Tokyo in 6 giorni? Si può fare…

Vedere Tokyo in 6 giorni è stata un'impresa, ma con un poco di pazienza e molta pianificazione ci siamo riusciti.
tokyo in 6 giorni? si può fare...
Partenza il: 12/02/2010
Ritorno il: 18/02/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Il tempo di allacciarsi le cinture e l’hostes annuncia che stiamo per atterrare all’aeroporto di Tokyo. Le ore immediatamente prima della partenza sono state un susseguirsi di corse in perfetto stile olimpionico: i 500m ad ostacoli per raggiungere l’uscita G11 di Fiumicino in tempo per l’imbarco sono già nel libro dei record personali della mia fidanzata. Atterrati a Narita già respiro un’aria a me familiare, fatta di sapori che difficilmente si possono cancellare una volta assaporati. L’infinita gentilezza che contraddistingue i Giapponesi ci accoglie, quasi ci assale: già so che da ora in poi, per 6 giorni, l’espressione Sumimasen (mi scusi o grazie… dipende dai casi) ci accompagnerà tutto il tempo come un sottofondo musicale. Passati i controlli, mi ritrovo ancora una volta alla solita uscita, quella sotto il tabellone degli arrivi. Il piccolo punto per lo scambio dei soldi mi ricorda che è arrivato il momento di affrontare la mia prima sfida: sopravvivere al cambio. Dopo un anno all’insegna di uno Yen tutto sommato accettabile, il gentile signore del cambio mi annuncia che ognuno dei miei Euro vale 118,00 Yen al cambio: mi aspettavo di peggio. Tempo di spostarsi in Hotel. Per facilitare gli spostamenti decidiamo di prendere una carta Suica+Nex che comprende un biglietto per il Narita Express fino Shinjuku (la nostra destinazione) ed un credito residuo di 2.000 YEN per usare tutti gli altri treni durante questa settimana: a distanza di 24 ore dal nostro arrivo devo dire che questa carta rappresenta una svolta nei miei viaggi in Giappone. Niente più’ biglietti da fare nelle stazioni di partenza, ne compensazioni in quelle di arrivo. Passi la carta e scala dal credito: quando finisce basta ricaricarla. Il Narita Express ci aspetta al binario, pulitissimo neanche dovessimo mangiare sul pavimento e puntuale come non mai. Arriviamo a Shinjuku senza troppi problemi. Al binario di arrivo non molta gente: tra gli altri un addetto della stazione alla pulizia del corrimano delle scale fa avanti ed indietro lucidandolo (letteralmente). Tempo di salire in stazione per rendersi conto che la fama di stazione più trafficata di Tokyo è pienamente meritata: Shinjuku è un casino!!! Per fortuna veniamo soccorsi da Andrew, un mio amico americano, che al momento lavora in Korea e che si è unito al nostro viaggio. Andrew ci accoglie con dell’ottimo pane al cioccolato ed alla banana: la panificazione a Tokyo è una roba serissima, ma in fondo già lo sapevo. Il pane è all’altezza dei nostri prodotti del Mulino Bianco, ed in alcuni casi anche migliore. Tempo per i saluti di rito e ci ritroviamo al nostro Hotel: il Sunroute Plaza Shinjuku, un Hotel 4 stelle di tutto rispetto a 5 minuti dalla stazione. Alla reception ci danno le istruzioni e ci consegnano le chiavi della stanza… LE ISTRUZIONI!!!! In effetti Tokyo è forse l’unica città al mondo dove avere un manuale delle istruzioni universale è quasi fondamentale per la sopravvivenza. Nel caso dell’Hotel questo comprende come far funzionare l’ascensore, dove trovare il necessario per il bagno, il pigiama (IL PIGIAMA NOOOO!!!), e quant’altro possa servire a farti sentire a casa. La stanza è in puro stile orientale per occidentali. Molto piccola ma tutto sommato sufficiente ad una pacifica convivenza, se non fosse per la totale assenza di armadio. In bagno c’è lui, come sempre… il water-hi-tech sogno proibito di tutti gli occidentali: tavoletta riscaldata, doccia spruzzo per lui e per lei, regolatori vari ed eventuali. Mi basta un giro di prova per rendermi conto di non aver seguito a dovere le istruzioni del tipo della reception: mi siedo e parte un rumore inquietante mentre una spia verde lampeggiante con la scritta “Preparation” si illumina… mi sembra di essere seduto sul sedile di uno shuttle pronto al decollo. Il tempo di una doccia e siamo fuori, alla ricerca di un posto dove soddisfare il nostro appetito. Ci fermiamo in uno dei moltissimi locali dove vedi quello che ordini in vetrina, entri dentro e ti confronti con le malefiche macchinette Giapponesi per ordinare. Ci viene in soccorso un tipo dalla cucina: ad ogni pietanza in vetrina corrisponde un numero che ritroviamo dei bottoni delle macchinette