Tour Birmania e Cambigia – Parte 1
Raffaele Banfi Il programma turistico
Un viaggio attraverso due Paesi straordinari che custodiscono tesori di tutta l’Umanità.
La Birmania custodisce un patrimonio storico ed artistico eccezionale con migliaia di templi millenari, a ricordo di antichi splendori, posati tra verdi vallate fertilissime, radure steppose, altopiani e catene montuose ricoperte da foreste. Lunghi fiumi navigabili con un lago straordinario, Inle, dove il tempo e la gente sembra essersi fermata con le secolari tradizioni. Mille pinnacoli d’oro si stagliano all’orizzonte, con i Buddha di ogni dimensione e stile, mentre al tramonto, tutto il paesaggio acquista un fascino irreale.
La Cambogia, scrigno di un tesoro nascosto per secoli dalla giungla che, ancora adesso, avvolge come in un abbraccio templi e monumenti unici in tutto il mondo. Tutto l’insieme è un continuo di emozioni che si materializzano con la raffinata arte che è stata scolpita nella roccia. Una ricchezza lasciataci dalla civiltà dei khmer che ha espresso in centinaia di monumenti nella giungla, la propria cultura e fede.
10 ottobre 2006 – Milano Malpensa / Bangkok Partenza con volo di linea TG 941 alle ore 14,30 per Bangkok. Pasti e pernottamento a bordo.
11 ottobre 2006 – Bangkok / Yangon Pensione completa. Arrivo alle 06,10 a Bangkok. Proseguimento con volo TG 303 alle ore 08,05 per Yangon. Arrivo alle 08,55 e disbrigo delle formalità doganali e visto.
Trasferimento in città e sistemazione all’Hotel Traders. Riposo. Nel pomeriggio visita della Pagoda Shwe Dagon, definita anche “la montagna d’oro” di quasi 100 metro d’altezza, coperta da 2 tonnellate d’oro, è posizionata su un colle ed è visibile da tutta la città. Lo stupa è famoso in tutto il mondo per il suo significato religioso e la bellezza artistica, ed è bellissimo all’ora del tramonto. Cena e pernottamento.
12 ottobre 2006 – Yangon / Kyaikhtiyo Pensione completa. Partenza per Kyaikhtiyo, il monastero della Roccia d’oro, un luogo tra i più sacri del Paese, a circa 180 km da Yangon. Un grosso masso coperto di foglie d’oro situato prodigiosamente in equilibrio sul bordo di una roccia. Sulla cima del masso, ritenuto sacro, è adagiata una piccola pagoda dorata che contiene una reliquia di Buddha. Pranzo in un ristorante locale. Salita al monte Kyaityio a bordo di camion, adibiti al trasporto dei pellegrini e proseguimento a piedi. L’atmosfera in cima al monte è carica di devozione e magia, con i pellegrini che pregano e cantano. Sistemazione all’hotel Kyaikhto, cena e pernottamento.
13 ottobre 2006 – Kyaikhtiyo / Bago / Yangon Pensione completa. Prima colazione all’alba per godere di un suggestivo panorama sulla Roccia d’oro quando i primi raggi del sole si posano sul masso. Discesa dal monte e partenza per l’antica capitale Bago. Lungo la strada sosta ad un mercato tipico di campagna ed alle fabbriche di vasi. Visita alla pagoda di Shwemandaw, detta la grande pagoda d’oro, risalente a 1.000 anni fa e considerata una delle più sacre della Birmania. Sosta per ammirare il panorama dalla pagoda Hinta Gone sulla collina e pranzo in ristorante locale. Visita del Buddha sdraiato gigante “Shwethalyaung” lungo 55 metri e alto 16. Passeggiata in un tipico villaggio su palafitte della popolazione Mon. Sulla via del ritorno sosta alla pagoda Kyaik Pun con 4 Buddha giganti alti 30 metri seduti schiena a schiena e al tempio Nat. Rientro a Yangon, sistemazione all’hotel Traders, cena e pernottamento.
14 ottobre 2006 – Yangon / Heho / Pindaya Pensione completa. Al mattino trasferimento all’aeroporto e partenza con volo 6T 531 per Heho alle 10,30. Arrivo alle ore 12,50 e proseguimento via terra per Pindaya. Arrivo e sistemazione all’hotel Conquror. Nel pomeriggio visita delle famose grotte calcaree di Pindaya, affacciate sul lago Boutaloke, con oltre 9.000 statue di Buddha in varie fogge e forme, di alabastro, lacca, mattoni situate tra stalattiti, stalagmiti e nicchie in cui dei monaci sono in meditazione. Cena e pernottamento.
15 ottobre 2006 – Pindaya / Lago Inle Pensione completa. Al mattino visita al mercato di Pindaya e proseguimento del viaggio attraverso gli splendidi paesaggi dall’altopiano Shan, ai confini con la Thailandia. Sistemazione all’hotel Hu Pin in cottage sul Lago. Nel pomeriggio gita in barca sul lago Inle dove vive una piccola tribù degli Intha, famosa per il modo in cui spingono le loro imbarcazioni, remando con una gamba facendo scorrere silenziosamente le loro imbarcazioni sull’acqua fra i canali, isolotti ed i giardini galleggianti: il paesaggio è bellissimo e durante l’escursione ci si fermerà alla pagoda Phaung Daw Oo, al monastero dei Gatti che saltano e si avrà modo di ammirare l’ingegnosità con cui sono stati costruiti gli orti galleggianti, tenuti insieme dai gigli d’acqua e pali di bambù. In questi orti, gli Intha, coltivano fiori, verdura e frutta. Cena e pernottamento.
16 ottobre 2006 – Lago Inle / Heho / Mandalay Pensione completa. Visita delle colline di Inthein dove migliaia di pagode sorgono in mezzo alla vegetazione tropicale, raggiungibili attraverso canali rurali. Nel pomeriggio, trasferimento all’aeroporto di Heho e imbarco sul volo 6T 501 alle ore 16,30 per Mandalay. Arrivo alle 17,00 e trasferimento in città. Sistemazione all’hotel Mandalay Hill Resosrt. Inizio delle visite. Cena e pernottamento.
17 ottobre 2006 – Mandalay / Mingun / Mandalay Pensione completa. Navigazione in battello lungo l’Irawaddy, e visita a Mingun, l’antica città reale e zona archeologica comprendente: la pagoda incompiuta, la campana più grande del mondo, la pagoda Myatheindan. Rientro in barca a Mandalay. Nel pomeriggio visita di Mandalay, che fu l’antica capitale dal 1857 al 1885, e oggi è un importante centro culturale, religioso e commerciale. Visita e sosta ai laboratori artigianali delle marionette e degli arazzi. Visita della pagoda Mahamuni col Buddha seduto coperto d’oro e del bellissimo monastero Shwenandaw, con splendidi intarsi di legno, unico superstite degli edifici del Palazzo Reale andati distrutti durante la seconda guerra mondiale. Visita al laboratorio dove lavorano l’oro in maniera tradizionale. Tramonto dalla collina di Mandalay. Cena e pernottamento.
18 ottobre 2006 – Mandalay / Amarapura / Sagaing / Mandalay Pensione completa. Partenza per la visita di Amarapura, l’antica capitale, comprendente il monastero Mahagandayon che ospita mille monaci, e il ponte pedonale U’Bein, il più lungo ponte in teak del mondo. Nel pomeriggio, visita alle colline di Sagaing, costellate di templi e pagode ed al monastero delle monache buddiste dai delicati vestiti color rosa. Cena e pernottamento.
19 ottobre 2006 – Mandalay / Monywa Pensione completa. Partenza per la città di Monywa, posta sulle rive del fiume Chindwin, un importante centro commerciale. Arrivo dopo circa 2 ore. Visita alle grotte “dello sciamano” a Po Wing Taung, un santuario religioso meta di pellegrinaggi, che si raggiunge con una breve traversata del fiume e poi lungo una strada che porta alla collina, dove monaci si rifugiano per la loro meditazione. Nel pomeriggio visita della pagoda Tanbodday, uno stupefacente complesso religioso che comprende diversi stili architettonici del Paese. Circa 600.000 statue di Buddha, di tutte le dimensioni, sono poste nella grande pagoda. Visita alla foresta sacra e alla collina dove si trova la statua di un grande Buddha reclinato cavo, che si visita internamente. Sistemazione all’hotel Monywa, cena e pernottamento.
20 ottobre 2006 – Monywa / Pakokku / Bagan Pensione completa. Partenza in macchina per Pakokku. Arrivo in circa 4 ore, visita dell’antico monastero tutto in legno di Pakhangyi. Trasferimento al porto e imbarco su battello pubblico per Bagan. Navigazione sul fiume Irawaddy e arrivo a Bagan dopo circa 2 ore. Trasferimento all’Hotel Thripyitsaya Satura. Cena e pernottamento.
21 ottobre 2006 – Bagan Pensione completa. Intera giornata dedicata alla piana archeologica di Bagan, un’area di circa 40 kmq, dove templi, monasteri e pagode, esaltano la religione buddista, un immenso museo all’aperto. Disseminati nella valle del fiume Ayeyardway, si trovano oltre 1.300 edifici e l’area è dichiarate dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”. Inizio delle visite: la pagoda Shwezigon, prototipo dell’ultima civiltà birmana; il tempio di Wetky-In-Gubyakkyi, tipico per le sue mura dipinte con scene di jataka, il tempio di Htilominlo, famoso per le sue sculture in gesso e la porta dell’antica città di Tharaba, il più antico esempio della cultura di Bagan. Nel pomeriggio, proseguimento della visita della città, il tempio Myinkaba Gubyaukki, tipico esempio dello stile Mon, il tempio Manuha, testimonianza della vita in prigione del re, il tempio di Nampaya, un recente capolavoro con sculture di pietra. Sosta per fotografare le pagode di Seinnyet Hyima, templi dallo squisito design e la pagoda Mingala, una delle ultime costruite in stile pagano e da dove si potrà ammirare il fantastico tramonto sulla pianura di Bagan. Cena e pernottamento.
