione di Adamo ed Eva.

Il tempo di mangiare un ottimo panino pomodoro e mozzarella preparato in salumeria nei pressi del porto e poi proseguiamo verso nord.

Sulla nostra cartina, nei pressi della vicina Barletta, è indicata la presenza dei ruderi di Canne della Battaglia. Decidiamo di fare una piccola deviazione per onorare la memoria del grande generale cartaginese: Annibale. Passando per la strada secondaria attraversiamo vigneti da cui pendono grappoloni di uva bianca o nera. Dopo poco giungiamo al sito archeologico. Al parcheggio troviamo solo una macchina (quella del custode). Nell’entrare al museo dell’assolata Canne, quasi mi brucio la mano sulla maniglia bollente. Il custode, risvegliato e sorpreso dalla presenza di persone, ci indica la strada da seguire per la visita.

Il sito si trova su una altura proprio sopra il fiume Ofanto. Davanti si stende la vasta pianura dove Annibale sconfisse duramente le legioni romane. La collinetta ospitava una cittadina romana, Canne, appunto, che funzionava da grande magazzino per il grano e i prodotti della terra locale. Dopo la battaglia ha continuato ad esistere e prosperare, salvo poi essere distrutta e abbandonata nel periodo normanno. Dopo secoli di oblio è tornata alla luce (si fa per dire). Si può percorrere il suo lungo decumano che porta ad una terrazza con vista sul teatro della battaglia (e sulla vecchia linea ferroviaria che serpeggia sotto il colle). Si trovano molti resti di colonne romane, rimesse in piedi col restauro, le stradine laterali (cardi) con le varie case, ed i resti del basamento di un castello medievale. La visita l’ho affrontata con coraggio da solo. All’una e mezzo, quando il sole picchia duro, protetto solo da un cappellino, ma non potevo non andare a vedere il celebre luogo dove il generale cartaginese, con la sua indiscussa abilità, riuscì a trasformare il campo della battaglia che nei piani dei consoli doveva spazzarlo via, in una vera e propria tonnara, dove perirono 60mila soldati sotto lo sguardo glaciale del raìs fenicio.

Appena un attimo prima di cominciare a bollire, ritorno nel museo, giusto un po’ più fresco dell’esterno. Vi si racconta principalmente della vita della città di Canne, attraverso i reperti trovati, ma molto poco sulla battaglia (solo una sala). Si vede che la sconfitta romana è una ferita ancora aperta, tanto più che nella ex-biglietteria (ormai non si paga più) campeggia un grande busto, stranamente privo dell’elmo, di Scipione l’Africano, che a Canne non c’era neanche stato… Il custode ci spiega che malgrado i 20mila turisti all’anno, il comune di Barletta ha deciso di togliere le due ragazze che ci lavoravano (e facevano da guida). Si lamenta che non c’è nessun punto ristoro, nessun bar. Nemmeno una bottiglia d’acqua fresca per gli assetati visitatori. Solo una fontanella da cui sgorga un po’ di acqua tiepida e dal brutto sapore. Nei locali che avrebbero dovuto ospitare il bar, tra fili elettrici volanti a cui è appesa qualche lampadina, c’è una sedia sdraio con cuscini, piazzata di fronte ad un vecchio televisore, dove il buzzatiano Drogo-custode aspetta i turisti.

Dalla rovente Canne della battaglia ritorniamo verso la costa, entriamo nella provincia di Foggia. Le colline delle Murge, piene di ulivi, fanno posto a sconfinate pianure seminate a grano. Strade drittissime portano a Margherita di Savoia. La litoranea corre tra il mare e la lunghissima salina. Una laguna in cui viene fatta evaporare al sole l’acqua salmastra e al termine estratto il sale. Scorgiamo in lontananza una bianca montagna, fatta del sale appena estratto e in lavorazione. Lungo il litorale incontriamo tanti accessi al mare dai nomi esotici (Ipanema, Malibù…), ma sono tutti privati. Solo nel comune di Zapponeta troviamo accesso libero. Diamo una occhiata e troviamo una sabbia finissima e nerissima. Un mare calmo, ma dal colore strano e pieno di grandi alghe verdi. Decisamente poco invitanti.

Proseguiamo verso Manfredonia, la porta sud del Gargano. La attraversiamo in macchina, passiamo sul lungomare, sfiorando il Castello, costruito dagli svevi e poi riadattato dagli aragonesi che lo hanno reso come per Taranto, più tondeggiante. La litoranea tra Mattinata e Vieste è molto panoramica. Si scorge spuntare dall’acqua blu, il biancore delle pareti calcaree a picco sul mare. Ci fermiamo nei pressi di Pugno Chiuso, un complesso fatto costruire da Enrico Mattei, oggi tutto privato, esattamente nella spiaggetta della Pergola. Molto piccola (circa 20 metri) ma carina.