automatiche. Scegli, paghi, esce un tagliando, lo porti al banco e aspetti: in pochi minuti ti trovi un piatto identico a quello riprodotto in vetrina… IDENTICO. Io prendo la Soba Oyakodon, una zuppa di spaghetti do soia con verdure accompagnate da un piatto di riso con sopra pollo e frittata: il cibo giapponese può non avere un bell’aspetto per gli occidentali, ma il sapore è accettabile o, come per questa zuppa, molto buono. Devo dire che alcuni sapori però sono davvero immangiabili se non disgustosi, ma non è il caso di questo piatto. Tempo di un giro veloce. La prima fermata obbligatoria è a Yodobashi Camera, il più fornito negozio per fotocamere ed attrezzature fotografiche di Tokyo… il più fornito ed anche il più caro. Prima di partire mi ero fatto una lista di quello che mi serviva, ma qui costa tutto praticamente il doppio. L’unico vantaggio è che puoi provare tutte le attrezzature: lenti, treppiedi, luci, etc. Continuiamo il nostro giro per Shinjuku, quando la mia fidanzata scopre una sala Pachinko. Decide che deve giocare ma nessuno di noi è capace. In breve perdiamo, ma lei non si arrende e decide che deve imparare a giocare prima di andare via da Tokyo. Continuiamo a girare per Kabuki-cho con la sua vita notturna e le sue tendenze fino ad Harajuku, quartiere alla moda e con un sacco di negozi e locali. E’ qui che abbiamo appuntamento con Jeremy, un amico fotografo di Andrew che si è trasferito a Tokyo. Jeremy ci porta a mangiare in un locale dove preparano l’Okonomi-yaki e la Manja-yaki. In sostanza si tratta di un locale dove al centro dei tavoli si trova una pietra nera bollente. L’Okonomi-yaki è un misto tra una frittata ed un pancake preparato con diversi elementi: maiale, bacon, corn beef, verdure di tutti i tipi, fagioli, carne, salmone, gamberi, tonno… insomma tutto quello che ti viene in mente. Il preparato viene portato crudo al tavolo servito in delle ciotole di acciaio. La preparazione è relativamente semplice e molto divertente: si mischiano gli ingredienti nella ciotola, si passa un po’ di olio sulla piastra, si versano gli ingredienti formando un cerchio di dimensioni regolari ed alto circa 1 cm (o poco meno) e si cucina da entrambe i lati. A cottura ultimata si aggiunge una crema che sembra caramello (ma non lo è) che chiamano semplicemente Sauce, della polvere di alga Nori ed una di pesce essiccato (ma sa poco di pesce… sembra più una spezia), a scelta la maionese. Il risultato finale è molto gustoso ed estremanete divertente da preparare. Il Manja è la stessa cosa con l’unica differenza che rimane meno compatta (assomiglia meno ad una frittata). La birra scorre a fiumi e la serata prende la piega giusta. Alcuni ragazzi nella comitiva propongono di continuare con un’oretta al Karaoke: non ci tiriamo indietro. Il Karaoke è un posto stranissimo, dove paghi per noleggiare una stanza due metri per quattro (o poco meno) con le fattezze di una discoteca in miniatura: tavolini se sedie alla moda, luci laser e strombo ed un impianto audio da fare concorrenza alla migliore delle discoteche. Le canzoni si scelgono da dei mini computer wireless (a Tokyo tutto è collegato o governato da un mini computer) dove, oltre le discografia completa dei più innominabili cantautori giapponesi, trovano spazio anche moltissime canzoni in Inglese. Cominciamo a scaldarci con i Beatles ma presto scendono in campo i ragazzi Giapponesi, esaltati come dei Sorcini ad un concerto di Renato Zero. Alla fine di ogni canzone il computer da anche dei voti: è tempo di scendere in campo per una sfida Giappone contro Italo-Americani. Noi sfoderiamo i Coldplay, loro rispondono con qualcosa che assomiglia alla nuova colonna sonora del ritorno di Sampei. Si passa a grandi classici di cui sconoscevo il nome fino alle più impensabili canzoni di Idol (cantanti pop giapponesi molto giovani ed alla moda) giapponesi: accenno anche a cantare Brand New World (opening di One Piece) ma canto solo le parti in Inglese. Un’ora passa con una velocità disarmante, ma rimane tempo ancora per due canzoni. E’ il mio momento e scelgo Eye of the Tiger (direttamente dalla colonna sonora di Rocky): alla fine il computer si rifiuta di darmi un punteggio (mi illudo pensando che sono andato così bene da essere fuori scala) e la sfida finisce in un mare di risate. Cena a base di Okonomi-yaki, 3.500,00 Yen, Serata al Karaoke con nuovi amici giapponesi, 1.000,00 Yen, cantare in una stanza 2m per 4m canzoni in giapponese NON HA PREZZO.

