Top end

AGOSTO 2004 - Australia: un viaggio facile da vivere ma per me difficile da iniziare. Era infatti molto tempo che io e mia moglie avevamo intenzione di vedere cosa c’era in questo paese visto come un mito dall’immaginario collettivo ma quando l’altro anno ci eravamo decisi la Sars (allarme motivato o esagerato che fosse,...
Scritto da: steverm
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Partenza il: 04/08/2004
Ritorno il: 20/08/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
AGOSTO 2004 – Australia: un viaggio facile da vivere ma per me difficile da iniziare. Era infatti molto tempo che io e mia moglie avevamo intenzione di vedere cosa c’era in questo paese visto come un mito dall’immaginario collettivo ma quando l’altro anno ci eravamo decisi la Sars (allarme motivato o esagerato che fosse, viaggiando con una bimba piccola si hanno degli scrupoli) ci aveva bloccato gli scali orientali (in genere Singapore, Hong Kong o Bangkok) mentre quest’ultimo anno una interminabile serie di congiunzioni negative di salute e di lavoro avevano messo più volte in seria discussione la realizzazione del viaggio fino all’ultima settimana ovvero quando era tutto prenotato senza possibilità di recessione; la nostra caparbietà però era stata premiata e, a dispetto di tutto e tutti, il primo di Agosto eravamo sull’aereo che da Fiumicino era diretto a Francoforte (circa 2 ore con Alitalia in un Embraer ERJ-145 da 49 posti) da dove avremmo preso il successivo volo per Singapore (12 ore su un Boeing 747 della Qantas). Dopo una notte (ed un paio di giorni pieni per una visita) di sosta nella città orientale ci aspettava un Boeing 737 della Qantas per Darwin (circa 4 ore e mezza). Volevo citare l’ottimo il servizio a bordo negli aerei della Qantas: molti gadget per i bambini (matite colorate, favole, album da disegno, portachiavi, carte da gioco, gomme, marsupi con giochini vari, adesivi, set di omogeneizzati ed altro) e per i grandi (trousse per toilet), cibo vario con selezione di piatti orientali, dotazioni di bordo ricche persino nell’economy (schermi lcd su ogni poltrona con programmi anche in Italiano, telefoni di bordo funzionanti a carta di credito su ogni bracciolo, videogiochi con joystick…) e soprattutto gentilezza, pazienza e professionalità. Il Top End del Northern Territory L’impatto con l’Australia fu subito intenso: arrivammo puntuali a Darwin alle 4,10 del mattino ed in piena notte prendemmo immediatamente l’auto a noleggio per dirigersi sulla Stuart Highway (la strada principale che taglia da Nord a Sud la nazione) …Guida a sinistra, nebbia fittissima (mai più incontrata i giorni successivi), animali selvaggi che attraversavano la strada e sante cartine scaricate da internet… Subito ebbi la prima gradita sorpresa: pare che in Australia (se non mi ha burlato l’impiegato dell’autonoleggio Territory Thrifty) ci sia l’abitudine di dare, a chi preventivamente ha prenotato una determinata auto, un mezzo di una o due categorie superiori…Che sia vero o no avevo prenotato e pagato dall’Italia per una due volumi a marce manuali (per risparmiare) e senza sovrapprezzo mi avevano dato un fuoristrada (Toyota Rav4 2000cc) a marce automatiche. Guidare nel Northern Territory Affittare un’auto in Australia richiede oltre la patente internazionale (che i noleggiatori mi hanno sempre chiesto) un po’ di attenzione in quanto tutto è rovesciato: si tiene la sinistra, il volante è a destra, si sorpassa sulla destra, il cambio è a sinistra, i comandi frecce-tergicristallo sono invertiti e bisogna abituarsi a girare la testa a sinistra per guardare lo specchietto retrovisore interno (per me è stata la cosa più difficile). Dopo un paio di giorni però si incominciano a fare le cose automaticamente ovvero si affrontano senza problemi incroci e rotatorie e nelle strade strette si riesce a mantenere la sinistra senza sconfinare nel centro della strada o come a volte mi è capitato senza andare con la ruota sinistra fuori strada. I primi due giorni adottavo un trucchetto: ogni volta che affrontavo un incrocio ripetevo dentro la testa la frase “mantieni la sinistra…Mantieni la sinistra…” Le “rented-car” non hanno un libretto di circolazione o documenti assicurativi o bolli; per ogni problema bisogna esibire il contratto di noleggio. Le strade del Northern Territory sono praticamente deserte già dopo pochi chilometri fuori dai centri abitati sia quelle principali che quelle secondarie e questo facilita l’approccio alla guida. Non esistono autostrade e anche la famosa Stuart Hwy poco dopo Darwin diventa una strada stretta spesso ad una sola corsia per senso di marcia anche se in perfetto stato. Questo fatto non è dovuto ad una cattiva politica stradale ma semplicemente perché una strada più grande non servirebbe: si possono percorrere centinaia di chilometri senza incrociare nessuno, al massimo un paio di jeep. Talvolta invece si può aver a che fare con i “Road Train”, veri e propri bestioni con tre o quattro rimorchi (spesso ondeggianti) ed un paio di centinaia di ruote che carichi di carburante o altre merci viaggiano a 100 all’ora o più…Per superarli bisogna prevedere almeno un chilometro libero prima di invadere la sede stradale opposta. Per fortuna il modo di guidare dei locali è estremamente corretto, rilassato e rispettoso, quindi può capitare che ogni decina di chilometri o l’autotreno si fermi per permettere alle auto di superarlo oppure rallenti, accostando a sinistra, per far sfruttare agli automobilisti i tratti di strada (mediamente ogni 50Km ma le distanze possono variare) dove esiste una corsia aggiuntiva (preventivamente segnalata) appositamente costruita per permettere il superamento dei veicoli lenti. I cartelli stradali sono sempre ben visibili e presenti, quelli marroni segnalano le località di interesse turistico. Il limite di velocità è segnalato di volta in volta, in genere è di 100Km/h, raramente di 110Km/h (50-60 Km/h nei centri urbani) e vi posso assicurare che spesso è adeguatissimo visto le strade non sempre facili. Mi è capitato anche di condividere la strada con interminabili colonne di automezzi pesanti militari e carro-armati ma per fortuna (diversamente che in Italia) si possono interrompere (ovvero ci si può infilare tra un camion e l’altro) e a questo proposito si distanziano di circa 100 metri e più tra loro. La precisione della guida nel N.T. È quasi maniacale: le distanze di sicurezza vengono abbondantemente rispettate come anche i limiti (anche quando la strada è dritta con decine di chilometri di visibilità), la freccia è usata sempre in ogni occasione compreso nel rientro dal sorpasso e pur di concedere la corretta precedenza un auto si può fermare ad un incrocio moltissimo tempo prima; anche la pazienza è proverbiale in quanto nessuno mi ha mai “suonato” in caso di una mia manovra scorretta o maldestra. Probabilmente è proprio grazie alla correttezza (e senso civico) della gente che non ho mai visto una sola auto della polizia o vigile urbano sia fuori che dentro le città. L’unico vero pericolo sono gli animali selvaggi che attraversano la strada, pericolo che aumenta di notte o alle prime luci del giorno. Mi è capitato molte volte che un paio di canguri mi attraversassero la strada all’improvviso magari fermandosi qualche secondo in mezzo alla carreggiata costringendomi ad una frenata brusca…Non so cosa sarebbe successo se avessero attraversato qualche secondo più tardi magari con la jeep lanciata alla massima velocità consentita. Non per niente quasi tutti (dalle jeep ai pulmini) hanno un grande rostro sul muso proprio per limitare i danni da impatto ed è facile vedere ai lati delle strade canguri, cavalli, asini, rapaci (i rapaci che vanno a cibarsi delle carogne) o altri animali morti sfracellati. Una annotazione: in alcuni luoghi le strade secondarie non sono asfaltate (anche se spesso si tratta di percorsi di terra rossa battuta percorribili anche con auto normali) quindi può essere comodo avere un mezzo a quattro ruote motrici (per raggiungere le attrazioni principali durante questa stagione però non è necessario ma se si vuole andare più veloci…) Vi avverto che tenendo inserita la trazione integrale (nella nostra Toyota Rav4 non era disinseribile !) i consumi superati gli 80 Km/h diventano incredibili !!! (non esistono i turbo-diesel sono tutti a benzina).