22 ottobre 2006 – Bagan / Yangon Pensione completa. Continuazione delle visite alla parte sud est della città, dove si trovano i caratteristici templi del XIII secolo tra cui il Nanamanya, il Thambula, ed il Lemyethna, noti per le loro belle pitture murali di carattere Mahayana. Visita quindi alle botteghe artigianali per la produzione delle lacche.
Nel pomeriggio visita al tempio di Ananda, capolavoro di architettura, simile ad una croce greca; il Dammayangyi, tempio che raccoglie un bellissimo lavoro di mattoni: il Thatbyinnyu, il più alto dei templi di Bagan e la pagoda Bypaya in stile pyu, sulle sponde del maestoso fiume Irawaddy. Nel tardo pomeriggio, trasferimento in aeroporto e partenza con volo 6T 342 alle ore 19,05 per Yangon. Arrivo alle ore 20,25, trasferimento all’hotel Traders. Cena e pernottamento.
23 ottobre 2006 – Yangon / Bongkok / Siem Reap Prima colazione. Trasferimento all’aeroporto e partenza per Bangkok con volo TG 304 alle ore 09,55. Arrivo alle ore 11,40. Proseguimento per Siem Reap con volo PG 938 alle ore 14.50. Arrivo alle ore 16,00. Trasferimento sulla collina per ammirare un bellissimo tramonto sui templi. Trasferimento e sistemazione all’hotel Empress Angkor. Cena a pernottamento.
24 ottobre 2006 – Angkor Pensione completa. Giornata dedicata alla zona archeologica di Angkor. Visita ai templi del regno Jayavarman VII (1181-1220). In mattinata visita di Angkor Thom, attraverso la porta meridionale si accede a Bayon, caratterizzato dai misteriosi volti di pietra. Il perimetro del tempio buddista è decorato con bellissimi bassorilievi. Si prosegue con la terrazza degli elefanti. Si prosegue per i templi della 3° capitale: per Baphuon, una rappresentazione piramidale, per il recinto reale di Phimeanakas, e gli edifici di Khleang nord e sud. Rientro in hotel. Cena e pernottamento 25 ottobre 2006 – Angkor Pensione completa. Escursione a circa 20 chilometri da Bayon, per visitare Banteay Srei, un tempio indù dedicato a Shiva, in perfetto stato di conservazione, un bel esempio di arte khmer, che è stato aperto alle visite da poco tempo e si può ammirare in tutta la sua bellezza con dei raffinati bassorilievi. Proseguimento per Banteay Samre, Pre Rup, un tempio montagna a forma di piramide con degli architravi scolpiti. Nel pomeriggio visita di Angkor Wat, un maestoso tempio dedicato a Vishnu, ricco d’interessanti bassorilievi che riproducono in miniatura l’universo e raffigurano combattimenti, scene di poemi epici, inferni e paradisi, un vero capolavoro dell’arte khmer. Al tramonto visita al tempio-montagna di Phnom Bakhaeng. Rientro in hotel, cena e pernottamento.
26 ottobre 2006 – Siem Reap / Phnom Phen / Bangkok Prima colazione. Trasferimento all’aeroporto e partenza con volo FT 991 alle ore 08,10 per Phnom Penh. Arrivo alle ore 09,00. Inizio delle visite alla città con sosta al Museo Nazionale con importanti reperti archeologici di epoca angkoriana e pre-angkoriana; il Palazzo Reale con la Pagoda d’Argento, e il Wat Phnom, un piccolo tempio molto suggestivo, visita al Mercato centrale. Nel pomeriggio trasferimento in aeroporto e partenza con volo TG 699 per Bangkok. Arrivo alle 21,30.
27 ottobre 2006 – Bangkok / Milano Malpensa Partenza con volo TG 940 per Milano alle ora 00,40. Pernottamento a bordo. Arrivo a Milano alle ore 07,20.
Il diario di viaggio
Rieccomi in partenza per un altro viaggio, stavolta la destinazione è il Myanmar la ex Birmania (che, per praticità continuerò, a chiamare col vecchio nome) e la Cambogia. Paesi lontani mille e mille miglia, con culture diverse dalla nostra e la storia letta velocemente sui libri, ascoltata in televisione per i fatti degli ultimi decenni avvenuti nella penisola indocinese. Le informazioni recuperate sulle guide ed in internet, danno parzialmente un quadro della situazione attuale, quindi non so che troverò in questi paesi a me totalmente sconosciuti.
Si preparano le valigie, la macchina fotografica e le schede di riserva (da poco mi sono convertito al digitale abbandonando la mia gloriosa Pentax meccanica), il mio inseparabile blocco per gli appunti, delle penne, passaporto, programma di viaggio, guide e non per ultimi gli indispensabili biglietti aerei.
Per il viaggio ho scelto due guide; • Per la Birmania (Myanmar): la prima è l’Ulisse Mozzi – ed 2003 – (molto bella per le parti descrittive, che permettono di conoscere la storia, le usanze, la geografia e le etnie), la seconda è la Lonely Planet-EDT – 5° edizione italiana, marzo 2006 -(molto utile per l’elenco dei luoghi e dei monumenti da visitare, oltre che fornire altre “notizie utili” per il viaggio).
• Per la Camboga: l’Ulisse Mozzi – ed 2003 – e la Lonely Planet-EDT – 5° edizione italiana, gennaio 2006 -.
Nel diario farò riferimento ai luoghi da me visitati indicando la pagina di riferimento per la guida Ulisse Moizzi con (M pag.), mentre per la Lonely Planet-EDT sarà indicata con (L pag.), in modo che chi volesse approfondire dettagli storici e culturali abbia tutti i riferimenti del caso.
10 ottobre 2006 Parto da casa diretto alla stazione ferroviaria di Saronno (VA) dove il gruppo si sta formando, siamo 29 persone, con qualcuna ho già condiviso altri viaggi, altre le conosco altre no, ed il primo impatto è buono. Alla stazione c’è che arriva in auto, chi in treno, chi con un pulmino di un’associazione del paese, che gentilmente si è offerta di trasportare i bagagli dei viaggiatori. Facciamo i biglietti ferroviari e saliamo sul Malpensa Express delle 11,16, il treno che congiunge velocemente Milano all’aeroporto di Malpensa, effettuando poche fermate intermedie. Alle 11,37 siamo all’aeroporto lombardo, la procedura di imbarco è rallentata dalle bizze del computer aeroportuale che non riconosce alcuni biglietti, ma dopo qualche minuto di stand-by riparte ed il gruppo può imbarcare le valigie. L’aereo per Bangkok è pieno, il gruppo si confonde con altri passeggeri che viaggiano chi per lavoro, chi per trekking sull’Himalaya, chi rientra in Thailandia, chi come noi è diretto in altri paesi della penisola indocinese. Il volo è allietato dall’ottimo servizio della Thai (la compagnia thailandese) e dopo 11 ore di volo attraversando una coltre di nuvole, arriviamo in vista dell’aeroporto di Bangkok.
11 ottobre 2006 Atterriamo, la struttura aeroportuale in acciaio e teloni è moderna, vastissima, pulita ed ordinata, richiama una vela continua, è davvero imponente. Lunghi corridoi portano agli imbarchi di chi come noi ha solo il transito, procediamo per oltre 1 km su tappeti mobili e saliti al piano superiore, transitiamo dal controllo per l’imbarco verso Yangon, la capitale della Birmania, ci sediamo all’uscita, guardo l’orologio, sono le 6,35, il sole è già alto nel cielo, il sonno comincia a farsi sentire, durante il volo praticamente non si è dormito, chi leggeva, chi utilizzando i monitor TV LCD dell’aereo guardava un film, chi giocava, chi ascoltava musica. Dopo un breve attesa riprendiamo il volo diretti a Yangon, il volo è breve, circa 50 minuti. Le hostess della Thai, alle donne presenti sull’aereo, prima di scendere hanno omaggiato una colorata e stupenda orchidea, proprio un pensiero gradito di benvenuto.
Osservando dal finestrino, il paesaggio si presenta come una distesa pianeggiante, una sterminata risaia. Risaie irregolari con molti corsi d’acqua vicini, qualche grande fiume adiacente, si vedono case e palme, alcune abitazioni sono nuove, altre sembrano delle capanne. Atterriamo e vedo delle persone che lavorano ai margini della pista, la prima impressione è di essere arrivato in un paese in via di sviluppo. L’aereo si ferma, scendiamo, ad aspettarci c’è un pullman molto fatiscente che in un tragitto lungo pochi metri ci conduce alla zona di arrivo dei voli internazionali. L’aeroporto da più l’impressione di un grande cantiere aperto, dove chi transita deve far attenzione alle impalcature presenti ed agli operai che lavorano, uomini e donne sono su impalcature senza nessuna protezione, restando in equilibrio su delle semplici assi di legno. Passiamo il controllo per l’ingresso in Birmania, ci apprestiamo a ritirare le valigie e cercare la guida che ci accompagnerà per il tour. Troviamo una ragazza birmana che parla italiano, è una guida turistica che sta rientrando a casa, ci da una mano ad individuare le nostra guida locale, man mano che la valige arrivano, si ritirano e si passa la dogana aeroportuale, sono alla fine del nastro e … La mia valigia non arriva. Grazie alla ragazza birmana chiedo delle informazioni e mi dicono che se la valigia non è arrivata, potrebbe arrivare alla sera con un altro volo della Thai e che comunque sono cose che succedono. A quel punto bisogna compilare il modulo di denuncia, c’è coda, da quanto comprendo non sono arrivate 4 valigie. Formalità burocratiche espletate parlando con la nostra guida, mi dice che provvederà l’agenzia al reperimento ed alla consegna della valigia direttamente in albergo. Non sono del tutto tranquillo. Meno male che nel bagaglio a mano, mi sono portato un cambio, oltre che la macchina foto ed il blocco per gli appunti.