Il secondo giorno inizia con una bella nevicata mattutina: quello che non potevo immaginare era che quei pochi fiocchi sarebbero stati solo il preludio di una giornata all’insegna della neve. Alle 08:00 si presenta al luogo dell’incontro un omino dal tipico nome impronunciabile che per tale motivo preferisce farsi chiamare Ricky. Oggi visita guidata al monte Fuji ed alle terme di Hakone. La nostra guida sembra la brutta copia del ragioniere Filini. Il viaggio inizia e giusto il tempo di scrivere al computer la giornata di ieri mi rendo conto che tutto intorno a noi è ormai inesorabilmente bianco. La mia compagna di viaggio dorme, mentre Ricky ci informa che ci stiamo per fermare qualche minuto all’Autogrill (che in Giappone ha tutt’altro nome ma la sostanza è sempre quella). Mi avventuro da solo alla ricerca di qualcosa di caldo da bere e trovo uno Starbuck’s (di cui Tokyo è piena). Il tempo di agguantare il mio solito Cinamon Roll con caffè e latte ed è tempo di rientrare al bus. Tornando mi rendo conto come gli Autogrill non sono poi tanto diversi dai nostri: bambini urlanti, negozi con roba tipica, bagni ai limiti dell’umano, etc. Certo nei nostri vanno alla grande le Galatine mentre qui trovi le seppie candite… questa però e tutt’altra storia. Il bus arranca nella salita al monte Fuji ma finalmente dopo quasi un’ora e trenta di viaggio ci siamo. Ci fermiamo alla stazione numero due invece della cinque in quanto c’è troppa neve. Scendo dal bus pronto ad immortalarmi in una foto con un monte Fuji degno della più avanza fortezza delle scienze ed invece grande delusione… la foschia non permette una grande vista. In compenso ho trovato un simpatico cane da una tonnellata che portava a spasso i padroni giapponesi ed una sfilza di bambini kamikaze che si immolavano con lo slittino dalla montagna. Il paesaggio per arrivare fino a qui è bellissimo, ma la stazione due del monte Fuji mi lascia un po’ perplesso sul seguito. Tempo di pranzo e l’inossidabile Ricky ci porta a mangiare in un Hotel vicino ad Hakone, nota località termale. Il posto è carino ed il pranzo accettabile. Si prosegue con una gita su una nave pirata in un lago vicino… UNA NAVE PIRATA!!! Dopo questa credevo di avere in mano le prove del fatto che la nostra guida è in effetti un deficiente di dimensioni bibliche. Ed invece il deficiente ero io. Il lago in questione, oltre ad essere esageratamente bello, era pieno di navi pirata per turisti. Mi domando se a Messina non si possa impiantare un business del genere, dato che le navi erano piene. Potrei fare concorrenza ai Franza!!! Finita la simpatica gita, saliamo con una funicolare nel posto dove si concentrano le sorgenti termali. Peccato per il tempo perché avrei fatto volentieri un bagno. Ricky ci invita a provare la specialità del luogo. Le uova nere!!! La cosa mi puzza, come del resto tutto in questa località termale. Il paesaggio è davvero unico, Giusto il tempo di una foto e mi ritrovo davanti la mia ragazza con un sacchetto di uova nere. Le uova in questione sono normalissime uova cotte nelle fonti di vapore termale. In effetti l’aspetto non è invitante ma il sapore è buono: sorprendentemente le uova nere sanno di … uova bollite. Questi Giapponesi farebbero di tutto pur di incrementare il turismo. Si è fatto tardi e Ricky ci lascia alla stazione dove prendiamo uno Shinkansen o Bullet Train. Che dire: pulito, preciso e velocissimo. Il modo più veloce e sicuro di andare da un punto A ad un punto B in Giappone. Al ritorno dal monte Fuji ci siamo ritrovati con molta fame poca voglia di tornare in albergo a riposarci (anche perché la mia ragazza ha praticamente dormito ogni qual volta trovava posta a sedere). Ci dirigiamo a Ginza, quartiere chic di Tokyo. L’aria che si respira è quella delle grandi occasioni: vestiti griffati e grandi marchi (Bulgari, Cartier, etc.) sono i padroni