Andando in alcuni tratti a 130-140 Km/h (ho superato i limiti lo so…Chiedo venia) ho avuto l’impressione di vedere l’ago della benzina scendere a vista d’occhio: per fortuna il carburante costa quasi la metà che in Italia ma vi consiglio ogni volta che si può di fare rifornimento (e questo accadrà molte volte!) anche perché in alcuni tratti i distributori scarseggiano. In compenso le stazioni di servizio (tutte fai-da-te, nel senso che metti benzina autonomamente, poi paghi alla cassa) sono anche un piccolo supermarket con cibo, bevande e gadget. Spesso mettono a disposizione (è segnalato da un cartello sulla strada) caffè, tè e ghiaccio gratuiti. Per guidare invece durante l’estate (quando da noi è inverno: le stagioni sono invertite) ovvero durante la stagione delle piogge è indispensabile avere un grande fuoristrada (infatti gli abitanti ce l’hanno tutti) perché anche le strade principali si allagano (parchi come il Kakadu diventano un’enorme palude); molte località turistiche sono addirittura interdette a qualsiasi veicolo. Un ultimo consiglio: portate sempre con voi acqua e qualche spuntino poiché in caso di problemi con l’auto i soccorsi non sarebbero immediati (anche perché quasi mai il cellulare ha campo quindi non resta che fermare la prima auto di passaggio). Una curiosità: nel N.T. Il 99% delle auto sono Toyota (jeep, berline, camper 4×4, pulmini, ecc.). Grazie alla buone indicazioni, alla penuria di strade extraurbane, alle città ordinate e non vaste ovunque sia andato in Australia sono riuscito a trovare vie e località con le semplici cartine scaricate da Internet (quelle che mi sono state di reale utilità le ho raggruppate in questa pagina) e sempre al primo colpo senza mai dover chiedere informazioni a chicchessia (anche perché spesso non c’era un anima viva!). Territory Wildlife Park Sistemate le valigie nell’auto, poiché il check-in in albergo (a Darwin) era all’ora di pranzo decisi per non perdere la giornata di dirigermi subito verso il Territory Wildlife Park a meno di un’oretta (60km, ma con la nebbia i tempi si allungarono) dalla città. Arrivammo verso le 6,30 quando incominciava ad albeggiare, la temperatura era perfetta, forse un po’ calda, il “bush” (la boscaglia) si risvegliava con i suoi mille suoni d’uccello…Decidemmo quindi di riposarci un po’ visto che il parco apriva alle 8.30. Nella fretta avevo dimenticato di cambiare gli euro ma per fortuna in Australia non era mai un problema: con la carta di credito si paga veramente tutto anche i più piccoli importi (anzi è gradita rispetto il contanti), non si usa dare mance e nessuno chiede soldi per la strada… quindi si può tranquillamente girare senza dollari australiani in tasca; consiglio comunque di averne una piccola quantità (un centinaio bastano) perché in un paio di occasioni sono serviti (alle grotte di Cutta Cutta non era in funzione il pos, mentre al centro culturale di Tjapukai la mia carta risultava inspiegabilmente disabilitata). Il Territory Wildlife Park non è un parco nazionale bensì una vasta riserva con dei settori recintati dove all’interno gli animali vivono in un regime di semilibertà. Nel parco sono previsti dei percorsi guidati da cartelli e passerelle all’interno della foresta pluviale e del bush (circa 6 km che abbiamo fatto interamente a piedi con passeggino “carico” e zaini in spalla) e dei percorsi stradali percorribili anche a tappe tramite una navetta (il classico trattore camuffato da trenino con vagoncini a seguito). Lungo i vari itinerari (viene data una cartina all’entrata) sono previste soste a strutture artificiali come voliere, terrari per rettili, ragni e scorpioni ed acquari…Compreso un lungo tunnel di vetro all’interno di un acquario dove poter vedere nuotare a 180 gradi molti pesci marini tropicali squali e razze comprese (Maeva riconobbe i vari personaggi del cartoon: Nemo) e un ambiente particolare completamente in penombra dove poter vedere gli animali notturni. Sono previste anche esibizioni e passeggiate gratuite guidate dai disponibilissimi ranger a determinati orari. Il parco è inoltre un rifugio temporaneo per animali feriti o orfani. Anche se non si tratta di un ambiente completamente naturale fui contento di aver speso 18 $ (a persona, bimba gratis) per questo parco in quanto mi permise di avere una panoramica degli ambienti e degli animali australiani (dai Dingo agli Emù), animali che non sempre riuscii a vedere nei deserti o nei grandi parchi nazionali proprio a causa della loro indole schiva, abitudini notturne o vastità ed impenetrabilità dei luoghi …E poi feci subito contenta Maeva: gli avevo promesso da un anno che avrebbe avuto un incontro ravvicinato con i canguri (i giorni prima di partire nonostante cercavamo di tapparle la bocca ad ogni persona che incontrava diceva: “vado a trovare i canguri!”) e l’ha avuto ! Infatti nella prima parte del percorso c’era una zona dove era possibile incontrali (sia i piccoli Wallaby che i grandi canguri rossi)…Se noi adulti provavamo ad avvicinarci scappavano ma quando era la nostra piccoletta a farlo rimanevano fermi e tranquilli; il massimo poi fu quando un gentile ranger avvicinatosi a Maeva la portò verso un canguro più docile di altri (attirandolo con un po’ di cibo) permettendole di accarezzarlo…Forse non sarà stato “ecologicamente corretto” ma stampò in lei un’impronta indelebile: Maeva aveva il terrore degli animali grandi o piccoli che fossero nonostante i miei incoraggiamenti in patria con cani, gatti, geci o cavallette ma dopo quel timido approccio si aprì completamente (anche troppo) ed ora non ha più paura di nulla ! Durante la giornata la temperatura si alzò notevolmente e dopo circa 3 ore e mezzo di cammino il parco era interamente visitato quindi, sfiniti dalla stanchezza (non dormivamo da Singapore), ci concedemmo prima di uscire una sosta nello spaccio interno per un pranzo veloce a base di pollo fritto e coca cola e per comprare un bel cappello australiano tipo cowboy (prezzi bassi) da usare nelle future escursioni e un serpente giocattolo per Maeva. Per arrivare al parco da Darwin basta percorrere una cinquantina di Km la Stuart Hwy (il primo tratto è molto ampio), poi girare a destra per Berry Spring (un altro parco)/Territory Wildlife Park (ci sono dei visibilissimi cartelli di colore marrone che indicano il parco) sulla Cox Peninsula Road per altri 10 Km circa. La cucina Australiana La cucina australiana ovviamente non ha una tradizione antichissima in quanto gli originali abitanti (gli aborigeni) cacciatori e raccoglitori non elaborarono mai delle ricette limitandosi a mangiare il cibo procurato così com’era spesso crudo senza particolare fantasia. Ne consegue che la cucina australiana è un mix di ricette provenienti dai vari paesi occidentali che l’hanno colonizzata, Italiani (sono il 10%) compresi (leggi: fettuccine). Le ultime ondate di emigrati orientali hanno portato invece i sapori cinesi e indiani. In generale posso affermare che le classiche ricette sono state rielaborate con profumi e spezie aggiunte utilizzando anche nuovi tipi di carni come canguro (molto comune), coccodrillo, dromedario o qualche animale più esotico; il beef (il manzo) comunque non manca mai accanto alla scelta di pesce freschissimo: anche a centinaia di chilometri dal mare è facile trovare menù a base di gamberoni, aragostine, ostriche e cozze verdi del Pacifico. Universale è anche il Barramundi (semplicemente chiamato: “Barra”): un pescione di acqua dolce pescato un po’ ovunque alla base di piatti sia elaborati che sbrigativi (Barra & Chips). Ovviamente non mancano mai tutti i cibi-spazzatura come hamburger, pollo fritto e compagnia bella. Darwin Dopo pranzo tornammo verso Darwin: avevamo prenotato un alloggio presso il Mirambeena Tourist Resort, una struttura media situata in Cavenagh Street che è considerata tra le strade