Tra Shinkantzen e Onsen: capodanno in Giappone

Itinerario: Roma, Tokyo, Ikaho Onsen, Nagano, Tokyo, Nikko, Kyoto, Osaka, KIX (Kansai Int. Airport), Roma Spese principali: 1) Volo A/R (andata su Tokyo, ritorno da Osaka): 1088,00 Euro 2) Treni: Japan Rail Pass 7 gg.: 231,00 Euro 3) Ryokan Tokyo: 7000 Yen/notte – circa 55,00 Euro/notte 4) Ryokan Kyoto: 4200 Yen/notte – circa 34,00...
Scritto da: Stefano G.
tra shinkantzen e onsen: capodanno in giappone
Partenza il: 26/12/2002
Ritorno il: 05/01/2003
Viaggiatori: da solo
Spesa: 2000 €
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Itinerario: Roma, Tokyo, Ikaho Onsen, Nagano, Tokyo, Nikko, Kyoto, Osaka, KIX (Kansai Int. Airport), Roma Spese principali: 1) Volo A/R (andata su Tokyo, ritorno da Osaka): 1088,00 Euro 2) Treni: Japan Rail Pass 7 gg.: 231,00 Euro 3) Ryokan Tokyo: 7000 Yen/notte – circa 55,00 Euro/notte 4) Ryokan Kyoto: 4200 Yen/notte – circa 34,00 Euro/notte 5) Vitto: circa 30 Euro/giorno Giovedi, 26 dicembre – La Partenza FCO – NRT 20.55 – 17:00 (del 27/12) Partenza in serale verso il “Sol Levante. Il Boeing 747-400 della JAL è praticamente vuoto. Mi assicuro un posto al finestrino anche se in realtà tutta la fila è deserta. Volo Non-Stop Roma-Tokyo, per 11 ore e 30 di volo e una distanza di 9919 Km.

Subito dopo il decollo, sull’Argentario attraversiamo l’Italia fino ad Ancona, quindi puntiamo verso l’Istria, Vienna e Varsavia. Il volo prosegue nella notte verso Mosca e quindi la transiberiana.

Venerdì, 27 dicembre – Arrivo a Ttokyo Mi sveglio 3 ore circa prima dell’arrivo a Tokyo. Fuori è giorno. Sotto di noi una distesa bianca, di neve. Ogni tanto un corso d’acqua gelata o coperto anch’esso da un manto di neve. Passiamo sopra la città russa di Khabarovsk e quindi sul Mar del Giappone. La parte ovest del Giappone (Niigata e dintorni) è tutta innevata. A Tokyo, annunciano, ci sono 5°, a Roma, 17°.

Passate le montagne, non c’è più neve.

Atterraggio a Narita. Narita, l’aeroporto di Tokyo è diviso in 2 terminal. Come mi aspettavo, è molto moderno e trafficato. Non so se sia a causa del momento della giornata favorevole alle partenze/arrivi dal Nord-America, ma pullula di aerei di compagnie americane. Nel tempo del rullaggio verso il parcheggio vedo schierati ben 9 diversi aeroplani della United Airlines, 3 della Northwest e altri dell’American e della Continental. Insomma, circa una ventina di aerei americani, e tutti di grosse dimensioni.

Incredibile, ma dove siamo ? in un aeroporto della West Coast americana o in Asia ? In compenso, nemmeno uno europeo (è sicuramente dovuto a motivi di orario; l’Alitalia arriva a Tokyo in prima mattina; così probabilmente faranno molte altre compagnie europee).

In coda all’Immigration, mi attardo un po. Quando arrivo al nastro riconsegna bagagli, il mio zaino non c’è più. I bagagli non ritirati entro un ora dall’atterraggio dell’aereo vengono efficientemente inviati al deposito bagagli, perché si presuppone smarriti. Ma io sono stato fino ad ora in coda ?! Chiarito l’equivoco (non solo mio, relativo a quasi tutti i pochi passeggeri non giapponesi del mio volo), ritiro il bagaglio e prendo il biglietto per il pulmann.

Primo contatto con il Giappone. Atterrando c’era ancora un po di luce. Dal finestrino non si vedeva nulla di particolare; un po come atterrare in un posto qualsiasi dell’Europa. Monti, boschi verdi, un po di mare. Niente grattacieli. In lontananza il profilo di un vulcano.

Il pullman ci impiega più di un’ora per arrivare in centro. Ed i grattacieli ci sono, eccome. L’hotel è a Shingawa, di fronte alla stazione.

Alle 20:00 il quartiere è ben trafficato, pieno di gente. Fa un bel freddo. Sono elettrizzato e per niente stanco per il lungo viaggio.

Mi fermo a cenare in un ristorante specializzato in ra-men (spaghetti in brodo di carne). Un cunicolo lungo e stretto; tutti i clienti sono seduti su sgabelli intorno al bancone, dove i cuochi, in un’atmosfera vaporosa, scodellano le zuppone. In vetrina, tramite le foto esposte, ho selezionato la zuppa “C” (maiale ?, alghe ?, funghi ?). All’interno del locale, tutto è scritto in giapponese, ed io sono l’unico occidentale. Uno dei cuochi, (la cucina è tutta li, a vista), grugnisce perché mi sono seduto su uno sgabello troppo al centro. Occupo troppo spazio, nel caso arrivassero 2/3 persone che volessero mangiare vicine. Mi invita a sedermi vicino a qualcun altro per “economizzare lo spazio disponibile”. Capisce che voglio la zuppa “C”.

Presto fatto. In 5 minuti la mia zuppa di noodles è servita. Insieme mi viene masso sul bancone un bicchiere d’acqua e dei ravioli di tipo cinese, alla griglia (grigliati davanti a me). Zuppa, costo: 700 Yen (6 Euro); ravioli: 370 Yen (3 Euro). Come primo pasto giapponese, direi veramente molto OK. Mi è anche piaciuto il posto. Pago alla cassa. Mentre sto uscendo, entrano dei francesi.

Sabato 28 dicembre – Tokyo Con la sveglia, mi dovrei alzare di prima mattina (alle 5:30) per andare al mercato del pesce di Tokyo, Tsukiji. Tra le 5:30 e le 7:30 di ogni giorno si tiene l’asta dei tonni.

A causa del fuso orario, durante la notte proprio non ho chiuso occhio. Alle 5:00 decido di alzarmi; alle 5:30 sono pronto per uscire. Dall’alto del 18-imo piano vedo la città ancora al buio; non sembra affatto animata.

Esco alla ricerca della fermata della metro di Takanawadai, e subito mi entusiasmo. Sbagliando strada, entro in una serie di viuzze strette, su ci si affacciano casette basse, a 1 o 2 piani, con il loro minigiardinetto ordinato; attraverso qualche finestra illuminata si intravede una lampada di carta o un bonsai. La corrente elettrica corre in cavi aerei, sopraelevati; ciò nonostante c’è veramente una sensazione di pace e tranquillità. Sono in pieno centro di Tokyo, a non più di 300 metri da grattacieli a 30 piani; eppure, all’improvviso mi sono ritrovato in un quartiere totalmente isolato dalla realtà della metropoli. Le villettine, i loro giardinetti, il silenzio, fanno dimenticare tutto ciò che sta intorno.

Chiedo aiuto. 2 diverse persone mi istradano verso la metropolitana. Un impiegato della metro mi aiuta a scegliere il biglietto giornaliero alla macchinetta automatica. Tutti sono veramente molto gentili.