incontrastati del quartiere. Al pari di un cane da caccia Andrew fiuta subito il Sony Building, palazzo di x piani con tutte le ultime novità della casa giapponese. Appena si entra, subito la grande novità del momento: TV LCD 3D… che più che la sigla di un elettrodomestico sembra il numero di serie del mio iPhone. Si continua con lettore MP3, videocamere, computer e… e poi la signorina “sumimasen” di turno ci invita molto educatamente ad uscire. Tento inutilmente di glissare l’argomento con un deciso “Io italiano non capire” ma la signorina insiste e dobbiamo cedere. Dopo tre interminabili piani di ragazze “Sumimasen” siamo di nuovo in pista a Ginza. Il tempo di una visita veloce al department store Ginza Mitsukoshi e ci troviamo di nuovo in strada alla ricerca di un ristorante Giapponese. Dopo un’ora buona di ricerca ed un po’ di fortuna approdiamo in un centro commerciale dove troviamo l’ottimo ristorante Tsuki no Shizuko. Il ristorante ho un sapore tipicamente orientale: ci invitano a toglierci le scarpe per entrare e con la grazie che mi contraddistingue scopro di avere un calzino bucato… DOHHH. Sfido chiunque a salire sul monte Fuji senza conseguenze. Calma niente panico, con la disinvoltura di un ghiacciolo nel deserto faccio finta di niente sperando che nessuno se ne accorga. Seguiamo la nostra cameriera fino al nostro tavolo: il locale è composto da una moltitudine di stanzette private all’interno delle quali c’è lo spazio fisico per un tavolino che sembra distante solo pochi cm da terra: tra me e me penso “finalmente gli anni di allenamento in seiza (la seduta in ginocchio tipica giapponese) daranno i loro frutti” ed invece il tavolino si trova semplicemente sospeso su di un fosso all’interno del quale infilare i piedi… siamo praticamente seduti. Ci accomodiamo e ci rendiamo immediatamente conto della presenza del temibile computer al tavolo, che non lascia alcuna speranza ai poveri italiani che desiderano ordinare. Per fortuna arriva una cameriera con il menù per imbecilli che sembra prodotto dalla Clementoni… per la serie non è ammesso l’errore. Ordiniamo fave (non ricordo il nome) Soba fredda (tipo spaghetti serviti freddi e sconditi, accompagnati da una salsa in ciotola nella quale intingerli prima di mangiarli), Udon sempre freddi (stesso sistema spaghetti diversi), e pollo Yakitori (una sorta di polpette di pollo servite su un bastoncino ed accompagnata da sale, salse, o altro). Mangiamo di gusto (consiglio il posto) e ci alziamo per andare via.Terzo giorno. La mattina facciamo colazione in un Caffè Americano a base di ciambelle (Dounghts) e pianifichiamo la giornata come fosse una partita a Risiko, solo che invece di partire dalla conquista della Kamchatka decidiamo di andare a vedere uno spettacolo al teatro Kabuki-ka. Pessima scelta: gli spettacoli del mattino sono pieni. Il tipo alla porta ci invita a tornare alle 5:00 per lo spettacolo del pomeriggio. Con un guizzo felino prendo il controllo della squadra dirottando tutti verso la Mecca dei geek: Akihabara. Appena arrivati, la nostra aria da sprovveduti occidentali ci fa guadagnare l’aiuto di un simpatico vecchietto per trovare la strada principale. Macchine fotografiche, computer, video giochi, manga, anime, donnine burrose… insomma ci manca una filiale di Irrera ed un dojo Bujinkan per convincermi a comprare casa qui. La mia ragazza avverte subito il mio grado di grande eccitazione, e con amorevole comprensione capisce che per un quieto vivere deve solo assecondarmi nelle successive ore. Inizio con i soliti due Duty Free che mi hanno (quasi) sempre fruttato buoni affari: deve essere successo qualcosa all’Euro dalla mia partenza perché una memory card dal costo approssimativo di 90€ qui la vendono praticamente al triplo… e così tutto il resto. Mi consolo provando gli ultimi ritrovati della tecnologia in tutti i campi… guardare ma