principali e centrali di Darwin ovvero dove sono ubicati alcuni negozi utili come il supermercato subito “visitato” per fare abbondante scorta di acqua minerale da 3 litri (ed evitare di comprarla in albergo), spuntini da utilizzare durante i 2000 Km percorsi nel Northern Territory, omogeneizzati, scatolette di tonno/salmone e fusilli per assicurare una cena completa a Maeva (cucinata quotidianamente segretamente in stanza con un fornello elettrico) ed un grande negozio di campeggio dove comprammo una borraccia nuova visto che la nostra dava segni di cedimento. Finite le compere, entrati in possesso della stanza andammo a cenare (si erano fatte le 18.00 e in Australia si cena prestissimo): ottimo pasto a base di carne di canguro e contorni. Darwin pur essendo la capitale del N.T. È una piccola cittadina di provincia, non trafficatissima, con strade ordinate e facili da trovare (soprattutto se si hanno delle cartine sufficientemente dettagliate). L’ho girata in lungo ed in largo (soprattutto nella parte finale del mio giro nel N.T.) e sinceramente me l’aspettavo più multietnica perché avevo letto che era considerata la “porta d’oriente” a causa della vicinanza con l’Asia; invece posso affermare che non lo è più di una qualsiasi altra odierna cittadina di provincia italiana (probabilmente se mi fossi trovato a Darwin di Giovedì o di Domenica ovvero i giorni in cui si organizza il grande mercato di Mindil Beach mi sarei ricreduto). Come tutte le città viste (sia nel N.T. Che nel Queensland) aveva delle vie apposite (e segnalate) dove si concentravano le attività commerciali ed altre a maggiore tendenza residenziale, quindi città facili da esplorare e vivere. Nonostante eravamo in inverno il clima era molto caldo ma non troppo umido. Le attrazioni principali (parlerò di Darwin più dettagliatamente in seguito) sono il Museum & Art Gallery of NT, East Point, Mindil Beach, Wallabies Point, Aquascene (per i più piccoli) e poco altro. Una curiosità: il ciclone Tracy che si abbatté sulla città nel 1974 distruggendola quasi completamente (il ricordo di quell’incubo è ancora presente nei musei, rovine e targhe) segnò il confine tra ciò che gli abitanti considerano “antico” e “nuovo” …Tutto ciò rimasto (quasi nulla) prima del ciclone è “antico” (nel senso storico della parola) mentre il resto è “nuovo”, “moderno”. Il Turismo nel Top End del Northern Territory Nonostante il turismo sia massimo in questa stagione (clima secco, mai afoso, privo di pioggia, sempre soleggiato, temperature relativamente miti, strade praticabili e zanzare ridotte al minimo) non raggiunge mai livelli di folla. La maggior parte dei turisti è Australiano, soprattutto famiglie che hanno voluto fare una pausa dai rigori invernali del sud della nazione. Moltissimi viaggiano in jeep e roulotte a seguito o con camper fuoristrada o semplicemente con la tenda; il campeggio è sempre di gran moda ed in molti luoghi (anche nei parchi nazionali) è possibile campeggiare liberamente e talvolta fare un bel barbecue. I turisti restanti sono coppiette Italiane marsupiate in viaggio di nozze e tour organizzato un po’ spaesate (e quindi ad alto potere addensante) con un’ulteriore minoranza di inglesi e francesi. Jumping Crocodile Cruise Il mattino seguente dopo un’abbondante colazione americana (e regolare furto di panini per pranzo) lasciammo Darwin (ci torneremo dopo alcuni giorni per girarla meglio) in direzione del parco nazionale di Kakadu. Prendemmo quindi la Stuart Hwy (direzione Palmerston, l’antico nucleo abitativo di Darwin oggi cittadina a se stante) per poi deviare dopo 30-35 Km a sinistra sulla Arnhem Hwy (direzione Jabiru). Lungo la strada (altri 30Km) ci fermammo ai margini del Djukbinj National Park (i nomi sono difficili perché sono tutti aborigeni) ovvero lungo l’Adelaide River dove due o tre strutture turistiche organizzavano mini-crociere sul fiume per il “Jumping Croc” (letteralmente i coccodrilli saltanti) ad orari prestabiliti (9,11,13,15 durata circa un ‘ora e mezza prezzo 36 $). Per strutture turistiche, luoghi di ristoro, ristoranti, affittacamere, stazioni di servizio in queste zone dovete immaginare modesti complessi di legno che fungono da casa e lavoro ad una famiglia situate nel nulla, nel silenzio più assoluto dove l’unico suono è la musica “country” (amatissima nel NT) che esce da qualche finestra o il rumore prodotto da un pesante attrezzo manovrato da qualche giovane ragazzona alta, robusta ma non grassa, sudata e sorridente, nella tenuta classica: pantaloncini e camicia color caki, cappello da cow-boy, capelli lunghi raccolti, scarponi pesanti e occhiali Rey Ban. Se si affrontano le escursioni la mattina presto si evitano spesso i turisti (che arrivano in genere, mai troppi, con un pulmino nella tarda mattinata), al massimo troverete qualche gruppo motociclista con le loro Harley fermo per un caffè o un ciclista solitario con la bici carica di borse (o addirittura con carretto a traino) in cerca di ristoro da chissà quale impresa. Alle 9.00 salimmo a bordo del barcone a due piani (quello inferiore chiuso a vetri e quello superiore, dove ci sistemammo, aperto) per iniziare la gita. Il fiume Adelaide nonostante il periodo secco era molto ampio, con l’acqua carica di fango e assolutamente incontaminato, sulle rive egrette e aironi bianchi sostavano sugli alberi, mentre nel cielo volteggiavano le aquile…L’unica stonatura era continuo parlare velocissimo della ragazzona che spiegava tramite microfono ed altoparlante tutto quello che vedevamo (ma sono riuscito a capire poco, troppo veloce, troppo slang!). Ad un certo punto si incominciarono ad avvistare in acqua e lungo le rive i primi coccodrilli di acqua salata. In Australia vivono due tipi di coccodrilli: quelli di acqua dolce (o Freshwater Croc) di indole relativamente buona (basta non infastidirli) e i coccodrilli di acqua salata (o Estuarine o Saltwater Croc) che vivono generalmente negli estuari dei fiumi (ma si possono trovare abbondanti anche in mare o nei fiumi e laghi molto distanti dal mare come in questo caso) di taglia maggiore e molto pericolosi (pappa-uomini). Allora la ragazzona prese da una grande cassa dei pezzi di carne e li attaccò all’estremità di un filo appeso ad una canna, abbassò l’esca a un paio di metri dal fiume e iniziò lo spettacolo. Anche questa volta ero riuscito a mantenere un’altra promessa fatta a Maeva più di un anno prima: vedere i coccodrilli balzare fuori dall’acqua. Per più un’ora rimase letteralmente incollata con lo sguardo sul pelo dell’acqua (e non solo lei) fissando ogni particolare (si era perfino accorta che un vecchio coccodrillo era privo di un arto)…Uno spettacolo forse poco naturale ma molto suggestivo. La ragazzona mi spiegò che il cibo dato da lei era limitato appositamente per non alterare l’istinto predatorio naturale dei rettili, prova ne fu che durante la navigazione assistemmo all’attacco a sorpresa (non riuscito) di un coccodrillo ai danni di un’anatra che nuotava in un’ansa calma del fiume. Alla fine della gita ci offrirono la classica tazza di tè/caffè e ci salutarono. Kakadu National Park Riprendemmo l’auto e continuammo lungo la deserta Arnhem Highway verso la nostra prossima tappa (200Km, circa 2 ore e mezzo) : il Gagudju Crocodile Holiday Inn, un hotel 3 stelle superior famoso per la sua struttura (metallica) a forma di coccodrillo situato a Jabiru dove risiedeva il centro (abitazioni, qualche negozio, servizi…) della comunità aborigena di questa zona. Lungo la strada c’erano migliaia di enormi strutture grigie o rossicce: i termitai a “cattedrale” (dalla forma omonima, alti più di 5 metri) e quelli chiamati “magnetici” a forma di grande lapide orientati cardinalmente in modo da esporre la minor superficie al sole. La parte visibile del termitaio rappresenta il sistema di ” aria condizionata” di una comunità di particolari