Alle 6:30 sono al mercato Tsukiji Fish market: Dalla stazione della metropolitana seguo il flusso di gente, e mi ritrovo in un altro mondo parallelo. Sotto la struttura del mercato si intrecciano vicoli strettissimi e alcune centinaia di persone. I banchi sono pieni di pesci di tutti i tipi; salmoni, tonni, crostacei, sogliole, e tante specie mai viste. Ci sono delle cozze enormi, lunghe circa 15 cm, capesante, polipi. In un reparto, i polipi mi pare di capire, sono trattati all’aceto, almeno così sembrerebbe dall’odore. Ogni banchetto (o bancone), dispone, sul retro, di un gabbiotto, dove un signora (normalmente è una donna) tiene i conti. Sul davanti, un formicolio continuo: uomini che comprano, che vendono, che tagliano i pesci surgelati; carretti a mano e carrelli elettrici che sfrecciano in tutte le direzioni. Rischio di essere travolto da un carrello motorizzato, che mi passa accanto con il suo carico di tonni ; me la cavo con qualche spintone.

Sono affascinato dai colori e dall’umanità che mi circonda. Questo è un mercato vero; è qui che passa la maggior parte del pescato venduto a Tokyo, e penso in Giappone. Su alcune casse, buttate in un angolo, vedo provenienze varie: Sud Africa, Messico, Vietnam. Tutto è molto ordinato: considerando il gran numero di persone e di pesce concentrato in questo pochissimo spazio, non si sente ne tanta puzza, ne tanto rumore.

In una parte del capannone, centinaia di tonni di varie dimensioni, giacciono a terra, surgelati. Un gruppo di persone (penso addetti del mercato) passa in rassegna gli animali, e, con un pennello, provvede ad applicare un numero. Si tratta di pesci che vanno all’asta. Lo step successivo all’asta è la consegna della merce ai banchi dei grossisti, che ho già attraversato entrando al mercato. Il tonno viene lavorato e tagliato, ancora congelato. Le parti quindi vendono vendute ai dettaglianti, che portano il prodotto fuori dal mercato di Tsukiji. Al termine del giro, dopo più di un ora, e più di un rollino di foto, mi metto in coda per entrare in uno dei locali, all’interno del mercato, in cui si può mangiare. Sono le 7 e mezza. Già da un po, passando davanti ai ristoranti, avevo visto gente in tuta blu e stivali di gomma davanti alla propria zuppa di spaghetti o altro.

Il locale dove entro è un piccolo Sushi bar, a gestione famigliare. Dietro il bancone due cuochi, sui 18/20 anni. Intorno al banco, unico posto dove sedersi, ci sono circa 12 coperti. L’ambiente, stretto e lungo, è molto caloroso e accogliente, in legno. Menu fisso: Sushi, in tre diverse combinazioni (varia solo la quantità), zuppa di miso, the verde. Il Sushi, anche in Giappone, costa. A Tsukiji, i sushi bar sono gli unici posti dove non vedo seduti gli uomini in tuta blu; in compenso gli altri avventori sono tutti ragazzi e ragazze giovanissimi. Prezzi: il set piccolo, contenente una decina di pezzi, costa 2000 Yen (circa 18 Euro). Il medio 3000 Yen, il grande, 3500 Yen. Non sono neanche le 8:00 del mattino e io sono in Giappone da poco più di 12 ore, con un lungo volo alle spalle e una notte pressoché insonne. Opto per la combinazione più piccola. A mo di piatto, mi viene portata una foglia verde, stretta e lunga. Sopra un sushi con una capasanta enorme. Via via che il cuoco finisce di preparare un tipo di involtino, lo distribuisce a chi, avendone diritto, ancora non lo ha ricevuto. Esco soddisfatto, e mi incammino alla scoperta di Tokyo.

L’ufficio postale. Dopo il mercato del pesce devo trovare un ufficio postale e soprattutto un modo per spedire a Kochi, nel sud del Giappone, 6 Kg. Di pandori, panettoni e liquori che i vicini di casa dei miei genitori vogliono far pervenire a dei loro amici lontani. Alle 9:00 in punto l’ufficio apre. Gli impiegati sono gentilissimi, ma nessuno di loro parla inglese. Ci capiamo lo stesso. Detto fatto. Compro una scatola di cartone, passo il contenuto natalizio dal mio zaino alla scatola, scrivo l’indirizzo, pago e spedisco. Rapido e indolore. Il pacco, saprò in seguito, arriverà a destinazione (a 700 Km), in circa 24 ore. Senza particolari richieste per consegna espresso o di posta celere.

Ghinza: Procedo camminando sulla strada che porta verso Ginza. Fa freddo ed è sabato mattina, per di più in un periodo di vacanza; non c’è tantissima gente. Mi aspettavo una strada più caotica, più trafficata. Anche i negozi che si affacciano mi lasciano un po deluso. Sono belli, d’accordo, ma non vedo come Ginza possa essere una delle strade più “in” del mondo. Non c’è l’atmosfera della quinta strada di New York o di certe vie di Londra Parigi o Roma.

Entro nel Sony Building, ma il mondo dell’elettronica non mi affascina. Ad un incrocio noto il primo (ma non ultimo) attraversamento pedonale in diagonale.

Proseguo la mia camminata nel centro. Passo dal Tokyo Forum (spaziale) e dalla stazione centrale di Tokyo (è vero, sembra una copia di quella di Amsterdam !). Passeggiando mi si rafforza l’idea di stamattina. Tokyo ha diversi centri, ognuno dei quali con dei suoi punti di attrazione. Questi punti non sono quasi mai, come da noi, piazze. Possono essere edifici, incroci, bivii, templi. Al di fuori dell’area di attrazione, anche nel centro di questa enorme agglomerato urbano, si snodano viuzze di incredibile tranquillità. Sarà anche perché lo spazio è limitato, e quindi le strade secondarie sono strette.

Invece di proseguire verso il parco ed il palazzo reale (tanto ci sarà anche lunedì) decido di fare una puntata a Asakusa, dove tra l’altro, c’è l’unico monumento di Tokyo che conosco, il tempio di Senso-ji.

Asakusa e Senso-ji: Esco dalla metropolitana e mi trovo in un altro centro, diverso da quello di Shingawa (dove c’è l’hotel), dal mercato di Tsukiji e dal centro di Ginza. Tantissime persone, tanti negozi in un quartiere che sembra essere molto vivo. Si arriva al tempio di Senso-ji attraverso un portale ed un viale di accesso ai cui bordi si trovano banchetti di souvenirs e articoli per turisti. Il tempio, rosso, con una palla di carta rossa e bianca appesa al centro, è bello, ma non bellissimo. Tra l’altro è stato ricostruito. I giapponesi sono sempre a mangiare; così faccio anch’io. Per strada prendo uno yakitori (uno spiedino) di tentacoli di polpo. Sono le 16:00, comincia a fare freddo e buio, ritorno in albergo.

Shibuya by night: La sera esco nuovamente e mi catapulto nella bolgia infernale di Shibuya. L’incrocio su cui ruota il quartiere è illuminato a giorno dalle insegne , dai neon e dagli schermi televisivi “incastonati” nelle facciate dei palazzi. La gente, ferma agli attraversamenti pedonali in attesa del semaforo verde, guarda verso l’alto, la TV. Qualcuno ride, altri commentano; l’audio della televisione risuona in tutta la piazza. Le stradine intorno all’incrocio sono un delirio di persone, di luci, di voci. Entro nella Pachinko Tower, dove vedo per la prima volta i giapponesi impegnati nel gioco del flipper (pachinko) Anche qui si parla sempre di grandissimi numeri. Nella Pachinko tower ci sono diversi piani; ad ogni piano ci saranno almeno 100 postazioni di gioco, tutte ovviamente occupate. Il rumore delle biglie metalliche è assordante. Gli inservienti fanno la spola tra le diverse file portando ai giocatori cestini di biglie per continuare a giocare.