non toccare. Proseguiamo il giro al fantomatico negozio “all’angolo” dove comprare tutto quello che serve a “stimolare” una coppia moderna (o un single maniaco): insomma entriamo nel più grande porno shop di Akihabara. La mia ragazza viene prontamente fermata prima di poter accedere al secondo piano… io ed Andrew ci avventuriamo in quello che potrei definire come un grande magazzino di parti di ricambio femminili. I Giapponesi … gente strana. Tempo di proseguire. Nella strada principale vedo nell’ordine: un’esposizione sulla corazzata Yamato (Starblazer per gli italiani più nostalgici), un tipo vestito come Dragon Ball che sparava onde energetiche sui passanti, un negozio di spade di fattura medio bassa, un centro commerciale solo per videogame, uno per fumetti ed uno di stranezze generico. Nel frattempo mi si apre un languirono (sfido io, dopo tre ore!). Ci fermiamo in uno dei tanti ristoranti e mangiamo la solita Soba ma stavolta calda servita con il pollo. Fuori dal ristorante intravedo uno dei moltissimi negozi di crepe che quest’anno hanno invaso la capitale. Sono le crepe più invitanti che io abbiamo mai visto e l’odore è impareggiabile. Decidiamo di buttarci tutti nelle crepe: io ordino qualcosa che assomiglia a banana cioccolata e panna. In effetti la cioccolata e la banana mi corrispondono: le note dolenti arrivano con la panna, un pezzo di burro che nello stomaco ha lo stesso effetto di tre cene consumate in 5 minuti. Che ore sono… accidenti siamo in ritardo per lo spettacolo. Ci dirigiamo nel quartiere del teatro. Andrew si posiziona in fila per prendere i biglietti con un suo amico mentre io e la mia ragazza andiamo a prendere un caffè in un locale vicino. Appena seduti ordiniamo un caffè ed un tè, incuranti del fatto che ormai si era fatto tardi e dovevamo ritornare al teatro. Appena arrivano le bevande, la mia ragazza ha la brillante idea di chiedere alla cameriera di riversare il contenuto delle nostre bevande in dei bicchieri da asporto. Invano ho tentato di spiegare che in Giappone non puoi cambiare le regole stabilite come non puoi cambiare i menù. Lei si cimenta ugualmente e comincia una lunga ed estenuante discussione con la cameriera: prova prima in Inglese, poi in Giapponese (per quello che vale), passa all’Italiano compra una vocale e gira la ruota… NIENTE. Si alza e porta la cameriera al banco mimando come una disperata il gesto di versare il contenuto del mio caffè in un bicchiere di carta che indica con la mano… NULLA. Desiste, ed andiamo via lasciando le nostre bevanda, ancora a 800° c dopo 20 minuti, sul tavolo e la cameriera in piena crisi di stato per un cambio di contenitore non autorizzato dall’Imperatore. Andiamo al Teatro. Lo spettacolo,della durata di 30 minuti, è bellissimo… non abbiamo capito granché ma ne valeva proprio la pena. La sera abbiamo prenotato un tavolo al New York Grill, ristorante al 54 piano del Park Hyatt Hotel. Un posto da mozzare il fiato e la carta di credito. Arriviamo come un branco di barboni, pieni di zaini, buste ed ombrelli (fino ad ora ne abbiamo comprati 4 ma non chiedetemi perché, vi prego): consegnamo tutto al guardaroba… “That’s all?”, “No, i cani stanno salendo con un altro ascensore, grazie!”. Anche qui, la mia ragazza cerca di mettere in crisi il sistema Giapponese con esiti negativi: ordina una bistecca australiana ed il cameriere ci avvisa che ci vorranno 40 minuti per prepararla. Dato che non abbiamo intenzione di attendere tanto cambia la sua ordinazione. Dopo circa 20 minuti il cameriere torna e dice che in 7 minuti lenostre pietanze saranno pronte. Sentitasi presa in giro lei comincia ad inveir econtro il sistema Giapponese, dubitando sul tempo di cottura effettivo della carne. Dopo 7 minuti cronografati (e 20 secondi per l’esattezza) le pietanze erano sul nostro tavolo nel silenzio generale delle nostre facce incredule.