specie di termiti, infatti ha lo scopo (sfruttando i flussi di aria generati da aperture poste a diverse altezze) di raffreddare gli ambienti che si trovano sotto terra dove le formiche vivono e dove, a scopo alimentare, coltivano dei specifici funghi. Per arrivare a Jabiru bisognava entrare nel parco nazionale del Kakadu. Il Kakadu fa parte di quelle terre restituite negli anni novanta agli aborigeni dai quali è parzialmente gestito (ranger, polizia, pedaggio…) e parzialmente affittato allo stato (manutenzione); ovviamente all’interno del parco vivono anche varie comunità aborigene. All’entrata c’è da pagare un ingresso di 16$ e 25 cent a persona (sul biglietto c’è scritto “valido per 6 giorni” ma sui deplian al centro culturale c’è scritto 14) e viene rilasciato un libricino con cartina (le mappe che si trovano su internet). Il parco è enorme, centinaia di chilometri di perimetro ed è solcato da due strade principali (Arnhem Hwy e Kakadu Hwy) e molte secondarie generalmente non asfaltate (dirty road). Ai confini del parco si trova l’Arnhem Land (la terra aborigena per eccellenza nella quale non si può entrare senza permesso) e le miniere di uranio. I mesi di Luglio ed Agosto rappresentano il periodo migliore per il Kakadu che essendo una vasta pianura alluvionale durante i periodi delle piogge si allaga completamente (anche per lo straripamento del South Alligator River) e pochissime strade sono percorribili e solo per alcuni tratti. Infatti anche nei due percorsi asfaltati principali si possono vedere spesso delle aste con scala graduata che indicano il livello dell’acqua che talvolta nella stagione sconsigliata può raggiungere anche i 3 metri (sopra il manto stradale). Un altro motivo per godersi il periodo asciutto sono le zanzare che si trovano in quantità minore in questo periodo. A questo proposito consiglio di portare durante le passeggiate un potente repellente (oltre la crema solare per il sole a protezione alta) per le zanzare che possono portare malattie serie; infatti anche se sulla L.P. E sugli avvisi del (vecchio) sito del Min. Degli Esteri veniva segnalato un rischio di Febbre del Ross River Virus solo nella confinante zona di Kimberly (sul nuovo sito non c’è scritto più nulla) quando andai al Bowali Visitor Centre trovai dei deplian (anche in italiano) che avvisavano del pericolo in tutto il Kakadu; non solo: parlando con una guida mi disse della possibilità non tanto remota (si riferiva soprattutto ai campeggiatori che si accampavano di notte ma anche di escursionisti lungo i corsi d’acqua…) di contrarre il Dengue anche nella stagione secca…Con questo non vorrei fare dell’allarmismo ma della prevenzione. Il primo pomeriggio arrivammo al Gagudju Crocodile Holiday Inn (Gagudju è il nome di uno dei dialetti aborigeni). Appena entrati nell’hotel un getto di potente aria condizionata ci sfiammò la pelle…La hall era molto lussuosa con un grande coccodrillo estuarino imbalsamato nell’atto di catturare un barramundi, fontane e (molto interessante) un esposizione permanente di arte pittorica aborigena contemporanea (e rivendita).

Dalla hall si poteva accedere alla grande sala ristorante ma non alle camere, quindi dopo fatto il check-in ci rimettemmo in auto e raggiunto il parcheggio più vicino alla nostra stanza scaricammo le valigie (notai che in tutti i resort/hotel/motel australiani non esiste il servizio facchinaggio…Meglio così…Mi piace essere autonomo!) e tramite una “gamba” del grande coccodrillo metallico salimmo (non esistono ascensori) al piano della nostra modesta ma decente stanza. Qualche zanzarina svolazzava in aria (a terra invece correva uno scarafaggio) ma non fu un problema…Per la serie è meglio prevenire tirai fuori il mio fido apparecchio a batterie che diffondendo un leggero insetticida “bonificò” l’ambiente. Sistemate la valigie, i soldi nella cassaforte, fatto uno spuntino riprendemmo la jeep (anzi dovrei chiamarla SUV) per dirigersi al Bowali Visitor Centre per raccogliere qualche documentazione ed informazione in più di quelle già abbondanti prese sulla rete. Il centro era ricco di cartine e libricini vari, aveva un piccolo museo interno sugli habitat del Kakadu,una biblioteca, un ristoro e un bancone con i ranger a disposizione per ogni chiarimento: è il giusto punto di partenza per chi autonomamente è arrivato nel parco senza essere riuscito a documentarsi a sufficienza prima (non è il mio caso) e vuole progettare una visita in base ai giorni a disposizione. All’imbrunire tornammo in albergo, acquistai i biglietti per poter accedere il giorno seguente all’escursione sullo Yellow Water (40$ a persona, bambini fino a 2 anni gratis: insegnammo subito a Maeva che in Australia per sicurezza doveva sempre dire di avere due anni e non tre !!!); attenzione: i biglietti non possono essere comprati sul luogo al momento dell’escursione) e andammo in stanza dove sbrigammo le incombenze quotidiane serali: doccia, preparazione delle cartine stradali/documentazione per il giorno dopo (avevo con me un centinaio di pagine stampate da Internet), cottura della pasta per Maeva, ecc. Ed andammo a cena. Il buffet del Gagudju (un po’ costoso rispetto la media ma li valeva: 45 $) fu veramente ricco: feci molti “giri” di aragoste, ostriche, cozze, polpi e gamberoni…Dopo aver ovviamente “planato” nel reparto carni…Il tutto in compagnia di una birrona gelata e di fronte ad un complessino country che suonò tutta la serata . Il giorno seguente di buon mattino ci recammo al molo della barca sullo Yellow Water a pochi chilometri dall’albergo, parcheggiammo e aspettammo l’apertura: lungo il pontile era stra-pieno di zanzare affamatissime ma per fortuna un’abbondante spruzzata di repellente ad alta concentrazione di principio attivo unita ad un abbigliamento lungo (jeans, camicia/maglietta a maniche lunghe e scarpe chiuse per tutti e tre) ci rese refrattari a qualsiasi puntura…Non fu così per la manciata di persone che era con noi prive di repellente e vestite per il caldo con abiti succinti (pantaloncini, toppino, ciabatte…) che furono letteralmente sbranate !!! Saliti sulla barca iniziò il giro del fiume e dei suoi canali e paludi. Questa escursione è considerata il fiore all’occhiello del Kakadu (quindi imperdibile) ma non aspettatevi qualcosa di particolarmente emozionante…Tutte le attrazioni sono comunque molto “light”. La gita fu molto rilassante (almeno per noi, perché gli altri erano intenti a scacciare le zanzare): un paio d’ore lungo i placidi canali ad osservare un’infinità di uccelli (aquile, anatre, jabiru, aironi, cormorani e molti altri) spesso a distanza ravvicinata, coccodrilli sia di acqua dolce che estuarini, tartarughe palustri e una vegetazione eccezionale comprensiva di varie specie di ninfee fiorite. L’unico momento che spezzò la pace fu quando ci sorpassò un piccolo motoscafo con una coppia di coniugi che ci mostrò fiera la cattura di due barramundi. Il pomeriggio fu dedicato alla scoperta delle suggestive pitture rupestri aborigene di Nourlangie Rock e Ubirr (vedi foto sul sito) Alcune pitture rupestri erano visibili tramite una serie di camminamenti su passerelle (anche per disabili e passeggini) mentre per raggiungerne altre (parcheggiai la famigliola all’ombra di un eucalipto) dovetti arrampicarmi per dei sentieri scoscesi ma tutto sommato facilissimi. La maggior parte delle pitture risalgono a due periodi: prima di 6000 anni fa (ovvero prima del disgelo delle calotte polari terrestri e conseguente allagamento delle valli della zona) e tra i 6000 e 2000 anni fa. Ovviamente se oggi vediamo ancora queste pitture che rappresentano l’unica testimonianza di un popolo privo di scrittura è perché nel corso dei secoli sono state “ripassate” ovvero “rinfrescate” dai vari aborigeni autorizzati (ed in parte è ancora così) utilizzando tecniche e materiali rimasti invariati