Finalmente riesco a raggiungere gli altri sul pullman che è posteggiato fuori dall’aeroporto, nel salire noto subito qualcosa di strano, la guida del veicolo è a destra, ma la direzione di marcia è come in Italia; il pullman risale a quando la circolazione era in stile inglese, quindi si sale dalla parte sinistra del pullman, ovvero dal centro della carreggiata.
Partiamo verso l’albergo, la guida si presenta, si chiama Soe Min Tun, ma dice di abbreviare il suo nome con Sosò; è un ragazzo gioviale, parla fluentemente l’italiano, la prima impressione è ottima.
Durante il viaggio di oltre un’ora verso l’albergo, Sosò ci accenna qualcosa della situazione del suo paese, che coincide con quanto letto sulle guide e reperito in internet; la situazione politica del paese è delicata, il regime è militare e per il controllo si avvale di un efficiente servizio di spionaggio interno. Il telefono cellulare non funziona, chiedo spiegazioni e mi dice che funzionano solo le schede birmane, tutte le altre sono inutilizzabili. Con l’Italia nessun collegamento tramite cellulare, è possibile mantenere il contatto con il telefono dell’albergo e con la posta elettronica, dove è reperibile.
Dall’aeroporto, ho notato che le persone non vestono all’occidentale, solo i militari e la polizia indossano i pantaloni, tutte le altre persone portano una specie di gonna la cui lunghezza varia dalla caviglia alle ginocchia. Chiedo a Sosò, il quale ci spiega che è il longyi, l’indumento tradizionale birmano, usato da uomini e da donne, è comodo e pratico. La calzatura comune per i birmani è la ciabatta infradito, comoda, pratica, facile da togliere e da mettere. L’usanza vuole che nelle abitazioni si circoli scalzi, quindi prima d’entrare, occorre togliere le calzature, altro motivo della comodità delle ciabatte infradito. Inoltre l’accesso ai luoghi sacri, in segno di rispetto, è permesso solo scalzi.
Penso: se la valigia non arriva, potrei acquistare un longyi, oppure andare in cerca degli abiti occidentali? Vedrò l’evolversi della situazione nella serata.
Procedendo verso l’albergo, noto un contrasto urbanistico notevole, palazzi nuovi affiancati da abitazioni fatiscenti realizzate con uno stile indefinito, moderne come fattura, ma trascurate. Si vede un’urbanizzazione molto caotica, quasi senza regole con uno stridente contrasto tra gli edifici, la zona residenziale è molto ben curata, con case in stile coloniale inglese. Durante il viaggio, dal pullman, si vedono delle pagode dal tetto dorato, transitiamo nei pressi dell’imponente, elegante e scintillante Shwedagon Paya, la pagoda meta del tour pomeridiano.
Arriviamo il albergo, cocktail di benvenuto e sistemazione nelle camere. Sono al 19° piano, osservando dalla finestra il panorama, seppur assonnato vedo meglio il contrasto degli edifici visti dalla strada. Dopo il viaggio un sonno di alcune ore ci vuole proprio per riprendersi dalla differenza creata dal fuso orario, siamo 5 ore più avanti dell’Italia, qui è giorno inoltrato praticamente non abbiamo dormito una notte. Suona il telefono che sono le 11,45 locali, ed è l’inizio del tour, benvenuti in Birmania sembra annunciare la sveglia … Il ritrovo è nella hall dell’albergo, la guida cerca di tranquillizzarmi per la mia valigia che “forse” arriverà stasera, meno male che sono stato previdente col cambio nel bagaglio a mano (prevenire è sempre meglio che curare). Saliamo sul pullman ed attraversando la città arriviamo nei pressi di un lago, dove in un ristorante cinese, degustiamo alcuni piatti della cucina birmano/cinese, involtini di gamberi avvolti in una pasta di riso e fritti, zuppa con carne di pollo e funghi, manzo con verdure, pesce, anatra, verdure cotte, tutto accompagnato da riso bianco bollito. Sono sapori nuovi, il pranzo si conclude con dell’ottima frutta fresca, melone bianco, papaja, anguria. I sapori ricordano vagamente i nostri ristoranti cinesi, il servizio è ottimo. Per fortuna che a detta di Sosò, questa doveva essere solo una breve sosta per uno spuntino prima d’iniziare il tour.
La temperatura è calda ed umida, oltre 35 gradi con 80% d’umidità, il monsone è appena passato e dovremmo trovare solo delle perturbazioni residue.
Risaliamo sul pullman e girando per la città vediamo degli autobus un “po datati”, sono vecchi automezzi inglesi, risalenti al secondo conflitto mondiale, una volta usati per il trasporto truppe ed ora trasformati in bus cittadini. Alcuni sono strapieni di persone, Sosò ci spiega che tutti pagano il biglietto, ma solo i più fortunati si siedono, altri viaggiano in piedi, altri viaggiano abbarbicati all’esterno dell’autobus. Ad una fermata noto l’interno vuoto di questi bus: i sedili sono costituiti da 2 panche di legno poste longitudinalmente ai lati collocate sotto i finestrini e di altre 2 panche di legno poste centralmente.
Proseguiamo per la città e velocemente arriviamo nei pressi di una struttura che si presenta come un capannone, ma l’ingresso è abbellito e finemente decorato, siamo a Chaukhtatggi Paya (L95 – M96): essendo un luogo sacro dobbiamo togliere le scarpe per entrare, un’imponente statua di Buddha disteso, lunga 72 metri si presenta alla nostra vista. Il rispetto per i luoghi sacri è enorme, bisogna sempre entrare a piedi nudi e, nei templi maggiori vestiti con coperte gambe e braccia (questo rispetto lo attueremo in tutta la Birmania e nei maggiori templi della Cambogia). La statua di Buddha risale al 1962, è realizzata in mattoni pieni, finemente rivestita e colorata; la colorazione è un particolare molto apprezzato dai birmani. Il capannone è sorretto da alcuni pilastri decorati con argento e specchi. Vicino la statua, delle teche raccolgono le offerte dei fedeli, offerte che servono per la manutenzione della statua e di tutto il complesso. Il cuscino della statua è fatto con vetri decorati. Nel capannone c’è una foto della statua originale, che è stata demolita e sostituita con l’attuale. Le piante dei piedi della statua di Buddha, sono decorate con 108 tavole raffiguranti fiori, animali ed habitat. Sono un punto di riferimento della religione buddista, queste tavole rappresentano l’essenza del credo buddista. Sono raffigurati i 7 monti che bisogna superare ed i 7 mari che bisogna attraversare per raggiungere il Monte Merù, punto centrale della religione buddista. Inoltre sono raffigurati tutti i piani che componenti il paradiso che rappresentano le reincarnazioni espresse dal buddismo. Il paradiso è composto da 26 piani di cui 6 inferiori, dove vivono gli angeli e 20 superiori, poi esiste il piano attuale dove vivono le persone e gli animali, infine esistono 4 piani dell’inferno. In totale sono 31 livelli.
Lasciamo l’imponente statua e Sosò ci accompagna a visitare l’adiacente monastero, dove centinaia di monaci vivono e studiano. Mentre giriamo, ci racconta la vita quotidiana dei monaci; all’alba si alzano, colazione e poi con in mano un vaso nero, completamente avvolti dal loro mantello marrone scuro, girano scalzi per il paese alla richiesta di carità, il cibo viene versato loro dai fedeli nel vaso nero (solitamente riso bianco bollito). Il monaco fa due pasti al giorno, il primo all’alba ed il secondo comunque prima della 12 e fino alla mattina successiva non ingerisce alimenti. Nel pomeriggio, il monaco può girare con una spalla scoperta. L’abbigliamento completamente coperto della mattina è un segno di rispetto per i fedeli che danno offrono loro cibo.
Girando per il monastero vediamo come sono strutturate le case birmane, innanzitutto si entra scalzi, le scarpe e le ciabatte vanno lasciate sull’uscio. Solitamente la prima stanza che si trova è un salotto dov’è posizionato un altare con sopra una statua di Buddha, davanti alla quale sono posti 5 bicchierini che rappresentano: Buddha, i monaci, i benefattori, i genitori ed i maestri.
Visitiamo la casa dove vivono i monaci, un salotto con l’altare, dei servizi molto semplici, un lavello, una stanza con delle stuoie collocate per terra, dove i monaci dormono, infine un locale dispensa dove dormono il capo ed il vice capo dei monaci. L’edificio è totalmente in legno, l’interno è semplice ed accogliente, le finestre lasciano entrare una luce che illumina i luoghi che sono dedicati alla lettura ed allo studio.
Visitiamo totalmente il monastero: posto su una collina, è costituito da case il legno, i viali interni sono interamente protetti da coperture, a riparo dal sole e dalla pioggia. All’esterno delle loro residenze, alcuni monaci si lavano, indossando il loro mantello marrone si versano addosso dell’acqua servendosi di alcuni catini in ferro (usanza che troverò per tutta la Birmania). Altri monaci riposano su panche di legno poste sotto delle piante presenti comunque vicino alle abitazioni.