Quarto giorno… sveglia alle 03:45…. Pronti alla recepito alle 04:15. Al mercato del pesce alle 04:45. RONF RONF RONF. Entrando sembra di essere sul set del film Grosso Guaio a China Town (Esplosioni verdi, gente che entra e esce volando, ah non può essere vero, io chiamo la polizia… – Jack Burton). Tuttavia manca qualcosa… il pesce. Forse abbiamo sbagliato qualcosa. Ad un tratto inquadriamo due tipi con l’aria da turisti (identici a noi) che si diriggono velocemente chissà dove. Li seguiamo e finalmente arriviamo al vero e proprio mercato: una bolgia infernale di pesce, crostacei di ogni tipo (anche mai visti) e giapponesi in tuta blu che guidano strane macchinette elettriche. Un posto immenso fatto di corridoi talmente grandi da non vederne la fine. Nella guida avevamo preventivamente letto che il pavimento sarebbe stato bagnato e sporco. Sul bagnato ci siamo, ma sporco mica poi tanto (considerando il fatto di trovarsi in un mercato). La mia fidanzata tira fuori dalla borsa 6 cuffie per doccia (quelle dell’hotel) e le usiamo come protezione per le scarpe: ottima idea. Attraverso i lunghi corridoi vediamo di tutto: cozze del peso specifico di due KG, strani pesci, molluschi che sembrano lumaconi usciti da un film splatter e tentacoli assassini. Arriviamo finalmente all’ingresso della zona dell’asta dei tonni. Qui i tonni sono allineati, puliti, scongelati, intagliati, e venditi al miglio offerente. I compratori possono entrare nell’area del pesce e (letteralmente)assaggiare i tonni. Ad un tratto comincia l’asta e non si capisce più nulla. Un tipo urla qualcosa e poi comincia a fare una danza degna degli All Blacks che si conclude con l’assegnazione dei tonni. Mentre i tonni vengono venduti la mia attenzione cade su una simpatica famiglia composta da madre, padre e tre figli, che sembra uscita dalla pubblicità dei Tegolini del Mulino Bianco. Lui ha un viso noto ma li per li mi è sembrato troppo assurdo: poi la conferma del mio amico Andrew. E’ Jude Law con la famiglia (conferma avuta anche cercando in tempo reale una foto della famiglia sul web). La mia fidanzata lo punta come uno squalo fa con la sua preda… lo insegue per il corridoio dell’asta e quando finalmente lo raggiunge gli chiede una foto ricordo (dopo avermi preventivamente minacciato di morte nel caso la foto non fosse venuta bene). Jude si scusa educatamente negando l’invito. Ore 06:30. Archiviato il capitolo asta dei tonni ci dirigiamo nuovamente verso la civiltà, ma non prima di essere passati da Sushi Zanmai per una colazione a base di Otoro e Chutoro: sushi di tonno, la colazione dei campioni. Il tempo di togliersi l’odore del pesce con una doccia veloce in albergo e già siamo diretti verso il palazzo imperiale. Arriviamo alla stazione e tentiamo di seguire le indicazione (molto chiare) nella ricevuta di iscrizione alla visita ed in strada. Davvero difficile perdersi a Tokyo, anche perché basta chiedere indicazioni ad un passante qualunque: così facciamo anche noi con una simpatica vecchietta la quale ci dice di lavorare proprio nel posto indicato per l’appuntamento e che quindi ci accompagnerà lei direttamente. Ad uno dei tanti incroci ci guarda e con voce rassicurante ci avvisa che saremo al luogo dell’incontro in 7 minuti (di nuovo!!! ma cos’è un tempo standard Giapponese?). Per avere una controprova di quanto già dimostrato la sera prima a cena comincio a cronometrare: ed è qui che la vecchietta in questione accelera il passo, ed in puro stile 100m ad ostacoli ci supera di almeno mezzo metro. Altro che vecchietta, questa è la nonna di Flash. Arriviamo al luogo dell’incontro: davanti un ingresso imponente in puro stile Giapponese, all’interno di un parco del quale a vista non percepisco la fine. Siamo in anticipo grazie a nonna Flash, per cui io ed Andrew decidiamo di combattere il sonno andando alla ricerca di una dei tanti distributori di bevande automatico. Dopo affannose ricerche, troviamo un paio di macchinette e ci riforniamo di caffè. Per fortuna in ogni distributore sono sempre presenti bevande fredde e calde, segnalate dal colore blu o rosso in corrispondenza delle stesse. Non c’è di meglio per svegliarsi in Giappone di un’ottimo caffè in lattina. In lontananza vediamo il gruppo