Domenica 29 dicembre – Tra Shinkantzen e Onsen E’ il momento di sfoggiare orgogliosamente il Japan Rail Pass. Mi incammino verso la stazione di Tokyo, per prendere il mio primo treno giapponese, destinazione Ikaho, stazione termale nella prefettura di Gumma, proprio alle pendici delle Alpi giapponesi.

Alla stazione, accedo al binario da cui partono gli Shinkantzen per i monti. Le due linee che attraversano le montagne terminano a Nagano ed al porto di Niigata, (proprio in faccia alla Russia; da Niigata partono i traghetti per Vladivostok, punto finale della ferrovia transiberiana).

E’ mattina presto. Ci sono treni che partono cadenzati a distanza di 20 minuti/mezz’ora. Sulla banchina è pieno di giapponesi con sci e snow-board; tutta attrezzatura delle migliori marche europee e americane. Bagagli pochissimi; tanta attrezzatura da neve. Molti portano sulle spalle degli speciali zaini porta sci. I treni sono di diverso tipo, tutti aerodinamici, sembrano un po i nostri pendolini o il TGV. Sul biglietto è indicata la carrozza. Sul pavimento della banchina, per ogni tipo di treno previsto (Max, Asama, ..) è indicato in quale preciso punto si fermerà la porta di ogni carrozza (esempio. Asama, vagone 2): E’ indicato anche un “sentiero” di fila, da seguire, per mettersi in coda, in attesa del convoglio.

Prima dell’arrivo del treno, tutta la gente è già praticamente in fila. Chi invece, è in attesa di un treno successivo, ovviamente, aspetta ordinatamente da parte.

Tokyo è capolinea per le 2 linee che passano da questi binari. I treni arrivano, fanno scendere le persone, e chiudono le porte. In circa 10 minuti, le carrozze vengono pulite; anche l’equipe delle pulizie ha un suo punto di attesa sul marciapiede. Salgono, puliscono e alla fine azionano un comando che gira in automatico tutti i sedili verso il nuovo senso di marcia del treno.

Le porte si riaprono. Si sale. Il treno parte puntuale; fa freddo ed il cielo è tersissimo. La prima mezz’ora non sembra che si stia viaggiando ad alta velocità. Finito il gigantesco agglomerato urbano di Tokyo, la velocità aumenta. Per raggiungere Ikaho, devo lasciare lo Shinkantzen alla stazione di Takasaki. Prendo prima un treno locale e quindi un pullmann. Ad ogni fermata, i passeggeri diminuiscono. Alla fine siamo veramente pochissimi (5/6 persone).

Il villaggio Onsen : A Ikaho c’è la neve ai bordi delle strade e nei campi vicini. Pochissima la gente in giro. Mi oriento con la cartina stradale scaricata da internet e con qualche scarsissimo riferimento in inglese. Non c’è nemmeno nessuno a cui chiedere. Al visitor center, dove parlano solo in giapponese, scrollano la testa quando capiscono che cerco una sistemazione per la notte. Il paese è mezzo vuoto.

Decido di fare un giretto, farmi comunque il bagno termale e proseguire per qualche altro posto. Salgo la “stone step”, strada in pietra in salita, e arrivo alla “Open Air” spa. Onsen all’aria aperta. Fa freddo, ma la gente, quella che c’è, entra. Entro anch’io. Dopo tutto, in Italia, alle pozze di acqua vulcanica a Viterbo, ci andiamo anche noi, in inverno. L’ingresso è separato uomini/donne. Dopo aver pagato il biglietto, (600 Yen), si accede alla piscina. In un giardinetto tutto pietre e bonsai, una grossa vasca di acqua fumante, con tanto di sorgente di immissione. A lato i lockers, gli armadietti, dove mettere le proprie cose.

Il bagno lo si fa completamente nudi; nella vasca ci sono circa 15/20 persone, di ogni età.

Ognuno, dopo essersi spogliato, lava il proprio corpo prendendo dell’acqua calda dalla pozza, con un mastello di legno. Credo che sia molto importante non lavarsi dentro la piscina comune. Quando la temperatura è più favorevole, ci si lava utilizzando i rubinetti di acqua fredda vicino agli spogliatoi. Durante il lavaggio, tutti tengono davanti alle parti intime un piccolissimo asciugamano quadrato (veramente piccolo, sarà di circa 15 cm x 15 cm). Dopo di che, in acqua.

Rimango a mollo circa mezz’ora; fuori fa freddo, ma in acqua si sta una meraviglia. Anche tutto l’intorno è piacevole. Tutto in legno, bonsai, pietre. Esco, e sento che il bagno mi ha fatto bene; mi rivesto, senza sentire affatto freddo. Un po come alle nostre pozze… Zaino in spalla, mi rincammino verso il pulmann e quindi verso Tagasaki. Durante il tragitto, leggo sulla guida che il più grande e attrezzato Onsen dell’isola di Honshu è Bessho Onsen, vicino a Nagano, sulla stessa linea di treni di Tagasaki. Proviamo.

Dopo un’ora e mezza di viaggio arrivo alla stazioncina di Bessho Onsen. Il paese è un po più grande di Ikaho. Anche qui fumi e vapori escono dai tombini e da qualche casa; anche qua si vedono poche persone in giro. Si sta facendo tardi e non ho dove dormire. Cerco in un ryokan (pensione) consigliata dalla Lonely Planet. Non hanno posto, per uno, per una notte.

Entro in un albergo e chiedo. Nessuno alla reception parla inglese. Nella hall sono allineati gli zoccoli in legno per gli ospiti; dalle camere escono ragazzi e ragazze in una specie di kimono, a piedi nudi o con le scarpe. Arrivano alla reception, lasciano le scarpe e prendono gli zoccoli di legno; immagino che vadano a farsi il bagno caldo da qualche parte, fuori dall’albergo.

Con l’ausilio del frasario della guida, e con un po di aiuto di uno degli ospiti dell’albergo, riesco a farmi capire dalle receptionist. Niente da fare. Non hanno posto nemmeno loro. Chiedo aiuto; davanti a me chiamano in 4/5 posti, sento che parlano a telefono di gaijin (uno straniero); alla fine trovano un posto al Tokyo Inn, lontano, fuori dal paese. Fa veramente freddo; il posto non è facilmente raggiungibile. Decido di andare via e di passare la notte a Nagano, città non molto lontana.

Riprendo il trenino e lo Shinkantzen. Arrivo a Nagano sotto un po di nevischio, distrutto.

Lunedì 30 dicembre – La sorpresa di Nagano e ritorno a Tokyo L’idea iniziale era quella di una rapida scappata al tempio di Zenko-ji e quindi in velocità, treno per Tokyo. In viaggio, si sa, i programmi sono fatti per essere disfatti. Nagano è una città ultramoderna, circondata da montagne innevate. La piazza della stazione è composta da edifici moderni, con il solito televisore gigante, incorporato nella facciata. Mi incammino verso il tempio. Sorpresa num. 1 Salendo verso il tempio di Zenko-ji, le case lungo la strada principale assumono una dimensione più umana. Ad un certo punto, ci si ritrova in un posto completamente diverso dal punto di partenza. Case basse, alcune direttamente in legno, giardinetti. Davanti a me, una porta in legno, e quindi grande il tempio.