nel tempo; viceversa gli agenti atmosferici (pioggia, sole, polvere…) l’avrebbero cancellate per sempre ! Per conoscere alcune leggende aborigene del Kakadu cliccare qui. Prima di tornare in albergo facemmo una puntatina al piccolo centro commerciale di Jabiru per fare un po’ di spesa e curiosare nel negozio di artigianato…Al supermercato (che aveva un reparto dedicato ai manufatti aborigeni) comprammo qualche boomerang di buona fattura (a mano) a prezzi leggermente inferiori che nel resto dei luoghi. Una cosa che notai subito era che tutti i posti di lavoro (anche i più umili) erano occupati dai bianchi mentre gli aborigeni (qui in maggioranza) erano tutti buttati in terra a far nulla come imbambolati…Da questo punto del viaggio quindi incominciai a far caso a questo fatto (e anche a documentarmi con molta discrezione e tatto) e a proposito aprirò un capitoletto di mie personali considerazioni più avanti. Volevo fare un osservazione: notate quanti luoghi sono riuscito a vedere (senza mai andare di fretta) grazie all’auto affittata ?; penso che non ci siano valide alternative se non si è in tour di gruppo organizzato (per me un orrore!). Teoricamente ci sono degli autobus pubblici (io non l’ho mai incrociati ma ci sono) che collegano le principali attrattive del parco ma come mi diceva una guida la pianificazione è talmente difficile che bisognerebbe avere molto tempo a disposizione e probabilmente non si potrebbe visitare più di un luogo al giorno passando molto tempo a cuocere sotto al sole del bush… Sono contento quindi della maniera in cui mi sono organizzato (autonomamente) perché così facendo Maeva non è stata mai d’impaccio e sono riuscito a fare quasi tutto quello che avrei fatto anche senza prole a seguito…Ho rinunciato solo all’escursione presso un villaggio aborigeno sperduto nell’Arnhem che a parte il costo e la giornata aggiuntiva da prevedere, mi sembrava eccessivamente pesante in quanto durava oltre 8 ore durante parte delle quali si doveva camminare molto in luoghi impervi (passeggino ?) infestati da zanzare (come scritto nei deplian). Katherine e dintorni Dopo due giorni al Kakadu la mattina prestissimo dopo colazione (alle 6.00) lasciammo il parco e tramite la Kakadu Highway continuammo verso sud in direzione di Katherine (più o meno 300Km e almeno 4 ore di viaggio) riprendendo poi la Stuart Highway. Lungo il monotono paesaggio fatto interamente di boscaglia e termitai attraversarono la strada diversi grandi canguri rossi mentre Maeva per sua e nostra fortuna si addormentò (come sempre) nel suo seggiolino permettendoci di discutere sul da farsi e riacquistando in pieno le forze per le successive mete. Come in altre occasioni ci dirigemmo direttamente verso la prossima escursione visto che il check-in minimo negli hotel era sempre all’ora di pranzo e quindi conveniva la mattina visitare, poi mangiare lungo la strada e prendere possesso dell’alloggio nel pomeriggio o addirittura a seconda dell’itinerario direttamente la sera. In entrambi gli Stati visitati non ho avuto nessun problema a parcheggiare l’auto in luoghi non protetti e poco frequentati con l’intero bagaglio a bordo (che nel caso della Jeep, che priva di cappelliera, era visibilissimo dall’esterno) e stare fuori anche una mezza giornata (spesso in località dove era palese il fatto che stessi fuori magari in barca in escursione) grazie al tasso di criminalità quasi assente e al grande rispetto per le cose degli altri; rispetto, senso civico e sicurezza pubblica che notai spesso in questa nazione e che secondo quanto appreso da altri erano comuni anche nelle grandi metropoli come Sydney e Merlbourne; prova ne fu che ascoltando i telegiornali locali (per locali intendo di un singolo Stato) le notizie più gravi erano riferite al massimo ad un singolo incidente stradale anzichè sentire di rapine, regolamenti di conto, attentati, stragi stradali, gambizzazioni… La nostra tappa era Katherine Gorge nel Nitmiluk National Park, uno luoghi più (relativamente) frequentati della zona, dove era possibile effettuare una gita in barca (o in canoa) sul Katherine River…Quel giorno era particolarmente frequentato perché si svolgeva una gara di canoe tradizionali tra le cittadine della regione (seppi alcuni giorni dopo che si trattava del Flying Fox Festival, un festival itinerante con prove relative a stradizione e manufatti locali). Parcheggiammo l’auto in uno spiazzo sterrato qualche centinaio di metri distante dalle rive scoscese e prenotammo una gita di un paio d’ore (23 $ a testa) sul barcone d’alluminio che risaliva il fiume (ulteriori scelte: gita di un’ora o di 4 ore a seconda di quante rapide si volevano risalire). La gita fu particolarmente suggestiva (paesaggisticamente parlando) in quanto si svolse all’interno di gole e canyon a picco sul fiume (non è proprio come il Colorado ma vale la pena divederlo) alternati a spiagge di sabbia dove i coccodrilli si crogiolavano al sole. Arrivati alla prima (ed unica per quanto riguarda la gita da 2 ore) rapida sbarcammo su una sponda del fiume e proseguimmo a piedi. Una guida ci spiegò i il “sogno spirituale” (i pittogrammi sulla roccia) degli aborigeni Jawoyn visibili sia dalla riva che lungo il corso d’acqua. Superata la rapida riprendemmo la navigazione con un’altra imbarcazione esplorando il successivo tratto del fiume, poi tornammo indietro e ripetemmo a ritroso il tragitto…Durante la gita venne spesso distribuita gratuitamente dell’acqua (riempimmo la borraccia); la faccenda dell’acqua per combattere la disidratazione è una preoccupazione costante nel N.T.: cartelli, guide, opuscoli, indicazioni lo ricordano spesso. Al ritorno mi fermai nei pressi del piccolo museo locale (moltissimi luoghi d’interesse turistico hanno un piccolo museo interattivo fatto di cose spesso semplici e banali ma sempre ben spiegate con illustrazioni, suoni, scritti ed uso dei computer). Usciti dal museo buttammo giù un boccone (un incrocio tra una pietanza cinese e un surrogato di fastfood americano) e comprai a Maeva il tanto agognato canguro di peluche (l’ho viziata con piacere, volevo che tutti fossero al loro massimo della felicità) dal quale non si staccò più durante tutto il viaggio, aerei compresi ! Tornando nel parcheggio (deserto) ci fu una gradita sorpresa: dalla boscaglia un numeroso gruppo di canguri era uscito allo scoperto per brucare l’erba. Dopo averlo ammirato (e fotografato) tentammo di avvicinarci con molta circospezione ma purtroppo ad ogni nostro passo corrispondevano diversi balzi di fuga dei canguri…Poi decidemmo di mandare avanti Maeva che essendo di taglia più piccola dei marsupiali incuteva certamente meno timore…Ed infatti piano piano, passo dopo passo, con il suo peluche sotto braccio riuscì ad entrare in mezzo al gruppo dei canguri che rimasero fermi, come incuriositi di quel cucciolo di uomo intraprendente, per circa una decina di minuti finché non scomparsero di nuovo del bush. Il pomeriggio arrivammo a Katherine per prendere possesso della stanza (tanto dopo le 17.00, ma spesso anche prima, tutte le attività, dai parchi ai negozi chiudevano, dopo poco più di un’ora diventava buio quindi e non c’era più molto da fare ) presso il Pine Tree Motel (della catena: Best Western). Come capita spesso nei motel potei finalmente parcheggiare ad un metro esatto dalla porta della mia stanza l’auto così da facilitare le operazioni di scarico bagagli. La stanza era modesta ma funzionale, approfittai subito per farmi un cioccolato. Un’altra particolarità infatti delle stanze in Australia (dalla suite dell’hotel di lusso alla pensione) è l’immancabile bollitore elettrico con una selezione molto ampia di tipi di tè, caffè e cioccolato (e nel caso di questo motel anche i biscottini inglesi per fare colazione) messi a disposizione gratuitamente ai clienti; un’altra oggetto sempre presente è la tavola