Usciamo dal convento, risaliamo sul pullman e rimettiamo le scarpe, ma poco dopo effettuiamo un’altra fermata, siamo arrivati all’imponente ed estesa pagoda di Shwedagon Paya (L87 – M87)) con lo stupa dorato.
Ho appena parlato di pagoda e di stupa, ma che significa? Noi occidentali utilizziamo indifferentemente il termine pagoda per indicare qualsiasi struttura religiosa buddista, ma esistono delle differenze fondamentali, vediamole: • la pagoda è un complesso religioso dove sono presenti più strutture; • lo stupa è un edificio di mattoni pieni, solitamente la forma ricorda le foglie del “Ficus Religiosa” o “Albero della Pippala”, l’albero dove Buddha ha avuto l’illuminazione e le cui foglie dalla forma che vagamente rappresentano un cuore capovolto, sono divenute modello per la costruzione degli stupa, tendenzialmente dorato, ma i birmani amano colorarlo anche di bianco. Alla base dello stupa possono essere custodite: delle reliquie di Buddha, o delle reliquie di monaci, o copia dei tre libri sacri del buddismo, oppure una tavoletta votiva.
Lo stupa termina con una cima decorata la “hti”, con forma ad ombrello o a corona votiva; in cima all’hti sventola sempre una banderuola, la “hingetmana”.
L’hti è realizzato in ferro dorato o in bronzo dorato e, nelle costruzioni più importanti anche d’oro tempestato di pietre preziose.
• il tempio è un luogo di culto, di preghiera, è accessibile ai fedeli e contiene delle statue di Buddha.
Ma ritorniamo al nostro giro, il pullman si ferma, togliamo le scarpe e ci apprestiamo ad entrare nel complesso accedendo dal portale ovest. Nella pagoda sono presenti 4 accessi, uno per punto cardinale, gli accessi originali erano in legno decorato, sono stati rifatti iniziando 1997 e terminando nel 2002. Gli accessi alla pagoda si presentano come dei corridoi interamente ricoperti da tettoia, i bianchi muri, sostengono una serie di sette tetti verdi abbelliti da lavorazioni dorate, che degradano verso l’alto, alla fine il tetto è sormontato da un pinnacolo anch’esso dorato, lo sguardo si perde verso l’infinito a guardare la bellezza di simili coperture.
La copertura dei templi e di altri edifici è chiamato “pytthat” si presenta con più tetti sovrapposti, decorati con trafori in legno dorato o in latta, che vanno man mano stringendosi verso l’alto.
Per accedere alla pagoda, evitiamo di salire le gradinate degli accessi ed utilizzando un ascensore recentemente costruito arriviamo velocemente in cima alla collina, avendo una visione unica sulla città, sulle colline circostanti e sul paesaggio complessivo, la vista che si presenta è davvero affascinante, verdi colline sono a perdita d’occhio.
Entriamo nel perimetro della pagoda, subito vediamo un altare posto sotto un “Ficus Religiosa”, l’atmosfera appare surreale ed è immensa le religiosità che si percepisce in questo luogo, giriamo fra pinnacoli dorati, camminiamo tra fumate d’incenso e persone oranti. Il cielo è grigio, ma uno squarcio azzurro fa breccia nelle nuvole, il sole illumina l’imponente stupa dorato, una struttura alta 99,6 mt. Si gira intorno alla struttura in senso orario, lo stupa è circondato dalle statue che indicano i punti planetari con raffigurazioni (L92) che rappresentano i nati alla mattina o al pomeriggio di ogni giorno della settimana; dove i nativi pregano ed offrono offerte alle corrispondenti statue.
Lo stupa è circondato da un pavimento di marmo bianco che viene pulito costantemente da dei volontari 2 volte al giorno seguendo precise e rigide formazioni, la pulizia avviene alla mattina ed al pomeriggio. Nell’area vi sono molti stupa bianchi o dorati edificati da privati fino al 1999, dopodiché ne è stata proibita l’ulteriore proliferazione. Proseguiamo nel nostro giro in senso orario ed arriviamo ad un edificio contenente una campana di 20 tonnellate, la campana è divisa in 3 parti ben distinte, la prima è il bordo, la seconda illustra storie di Buddha, la terza ha dei riferimenti astrologici.
Vicino alla campana un edificio contiene dei telai in legno, sono telai su cui nella notte di luna piena, in occasione della festa buddista celebrata, le donne tessono un tessuto; è una gara che alla fine vedrà un vincitore che verrà premiato con molto denaro ed il suo prezioso tessuto servirà per vestire una statua di Buddha.
Poco distante vi è una statua di Buddha con un ventaglio azionato a mano, la credenza popolare vuole che agitare questo ventaglio serva ad allontanare i nemici personali.
Proseguiamo sempre a piedi nudi, ed in un edificio troviamo un’interessante galleria fotografica della pagoda, vi sono foto in b/n e foto a colori che testimoniano le varie vicissitudini che il complesso ha attraversato nel corso della storia. Vi sono delle stupende foto a colori del’hti, posizionata sul punto più alto dello stupa, contenente un diamante di 76 carati, è completamente d’oro ed è incastonata di pietre preziose; l’hti attuale è stato collocato nel 1999, sostituendo il precedente di bronzo dorato. Lo stupa è interamente ricoperto da lamine d’oro.
Vi sono foto che testimoniano gli imponenti lavori di restauro effettuati, il rifacimento degli edifici e l’abbellimento degli stessi; una bella ed importante testimonianza che manifesta anche il rispetto per questo luogo sacro per i buddisti.
Poco distante, sotto un tempio in legno è conservata una campana di 40 tonnellate. Proseguendo nel giro, vediamo una cappella con una statua dorata di Buddha tempestata di pietre preziose, questo è un luogo particolare per la preghiera e la meditazione. Uscendo dalla pagoda e dirigendomi verso l’ascensore che mi riporterà alla base della collina, noto che il sole sta tramontando facendo breccia nel cielo grigio, invia i suoi raggi sul rivestimento dorato dello stupa, illuminando anche le altre decine di stupa dorate, quale migliore benvenuto in Birmania si poteva auspicare? Ho parlato delle statue di Buddha che abbiamo visto finora, ma vediamo le tre posizioni dell’iconografia classica che maggiormente incontreremo nel percorso in Birmania ed in Cambogia: • il Buddha seduto, con la mano destra che tocca il suolo e la mano sinistra appoggiata sul grembo, questa posizione simboleggia la meditazione; • il Buddha in piedi, con la mano destra tesa e l’indice puntato indica la via, con la mano sinistra alzata in segno di saluto, indica rassicurazione; • il Buddha sdraiato con le gambe flesse rappresenta il raggiungimento del nirvana, con le gambe distese è l’atto prima della morte; Finora le statue viste erano quelle di Buddha seduto che simboleggia la meditazione e, saranno anche la maggior parte di quelle che vedremo nelle visite, qualora le statue fossero diverse le indicherò volta per volta nel racconto.
Rientrando in albergo facciamo un giro al mercato cinese, noto la ricchezza di colori della frutta, assaporo il profumo delle carni cotte alla griglia, vedo negozi di abbigliamento (di cui prendo il riferimento, qualora la valigia non arrivasse), negozi di cosmetici e di gioielli. I banchi del mercato sono fatti con dei sostegni di legno, le tavole sono di bambù intrecciato e le tovaglie fatte con delle enormi foglie, dove viene posato il cibo in vendita. Innumerevoli sono i pesci secchi esposti di cui ignoro il nome, anche la variegata frutta presenta vegetali a me sconosciuti, fra quelli conosciuti, individuo i meloni bianchi che abbiamo gustato nel pranzo.
Rientriamo in albergo per una doccia, mi cambio (con quello che ho nel bagaglio a mano) e poi si riparte col pullman per un ristorante posto, anche questo su un lago. Il ristorante, in muratura, ha una forma simile ad un battello, è un posto solo per turisti, e questo lo dimostra la qualità dozzinale del cibo. La serata è rallegrata da uno spettacolo musicale di danze tradizionali e poi da uno spettacolo di marionette. La cena trascorre velocemente e rientriamo in albergo verso le 21,30. Sosò avverte tutti di preparare una valigia leggera per un pernottamento di una notte, per l’escursione del giorno successivo.
La mia valigia non è giunta all’aeroporto, di conseguenza il mio zaino si adatta perfettamente all’occasione, nel frattempo recupero qualche maglietta.
In camera, dopo il viaggio aereo e la giornata trascorsa tra pullman e visite, con negli occhi ancora lo spettacolo della pagoda dorata e l’enorme statua di Buddha, crollo in un profondo sonno .
12 ottobre 2006 Alla mattina Yangon si presenta avvolta da una coltre nebbiosa, dal 19° piano del Traders Hotel e la vista spazia sulle abitazioni e sul porto, prendendo l’ascensore posso intravedere sulla collina la Shwedagon Paya visitata il giorno prima. Avere qualche punto di riferimento per orientarsi è meglio.
Colazione in albergo, si riprende il pullman e si attraversa la città diretti alla Golden Rock: la Roccia d’oro. Nell’attraversare la città, visto il traffico intenso, Sosò ne approfitta per cominciare ad illustraci alcuni aspetti del suo paese.
La prima curiosità riguarda le targhe degli autoveicoli che hanno 5 colori, il rosso per automezzi adibiti al trasporto pubblico, il nero per automezzi privati, il bianco per gli automezzi delle autorità, il celeste per i pullman ed infine il giallo per gli automezzi dei monaci (pochissimi a dire il vero).