Zenko-ji risale al 552 D.C., quando fu costruito per ospitare la prima immagine di budda arrivata in Giappone. La costruzione attuale, tuttavia risale al 1707.

All’interno, un passaggio sotterraneo, completamente buio, da percorrere tenendosi al mancorrente. Il percorso è tortuoso e angosciante, ma alla fine si vede la luce.

Sorpresa num. 2 – Kazo: Tornando verso la stazione, vengo fermato da un giapponese desideroso di fare un po di conversazione in inglese. Dopo aver preso un caffe, mi racconta che ha 56 anni, 2 figlie, è stato in Europa tanti anni fa, dove ha girato per 3 mesi, venendo anche in Italia.

Parliamo per un po. Vuole sapere del mio viaggio. Gli interessa sapere che percezione abbiamo noi del Giappone e dei giapponesi. Ha paura che in Europa confondiamo i cinesi con i giapponesi.

Se ho tempo e voglia, mi propone di andare con lui ad un antico villaggio samurai, a 12 Km. Da Nagano. Matsushiro.

Cerco sulla Lonely Placet, non c’è traccia. Decido comunque di accettare. Solo che Kazo ha un appuntamento dal dentista, alle 12:30, a pochi chilometri da Matsushiro. Dovrò attendere in sala d’aspetto.

Lo studio del dentista è in una casa con solo il piano terra. Interno pulitissimo, con moquette; ovviamente bisogna lasciare fuori le scarpe. Non ci sono porte. Le sale dei pazienti sono isolate dalla sala d’aspetto, tramite di “separé” , in legno a quadrati, con delle stoffe bianche.

In sala d’aspetto, continuo la mia conversazione con Kazo. Parliamo del Giappone e dell’apertura dello stesso agli stranieri, dopo l’arrivo dell’ammiraglio Perry, nel 1859. A Matsushiro c’è il primo telegrafo sperimentato in Giapone, portato qui dal signorotto locale, tal Sakura.

Secondo Kazo, tutti i sistemi feudali, in passato hanno fatto grandi cose. In Italia, sotto il feudalesimo o dopo il feudalesimo si è affermata l’arte; anche la Germania ha un passato feudale. La Cina, invece, che non ha un passato di questo tipo (!?!) è un paese di minore cultura. Mancano i mecenati.

Parliamo della Cina. I giapponesi, mi confida, sono un po xenofobi, ma soprattutto verso i cinesi ed i coreani. Non verso i “western” da cui hanno imparato molto.

Andiamo a Matsushiro. La cittadina moderna, tutte casette basse con il solo piano terra o al massimo con un primo piano, hanno preso il sopravvento sull’antico. Esistono diversi edifici storici, quasi tutti in legno e pietre. Molti sono chiusi in quanto sono cominciate le vacanze di fine anno.

Mi faccio riportare da Kazo alla stazione di Nagano. Nel tragitto di ritorno, sulla sua utilitaria con il navigatore GPS, parla del futuro del Giappone. Il paese è in crisi, , l’età media della popolazione avanza e i govani non sono più abituati a fare sacrifici come quelli di una volta. Le aziende giapponesi stanno spostando la produzione di molti beni, in Cina e Corea, insegnando a questi paesi a produrre e creando disoccupazione a casa loro. Tutto il mondo è paese ? Forse per il Giappone è un po più vero. Ho già letto cose di questo tipo sia sui libri di Terzani e altrove. Il paese, in questi ultimi anni, si è molto occidentalizzato o americanizzato, ed alcuni valori tradizionali sono andati in crisi.

Rientro a Tokyo – Shinjuko.

Dopo aver lasciato lo zaino in albergo, vado a Shinjuko, uno di quei quartieri di Tokyo (come Shibuya) dove, al calar del sole, si accendono le luci al neon. Una folla gigantesca cammina per le strade, entra ed esce dai grandi magazzini, attraversa gli incroci in tutte le direzioni, anche in diagonale.

Le luci al neon, le televisioni a megaschermo sui palazzi, audio TV e voci dai Karaoke, musiche dei semafori (che segnalano il verde) nel buio della notte, sembra di essere entrati in un film di fantascienza. Da un momento all’altro mi aspetto l’arrivo dell’astronave di startrek; non so se sono in uno stato di allucinazione o se sono sveglio.

Ceno in un bellissimo ristorantino (Ibuki), specializzato in Sukiyaki e Shabu-Shabu.

Lo Shabu-Shabu consiste nel cucinarsi carne e verdure, immergendo gli ingredienti in un pentolone con un buco in mezzo (tipo forma per il budino) pieno di acqua bollente. L’acqua è tenuta a temperatura da un fornelletto posto al centro del tavolo. La carne, Kobe beef, è tagliata finissima e contiene delle striature di grasso bianco. Le verdure: funghi, porri, bambu, tofu, sedano, alghe, vengono buttate nell’acqua di cottura. La carne deve cuocere per pochi secondi. Il tutto va condito con una salsa al sesamo o una di soya, piccante. Veramente eccezionale !!! Martedì 31 dicembre – Capodanno giapponese Avevo notevolmente sottovalutato il concetto di “festa di fine anno” per i giapponesi. Oggi, al centro di Tokyo, tutto era chiuso; peggio che durante la domenica. Funzionanti solo i treni e le metropolitane e tanti posti dove mangiare. Un po di vita solo nelle zone veramente centrali e un po turistiche; i grandi magazzini Mitsokoshi in effetti sono rimasti aperti fino a tardi, così come qualche ristorante o caffe a Shiubuya, che e‘ rimasto aperto fino dopo la mezzanotte.

Tokyo Metropolitan Office: Comincio la giornata andando a visitare, vicino a Shinjuko, il quartiere del Tokyo Metropolitan Office. Il complesso, ultramoderno, è denso di altissimi grattaceli. Le 2 torri del governo metropolitano sono altissime e anche di bel design. Ma sono in buona compagnia. Intorno altri palazzi di linea avveniristica contribuiscono a rendere veramente futuristica tutta l’atmosfera. Dalla stazione di Shinjuko, il complesso è raggiungibile, attraverso un tunnel pedonale sotterraneo, lunghissimo. Non finiva più. Sarà almeno un kilometro a piedi, con pochissime possibilità di uscita intermedia.

Meiji-ji: Tappa successiva, il tempio di Meiji-ji ed il relativo giardino. Un altro luogo di quiete, all’interno della caotica metropoli. Il tempio, in legno, e bello, anche se tutto ricostruito. Il parco, con i giardini con l’ingresso a pagamento, sono molto verdi. Probabilmente, in primavera ed in autunno, tra fiori e foglie gialle devono essere veramente uno spettacolo.

E’ l’ultimo giorno effettivo a Tokyo, a parte la serata di domani, dove dovrei essere nuovamente in transito. Torno su una semidesertica Ghinza e cerco di andare a vedere le ultime cose che mi ero programmato.

Dalla stazione di Tokyo mi addentro nei giardini del palazzo reale; la giornata è fredda e non c’ molta gente in giro. La luce è da paese nord-europeo, con il cielo terso e il sole molto fioco. Rimango abbastanza deluso, anche perché al palazzo, non si può entrare da nessuna parte.

Non completo il giro del fossato. Mi fermo davanti all’edificio piramidale della “dieta” giapponese e torno a Ghinza.