da stiro con il ferro e quasi sempre il locale “laundry” con le lavatrici a gettone. Maria si dedicò al lavaggio quotidiano dei capi di abbigliamento. Il bucato giornaliero fu per noi indispensabile, sia perché camminando nel N.T. Tutto diventa rosso per la polvere ferrosa (ocra) e sia per i pochi cambi portati per far spazio alle varie attrezzature (pinne, maschere, set per cucinare a Maeva, medicine pediatriche e per adulti e un infinità di altre cosette tutte utili ad un viaggio come questo in ambienti “vari”) senza dover portare una vagonata di valigie. Noi siamo partiti con una valigia grande, una piccola e due zaini in spalla (oltre al passeggino) ma ovviamente ci siamo dovuti limitare ad un solo cambio per ogni capo di abbigliamento (quindi una sola maglietta, una camicia, un pantalone, un paio di mutande, un paio di calzini…) oltre a quella indossata: nessun problema ! bastava dedicare un po’ di tempo per il lavaggio serale (tanto la sera si mangiava presto e c’era poco da fare) e trovare a seconda della situazione i metodi migliori per asciugare: manualmente con il phon, appendendo gli abiti di fronte l’uscita dell’aria condizionata della stanza o stendendoli all’interno dell’auto che con l’aiuto del sole (durante le soste) si arroventava. Katherine è una ordinata cittadina molto piccola e non c’è nulla per cui vada la pena di girarla; volevamo mangiare un boccone da qualche parte ma poiché era sabato (e lo stesso vale per la domenica) i pochi ristoranti e locali esistenti erano tutti chiusi, quindi dopo un tentativo per (tutte) le vie della città optammo per il “vario” menù del motel: manzo impanato fritto, pollo fritto, verdure fritte e patatine fritte (16$). Il mattino ci alzammo molto presto (come al solito) e dopo una colazione in stanza “fai date”, con i costumi sotto gli abiti, ci dirigemmo percorrendo la ormai nota Stuart Hwy verso la località di Mataranka a poco più di 100Km a Sud di Katherine. La località era famosa per le “Thermal Pool” ovvero per delle piscine naturali trasparentissime (si vedevano nuotare i pesci) lungo un corso d’acqua costantemente a 34 gradi. L’acqua riscaldata dal magma sotterraneo non era solforata quindi non aveva nessun odore particolare…Ma questo non voleva dire però che nell’aria non si sentiva nulla ! Infatti una volta parcheggiata l’auto nei pressi di un campeggio ed una volta entrati nella macchia della foresta pluviale (molto suggestiva, seguire passerelle e cartelli) s’incominciò a sentire un odorino molto pungente, poi una serie di fischi acutissimi sempre più forti. Le palme e gli alberi erano letteralmente carichi di grandi pipistrelli (le cosiddette “volpi volanti”) che in un assordante bailamme si agitavano, volavano, si riappendevano…Bellissime ! Per nostra fortuna avevano fatto i loro “bisognini” durante la notte (attenti a terra…Si scivola!) quindi riuscimmo a camminare nella foresta senza essere minimamente “bersagliati”…Una leggerissima polverina fatta di pelo di pipistrello scendeva soffice dall’alto. Arrivati nel punto in cui si poteva entrare in acqua (c’ erano dei gradini con un breve corrimano) ci spogliammo (poggiando tutto sul passeggino ed evitando quindi di adagiare vestiti e gli zaini su qualsiasi altra superficie sporca di guano) e ci calammo in acqua…(Maeva col suo salvagente) ahhhh ! relax perfetto…Un paio d’ore nelle pozze d’acqua tiepida profonde circa un metro e mezzo/due nel mezzo di una selva talmente fitta da quasi coprirle, con grandi pipistrelli sopra le nostre teste e soprattutto senza nessuno (nonostante il vicino motel e caravan park, forse le 9.00 era un orario troppo mattutino!)…Ci voleva proprio ! Finite le abluzioni tornammo indietro verso Nord per la prossima tappa: il villaggio aborigeno di Manyallaluk. Per raggiungerlo lasciammo la strada principale per dirigersi verso l’interno del bush, bisognava percorrere varie decine di Km di strada non asfaltata per arrivare presso un centro dove a pagamento gli aborigeni spiegavano alcuni aspetti della loro cultura ma purtroppo dopo una decina di chilometri un cartello mi bloccò: “chiuso il Sabato e la Domenica”…Ed era Domenica ! Tornati un po’ delusi sulla strada principale mi fermai a fare benzina e comperare un po’ di acqua. Quando tornai vidi Maria che parlava con una donna aborigena. La cosa mi sorprese molto in quanto soprattutto in queste zone avevo spesso visto aborigeni vagare per la città e non mi sembravano affatto inclini a prendere confidenza ! Infatti in generale non mi sbagliavo ma quando si viaggia con i bambini si ha una marcia in più nei confronti dei locali (ma non solo), un pas-partout per fraternizzare: capita infatti spesso che la gente vedendo Maeva abbatta quel muro di diffidenza che normalmente si ha con lo straniero.

Questa mamma aborigena infatti stava scambiando con Maria complimenti e commenti in uno stentato inglese sui rispettivi bambini…Non solo ma fatto rarissimo volle fare con noi una foto (gli aborigeni odiano farsi fotografare) chiamando tutti i bambini che trovava, anche quelli non suoi. Più triste fu il dopo, quando chiedendole l’indirizzo dove poterle spedire la foto non riuscì a dirmelo…Semplicemente non lo sapeva. A questo proposito ci portò da alcuni suoi amici seduti in una aiuola sulla strada, poi da altri appoggiati ad un muretto e da altri ancora…Ma tutti ci rispondevano che sapevano fisicamente dove abitavano ma non sapevano dirci l’indirizzo…Alla fine ci dissero di spedirla a “Katherine città” senza indirizzo (ovviamente la cosa era assurda!). Maeva indicò i piedi degli aborigeni privi di scarpe e la donna gli rispose sorridendo: “e che ci facciamo con le scarpe ? non servono !“ …Quindi ci congedò. Qualche considerazione personale sugli Aborigeni Con mio grande rammarico devo dire che mi hanno fatto una triste impressione. Nel N.T. Se ne vedono molti, soprattutto si notano nelle piccole cittadine come Katherine e hanno tutti un comune denominatore: sembrano zombi. Escludendo infatti i pochissimi e simpatici aborigeni “vivi e vegeti” (praticamente solo le guide dei parchi e qualche raro artista) il restante di loro pareva in eterno stato di catalessi: intere famiglie con figli piccoli buttati in terra nelle aiuole o sui marciapiedi senza far niente, silenziosissimi, con gli sguardi sbarrati nel nulla, giovani che vagavano per le strade senza meta, tornando più volte sui loro passi, altri che entravano nei negozi senza comprare niente…Tutti con lo sguardo fisso come animali selvatici in gabbia, senza parlare nemmeno tra loro…Come appunto zombi. Nessuno lavorava, nemmeno i lavori più umili e quel che era più grave pareva che a vederli fossimo solo noi…All’attenzione degli australiani apparivano trasparenti, quasi non esistessero…Neanche il loro aspetto trascuratissimo, la sporcizia sui loro abiti strappati pareva destare qualche reazione …Nemmeno di repulsione o paura. In qualche occasione mi sembrarono drogati (sapevo che sniffavano colla ed in effetti in un caso la cosa fu evidente) talvolta ubriachi ma la maggior parte delle volte era paranoia pura nata dall’emarginazione e dal “far nulla”, come vivessero in un mondo oramai a loro estraneo. In effetti analizzando la loro condizione era proprio così ! Come appresi una settimana più tardi al centro culturale aborigeno di Tjapukai gli aborigeni erano vissuti ai margini della società per un centinaio di anni, sfrattati dalle loro terre dall’uomo bianco e sottoposti a mille ingiustizie ed angherie. Quando poi i loro diritti erano stati lentamente riconosciuti era troppo tardi…Il loro mondo non c’era più ! Non solo, ma ancora adesso il governo australiano contribuiva a lasciarli nella loro condizione di emarginazione dando loro un sussidio di 300 $ ogni due settimane (circa 340 euro al mese) . Con questa bassa ma (appena) sufficiente cifra per sopravvivere e con la mentalità incline a non possedere mai il superfluo (un tempo giustificata dal non sfruttare troppo la natura), nessuno degli aborigeni andava a lavorare e non lavorando si trovavano ad avere molto tempo a disposizione non colmabile né con gli svaghi tipicamente occidentali (anche per andare al cinema ci vogliono i soldi e se scarseggiano non si può andare) e né con le antiche occupazioni giornaliere come la caccia, la raccolta di cibo (con il sussidio si poteva comprare tanto buono cibo spazzatura !)