Vediamo dei bambini che in file ordinate camminano lungo il ciglio della strada, sono vestiti con il “longyi” verde e camicia bianca sono studenti che si stanno recando a scuola, il ciclo scolastico ricorda quello italiano, elementari, medie e superiori. Ma in Birmania esiste un sistema meritrocatico, e solo secondo i voti acquisiti nelle superiori si accede alle facoltà universitarie, dove i migliori studenti accedono a medicina ed ingegneria, mentre l’accesso alle altre facoltà degrada secondo i voti ottenuti alle superiori.
In Birmania si utilizzano tre calendari, il Gregoriano (quello usato in occidente), il calendario Birmano (che corrisponde al 1300) ed il calendario Buddista (che corrisponde al 2500). Gli ultimi due calendari seguono le fasi lunari, hanno periodi di 28 giorni ed in vario modo compensano per arrivare ai 365 giorni del percorso terrestre intorno al sole.
Durante il viaggio transitiamo nei pressi di un ospedale, Sosò ci spiega che esistono 3 tipi di ospedali. I primo è una struttura prettamente ambulatoriale dove è presente solo il medico che prescrive le ricette, il paziente deve poi recarsi ad acquistare i farmaci in una farmacia, collocata solitamente nei pressi dello studio medico; questo servizio è riservato alla popolazione. Il secondo tipo di ospedale è riservato agli impiegati statali, dove, accedono solo gli impiegati statali ed i loro familiari; queste strutture utilizzano medicine cinesi di scarso effetto terapeutico. Esistono poi gli ospedali militari, accessibili ai militari ed ai loro familiari, sono le migliori strutture sanitarie del paese, dotate di macchinari e farmaci occidentali.
Infine, ma fuori dai tre tipi su descritti e solo nelle grandi città, esistono gli ospedali per i monaci, accedono solo ed esclusivamente i monaci dei vari conventi; durante il viaggio, attraversando Yangon, transiteremo più volte nei pressi di un ospedale per monaci, un edificio grande e molto modesto.
Sosò prosegue descrivendo altre caratteristiche della vita in Birmania; è un paese che par essere costituito da caste, i militari, gli impiegati statali, i contadini e poi il resto della popolazione.
Poter entrare nei ranghi militari e superare i primi duri periodi, fornisce la possibilità di accedere alle scuole militari che servono anche come avanzamento di grado.
L’altra categoria di persone che hanno dei benefici sono gli impiegati statali, i quali, diversificati per ministero godono di una serie di “benefit” statali, chi riceve buoni per i mezzi pubblici, chi viaggia gratis, chi ha sconti su energia elettrica, chi riceve riso ed olio per sé e per la propria famiglia.
Da quanto raccontato, la Birmania appare un paese molto simile ad altri, dove solo a qualcuno sono concessi alcuni privilegi e benefici. Dalle spiegazioni e da quanto ho letto prima di partire, emerge che anche qui la corruzione è una presenza costante in molte attività e qualche scandalo riguardante persone pubbliche ben in vista, è abbastanza recente. Come metro di misura anche correlato a questo fenomeno, abbiamo delle cifre, lo stipendio medio di un impiegato statale è di 80 dollari al mese, per acquistare una Land Rover nuova (e ne girano parecchie), occorrono 150.000 dollari, di cui la maggior parte sono tasse governative. Questo parametro potrebbe spiegare la piaga che permette a qualcuno d’arricchirsi. Un appartamento in città costa molto meno di un’auto.
La Birmania è il settimo produttore mondiale di riso che risulta essere una delle principali voci nell’esportazione. I terreni sono di proprietà dello stato e sono dati ai contadini per un periodo di 60 anni, il pagamento può avvenire in due modi; il primo è l’affitto puro, il secondo modo è il 10 % del raccolto, calcolato sulla stima della produzione media della superficie della risaia, ma in questo caso potrebbero esserci seri problemi in caso di carestia, in quanto questo sistema crea indebitamento ai contadini stessi.
Ai contadini, lo stato fornisce riso ed olio a prezzi bassissimi e gli oli utilizzati dai birmani sono: quello di palma (nocivo per la salute), quello di arachidi e quello di sesamo.
Proseguiamo verso la periferia di Yangon e ci fermiamo nei pressi di un’edicola; un luogo dove tutti i conducenti di automezzi si fermano per un ringraziamento a San Cristoforo, protettore degli autisti: infatti, qualsiasi mezzo che transita, si ferma un attimo e poi riparte.
Percorriamo qualche chilometro e poi effettuiamo una sosta al cimitero degli alleati, dove riposano 27.026 inglesi e loro alleati caduti nella seconda guerra mondiale; le lapidi indicano, nome e cognome, battaglione e nazionalità, sono ben curate e vediamo del personale intento al taglio dell’erba ed alla lucidatura del bronzo delle lapidi. La manutenzione del cimitero è di assoluta e rigorosa precisione, un bell’ordine in puro stile inglese.
Ripartiamo e poco distante un casello per il pedaggio, è l’accesso all’autostrada birmana, due corsie asfaltate per direzione ed ai lati … Pedoni e poi la pista per i carri trainati dai buoi e per i trattori: veramente un’autostrada unica.
Il manto stradale presenta qualche buca, e dopo 80 km percorsi in oltre un’ora, arriviamo nella città di Bago dove ci fermiamo a vedere la Shwethalyaung Buddha (L145 – M109), una colossale statua di Buddha sdraiato lunga 55 mt ed alta 16. Anche in questo caso, come nel precedente, la statua è realizzata con mattoni pieni, rivestita di malta e finemente decorata. Sul retro della statua delle raffigurazioni illustrano la storia della statua; alla testa, il basamento è ricoperto di formelle di vetro colorato che illustrano la storia di Buddha. Anche qui il luogo è di pellegrinaggio e, come in tutto il mondo … Esiste un luogo di pellegrinaggio senza l’adiacente mercatino? Ottimo motivo, per qualche componente del gruppo di cominciare a far compere.
Riprendiamo il viaggio diretti verso lo Stato Mon (una delle regioni della Birmania), e percorrendo una strada piena di buche l’andatura rallenta di molto, ma questo permette d’osservare bene le risaie e di poter scattare qualche foto dal pullman. Ad un certo punto il mezzo si ferma di fianco ad una risaia, scendono i due autisti e cominciano a trafficare … Non vedo che fanno, ma stanno prendendo acqua dalla risaia … Sosò c’informa che stanno aggiungendo acqua nel radiatore. Riprendiamo il viaggio ed attraversando un fiume, su un ponte di ferro costruito dagli inglesi, passiamo il confine regionale ed entrando nello Stato di Mon, ci avviciniamo alle colline dove il paesaggio cambia, le risaie lasciano il posto alla foresta tropicale, si vedono campi coltivati ed immense piantagioni di piante da gomma. Altra sosta, siamo in un villaggio costruito lungo la strada, il pullman ha dei problemi con l’impianto di raffreddamento, anche l’aria condizionata è ferma, gli autisti scendono, aprono il cofano motore e cercano di sostituire un manicotto, tentativo fallito in quanto il pezzo non originale si rivela inadatto alla sostituzione per cui viene rimontato il vecchio manicotto. Terminata la sosta dove ci siamo dedicati a scattare alcune foto agli abitanti del villaggio, ai bambini ed alle abitazioni, il viaggio riprende; il cielo che durante la sosta era diventato grigio cupo, comincia a scaricare acqua, meno male che siamo in viaggio e non stiamo visitando qualche monumento, il pullman ci protegge dalla pioggia tropicale. Ci fermiamo in un ristorante per il pranzo, siamo ai margini di una verdissima vallata ed in lontananza si vedono le colline meta del nostro viaggio. La cucina birmana offre: zuppa, pollo con arachidi, anatra, verdura, frutta. Anche oggi, come ieri, io e Sandro mangiamo con i bastoncini di bambù. Terminato il pranzo, si risale sul pullman e si riparte costeggiando la foresta tropicale. Dopo 40 minuti di viaggio, arriviamo al villaggio di Kinpun (154 – M110), dove il pullman si ferma. Scendiamo e ci rechiamo presso una piazzola rialzata, ai lati della piattaforma sono posteggiati dei camion, nel cui cassone sono state collocate delle assi di legno che fungono da sedile. Posizioniamo i nostri zaini in una gabbia posta in fondo al camion e cerchiamo di prendere posto su questo singolare mezzo di trasporto. Essendo noi europei più alti degli indocinesi le nostre lunghe gambe faticano a trovare la giusta posizione fra le strette assi che fungono da sedile. Saliti sul camion tutti e 30, partiamo; la strada è cementata e tortuosa, non si vede nulla, siamo tutti sballottati dall’andatura e dai sussulti causati dal fondo irregolare. La prima fila si posiziona in piedi e guardando oltre il tetto della cabina del camion avvisa gli altri passeggeri di com’è la strada, è un continuo “curva a destra”, “curva a sinistra”, “salita”, “discesa”, “salto” … Dietro, le urla mischiate a risate, rendono indimenticabilmente piacevole il viaggio. Incrociamo altri camion che scendono, poi una sosta in un posto di controllo, dove la strada diventando stretta impone un senso alternato di marcia. Approfitto per fare delle foto al gruppo seduto sulle assi nel cassone del camion. Riprendiamo la salita, la strada è veramente stretta e sale sinuosa e ripida, ad un certo punto la strada è costeggiata da fiori rossi, una sbarra indica che siamo a Yatetaung Bus Terminal (L154), gli 11 chilometri di percorso sono stati coperti in 45 minuti di tempo. Fra le colline, troviamo un’enorme piazzale, il camion si ferma, noi scendiamo e riprendendo i nostri zaini ci apprestiamo ad effettuare l’ultimo tratto di salita che ci divide dalla Roccia d’oro, sono oltre 200 metri di dislivello. Al centro del piazzale sono posteggiati i camion che servono per il trasporto dei pellegrini, ai lati vi sono capanne con negozi, bar e punti di sosta per chi vuole riposare. La piazza è animata dai portatori che con la loro inconfondibile camicia blu, si offrono per portare valigie e zaini dei pellegrini che vogliono salire verso la Roccia d’oro. Per chi ha difficoltà a percorre la ripida strada, i portatori offrono un servizio di portantina, una sdraio sostenuta da due robuste canne di bambù. Qualcuno del gruppo approfitta del servizio, contratta il prezzo di andata e ritorno e parte, altri invece contrattano il prezzo per zaini o valige e li affidano ai portatori che con delle gerle di bambù, cominciano a salire velocemente. Anche il gruppo inizia a salire, la salita si mostra subito ripida, in poco tempo la compattezza del gruppo si sfila. Mentre saliamo, incrociamo dei camion che salgono o scendono trasportando pellegrini locali, per motivi di sicurezza, vista la strada, il servizio è riservato solo ai birmani; in effetti i camion sono stracarichi e trasportano molte più persone delle 30 previste. Salendo, lungo la strada s’incontrano delle edicole con statue di Buddha, posti di ristoro, venditori. Ad ogni passo si è costantemente assaliti dai portatori che chiedono di contrattare il prezzo e di accettare un passaggio in portantina; la strada cementata, sale ed a tratti è molto ripida.