La baia – Odaiba. Con la monorotaia passo sul modernissimo ponte “Raimbow Bridge”, già visto su alcune foto sul National Geographic. Al di la del ponte, la metropolitana segue un percorso a zig-ziag, collegando tra di loro una serie di moli e di isolotti. Vedo la Tokyo Beach, una vera baietta con tanto di spiaggia in sabbia e lungomare, la lunga passeggiata e la riproduzione della statua della libertà; edifici avveniristici come il Tokyo Exibition Center; cerco invano di visitare il museo della scienza marina (chiuso).

Asakusa (II) – si prepara la festa. Torno all’hotel di Shingawa e raccolgo le mie cose. Ho deciso di trasferirmi in un più economico Ryokan (pensione giapponese) nel più vivo quartiere di Asakusa.

Asakusa mi restituisce l’allegria. Intorno al tempio di Senso-ji fervono i preparativi per la serata di fine anno. Banchetti che preparano cibi (chili di polipi a scongelare, zuppone di carne grassissima in ebollizione) o che vendono souvenirs di ogni tipo. Tanta, tanta gente e tante luci.

Mi rilasso al ryokan e riparto. Il Sushi Bar con “tapis-roulant”. Ceno in un Sushi bar, con tapis roulant, esperienza da fare assolutamente. Sul nastro scorrono piccoli piattini con le leccornie confezionate dietro al solito bancone a vista, dal cuoco. Ogni piattino ha una forma od un colore che indica un prezzo diverso; il contenuto normalmente non è mai uguale a precedenti od ai successivi. I cuochi esprimono grande fantasia nel confezionare polpettine di riso, pesce crudo, alghe e verdure, sempre diverse fra loro. Mangio un po di tutto, e alla fine colleziono ben 11 piattini diversi !!! E’ un po come un gioco d’azzardo. E’ difficile fermarsi. Ogni volta che mi propongo che il prossimo piatto sarà l’ultimo, mi innamoro subito di qualcos’altro; che, ovviamente a sua volta, diventerà l’ultimo …

Vado alla cassa con la mia pila di piatti vuoti, e pago. Dopotutto 11 sono tanti, ma non tantissimi. Altre persone in fila, non sono state tanto da meno …

La prima mezzanotte – Shibuya: Decido di passare la mezzanotte all’incrocio di Shibuya. Altra mezza delusione della giornata. La piazza è illuminata e popolata come al solito. Gli schermi, stile 1984 di George Orwel diffondono voci e musica. La gente entra ed esce dai negozi (qui in effetti ci sono cose aperte), attraversa le strade, con le solite strisce pedonali, anche in diagonale.

Verso le 11.30 i televisori si spengono, rimangono le luci pirotecniche, ma lo spettacolo è meno fantascientifico. La piazza di riempie sempre di più, ma alla mezzanotte, a parte un conto alla rovescia collettivo, ed un gruppo di ragazzi che salito sul tetto di un gabbiotto da spettacolo, i festeggiamenti sono veramente molto pacati. Mi aspettavo qualcosa di più. Risalgo in metropolitana; il servizio andrà avanti, efficiente come sempre, per tutta la notte. Anche le frequenze sono immutate.

Il vero capodanno – Asakusa e Senso-ji. All’una arrivo alla stazione di Asakusa. Già appena fuori l’atmosfera è più festaiola. I preparativi che avevo visto oggi erano veramente per la festa serale. Mi rianimo.

Sul viale che porta al Senso-ji, i banchetti sono in gran fermento. Vendono come al solito souvenirs, gadget e doni da dare agli dei del tempio. Uomini, donne, vecchi, bambini sono in fila paziente per entrare nel tempio e credo, chiedere i buoni auspici per l’anno nuovo. La fila è lunghissima; c’è una massa di gente incredibile.

Mi accodo anch’io. Al punto in cui mi inserisco nel fiume di persone, un poliziotto tiene un cartello che indica 380 metri di fila. E non siamo disposti per uno o per due. Saremmo almeno 10 persone, tutte allineate. Dopo 50 minuti di coda, finalmente entro nel tempio, tutto illuminato a festa; provo a fare qualche foto, ma la luce non è sufficiente.

I poliziotti cercano di far scorrere la folla; tutti, giunti vicino all’”altare” tirano delle monetine in un’area dello stesso. Non tutti riescono ad arrivare fino alla prima fila. Da dietro arriva una pioggia di monetine, anche da chi ha sbagliato a prendere la mira. Faccio un giro tra le bancarelle, è tutto molto allegro. Gente che mangia frittelle, polpettine, che compra; sembra di essere alle 6 di pomeriggio ad un mercatino di natale. Alle 2 e mezza rientro al ryokan, molto soddisfatto. Questo è stato il mio capodanno. Ben iniziato 2003 ! Mercoledì 1 gennaio – Nikko e qualche considerazione sulla megalopoli di Toktyo Sveglia ad un orario improbabile per il primo dell’anno e partenza per una “scampagnata” a Nikko. Tokyo comincia comunque ad animarsi; poco dopo le 7 del mattino già c’è genete in giro. I banchetti di Asakusa sono invece ormai chiusi.

Lo shinkantzen è quasi vuoto, mi domando se non sia stato eccessivo partire così presto. Arrivo a Nikko, dove trovo un bel manto di neve fresca. Forse è ancora effettivamente un po presto, ma colgo l’occasione per farmi un giro nelle stradine secondarie della cittadina, con la neve ancora intonsa. I festeggiamenti di fine anno si fanno sentire. Come ieri sera a Tokyo, anche qui la gente è concentrata nelle vicinanze dei templi. Pullmann e macchine cominciano ad affluire nei vari posteggi.

Passo la giornata girando di tempio in tempio. Belli, sotto la neve sono ancora più coreografici, ma in realtà non sono un “tempiologo” ; leggo attentamente le informazioni sulle guide, anche se so, che domani avrò già dimenticato tutto.

Il paese di Nikko è circondato da montagne e pinete; fa molto freddo e la neve è ghiacciata sugli alberi; sembra di essere in alta montagna. Mi faccio tentare da delle polpettine di pastella, ripiene di polpo, zenzero e alga, fritte. Un po sciape, con la pastella ancora un po liquida, non mi entusiasmano. Tokyo – qualche considerazione: Il viaggio domani volta pagina. Lascio l’area di Tokyo e vado verso sud, a Kyoto. Questa è la quinta serata passata a Tokyo; colgo l’occasione per raccogliere qualche riflessione su questa megalopoli.

Tokyo è sicuramente una città interessante, forse non bella, ma sicuramente coinvolgente; stimola molta curiosità.

Non esistono posti mozzafiato e nemmeno dei posti semplicemente belli. L’ agglomerato urbano è tutto moderno, i palazzi in alcuni casi sono futuristici, in molti altri, per lo più anonimi. Tuttavia è una città altamente vitale, sia di giorno che di notte, in tutte le sue diverse zone.

Una particolarità di questa città, è che non esiste un vero centro e delle periferie. Esistono tanti centri, ognuno diverso dagli altri, ed in mezzo a loro, dei quartieri di stradine strette e casette basse, dove sembra di essere in una tranquillissima provincia e non nel cuore di un’area urbana di 20 milioni di abitanti.

L’urbanistica è senza dubbio schizofrenica. Si passa da luoghi “fantastici”, nei quali ti aspetti da un momento all’altro la discesa di Mazinga o dell’astronave di Star Trek, ad amene stradine con casette di legno, per poi tornare nel giro di pochi metri tra i grattacieli a 50 piani.