…Risultato noia e paranoia e quindi alienazione, in qualche caso violenza in famiglia, droga, alcol, trascuratezza di se stessi anche nelle malattia (notai che la maggior parte era zoppo o infermo, tant’è che l’aspettativa di vita è di 27 anni inferiore all’uomo bianco), ignoranza (sono tutti analfabeti) e nessuna autostima ! Questi sono i momenti in cui mi vergogno di essere bianco. Continuammo in direzione di Katherine fermandoci lungo l’ultima tappa programmata del giorno: Cutta Cutta Cave. Si tratta di un parco le cui attrattive principali (secondo me le uniche) erano le grotte (12,5 $ , non era possibile pagare con la carta di credito) che si snodavano per chilometri sotto terra ma che erano parte al pubblico per soli 800 metri ! Dopo aver pagato il biglietto un ragazzo (che era la stessa persona che fungeva da bigliettaio, guida e negoziante di souvenir, gelati, ecc.) ci diete appuntamento lungo un sentiero dal quale, dopo un quarto d’ora di cammino, entrammo nelle grotte. Una passerella facilitava il cammino, mentre con un telecomando il ragazzo faceva accendere di volta in volta le luci lungo il cammino spiegandoci le varie formazioni di stalattiti e stalagmiti… nella caverna un paio di serpentelli facevano la nanna ! Altri 30Km e giungemmo di nuovo al Pine Tree Motel: nel frattempo era arrivato un gruppo di motociclisti borchiati con le loro meravigliose Harley Davidson e Maeva ne rimase tanto affascinata che dovetti per forza farle alcune foto accanto (qualcuna vera e qualcuna per finta). La sera cenammo in motel (unica soluzione: era domenica) con un barbecue a base di carne di manzo, maiale e canguro (12$). Dopo cena andammo in stanza e mentre Maria lavava mi accesi il Tv…Durante la pubblicità vidi uno spot che parlava del Flying Fox Festival (il festival delle Volpi Volanti) del quale avevo notato i cartelli in città e del quale avevo tentato di informarmi inutilmente (Sabato e Domenica l’ufficio del Turismo era chiuso e sui cartelloni non erano riportate né date, né indirizzi e nemmeno gli orari). Nello spot si parlava di gare di Didgeridoo (lo strumento a fiato aborigeno per eccellenza costituito da un ramo di eucalipto scavato dalle termiti, un bocchino in cera d’api e decorazioni esterne variopinte), lancio di boomerang, danze tradizionali aborigene e altre interessanti manifestazioni ed avevo sentito la frase “Domenica sera alla base R.A.A.F. Di Katherine”). La mattina avevo notato la base della Royal Australian Air Force proprio una quindicina di chilometri fuori Katherine quindi dopo lo spot ci rivestimmo di corsa (Maeva che dormiva, fu trasportata in auto senza svegliarla) e nella più buia notte (con la meraviglia dei gestori del Motel che mentre ripulivano i tavoli ci videro uscire ad un orario in cui la città pareva essere abbandonata, fantasma) ci dirigemmo sulla Stuart Hwy. Mano mano che ci avvicinavamo alla base ci vennero i primi dubbi…In giro non c’era nessuno, ma proprio nessuno, non si vedevano luci e non c’era nemmeno lungo la strada la scia di lattine di birra che avevamo notato in prossimità di altre feste locali…Poi arrivammo nel buio più profondo presso il bivio per la stradina che portava alla base aerea militare. Un grande cartello del Commonwealth invitava a tornare indietro, a non avvicinarsi alla base, poi più avanti a non proseguire oltre: pena l’arresto immediato…A quel punto soli di notte in una stradina di campagna, senza alcuna traccia del festival, con dei cartelli militari ostili in un periodo particolare (pochi giorni prima di partire Al-Qaida aveva minacciato d’attentati l’Australia) decidemmo di fare dietro-front onde evitare una cannonata sul tetto della nostra auto. La notte, risentendo meglio lo spot pubblicitario, scoprii che era riferito alla Domenica successiva ! …Maeva non si accorse di nulla: dal letto era stata prelevata e nel letto era stata rimessa, beata infanzia ! Ancora Darwin Di buon mattino ci alzammo, ci preparammo in stanza una colazione calda (con i biscotti messi a disposizione dal motel e un buon tè) e dopo aver pagato mettemmo in moto la nostra auto per il ritorno a Darwin; più di 400 Km (5 ore) di Stuart Highway da fare d’un fiato (rifornimenti frequenti a parte!). Arrivati a Darwin (che oramai conoscevamo bene perché toccata all’inizio del viaggio) tornammo al Mirambeena Tourist Resort, dove posate velocemente le valigie uscimmo subito per visitare meglio la città. Prima doverosa tappa il Museum & Art Gallery of NT che si trova vicino al mare a Fannie Bay. Una volta arrivati parcheggiammo l’auto nel posteggio di fronte al museo ed entrammo (mi meravigliai che l’ingresso fosse gratuito). Il museo era abbastanza grande su più livelli e con vari temi. Gli spazi maggiori erano occupati dall’arte aborigena e di alcune popolazioni del Sud Pacifico soprattutto melanesiane, sia antica che contemporanea (in queste sale non si poteva fotografare), molto suggestiva. Ricordo con curiosità una sala di arte moderna dove ad ogni quadro appeso la muro corrispondeva una grande scatola di legno fissata sul pavimento con un foro dove si poteva infilare una mano e sentire un oggetto di consistenza variabile a seconda della sensazione tatto-vista che l’artista voleva trasmettere…Maeva non voleva più uscire e si divertiva ad “immaginare” col tatto cosa ci fosse dentro: un pedale di una bicicletta, una gobba di un dromedario, una pelle di coccodrillo, un sasso, uno straccio… I padiglioni secondo me più suggestivi furono quelli naturalistici con una vasta collezione di coralli, conchiglie, invertebrati, rettili, anfibi, uccelli e pesci imbalsamati e con la ricostruzione dei vari ambienti naturali e persino con degli scheletri di alcuni animali preistorici rinvenuti nella zona. Bizzarri furono i reparti dedicati al ciclone Tracy (1974) la cui memoria spaventava ancora gli abitanti di Darwin. Potei vedere la ricostruzione fedele (fatta con oggetti reali ed originali…Dall’arredamento al condizionatore) delle abitazioni prima e dopo il passaggio del ciclone, articoli di giornali da tutto il mondo, bollettini radio, documentazione varia ed una impressionante cabina completamente al buio dove gli altoparlanti diffondevano a tutto volume il suono registrato originale del ciclone e simulare una parvenza di quello che avevano provato gli abitanti (all’entrata c’era un cartello che avvertiva che il rombo nella sala avrebbe potuto creare una grande angoscia a chi aveva realmente vissuto l’accaduto). All’ultimo piano c’era il padiglione riservato alla storia navale. Usciti dal museo prima di riprendere l’auto facemmo una passeggiata al mare, una spiaggia anonima e deserta lambiva la spiaggia; in mezzo un pontile di pietra si allungava qualche centinaio di metri su un mare torbido. Poiché non era giorno di mercato (Mindil Beach Sunset Market) decisi di proseguire verso Nord, verso i quartieri più belli e residenziali in direzione di East Point. East Point è una penisola che si estende appunto verso Est di Darwin ed è secondo me il punto più interessante della città. Con l’auto entrammo nel East Point Riserve ed esplorammo le varie stradine…C’era tantissimo verde, un maneggio di cavalli, un minuscolo museo militare, un parco con giochi per bambini (tappa per Maeva)…Un ottimo luogo per rilassarsi e passeggiare…E all’imbrunire c’era la possibilità di incontrare altri canguri (Wallaby