Dopo qualche tornante s’intravede la meta; la Roccia d’oro appare sempre più chiaramente. Il tramonto è iniziato e la Roccia d’oro si colora dei raggi del sole. Si continua a salire, l’insistenza dei portatori permane e man mano che si sale il prezzo scende. Ad un tornante che gira verso destra, si apre sulla sinistra una strada sterrata che è meno ripida della precedente, e transitando tra capanne adibite sia a negozi che ad abitazioni, in poco tempo si giunge presso una scalinata di cemento con al termine un arco di ferro con delle scritte in birmano, siamo alla fine della salita. Si prosegue lungo la strada che pianeggiante porta verso l’albergo, siamo sempre circondati da portatori che stavolta cercano di contrattare il prezzo per il ritorno. In poche decine di metri giungiamo all’albergo dove veniamo accolti con dell’ottimo e caldo the verde, la bevanda è davvero un toccasana dopo la salita effettuata col grande caldo e l’umidità presente. Lasciamo gli zaini nella hall dell’albergo e proseguiamo in direzione della Roccia d’oro, ormai è sera. Avvicinandoci alla sommità della collina, che è un luogo sacro, dobbiamo toglierci le scarpe e proseguire a piedi nudi, si procede su un pavimento di marmo lucido ed in un breve tratto giungiamo alla Roccia d’oro che imponente guarda la vallata.
La leggenda racconta che la roccia è tenuta ferma da un capello di Buddha, in effetti la roccia appare proprio in bilico sulla vallata sottostante. Questo è uno dei massimi luoghi di pellegrinaggio per i buddisti; avvicinandoci alla Roccia d’oro tentiamo di fare qualche foto notturna e vista l’ora, decidiamo di rientrare in albergo, stanno arrivando delle nuvole basse che avvolgono tutto e fanno aumentare la già notevole umidità. Prima di rientrare in albergo, facciamo un breve giro tra le bancarelle del mercatino ed alcuni alberghi destinati ai pellegrini.
Rientriamo in albergo, ci vengono assegnate le camere, sono molto modeste ed umide. Alle 20: 30 la cena è servita nella sala da pranzo che guarda verso la Roccia d’oro, la cena è birmano/cinese, zuppa di lenticchie, pollo, pesce, verdure, spaghetti di riso e l’immancabile riso bollito. La cena trascorre tra chiacchiere, si ridacchia per le condizioni delle camere, chi ha trovato dei funghi, chi una rana, che delle libellule, chi dei gechi …
Rientriamo nelle camere e cerchiamo di dormire, il ventilatore in funzione dovrebbe portare un pò di sollievo, ed io penso: “chissà se la mia valigia arriverà? Qui l’umidità è elevata ed il cambio ormai è sporco, devo trovare il modo per lavarlo …” 13 ottobre 2006 Notte infernale, umidità elevata, il ventilatore fa rumore e muove solo aria umida, quando lo spengo ci pensano le cicale all’esterno a tenerci svegli e quando terminano le cicale iniziano le persone sulla strada di ritorno dalla Roccia d’oro a far rumore. Sono pellegrini che hanno stazionato dalla sera precedente nel luogo sacro e pian piano s’avviano verso la discesa.
Alle 5,30, con un bussare alla porta della camera, arriva la sveglia che c’invita ad alzarci per andare a vedere il sole che sorgendo illumina la Roccia d’oro. Ci vestiamo ed andiamo, sempre a piedi nudi sulla cima della collina, a quest’ora il marmo del pavimento che ricopre la collina è freddo e scivoloso, bisogna stare attenti a camminare. Il sole nascente è nascosto dalle nuvole, ma pian piano ha il sopravvento ed illumina tutto, il suo calore inizia a togliere la fredda umidità notturna dai vestiti e dalle ossa.
Su un altare posizionato nelle immediate vicinanze della Roccia d’oro, numerosi pellegrini offrono cibo, alcuni di loro lasciano la cima della montagna ed altri ne arrivano, è un continuo via vai di gente.
Rientriamo in albergo, preparo lo zaino per la discesa, colazione e poi si parte; nella discesa incontriamo molti pellegrini che salgono, vicino alle abitazioni/negozi, incuriosito da decine di vasetti, mi soffermo a veder cosa vendono, oltre ai classici souvenir, vi sono molti prodotti della medicina e/o tradizione popolare, ossa di vari animali, oli vari, pozioni, bevande, radici, ogni cosa adatta a curare e/o lenire dei malanni e/o migliorare alcune prestazioni prettamente maschili.
La salita che la sera prima pareva ripida si conferma nella sua realtà, anche la discesa è impegnativa; dopo circa un’ora dalla partenza il gruppo è nella piana di Yatetaung Bus Terminal dove si pagano i portatori delle gerle e delle portantine. Qui la contrattazione non ha mai fine, chiedono sempre di più adducendo mille e mille scuse; il peso della persona, il caldo, la sete, l’umidità ecc, ecc, ma sono solo modi per estorcere più soldi. Questi portatori sono delle insaziabili sanguisughe che si fanno tacere solo mantenendo fermo il prezzo concordato il giorno precedente.
Il gruppo si ricompone, prendiamo un camion e velocemente percorriamo gli 11 km che ci riportano al fondovalle dove ritroviamo il pullman che è stato riparato e partiamo per la città di Bago. Lungo la strada ci fermiamo nel villaggio di Woo, un villaggio di pescatori, posto lungo un fiume, dove possiamo osservare i vari tipi di pesce pescato e le varie fasi della lavorazione e dell’essiccazione.
Si arriva nella città di Bago e ci fermiamo a visitare la Shwemawdow Paya (L145 – M109), anche questa grande pagoda ha 4 entrate, lo stupa centrale interamente dorato con i suoi 114 mt. È il più alto della Birmania; più volte innalzato nel corso dei secoli e più volte distrutto da vari terremoti, oggi appare imponente e mastodontico. Nei pressi dello stupa c’è un museo dove sono custodite delle foto degli anni passati, oltre che preziose reliquie di altri templi distrutti nei secoli.
Fuori dal museo ci sediamo su delle panche posizionate sotto un enorme albero, Sosò ci spiega che i frutti di quell’albero vengono utilizzati dai monaci per tingere di marrone i loro abiti. Infatti gli abiti dei religiosi sono realizzati con pezzi di altri tessuti cuciti tra loro, e per evitare possibili policromie, il tutto viene colorato con la tinta vegetale marrone estratta dai frutti dell’albero, la tinta è talmente forte che copre qualsiasi altro colore.
Proseguiamo il giro della pagoda vedendo cappelle e templi con statue e raffigurazioni della vita di Buddha. Alla base dello stupa è visibile un pezzo della parte terminale, rovinosamente crollata nel terremoto del 1937. Nei templi e vicino allo stupa vediamo delle teche che servono come raccolta delle offerte fatte per effettuare la festa della luna piena, festa dove i monaci pregano ininterrottamente giorno e notte per i donatori delle offerte.
Lasciamo la Shwemawdow Paya e velocemente ci dirigiamo verso la Hintha Gon Paya (L146 – M109)), una pagoda, di origine animista, dove viene celebrata la festa degli spiriti; la tradizione birmana enuncia 37 spiriti, e durante le cerimonie ed i vari rituali, effeminati e donne fungono da medium. La struttura è posta su una collina e sempre a piedi nudi, saliamo verso il tempio, dove una musica assordante e ripetitiva ci accoglie, sono uomini e donne che danzano al suono di quella musica. Proseguiamo e visitiamo la parte superiore del tempio, dove al centro è posto un altare con delle sculture di bronzo dorato che rappresentano 2 uccelli, che sono il simbolo della città di Bago, circondate da una serie di statue di Buddha. Qualche foto all’altare ed al panorama di tutta la città e all’imponente stupa dorato della Shwemawdow Paya; per uscire ripercorriamo la scalinata d’accesso e col pullman ci dirigiamo verso il ristorante per la sosta pranzo; involtino primavera, zuppa con uova di quaglia, pollo, anatra, gamberoni, verdura, frutta.
