Trekking al Kala Patthar…

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È ARRIVATO IL TEMPO DI TORNARE ALL’EVEREST
Il 20 aprile atterro a Kathmandu, e la sensazione di felicità e di sentirmi a casa è come sempre non spiegabile a parole. Nel pomeriggio sono al Planet. I ragazzi e Francesco mi danno un benvenuto indimenticabile. Ne ho un gran bisogno e loro lo sanno. Incontro anche Isa, che non vedevo dal concerto di Vasco di due anni fa, e vederla in Nepal è una gran carica di energia. Con lei c’è Genna, un uomo che se lo guardi fisso negli occhi ti ci perdi dentro, un grande mare, una sconfinata valle verde, ti ci perdi davvero. E’ qui per finire il suo manoscritto: Vivere senza Calzini.
Essere circondata da tanto bene è davvero provvidenziale.
Quest’anno non si vedono le montagne, e il cielo è plumbeo di freddo e gelo. Mai ho sentito tutto questo in Nepal. So che il Nepal è così con chi non ha cuore aperto, con chi non ha occhi per vedere, con chi vuole venire qui privo di amore, ma solo per conquistare stima di se e ego. Il Nepal è così. E l’Himalaya le cose non te le manda a dire.
Io sono felice di essere qui, come sempre, il mio cuore è felice in Nepal. Inoltre sto esaudendo il desiderio di una persona e questo mi darà molti crediti per il mio Karma e la mia via di rinascita.
Il 21 faccio un giretto giù a Bhaktapur. E’ sempre meravigliosa, un gioiello. E tale deve essere preservata, conservata, rispettata. Non sono certa che questo sia del tutto chiaro all’NTB e al VCD office della città, istituzioni più attaccate al denaro che alla conservazione degli inestimabili beni culturali che hanno. Per i miei gusti ci sono troppo motorette nelle vie e chi di dovere deve aver abbassato la guardia. La lungimiranza, la cura dei propri beni, è questo che va continuamente ricordato alle istituzioni dei paesi in via di sviluppo, come il Nepal. Su queste cose fonderanno le basi per il loro futuro.
Dovrei andare in visita al ministero del turismo, farò male, e non ci andrò, anche se avevo promesso in BIT che sarei andata. D’altronde mi dico: chi sono io per mettere il naso in cose più grandi di me? Ma sono certa che l’anno prossimo non eviterò di andarci e ci andrò di corsa. Il Nepal, come il resto del nostro mondo, è in precario equilibrio e chi lo ama, lo sente, e deve fare qualcosa.
Il 22 all’alba sono all’aeroporto, i voli non partono, solo due velivoli della Tara e uno della Sita si sono alzati in volo verso Lukla e poi non torneranno giù. Tutto si ferma. C’è mal tempo. Il Khumbu non ci vuole. Alcuni partono in elicottero sborsando 300 dollari a testa e sfidando il meteo. In aeroporto c’è una folla mai vista. Conosco una coppia, lei di origine tedesca, lui di Bombay, entrambi cittadini americani che vivono a Tokyo, una coppia di Italiani in panico, hanno i giorni contati ed è il secondo giorno che vengono in aeroporto e per restare ancora a terra.
Decido di posticipare al 24 avendo un’opzione per il primo volo Sita che partirà alla volta di Lukla, grazie a Larke, amico del mio fido Som. Inutile tornare domani per niente. Quindi l’indomani vado a fare un giretto a Pashupathi e Bouddhanath, per una Khora prima del trekking. C’è una grande Puja per la pace e spero mi dia una buona benedizione per il mio percorso.
VERSO LUKLA: in volo e poi 6 ore a piedi pian piano fino a MONJO inclusi gli stop
Il 24 il volo Sita parte puntuale e nonostante i nuvoloni bassi e scuri arrivo a Lukla senza scossoni. Fa freddo. Molto freddo. Chissà sopra cosa troverò. Non mi alletta fare di nuovo il Khumbu sotto la neve. Dopo un tea caldo dagli amici del Buddha Lodge, incontro Chhitra il mio porter, felicissimo di avere solo 13kg da portare, e finalmente mi incammino.
Nulla è cambiato, il verde, le casette, i lodge sul sentiero, la gente sorridente. Quanto è meraviglioso questo mondo. Ci sono molti trekkers sul cammino, d’altronde è il 60° anno dalla conquista della vetta dell’Everest e in molti sono accorsi per celebrare l’evento. Una giapponese euforica mi saluta dicendo: “è durissima ma è meraviglioso”. Mi viene da sorridere. Non sapessi cosa mi aspetta…
Mi fermo a Benkar al Waterfall Lodge a salutare gli amici di Rob, un mio contatto di Tripadvisor, anche lui innamorato del Nepal. Prima di partire mi ha mandato delle foto da portare a questa famiglia. Sono gentilissimi e molto felici delle foto e di ricevere news del loro grande amico inglese. Chiacchieriamo con una buona tazza di tea.
Som mi consiglia di proseguire il più possibile in modo da avere meno strada l’indomani, quando dovrò farmi la famosa salitona di Namche. Quindi mi fermo al Kailash Hotel a Monjo, un villaggetto sotto la punta del Thamserku, l’ultimo prima di Jorsalle. Faccio merenda, tea e biscottini e mi metto a giocare a carte. C’è un gruppone di sedici coreani, un indiano vegetariano, una coppia di inglesi. Insomma un bel po’ di gente. La sera festeggiano il compleanno di un coreano e offrono la torta a tutti. Nei lodge non sei mai solo, conosci sempre gente, l’atmosfera è frizzante, bella.
DA MONJO A NAMCHE BAZAAR: 5 ore e mezza a piedi inclusi gli stop
Al mattino una bella omelette e via. Passo al check post di Jorsalle e dopo aver registrato il TIMS entro nel Sagarmatha National Park.
Il Dudh Kosi ha un’acqua azzurrissima come sempre e, arrivata all’Hillary Bridge, inizio piano piano la salita verso Namche. Quest’anno sono davvero una lumaca e non ricordo di aver faticato così l’ultima volta che l’ho fatta. Arrivata al view point sta volta sua maestà si fa vedere:” Namaste Mero Sagarmatha, è da un anno e mezzo che non ti vedo. E sono strafelice di incontrarti di nuovo”.