Point) che dalla boscaglia fuoriuscivano nei prati. All’interno della penisola c’era anche un laghetto (Alexander Lake) dove le famiglie facevano il bagno ed i bimbi costruivano castelli di sabbia lungo le sponde…Questo laghetto rappresentava il luogo più sicuro per nuotare anche durante la stagione estiva, ovvero quando il bagno era interdetto a causa delle velenosissime meduse a scatola (box jellyfish). Infine volevo segnalare la presenza di alcuni percorsi tracciati tra cui una suggestiva passeggiata tra le mangrovie. Poi lasciato East Point esplorai la parte nord di Darwin ma sinceramente non trovai nulla di interessante a parte la spiaggia di Casuarina Beach nella Casuarina Coastal Reserve, un ambiente naturale ben protetto dove vale la pena di passare un’oretta al sole (c’era pure la parte riservata ai “naturisti”). Finita l’intensa giornata tornammo in albergo dove avevamo preventivamente prenotato la cena. Ordinai una bistecca di manzo al sangue da far invidia ad una “fiorentina”, alta quattro dita, di formato gigante, morbidissima e saporitissima, …Uno spettacolo a vedersi…Purtroppo però l’entusiasmo fu spezzato dall’accorgermi che intorno a me c’erano due tavolate di turisti completamente influenzati (o qualcosa di simile) che tossivano a più non posso…I grandi ventilatori spargevano i bacilli in tutto il locale ! argghhh! la mia paranoia per gli untori mi fece infuriare…Per fortuna riuscii a coprire completamente a mo’ di burka Maeva che “eccezionalmente” dormiva accanto al nostro tavolo nel passeggino e pregai il Cielo affinché nessuno di noi si ammalasse…Già Maeva era partita con una brutta tosse che ci aveva fatto tremare ma che per fortuna era passata quasi completamente durante il viaggio aereo d’andata…Non volevamo rischiare di rovinarci la vacanza. Litchfield National Park La mattina era prevista la visita al Litchfield National Park, quindi ci incamminammo sulla onnipresente Stuart Highway per poi girare a destra dopo circa 120 Km in direzione di Batchelor (sconsiglio la strada non asfaltata che, via Berry Spring, va da Darwin al Litchfield N.P. Perché anche se fa risparmiare qualche decina di chilometri allunga di molto i tempi). Il parco può essere tranquillamente fruito in una sola giornata in quanto non ha moltissime attrattive…Lungo la strada si possono vedere i termitai magnetici (ma in fondo sono comuni un po’ ovunque nel N.T.) e l’unico luogo veramente suggestivo è il laghetto formato dalle cascate Wangi. Arrivati alle Wangi Falls io e Maeva ci spogliammo ci calammo nel lago (Maeva con la sua ciambella)…L’acqua era ad una temperatura piacevolissima e lo scenario davanti i nostri occhi con le due cascate di fronte era qualcosa di straordinario; volendo si poteva arrivare quasi a piedi (nuotando solo in alcuni tratti) sotto il getto delle cascate: un cartello spiegava le diverse profondità. Anche in queste acque di potevano incontrare i coccodrilli (io non ne ho visti) ma solo in caso di occasionali avvistamenti della specie “marina” il bagno era interdetto. Verso l’ora di pranzo tornammo indietro verso Darwin ma prima di uscire dal parco nazionale ci fermammo in un posto di ristoro per mangiare: beh ! è da raccontare. Come accennato i luoghi di ristoro: benzinai, affittacamere o ristoranti avevano tutti una loro originalità, una loro storia di vita…E diversamente non poteva essere visto il contesto in cui si trovavano (lontani dalla civiltà, spesso in luoghi dove nemmeno i vari segnali radio arrivavano). Entrammo quindi nella “Batchelor Butterfly and Bird Farm” (letteralmente la fattoria delle farfalle e degli uccelli nella località di Batchelor) Restaurant, Bar & Accomodation. Nell’autorimessa era parcheggiata una vecchia Jaguar (l’unica auto europea vista finora) completamente pitturata con colori sgargianti e forme astratte, firme e farfalle dipinte…Salimmo i gradini che portavano ad un patio ed entrammo nel locale. Tutto intorno a noi c’erano dipinti di indiani d’America, strumenti indiani, calumet della pace, totem, teschi di bufalo, feticci…E in sottofondo arieggiava una musica new-age con una nenia presumibilmente indiana. Dal retrobottega spuntò un uomo a dorso nudo, asciutto, sulla quarantacinquina dall’aspetto alternativo “molto Cherokee”, con orecchini, tatuaggi e capelli lunghi fluenti che ci accolse molto calorosamente. Ci chiese cosa volevamo mangiare e una volta scelto un piatto a base di pollo e patate (molto buono, preparato sul momento) ci portò, per ingannare l’attesa, l’album delle sue foto e dei suoi pensieri ed una serie di giochini per Maeva. Nell’album c’era tutta la storia documentata da immagini e racconti del posto dove ci trovavamo…Per dirla breve l’uomo (Chris) nato a Melbourne aveva vissuto in Irlanda molto tempo con il pensiero fisso di tornare nella sua terra e costruire un luogo dove poter allevare farfalle. Circa dodici anni fa era riuscito nel suo sogno costruendo con le proprie mani asse dopo asse la sua casa di legno, poi la voliera per le farfalle, poi il recinto per gli uccelli…Poi dopo un anno il fumo di un incendio scoppiato nel bush gli aveva ucciso tutti gli animali e lui aveva iniziato daccapo inseguendo il suo sogno di sempre… Finito il pranzo Chris ci tenne a farci vedere tutti i suoi sforzi manuali: il laghetto per le tartarughe, il mini parco giochi per i piccoli, il suo giardino tropicale con i suoi Buddha…Ed ovviamente le sue voliere. Per una cifra irrisoria ci aprì l’enorme locale dove tra ruscelli, cascatelle artificiali e piante tropicali decine di grandi farfalle svolazzavano tra noi talvolta posandosi sulle nostre teste o sulle nostre mani…L’uomo ci invitò a rimanere da soli a lungo nella voliera per apprezzarle il più possibile…Poi uscimmo e passammo nella gabbia degli uccelli dove si divertì soprattutto Maeva tra pavoni, galline e colombi. Un posto veramente surreale: tra l’altro erano disponibili anche tre stanze in affitto e lezioni giornaliere di Karatè, Yoga e T‘ai-Chi. Quando fu ora di rimetterci in cammino, il simpatico Chris ci congedò con un forte abbraccio augurandoci di tornare presto… mi sentivo anni luce lontano dalla mia vita reale quotidiana ! Quella sera, tornati a Darwin, cenammo alla solita ora ma andammo a dormire presto perché il giorno dopo avremmo dovuto lasciare il Northern Territory per il Queensland: quindi alzataccia alle 3 del mattino, ordino dei bagagli, check-out in albergo, guida sino all’aeroporto internazionale, riconsegna dell’auto affittata, check-in alla Qantas e imbarco per Cairns con il volo delle 6 del mattino (circa 2 ore e 20 minuti a bordo di un Boeing 737). Un solo pensiero dubbioso: l’aver lasciato il Northern Territory senza aver visto Ayers Rock (Uluru), il monolite simbolo dell’Australia aborigena ma il tempo è tiranno e il luogo molto distante da quelli toccati. Avevo pensato di arrivare da Darwin ad Alice Spring (poi da lì prendere un’auto a nolo o un pulman fino ad Ayers Rock) con la nuova tratta ferroviaria aperta proprio quest’anno in primavera, avrei potuto prendere un costoso volo interno, mi avevano proposto di percorrere migliaia di chilometri di Stuart Highway (circa tre giorni) con un auto affittata (tra l’altro lungo la strada non c’è nulla di interessante da vedere) ma mi è sembrato sprecato dover “tagliare” qualche giorno del mio viaggio per vedere una roccia sicuramente molto suggestiva (tra l’altro per rispetto non ci sarei mai salito sopra e spero che lo facciano sempre meno persone) ma che dal lato culturale-aborigeno non avrebbe aggiunto molto all’arte rupestre e alle altre cose apprese nel Kakadu (e non solo). Il resto della storia che non sono riuscito a mandare (mi da errore, forse è troppo lunga) si trova nel mio sito insieme alle foto di viaggio: http://www.Tropiland.It/australia/australia.Htm



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