Lungo la strada ci fermiamo per qualche scatto al famosissimo Archetto, dalla torre di guardia sul promontorio. Arriviamo finalmente a Vieste. Subito cerchiamo di trovare il B&B Shanti che ci ospiterà per i prossimi tre giorni. Dopo esserci persi un paio di volte, arriviamo alla struttura. Si trova a 6 km da Vieste, in campagna tra gli ulivi. La nostra camera è una mansarda (quante testate!) Tutto nuovo e ben arredato. Chi ci accoglie è Giancarlo, molto gentile, e con il suo esotico accento milanese ci suggerisce quali spiagge vedere, dove parcheggiare, mangiare etc. Seguiamo il suo suggerimento e ceniamo ottimamente alla Osteria del Duomo. La città non la visitiamo, c’è un grande affollamento di turisti, prima il corri corri e la calca per parcheggiare (tutto a pagamento) poi la ressa per mangiare. Fortunamente arriviamo presto (le sette e mezza) e ci danno un tavolo con l’impegno di lasciarlo libero per le nove. La cena è ottima, i piatti sono originali anche se hanno i soliti nomi fantasiosi da pranzo matrimoniale: “al profumo di”, “su guanciale di”, “alle erbe di campagna”, che sanno un po’ di falso.

23 Agosto 2012, Giovedì

Dopo la colazione, ben illustrata dal chiacchierone Giancarlo, ci facciamo fare dei panini e cerchiamo di andare alla spiaggia di Portogreco, verso Mattinata. Pur avendo a disposizione un librettino di tutte le 65 spiagge del Gargano, e le rispettive coordinate geografiche, non la troviamo. Il Gps ci fa fermare a Baia di Campi.

Ci adattiamo. L’accesso alla baia è riservato ai clienti del campeggio. Per i comuni mortali si lascia la macchina in strada (avendo l’accortezza di mantere le ruote fuori dalla striscia bianca) e poi si entra dalle roccette a lato. La spiaggia è grande, quasi tutta libera, è abbastanza piena, ma non troppo (solo una fila di ombrelloni. L’acqua è pulita, ma appena un po’ torbida per la sospensione di sabbiolina (infatti la maschera è inutile). Ci riposiamo qualche ora, disturbati solo da un gruppo di toscani vocianti, accanto a noi. Nella parte sinistra della spiaggia c’è un piccolo ormeggio da cui partono dei barconi per le visite alle spiagge della costa. Sono delle barche strette e lunghe. Dal tetto scoperto. Sembrano degli autobus versione marina. Caricano turisti a vagonate e li trasportano qua e la. Il mare è solcato da questo via vai di barconi. Dopo aver mangiucchiato il panino, decidiamo di cercare questa spiaggia di Portogreco, tanto raccomandata da Giancarlo. Malgrado le coordinate la dessero a 300 metri, mancavano ancora 3 km. Troviamo il punto, parcheggiamo. Visto che le macchine in sosta sono una ventina, stimo ingenuamente che troveremo solo poche persone. Per arrivare alla riva c’è da percorrere un sentiero nel bosco di pini. Molto profumato. Giunti alla spiaggia la sorpresa: i barconi che vedevamo prima sfrecciare vengono anche qua! Durante la nostra permanenza sono arrivati diversi di questi rumorosi zatteroni, tutti spiaggiavano, facevano scendere i passeggeri e dopo una mezzoretta ricaricavano e ripartivano. La cala comunque è molto bella. Ha una grande e alta parete bianca ripida a destra. Impressionante.

Peccato per le barche, perchè portano non solo turisti, ma purtroppo tanta benzina e schiuma. L’acqua anche qua è un po’ torbida, ma piacevole bagnarsi. Un giovane cinghiale viene a cenare con i resti del baretto di paglia della spiaggia. Richiama molti turisti che si risvegliano dal torpore per scattare una foto safari. A sentire i commenti del barista (sosia di Vasco Rossi) è un abituè della spiaggia. Segue cena ancora all’ottima Osteria del Duomo e passeggiata per il centro storico di Vieste. Carino, sempre affollato.