Non esistono praticamente piazze. Solo stradoni con grandi bivii o incroci; Shibuya e Shinjuku sono in realtà degli incroci un po più larghi, davanti alle rispettive stazioni ferroviarie. L’audio dei televisori giganti incastonati nelle pareti degli edifici, completano la colonna sonora di questa avventura da fantascienza (soprattutto con il buio e le luci delle mille insegne) Credo che il Giappone, per quel poco che ho visto, sia il paese con più contrasti tra quelli che ho visitato. Un paese dove convivono a pochi metri tra loro la tranquillità delle villette ed i grattaceli con i televisori sulle facciate; i templi ed i monaci con le sopraelevate e i binari degli shinkantzen . Ipermodernismo, ma anche tradizioni molto radicate (ikebana, cibi tradizionali, etichetta comportamentale, arte e sport, ma anche telefonini ipertecnologici, ragazzi vestiti alle ultime mode e capelli colorati, Mc Donald’s …).

E Tokyo è veramente da scoprire. Poca storia, tanto passato recente, e quale futuro ? La topomastica Scoprire un indirizzo: Come nel resto del Giappone, il sistema di classificazione della topomastica è diverso dal nostro. Gli indirizzi non vengono descritti tramite una via ed un numero civico, ma attraverso una serie di informazioni, che partendo dalla zona, consentono di identificare l’isolato in cui si trova l’indirizzo di interesse.

La prima informazione è la città (chi), o nel caso di grandi agglomerati urbani, è il comune (ku). Ad esempio alcuni comuni dell’area urbana di Tokyo sono Minato-ku, Shibuya-ku, Chou-ku tc, etc.

Le prefetture sono indicate con il termine Kan (Es. Nagano-kan, Gumma-kan).

All’interno del ku sono presenti alcune zone, normalmente identificate dall’arteria principale che la attraversa. Ad esempio, dentro Chuo-ku, una delle arterie è Ghinza. Ogni zona è a sua volta divisa in sotto-zone o quartieri, chiamati Chome. Ogni quartiere è poi suddiviso ulteriormente in isolati. E’ per questo che molti indirizzi giapponesi non riportano semplicemente un nome ed un numero, ma accanto al nome del quartiere è riportata una tripletta di numeri, che identificano le informazioni del Chome, dell’isolato e del numero civico dell’indirizzo, all’interno dell’isolato.

Un esempio. L’hotel Meridien Pacific, che si trova a Minato-ku, a Tokyo ha il seguente indirizzo: 3-13-3 Takanawa, Minato-Ku, Tokyo 108.

Tokyo 108 è l’ufficio postale di riferimento, nell’area metropolitana di Tokyo. Minato-Ku è il comune amministrativo di appartenenza; Takanawa è la zona di Minato, in cui si trova l’indirizzo; in particolare, l’hotel si trova nel chome 3 (prima cifra della tripletta), isolato 13 (seconda cifra), al numero civico 3 (terza cifra). I numeri civici, non sono ordinati sulle strade; è per questo che i giapponesi, quando cercano un indirizzo, necessitano sempre di una cartina dell’isolato. Ed è per questo che tutti gli hotel, negozi e ristoranti, riportano sui loro biglietti da visita una piccola mappetta dell’isolato in cui si trovano…

Sul cibo: I ristoranti medio/bassi sono normalmente dei locali stretti e lunghi, spesso con una serie di coperti intorno al bancone. La cucina è aperta, il cuoco/i cuochi cucinano davanti agli avventori. L’arredamento è spesso tutto in legno; ogni ristorante ha all’esterno i modellini in cera raffiguranti i piatti del menu. Quando il modellino non è disponibile, ci sono le foto dei piatti.

I ristoranti sono spesso specializzati su una tipologia di cucina: noodles, yakitori, sukiaky e shabu-shabu, sushi. Ho visto diverse volte l’abbinamento sashimi/tempura.

Per quanto riguarda le “sugherie”, che sono abbastanza diffuse, anche se probabilmente la maggior parte dei giapponesi vive prevalentemente di zuppone con i noodles (ramen, soba e udon) e di yakitori, possono essere sushi-bar, con i cuochi che preparano delle bellissime composizioni di involtini vari di pesce e qualche volta di verdure con il riso all’aceto. Oppure qualche altro ristorante serve i clienti tramite “tapis roulant”. E’ il cliente che sceglie quello che vuole, man mano che gli passano davanti i piattini con 2/3 pezzi di sushi. Il conto viene calcolato sulla base del numero di piattini consumati e dal colore/forme degli stessi. Il passaggio dei piattini prende veramente come il gioco d’azzardo. Una sera mi ero fermato in uno di questi posti per prendere un “aperitivo” ed alla fine piattino tira un altro, ho praticamente fatto cena. Si è portati a vedere ciò che arriva, spinti della curiosità ed ogni volta ci si convince che che il prossimo piatto sarà l’ultimo ! Giovedì 2 gennaio e venerdì 3 gennaio – Kyoto la Firenze giapponese. Da qualche parte avevo letto che Kyoto è una bellissima città, ma che le bellezze vanno cercate; con i suoi quartieri vicino alla stazione, moderni e anonimi, nasconde bene in effetti i suoi tesori. Ed, in realtà, è proprio così.

A parte la stazione, moderna ma tutt’altro che asettica, i due vialoni .Che si dirigono verso il nord della città non suscitano nulla di buono.

Kyoto è in realtà un’intreccio di stradine strette, con casette basse in legno o muratura. Anche le parti più moderne sono comunque costituite da viuzze, con casettine. Di tanto in tanto, al di la di qualche porta, si intravedono dei giardinetti curatissimi. Trovo da dormire, dopo difficili ricerche, presso un ryokan in stile giapponese. Sicuramente ci saranno ryokan migliori, ma l’Oto non è affatto male. E’ molto pulito ed è a gestione familiare; poche le camere. Saranno al massimo 10.

All’ingresso ci si toglie le scarpe. In un piccolo atrio, a disposizione degli ospiti, l’acqua calda per il the verde o per il nescafé. Tutto l’interno è molto funzionale. Le porte sono scorrevoli, per terra il pavimento è ricoperto da stuoie. Si dorme ovviamente sul tatami, materasso appoggiato direttamente sulle stuoie.

In camera, come d’altra parte in tutti gli altri posti dove ho dormito fino ad ora in Giappone, la Yukata, una vestaglia a maniche larghe, tipo kimono.

Comincio a girare per la città. Le strade intorno al ryokan sono moderne. Qua e là, qualche bella casa in legno. Decido di andare al castello di Nijo-jo, un po fuori da tutti gli altri itinerari. Le feste di inizio anno colpiscono ancora. In questi giorni si possono visitare solo i giardini. Le mura bianche, con le solite case a tetto spiovente, isolano i giardini dal caos della città esterna. All’interno del complesso, la calma più assoluta.

La disposizione dei fossati e dei corsi d’acqua non è lineare; si viene a creare una specie di labirinto di giardini.

Decido di camminare per vedere la parte storica di Kyoto, seguendo un itinerario a piedi suggerito dalla Lonely Planet. Alla stazione della metropolitana esito un po davanti alla cartina e subito una persona mi chiede se può aiutarmi.

La stessa cosa mi accadrà ancora, sull’autobus e un’altra volta alla fermata. In generale trovo, da un contatto superficiale, che i giapponesi siano molto gentili e cortesi.