Ripartiamo per proseguire il giro; alla periferia della città ci fermiamo presso Kyiak Pun Paya (L146 – M108), un tempio con 4 statue di Buddha sedute di schiena, 3 statue sono decorate e la quarta è in rifacimento. All’entrata del tempio alcuni ragazzi travestiti da orso, chiedono delle offerte.
Lasciamo la città e ci dirigiamo verso Yangon, Sosò comunica che la valigia mancante è arrivata presso l’albergo, la notizia mi rende felice, infatti stavo programmando l’acquisto di abbigliamento per proseguire il tour.
Nel viaggio di ritorno a Yangon osservo le abitazioni, alcune sono palafitte fatte con bambù, altre sono palafitte di legno e vi sono pochissime case di mattoni. Ci fermiamo in una fabbrica di vasi in terracotta, un prodotto artigianale caratteristico del luogo, all’interno di un capanno vediamo tutto il processo di fabbricazione dei vasi. Col tornio a mano l’argilla viene modellata ed il vaso assume una forma iniziale, poi viene rifinito a mano; vediamo la lavorazione per arrotondare e per abbellire il vaso. Successivamente per sette giorni, è fatto asciugare sotto una tettoia, infine è posto nel forno per la cottura che dura tre giorni. Nel negozio sono in vendita molti vasi di ogni forma e dimensione, in terracotta semplice o rivestiti con ceramica colorata.
I vasi sono molto utilizzati nelle abitazioni birmane, quelli rotondi sono usati come contenitori dell’acqua dove rimane sempre fresca; i vasi bucati sono utilizzati per i fiori, altri vasi con diverse forme hanno un uso più o meno nobile.
Ripartiamo ed arrivando a Yangon, rientriamo in albergo dove trovo la valigia, un bel bagno, mi rado e mi cambio: indossare vestiti puliti è proprio una bella sensazione. Cena a buffet in albergo, dove con sorpresa troviamo dell’ottima piadina e dei buoni dolci. Dopo cena restiamo un poco nella hall dell’albergo a ripercorrere le esperienze vissute in queste prime giornate, poi andiamo a riposare.
14 ottobre 2006 Sveglia e preparazione delle valigie, si parte per l’interno del paese, chi del gruppo può ne lascia alcune con indumenti che non gli servono per il proseguo del tour, riprenderemo le valigie fra qualche giorno al nostro rientro a Yangon prima di partire per la Cambogia. Nel pomeriggio abbiamo il volo diretto alla città di Heho nel nord della Birmania, la mattinata la dedichiamo a visitare ulteriormente la capitale.
La prima sosta che facciamo è in una piazza dove sorge una Pagoda ottagonale, unica nel suo genere, che è stata “risparmiata” durante la costruzione di un lungo viale dagli inglesi, che hanno dominato per decenni la Birmania. Era usanza degli anglosassoni, per realizzare strade, abbattere tutto quanto c’era sul percorso; ma la pagoda era un importante luogo sacro, ed allora una delegazione si è recata a Londra dalla Regina Vittoria per illustrarle la motivazione del rispetto del luogo, la Regina ordinò che la pagoda venisse lasciata. Oggi la pagoda è adiacente ad una piazza ed un parco dove sorge il monumento all’Indipendenza. Nella stessa piazza è presente il palazzo del municipio. Lasciamo il pullman e proseguiamo a piedi per le vie della città: essendo sabato mattina non c’è molto traffico e si cammina bene. Transitiamo in un quartiere caratterizzato da edifici coloniali, vediamo il tribunale, alcune banche e poi una visita allo Strand Hotel (L107 – M97), un hotel extra lusso di origine coloniale, recentemente restaurato, che offre 23 camere riccamente arredate il cui costo varia dai 475 ai 1.000 $ per pernottamento.
Risaliamo sul pullman e ci dirigiamo al porto fluviale di Sin Ho Oan dove vediamo ogni sorta di battelli, dalle chiatte per il trasporto di merci, ai battelli passeggeri, alle semplici e leggere barche di legno per l’attraversamento del fiume. L’acqua è marrone, ma questo non evita che sia usata per la pulizia personale: fare il bagno nel fiume è una cosa naturale per molte persone. Sulla darsena sono posteggiati furgoni e camion di ogni tipo adibiti al trasporto di merce, inoltre sono presenti molti magazzini, simbolo dell’importanza commerciale di questo porto che dista solo 45 km dal mare. Nel porto, sulle panchine, vediamo la parte più povera della Birmania, alcune persone malvestite e malpulite dormono o stanno sistemano le poche cose che posseggono.
Lasciamo il porto a bordo del pullman e ci dirigiamo a visitare un monastero di monache buddiste. Anche le monache come i monaci, vivono di offerte, ma mentre per i monaci la questua è giornaliera, per le monache è permessa solo 2 volte alla settimana, per questo motivo ricevono aiuti da familiari e da donatori; se non arrivano aiuti, si nutrono di riso bollito e di pesce secco. Arrivando al monastero, possiamo osservare che oggi è un giorno particolare, è il compleanno di una signora e la sua donazione, permette alle monache di pranzare. All’interno del monastero, nella sala da pranzo, il cibo è servito su tavoli rotondi molto bassi e le monache per pranzare devono sedersi per terra; il cibo è predisposto in piatti comuni da cui le commensali, 6 per tavola, attingono. Salsa di pomodoro, gamberi con arachidi, verdura sono già serviti in tavola, il riso viene deposto nei singoli piatti: tutto diventa freddo; nella sala volano alcune mosche e solo sui tavoli dei donatori vi sono le protezioni per le stesse. Alle undici, in fila indiana, arrivano le monache, tutte indossano il loro mantello color rosa, i capelli sono rasati, l’età è indistinguibile. Entrando nel refettorio, si accomodano ai tavoli, i posti sono preassegnati ed ognuna ha il suo piatto contrassegnato con un nome o con un simbolo. Il pranzo inizia con la preghiera comunitaria di ringraziamento per i donatori. L’unico piatto caldo che è servito è una zuppa di verdure, che presa da un’enorme pentola con un mescolo, viene riversata nelle ciotole delle commensali.
Lascio le monache al loro pranzo e faccio un giro per il monastero, transito per la dispensa dove sono impilati alcuni sacchi di riso che serviranno nei giorni senza donazioni, proseguo per i corridoi esterni che danno alle camere e salendo al primo piano arrivo al tempio di Buddha; la sala è rettangolare posta sopra il refettorio, il pavimento è in legno di teak, ai lati delle portefinestre fanno entrare molta luce, un balcone gira intorno alla struttura. Opposto all’entrata sorge l’altare con sopra la statua di Buddha, alle pareti dei quadri rettangolari raffigurano episodi della vita di Buddha. Ai lati della sala, posti fra le portefinestre dei tavolini su cui studiare: in un armadio collocato sulla parete di sinistra vi è una piccola biblioteca con delle copie dei tre testi sacri del buddismo: la storia, i comandamenti, la meditazione.
Ritornando verso l’entrata del monastero, lasciamo le monache al loro pranzo in compagnia della benefattrice e ci dirigiamo al ristorante per il pranzo, sono appena le 11,30 ma, dovendo prendere l’aereo, dobbiamo pranzare presto.
Nel ristorante birmano degustiamo, zuppa di lenticchie, maiale, gamberetti piccanti, crescione, melanzane con cipolle, riso e frutta fresca (papaja, anguria e melone bianco). Una curiosità legata alla tavola birmana, ho notato che sono presenti solo forchetta e cucchiaio, il coltello non viene mai predisposto sulla tavola. E’ anche vero che io mangio con bastoncini, ma vedendo Sosò mangiare solo con forchetta e cucchiaio chiedo come mai la mancanza di coltelli; mi spiega che i birmani, avendo una cucina simile alla cinese, dove il cibo viene spezzettato in cucina, usano forchetta e cucchiaio, oppure i bastoncini cinesi. Alla fine del pranzo vengono servite delle caramelle al tamarindo, una è digestiva, ma tre diventano … Lassative. Poi una notizia che appare avere dell’incredibile: esiste il caffè espresso!!! Non il solito caffè solubile, ma un caffè espresso e da buoni italiani ne approfittiamo: il gusto è discreto.
Terminato il pranzo partiamo in direzione dell’aeroporto e poco prima, in una zona militare, ci fermiamo per veder due elefanti albini; ll colore della pelle è rosa, simile a quella dei maiali, ma paragonata al nero della pelle degli altri pachidermi in effetti appaiono bianchi. Gli elefanti sono legati con delle catene alle zampe posteriori per evitarne il movimento (usanza utilizzata da altri popoli per addomesticare gli elefanti) e vengono liberati solo alla sera.