per la visita guidata ormai formatosi: insieme ad una 50ina di persone attraversiamo due enormi cancelli protetti dal corpo di polizia e ci radunano in quella che ha tutto l’aspetto di una moderna sala mensa. Qui ci danno un’ottima guida audio in inglese e ci mostrano un filmato introduttivo con una breve storia del palazzo. Subito usciamo, sempre in gruppo, e cominciamo la visita. La giornata non è delle migliori: comincia a piovere e non smetterà fino al giorno dopo… OTTIMO. Durante la visita siamo sempre scortati da una sorta di polizia interna del palazzo, i cui funzionari ci invitano costantemente a rimanere in fila (non perfetta ma sicuramente molto ordinata) invitandoci a mantenerci all’interno di una sorta di linea immaginaria che solo loro vedevano. Visitiamo tutti gli ambienti esterni del palazzo: gli uffici, il palazzo imperiale, il balcone dal quale l’imperatore saluta, i vari cancelli di epoche diversi, alcune costruzioni in stile. Tutto è come sempre curato in modo maniacale. La visita però non è il massimo: ci avessero almeno fatto vedere qualche interno. Dopo un’ora ho rimediato qualche foto discreta della mia ragazza con l’ombrello, 20 ettolitri di acqua nelle scarpe e l’antipatia di una delle guardie che non faceva altro che ripetermi di stare dentro la linea. Per concludere, i famosi giardini di lunedì erano chiusi per cui ci dirigiamo verso la nostra prossima tappa. Asakusa è la tappa obbligatoria da quando viaggio in Giappone. E’ una zona dove sono radunati alcuni templi Buddisti, il più grande dei quali è il tempi Sensoji. Usciti dalla stazione comincia a piovere e ci dirigiamo subito all’entrata della zona dei templi. L’ingresso si chiama Hozomon: è qui che con Andrew ci fermiamo a mangiare qualcosa mentre la mia ragazza ci precede nella Nakamise-dori: una strada stretta che porta verso i templi, all’interno della quale vi sono una moltitudine di piccoli negozi dove è possibile acquistare molti omiyage (souvenir), kimono, dolcetti tipici giapponesi, stampe, etc. La pioggia continua incessante, ma non ci scoraggia dal proseguire la nostra visita. Proseguiamo verso il tempio Sensoji attraverso Kaminari-mon (il cancello del tuono). La febbrile attività del tempio e la pioggia rendono la nostra visita un po’ stressante ma non per questo meno bella. In giro veloce al tempio principale (ancora in ristrutturazione) e ci dirigiamo verso la zona dove vengono bruciati gli incensi. Dopo aver seriamente rischiato di prendere fuoco insieme all’incenso, ritorniamo sui nostri passi per visitare un’altra via (la Shin Nakamise, che questa volta è al chiuso) che ci conduce alla stazione dei treni. E’ il tempo per i saluti: Andrew deve tornare in Korea e noi dobbiamo andare ad Harajuku. Questa è una zona molto particolare: bei negozi come sempre, grandi department store dove comprare di tutto e, soprattutto, Takeshita, una minuscola strada che costeggia la via principale (ed il cui ingresso è vicino alla stazione dei treni di Harajuku) famosa per essere la strada dove trovare tutte le stranezze legate alla folle moda Giapponese. Qui, una folla di giovani come impazziti si veste nei modi più assurdi: si va dalle ragazze vestite come camerierine, ai ragazzi vestiti come i personaggi dei fumetti, fino alle acconciature più improbabili. Il tutto condito con una normalità che fa quasi paura. Tra i negozi più belli che abbiamo visitato c’è ne uno sulla strada principale a metà tra un negozio di giocattoli ed uno di oggettistica folle. Ci puoi trovare di tutto: da Hello Kitty, ai gadget più impensabili (la cioccolata di Willy Wonka, le blatte robot e le pen drive con gli animali che fanno le flessioni appena le inserisci nel computer tanto per citarne alcuni). Io adocchio un angolo tutto dedicato a Onepiece e compro a colpo sicuro il mio nuovo fiammante porta iPhone SUGOIIIIII(fantastico). La mia ragazza invece mi regala un ombrello katana, oggetto di culto per ogni ninja moderno che si rispetti. Usciamo ed intravedo in una delle traverse un Daiso (negozio tutto a 100 yen). Spiego alla mia ragazza come funziona: non l’avessi mai fatto. Abbiamo perso oltre un’ora tra i vari piani comprando di tutto. Stanchi dopo una giornata decidiamo di tornare a Shinjuku.