Kyoto è una città con tantissimi templi, giardini, luoghi di meditazione. Comincio il mio itinerario, ma perdo subito la retta via. Lungo la strada ci sono tantissime cose da vedere e le distanze non sono così brevi. Mi dilungo molto tra viuzze in saliscendi, negozietti per turisti, templi e ristoranti che espongono in vetrina i loro piatti.

Un certo punto, salendo sulla collina vicino al tempio di Chion-In, arrivo in un cimitero. E’ un cimitero che sembra antico, ma in realtà mi accorgo che è ancora in uso. Lo testimoniano i fiori freschi su molte tombe e qualche famiglia in preghiera. Il posto è molto bello e dovrebbe esserlo ancora di più in primavera, con gli alberi fioriti o in autunno, con le foglie rosse.

La vista è su tuuta la città e sui templi sottostanti. .

Probabilmente non ho scelto la stagione giusta per visitare Kyoto. Tutta la città e i maggiori luoghi d’interesse sono inframezzati da giardini e giardinetti. Si vede che tutto è molto curato, ma sicuramente ci sono stagioni di fioritura e di foglie secche che rendono l’atmosfera più suggestiva.

Comincio la scorpacciata di templi: Shoren- In Chion-In; il parco di Maruyama-koen con la folla di gente che si assiepa intorno ai baracchini di cibo e Yasaka-jinja, dove rivivo l’atmosfera del 1° dell’anno.

Unico vantaggio di avere viaggiato in questo periodo dell’anno è stata l’opportunità di vedere i diversi festeggiamenti presso i templi. In questo periodo dell’anno sono molti i giapponesi a prendere le ferie. E’ proprio tra il 28/29 dicembre ed il 2/3 gennaio che ci sono le grandi feste ed in giro è tutto chiuso. Non a Natale o a Ferragosto. In effetti avevo letto questo, ma non avevo altre alternative. Ed è veramente così. I grandi magazzini sono aperti “a rotazione”, molte strutture pubbliche e non, come ad esempio il Tokyo Metropolitan Office, ma anche l’ufficio per il Turismo di Kyoto e gli uffici di città di molte compagnie aeree sono chiusi fino al 5 gennaio. Anche molte attività commerciali sono ridotte. In compenso i templi sono affollatissimi; qui a Kyoto vedo anche molte ragazze in abito tradizionale e sandali in legno. Tutti rendono omaggio all’anno nuovo.

Compro delle tavolette votive per l’anno nuovo (della pecora). In un tempio ho visto bruciare le tavolette dell’anno precedente (non mi ricordo più quale fosse l’animale).

Al freddo continuo il mio itinerario, a piedi, fino al tramonto. Il Giappone è proprio il paese degli eccessi e degli estremi. Dall’estrema modernità di alcuni quartieri, si passa all’antichità di altri. Vicino ai treni su monorotaia e agli Shinkantzen convivono giardini zen e monaci buddisti; sotto grattacieli ultramoderni, biciclette e ristoranti tutti in legno, e sale con il tatami.

Altra esperienza simil-onsen, che in Giappone merita di essere vissuta. Un edificio di 3 piani,. Al piano terra gli spogliatoi (anche qui si fa il bagno nudi !!); con un ascensore si sale ai piani superiori.

In un’atmosfera vaporosissima, ci si lava ai soliti sgabbellini in plastica, accucciati, in fila, davanti a dei rubinetti bassissimi e ad uno specchio.

Anche qui tantissime persone di ogni età; c’è chi si insapona, chi si fa la barba, chi lo shampoo. Dopo il lavaggio ci si immerge nelle vasche . Acqua calda, acqua fredda, ancora acqua calda, magari con le erbe. Tra il vapore, si intravedono le persone immerse. Mi immergo anch’io. Al primo ingresso l’acqua mi sembra caldissima. Dopo un po mi accorgo che se non mi muovo, il troppo caldo si fa sentire meno. Per apprezzare veramente il bagno, mi ci vogliono diversi passaggi di vasca. Ma alla fine, ne vale veramente la pena.

La seconda giornata se ne va per le visite ai posti più belli. Peccato sotto una nevicata, all’inizio, e sotto una pioggia battente poi. Inizio con il complesso di templi di Daitoku-ji. Visito i templi principali. Ognuno, veramente ispira la meditazione. Al loro interno, giardinetti zen di sola ghiaia, pettinata a cerchi o semplicemente a linee; ogni pietra ha il suo senso.

Dai porticati dei templi, e dalle finestre a parete delle sale da thé, nel silenzio più assoluto, si potrebbe stare delle ore a meditare.

Ed in periodi più caldi deve essere così. All’ingresso di uno di questi templi, un cartello con le indicazioni per “i painters”.

Entro nei templi di Daisen-in e di Koto. Tappa successiva al famoso tempio di Ryoan-ji, con il suo giardino zen dalle 15 pietre. Il giardino è molto bello e le pietre sono effettivamente 15 ma da nessun punto dello stesso è possibile vederle tutte. Nel tempio incontro un monaco che parla un po di francese e poi, quando scopre che sono italiano, anche un po di italiano. Mi recita , in italiano, alcuni insegnamenti del suo maestro, di cui ho visto le iscrizioni in inglese (e probabilmente in giapponese) nel tempio. L’incontro finisce con il monaco che canta l’Inno di Mameli !! Rimango un po sorpreso. Poi ci ripenso un attimo e mi viene in mente di un incontro di Susy in Turisti per Caso e ricordo il monaco e Fratelli d’Italia. Deve essere lo stesso…

A Kyoto le distanze sono molto grandi. La città non è affatto piccola; le vacanze di inizio anno stanno volgendo a termine; gli autobus e le strade si stanno ripopolando. La gente fa ordinatamente la fila alla fermata degli autobus.

Distributori di cibo/bevande calde/fredde: Provo l’esperienza delle lattine calde e fredde dei distributori automatici giapponesi. Prendo un caffè caldo al caramello “Georgia” (mi sembra un’americanata della Coca-Cola…). Oltre ai distributori di bevande, ci sono anche distributori di cibi caldi.

Una buona tempura. Ceno in un bellissimo ristorantino, consigliato dalla Lonely Planet, Takasakeuhume, specializzato in tempura. Locale sempre stretto, tutto in legno, anche se dietro a degli edifici modernissimi. Si accede da una viuzza stretta, case in legno, con ristoranti, qualche negozietto, qualche “centro massaggi”.

Sul retro, sale con tavolini bassi, e tatami. Sono solo, quindi mi siedo al solito bancone.

Prendo un “set-menu” composto da sotto aceti (cetrioli, funghi e altro che non so), un abbondante sashimi, riso e tempura.

Mentre sono alle prese con il sashimi ed il riso, il cuoco prende le verdure già tagliate (mezze melanzane, sfilettate con il coltello, foglie sembra di menta, funghi) e le immerge, dopo averle passate con due lunghe bacchette nella pastella, nella padella per la frittura. Poi è il turno dei gamberi. Quindi,viene preparato il piatto, con la solita cura giapponese per l’estetica.

Arriva la tempura. Buona e leggera.

Sabato 4 gennaio – Assaggio di Osaka e ultimi scampoli di Giappone. Il cielo è terso, e come al solito fa un freddo cane. Decido di farmi ancora un giretto per le viuzze di Kyoto. Giusto per fare qualche foto, visto che ieri pomeriggio, con la pioggia battente non ho fatto nemmeno uno scatto.