24 Agosto 2012, Venerdì

Oggi andiamo a visitare le spiagge verso Peschici. Consigliata Cala Stretta e Zaiana. Alla prima è facile arrivare. Mi attengo alle scrupolose istruzioni sul parcheggio. Ma, appena terminata la manovra, do una occhiate alle altre macchine parcheggiate dietro la mia: tutte avevano la multa! E ora? Confesso che per un momento ho pensato di adottare lo stratagemma di Vittorio Gassman ne “Il Sorpasso” (spostare la multa di un’altra vettura sulla mia, per non farla multare dai vigili qualora fossero ripassati), ma poi decido di muoverla e la parcheggio più avanti, sempre un po’ al limite della linea bianca. Ma che stress! La Cala Stretta è molto pittoresca. Una cala di sabbia fine tra due lunghi speroni di roccia. Per arrivare non c’è una scaletta ma una grande duna di sabbia, ripida. Un piacere da percorrere in discesa. Molti dei turisti più arzilli, si vedono risalirla e scenderla correndo, con una gioia tutta fanciullesca.

Non è molto affollata, l’acqua è pulita e più limpida del lato sud-est del Gargano, anche se si deve camminare molto prima di poter nuotare. Per pranzo sosta ad un baretto lungo la strada: bruschetta ben condita e poi Zaiana. Questa seconda spiaggia ha un lido raggiungibile solo dopo un labirinto di stradine. Per questo il proprietario del lido ha tappezzato tutte le strade con l’indicazione. In questo modo è stato facile arrivare. La spiaggia è molto bella. Grande, panoramica la vista dal parcheggio, poco affollata.

Purtroppo, causa esposizione, il sole va via presto. Ne approfittiamo per andare a visitare Peschici. La cittadina è a picco sul mare, bei paesaggi, se si riuscisse a fotografarli. C’è tanta gente e si deve fare la fila pure per scattare la foto. Il centro (meno carino di quello di Vieste) è pieno di negozietti con le cianfrusaglie. Lasciamo il paesino sotto un tramonto infuocato e andiamo a mangiare all’agriturismo “Pane e vino” consigliato da un viestano, tenutario di B&B che pur non avendo posti a disposizione per dormire, si è prodigato comunque di consigli. Pur essendo in campagna e con una marea di tavoli apparecchiati nell’uliveto, riusciamo a mangiare senza prenotazione solo perchè arriviamo presto. La cena non è stata un granchè. Gli antipasti erano ordinari e non abbondanti. Originali solo le fettine di zucca fritte come patatine.

25 Agosto 2012, Sabato

E’ arrivato l’ultimo giorno. Decidiamo di saltare il mare e compiere un lento ritorno a Roma. Da Vieste attraversiamo il Gargano passando per la Foresta Umbra. Un bosco molto fitto di querce e faggi. Nella parte più alta, si trovano degli alberi altissimi, impressionanti. E al solito una piccola folla di turisti, stavolta in estasi per i cervi e daini nel recinto. Proseguiamo verso Monte Sant’Angelo, da cui si gode una vista su tutto il golfo di Manfredonia. Caliamo per la tortuosissima statale fino alla pianura. Poi diretti verso Troia. Questa cittadina si trova su una collinetta appena sopra la vasta pianura della Capitanata. Questo centro agricolo è famoso, oltre che per il nome, soprattutto per una bellissima chiesa romanica, influenzata dallo stile pisano (è bicolore bianco verde ed ha delle formelle quadrate in archi circolari). Ha un bellissimo rosone a 11 raggi e gli “spicchi” sono formati da veli di marmo traforati.

Il portale è adornato da fregi pieni di simboli e la porta rivestita di bronzo contiene, tra le altre, una formella con le immagini del costruttore della chiesa e del vescovo che la ordinò (quando si dice la discrezione).

*Per i più curiosi: nella piazza della Cattedrale troviamo lo striscione pubblicitario del Festival Tetrale di Troia, “Tuttun’altra Troia”

Mangiamo nella trattoria “Maria Neve”. Promette bene visto che è affollata di operai in pausa lavoro. Il pranzo è buono ma ordinario e la cameriera si dimentica parte delle nostre ordinazioni.

Per ritornare a Roma attraversiamo il centro di Lucera, giusto il tempo di dare una occhiata alla Cattedrale, alla chiesa di San Francesco e al tribunale dove campeggia lo striscione “Il Tribunale non si tocca”.

Ad ora di cena, dalle parti di Avezzano decidiamo di fare l’ultima sosta: trattoria dal Popolese a Borgorose. Famosa per il raviolone di ricotta al sugo e le ottime patate fritte.

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Tuttun'altra Troia



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