Arriviamo all’aeroporto per prendere il volo che ci porterà ad Heho, la struttura dell’aeroporto è sempre un cantiere aperto, stanno lavorando per terminare la nuova parte che sarà destinata ai voli internazionali, noi ci dirigiamo nella parte vecchia dove voli internazionali e voli nazionali hanno lo stesso ingresso. La struttura seppur datata presenta una serie di controlli efficienti, li superiamo ed entriamo nella sala d’attesa vicino all’uscita “Gate 1”, la sala è caldissima, non essendo areata il sudore cola abbondantemente, è una sauna vera e propria. Arriva il nostro aereo, è un ATR 2 dell’Air Mandalay (di proprietà del genero del presidente birmano); dopo qualche decina di minuti c’imbarchiamo, l’aereo è vuoto interamente a disposizione del nostro gruppo, stiamo per apprestarci al decollo quando il velivolo ritorna in aeroporto, due tecnici con espressione preoccupata salgono a bordo e si dirigono velocemente in cabina di pilotaggio, dopo un pò escono sorridendo, finalmente si decolla. Dall’alto appaiono villaggi ed abitazioni circondate da palme, tutt’intorno a perdita d’occhio le verdi risaie dove, visto il periodo il riso è quasi pronto per il raccolto. Ogni tanto nei villaggi e nella campagna appare luccicante qualche pagoda dorata. Fiumi e canali solcano e segnano il terreno, l’acqua che scorre è sempre marrone, colore dovuto all’erosione del terreno. Dopo qualche minuto di volo appare un lago azzurro, sembra incredibile dopo tanta acqua marrone. Dall’alto appare un estesa pianura, qualche collina solcata da strade sterrate il cui marrone risalta nelle tonalità del verde, chilometri di foresta si susseguono evidenziando una miriade di laghi azzurri e di fiumi marroni. L’occhio si perde in questa sequenza ripetitiva e poetica; un fiume da cui parte un canale di derivazione, le risaie e poi ai margini inizia la foresta, poi un altro fiume, altri canali, altre risaie ed infine foresta …
Durante il volo l’aero a nostra completa disposizione, permette al gruppo di sbizzarrirsi in chiacchiere varie, gli italiani hanno sempre la grande capacità d’essere allegri.
Sorvoliamo una diga fluviale a gravità, il lago artificiale si disperde nelle circostanti colline in mille rigagnoli nelle frastagliate rive, sembra avere le forme di un drago cinese. In prossimità di una catena montuosa completamente ricoperta di foresta, iniziamo la discesa, appaiono dei terrazzamenti coltivati a riso; poi la terra cambia tonalità, anche il marrone della terra appare diverso, le risaie lasciano spazio a campi coltivati, con il loro colore giallo fanno bella scena i campi si sesamo fiorito; altri campi arati infondono al paesaggio delle tonalità varie e piacevoli da vedere. Atterriamo all’aeroporto di Heho dove ha appena terminato di piovere, alla nostra destra le nuvole sono nere, mentre alla sinistra il cielo appare chiaro, l’asfalto è completamente bagnato; speriamo d’andare in direzione del bel tempo.
Siamo nello stato di Shan, Sosò ci dice che in Birmania esistono 37 etnie e nel nostro tour ne incontreremo 6. Lasciando l’aeroporto percorriamo una strada tra campi che a causa dell’alluvione sembrano delle risaie, quest’anno il monsone ha portato tanta pioggia e le zone allagate sono veramente estese.
Mentre viaggiamo, la guida ci dice che gli unici monumenti dell’antichità oggi arrivati a noi sono le pagode, le uniche strutture costruite utilizzando i mattoni, mentre tutte le altre costruzioni qualunque fossero, abitazioni, monasteri e perfino il palazzo reale erano costruite in legno; nel tempo il deterioramento, i terremoti e gli incendi hanno fatto si che solo pochissime strutture arrivassero ai nostri giorni.
Facciamo una sosta presso il monastero di Shwe Yaunghwe Kyaung (L191 – M169), una struttura del XVIII sec. Interamente costruita in legno di teak. Alle finestre ovali appaiono dei fanciulli monaci; ricomincia a piovere e dobbiamo lasciare le scarpe all’esterno per acceder al monastero, comincio a comprendere l’utilità delle ciabatte infradito utilizzate dai birmani. Saliamo una scala di cemento resa scivolosa dalla pioggia ed accediamo nel monastero, vediamo una statua di Buddha di legno dorato contornata da specchi colorati. Alla parete una lavagna indica le offerte ricevute ed i nomi dei donatori, si leggono anche degli italiani. Usciamo dal tempio che continua a piovere; dobbiamo indossare le giacche a vento per evitare di bagnarci. Nelle immediate vicinanze del monastero vi è un edificio in muratura: è il tempio di Shwe Yan Pye (L191 – M169) con interni policromi, contiene 999 statue d Buddha. In origine le statue erano in marmo ed alabastro, ma a seguito di depredazioni oggi restano solo le nicchie originali al cui interno sono state poste delle moderne statue, ed alla base delle nicchie compare il nome del donatore. L’edificio è composto da molte stanze, una cappella è rivestita con vetri policromi mentre le decorazioni laterali sono parzialmente originali. Le pareti interne, ricche di nicchie contenenti le statue di Buddha, sono colorate di rosso con decorazioni in oro, mentre sulla parte alta della parete sono presenti figure a mosaico con vetri colorati.
Lasciamo l’edificio e mentre saliamo in pullman pare che la pioggia stia terminando, nel cielo grigio e cupo stanno comparendo degli squarci di azzurro.
Ci dirigiamo verso il Lago Inle, arriviamo nella cittadina di Nyaungshwe (L189 – M169) dove, presso un ponte, la strada asfaltata termina: la cittadina è completamente allagata. Le persone camminano nell’acqua alta fin oltre alla vita, le abitazioni sono sommerse, delle barche solcano le strade al posto delle automobili, sembra d’essere a Venezia, ma qui siamo in piena tragedia. Dal pullman la visione appare quasi irreale, qualcuno ride per quanto vede, seppur turisti e protetti dal pullman siamo testimoni di un’alluvione che ha sommerso gran parte del paese.
Il pullman si ferma, gira a fatica verso sinistra, procediamo lungo una strada sterrata costeggiata a destra da capanne ed a sinistra da un canale. Ad un crocevia l’automezzo si ferma, scendiamo e vediamo uno specchio d’acqua con delle barche azzurre, penso siano i nostri nuovi mezzi di trasporto, invece le nostre barche sono ormeggiate poco distanti, sono di colore rosso. I natanti presentano una chiglia molto affusolata e dal poco pescaggio, ognuna porta 5 persone più il conducente, le barche sono mosse da un motore diesel fabbricato in Birmania. Saliamo su di esse e pian piano ci allontaniamo dalla sponda verso le quiete acque del Lago Inle, quello che sembrava un semplice specchio d’acqua era la parte nord del lago, lungo 22 km e largo 11. Iniziamo la navigazione pochi minuti prima del tramonto, partiamo ondeggiando un poco, ma man mano che la barca acquista velocità, la stabilità aumenta. L’aria è fresca, il paesaggio indimenticabile, al fianco del lago s’innalzano a cerchio le montagne, le acque dapprima marroni, man mano che percorriamo il lago diventano verdi, rispecchiano il colore delle montagne circostanti; attraversiamo un villaggio di palafitte circondato da erbe acquatiche e percorriamo una serie di canali percorsi da barche di legno. A me turista, sembra di perdere l’orientamento ma la gente del posto dei vari canali ne conosce i segreti più reconditi. Navigando passiamo nelle vicinanze di palafitte, poco dopo incrociamo delle barche di pescatori, il silenzio del lago è interrotto solo dal rombo del motore diesel che spinge la barca, viaggiando verso la notte che s’avvicina, l’aria pungente, la luce che pian piano scompare, sembra d’essere in una poesia vivente ed incrociando altre barche, si sobbalza sulle onde che solcano le calme acque del lago. Con la barca passo accanto ad erbe acquatiche che sembrano delle aiuole dove fanno la comparsa delle campanule rosa e dei giacinti d’acqua azzurri. Arriva il tramonto, il lago sembra volerci dare uno splendido benvenuto per le cose meravigliose che vedremo nei giorni successivi, su una piroga incontriamo il primo rematore locale che rema unicamente con la gamba destra, una caratteristica del popolo Intha i “figli del lago” (M167) unica al mondo, per condurre una barca; questo è possibili perché il Lago Inle ha acque calme e placide.
La navigazione verso l’albergo dura oltre 30 minuti, nella memoria restano il verde delle montagne, il grigio del cielo, i colori dell’acqua, il rosa dello splendido tramonto, in lontananza un lampo rischiara il lago, forse pioverà. Delle luci poste vicino a riva indicano un passaggio ed il timoniere dirige la barca verso l’attracco dell’albergo, ci fermiamo sul molo e scendiamo dalle imbarcazioni, siamo in hotel e veniamo accolti con un cocktail di benvenuto ed anche le zanzare ci danno il benvenuto; ma una spruzzata di repellente risolve il problema. Prendiamo la chiave delle camere, siamo alloggiati in cottage posti sul lago, le stanze sono delle casette di legno e bambù, molto carine, spaziose e con un balcone che da direttamente sullo specchio lacustre; i letti sono predisposti con zanzariere onde evitare che durante il sonno gli insetti pungano. L’aria nelle camere è calda ed umida, apro le finestre protette da zanzariere, lasciando circolare un pò d’aria fresca.
Ho 1,30 ore di pausa prima della cena, ne approfitto per sistemare il diario annotando le osservazioni e le sensazioni vissute nella navigazione. Poi una bella e rigenerante doccia e mi dedico alla lettura dei siti visti durante la giornata, oltre ad uno sguardo al programma di domani.
Alle 20: 30 andiamo al ristorante dell’albergo, posto sulla collina adiacente al lago, il servizio da tavola è fatto con piatti di lacca, la cena è caratteristica della zona;. Antipasto di sfoglie fritte, riso, soia con semi di sesamo, pollo con mandorle, arachidi, verdura, porri piccoli e piccanti, dolci.
Usciamo dal ristorante e ci dirigiamo sul lago verso i cottage, il cielo è stellato e vista la latitudine è difficile individuare le costellazioni conosciute, mi soffermo a contemplare la bellezza della notte nel silenzio totale che regna sul lago.
Entro in camera e lascio le finestre aperte per far circolare l’aria, il letto coperto dalle zanzariere promette un sonno restauratore, dal lago giungono i rumori della notte, si sentono le rane gracchiare, qualche insetto che volando urta contro le zanzariere; dei tuffi di animali nelle acque del lago fanno da sfondo al sonno che sta arrivando.