Salgo e scendo per i violetti; il tempo sta cambiando. Ormai è diventato tutto nuvoloso. Prendo comunque il treno per Nara. Appena lasciata la stazione di Kyoto, comincia una nevicata fittissima, che durerà per tutto il tragitto. Arrivato alla stazione di Nara, ho un momento di esitazione. Dopo tutta l’acqua ed il freddo di ieri, non me la sento di mettermi a camminare sotto la fitta nevicata… Pazienza per Nara. Sperando che sul mare la situazione sia migliore, salgo sul primo treno per Osaka.

Osaka: urbanizzazione senza confini. Arrivo ad Osaka nel primo pomeriggio. Una distesa di case. Il treno, si inserisce nella linea metropolitana circolare (Osaka-loop).

Come prima tappa mi fermo al castello (Osaka-jo),di cui ho letto sulla guida. Si tratta di un edificio con diversi livelli, tutti a tetto spiovente. Il grosso complesso si trova, rialzato, all’interno di un intricato sistema di fossati, a sua volta all’interno di un grande parco. A lato, un po come a Central Park di New York, grattacieli altissimi che svettano, sopra gli alberi e che fanno da sfondo ai prati dove ragazzi giocano e fanno sport. Andando via dal castello attraverso una zona del parco, abitata da giapponesi senza tetto.

Anche Osaka, come Tokyo, è un agglomerato di centri; anzi forse lo è di più. Dal treno, e successivamente salendo sulla cima dell’Umeda Sky Building, mi sembra ancora più estesa. E poi, a Tokyo esiste un “Central Tokyo district” propriamente detto; a Osaka mi sembra di no. La stazione di Osaka, in realtà si trova in uno dei 2 principali centri, quello di Umeda (Kita); l’altro grosso centro è quello di Minomi.

Anche se la stazione di Osaka è molto affollata, in realtà non è quella principale; non fermano neanche i famosi treni veloci Shinkantzen. Decido di andare verso il gigantesco arco di trionfo giapponese, l’Umeda Sky Building. Vedo le torri e le raggiungo passando tra containers e sopraelevate, ma anche passaggi a livello, dove tante biciclette aspettano che si alzino le sbarre. Eccessi giapponesi !! In tutte le città, Tokyo compresa, alle stazioni della metropolitana, sotto i grattacieli, miriadi di biciclette. Anche Osaka non fa eccezione. Vicino alla stazione vedo anche un posteggio a 2 piani, solo per le bici.

Arrivo allo “Sky Building”. Come preannunciato dall’infallibile Lonely Planet, l’ascensore che porta al 38imo piano , a 136 metri di altezza, e’, come si suol dire “panoramico. Così come le scale mobili che attraversando il vuoto, portano dal 38imo piano della torre est, al 40imo della torre ovest. Mi vengono le vertigini solo all’idea. Vedo famiglie con bambini che salgono allegramente e mi rassicuro. Entro nell’ascensore e mi tengo verso l’unica parete con il lato “scuro”, in modo da potermi girare nel caso soffra troppo durante la salita.

Il panorama è veramente mozzafiato, ma quando scendo dall’ascensore lascio l’impronta delle mani sudate sulla ringhiera. Scala mobile e quindi su, al panorama.

Osaka, come già detto, appare veramente sterminata. Davanti, la baia, e prima di essa, grattaceli con forme avveniristiche. Ma le costruzioni si perdono veramente a vista d’occhio, a 360°. Dall’alto, vedo il trafficato aeroporto d’Osaka (non quello internazionale di Kansai, costruito sull’isola artificiale, da Renzo Piano).

Al tramonto riscendo e con il treno ritorno a Kyoto.

Ultimo bagno giapponese e ultima mangiata di sushi. Stavolta vado in un posto, carino, senza menù in inglese, senza nastri trasportatori ne menu confezionati con tutto. Qua bisogna chiedere.

Mentre aspetto di trovare posto, chiacchiero con 3 ragazzi, anche loro in coda. Sono giapponesi, e parliamo del sushi. Anche per loro è qualcosa che si mangia di rado. Certo, ogni tanto capita, ma è troppo costoso per essere il mangiare “di tutti i giorni”. Ovviamente lo stesso discorso vale per il sashimi. Il mangiare di sempre sono gli spaghetti (ramen, udon, soba), la carne,. Come mi ero già un po immaginato.

Mi siedo al solito bancone. Non cè posto per tutti insieme. Con l’aiuto del frasario della guida, ordino al cuoco saltimbanco le mie cose. Parla un po di inglese. Si ordina un po alla volta; comincio con il sushi di salmone, poi il tonno, quindi il polpo e le uova di salmone. Il cuoco da dietro il bancone intrattiene un po tutti gli avventori. Con me, parla un po di calcio e un po mi suggerisce cose mangerecce. Con gli altri parla in giapponese. Ad un certo punto l’atmosfera viene ravvivata da un pesce vivo, che scappando di mano ad un cuoco che lo sta portando giù da una vasca, guizza giù per le scale.

Il locale si sta svuotando. Faccio ancora due chiacchere con il cuoco, poi vado al ryokan a preparare i bagagli. Domenica 5 gennaio – KIX (Kansai International Airport) L’area di Osaka, in realtà non da l’idea di una città; si tratta di un agglomerato urbano continuo, costituito da un insieme più centri cittadini. L’aeroporto è a circa 60 Km. Dal centro di Osaka, a 100 km. Da Kyoto e da Kobe, e vicino a tante altre città. Serve , insomma, tutta la regione del Kansai.

E’ corretto che più che chiamarsi aeroporto di Osaka, sia l’aeroporto della regione che serve. Ed è così che tutti lo chiamano, anche forse per distinguerlo dall’altro aeroporto di Osaka centro.

Molto americanamente, su alcuni cartelli, è scritto direttamente KIX, la sigla IATA dell’aeroporto stesso. Arrivo con il treno espresso da Kyoto. L’isola è lontana dalla terra ferma , molto più di quanto pensassi. Un grosso ponte stradale e ferroviario assicura il cordone ombelicale dell’aeroporto. Mentre passiamo con il treno, sotto di noi, un piccolo ferry. Eccolo, l’aeroporto, lungo e stretto, gli aerei posteggiati non sono tanti., ma come a Narita e spesso in estremo oriente, di grandi dimensioni. Solite compagnie giapponesi e e asiatiche: JAL, ANA, l’EVA Air del gruppo marittimo Evergreen e la coreana Asiana. Ma anche, oltre all’ MD-11 dell’Alitalia che mi riporterà a casa, un 747 della KLM, un A340 della Austrian.

L’aeroporto è veramente una meraviglia dell’uomo moderno; tutto a vetri, tutto circondato dal mare. Da un lato lo specchio d’acqua e la terraferma, dall’altro alcune dighe di contenimento. Faccio rapidamente il check-in e vado, con l’autobus gratuito, verso l’osservatorio a lato della testata di una pista. Tira un vento fortissimo.

Dal 5° piano si vede un panorama stupendo su tutto l’aeroporto e sulla pista. E’ pieno di appassionati che fotografano gli aeroplani che ci passano accanto in fase di atterraggio o fermi davanti a noi, in attesa del decollo. Anch’io faccio le ultime foto.

Rientro verso l’aerostazione e vado a farmi un giro tra le luminosissime sale d’imbarco, tutte a vetri.

Dietro gli aerei si vedono passare i rimorchiatori e le navi dirette ai vari porti della baia. Anche questo’esempio di architettura è molto suggestivo.

Puntualmente chiamano all’imbarco.

Ciao Giappone.

KIX – MXP 13:00 – 17.25 MXP – FCO 18.50 – 20.00



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