Il quinto giorno è dedicato alla cerimonia del tè che abbiamo prenotato prima di partirà dall’Italia. La visita è prevista per le 13: quindi per non perdere tempo decidiamo di dedicare la prima parte della mattinata per la visita del tempio Meiji vicino alla stazione di Harajuko. Arrivati alla stazione la mia ragazza mi fa notare come sarebbe bene che lei facesse un secondo giro al Daiso (DOHHH) visto che il primo è stato solo di riscaldamento. Il tempo adesso è molto limitato per cui ci concentriamo su tempio Meiji. Navigando un po’ nella Rete ho scoperto che il tempio in questione è uno dei più visitati di Tokyo: non fatico molto a crederci. Per accedervi si deve entrare in un parco (Yoyogi Parc) ed attraversare Omotesando, una strada alberata che crea un clima così suggestivo da portarti in un’epoca diversa. Da quando si attraversa l’immancabile Mon (cancello) l’atmosfera è surreale: il rumore delle foglie, i ruscelli che attraversano il parco, la totale assenza del caos cittadino ne fanno un posto davvero unico. Arriviamo subito ad un bivio dove scegliere se visitare i giardini privati o proseguire verso il tempio. Visto che non abbiamo molto tempo optiamo per il tempio. Arrivati all’ingresso sembra di vivere in una storia dal sapore feudale Giapponese: il grande mercato colorato che è Asakusa qui è davvero lontano. La gente ammira in silenzio le meraviglie offerte da queste strutture immerse nel tempo e nella natura. Le tradizioni qui sembrano vivere oggi come ieri. Mentre visitiamo esterrefatti questa meraviglia, ecco apparire dal nulla un corteo in religioso silenzio. Scortati dalle immancabili guardie del tempio, ecco un corteo nuziale attraversare tutto il cortile per finire in chissà quale luogo nascosto agli occhi dei turisti. Lo seguiamo ammirando la solennità di questo momento: davanti una sorta di monaco che precede un gruppetto di giovani collaboratori. Subito dopo gli sposi nei loro abiti tradizionali giapponesi, seguiti da quelli che hanno l’aria essere dei testimoni: un paio di amici stretti ed i genitori chiudono il corteo. Non ci sono parole davanti a tanta meraviglia e solennità. Cucci commenta il tutto dicendo che ha tutta l’aria di un funerale più che di una festa, e forse non ha tutti i torti: i nostri matrimonio pieni di confusioni, goliardia, sorrisi, scherzi, amici e parenti (se non abbiamo minimo 5.000 partecipati e 800 parenti non sembriamo felici) sono davvero lontani. Entrambi devo dire hanno il loro fascino: i primi definiscono la sacralità del momento, conferendo serietà assoluta ad ogni gesto, mentre i secondi sono un vero e proprio inno alla vita ed alla gioia nell’unione di due vita… ma una via di mezzo no? Tempo di andare ma non prima di avere scritto una tavoletta votiva con una piccola preghiera da lasciare in un posto dove abbiamo vissuto un momento così’ bello. A marzo tornerò sicuramente qui. Ho propria voglia di un’ottima tazza di tè. Il tempo di prendere un paio di treni per raggiungere una delle tante periferie di Tokyo per ritrovarsi dopo poco tempo in un taxi con la Sensei della cerimonia del tè e la nostra interprete. La sensei, una simpaticissima signora di mezza età, ci spiega che aveva appena finito una lezione a scuola proprio su questa cerimonia. Ci spiega anche che per loro è importante che i bambini ne imparino l’importanza per tramandare questa tradizione. Dopo pochi minuti arriviamo a casa sua, dove ad accoglierci con un kimono tradizionale c’è la figlia. La sala è molto bella ed estremamente curata: ci togliamo le scarpe come trazione e la nostra interprete ci fa accomodare in una stanza piccola e totalmente rivestita con il tatami (la tipica pavimentazione giapponese formata da foglie di riso pressate ed elegantemente intrecciata). Ci spiega che nelle case delle persone più ricche, il tatami porta impresso il Kanom (stemma) di famiglia sui bordi e ci invita al contempo ad evitare di calpestare gli stessi per non rovinarli (i bordi sembrano essere la parte più delicata di questi pavimenti). Posiamo le nostre cose e ci cambiamo le calze: abbiamo infatti con noi alcune calze bianche che dobbiamo indossare durante la cerimonia in quanto il bianco è considerato un simbolo di purezza. A questo punto ci spostiamo in una stanza più grande e decisamente molto più occidentale: qui ci sono un salotto formato da due poltrone ed un divano con un tavolino davanti, sul quale sono poggiati gli strumenti per la cerimonia del tè. L’interprete ci rassicura e ci dice che questa è solo un’altra stanza di passaggio e che la cerimonia avverrà in un stanza tipica. Davanti il salotto, l’ingresso totalmente a vetri del giardino (al solito estremamente curato e pulito) nel quale intravedo una tipica fontanella con vasca per la raccolta dell’acqua. Ci viene spiegato che di li a poco dovremo uscire fuori per purificarci prima della cerimonia. Nel frattempo ecco tornare la Sensei che indossa uno splendido Kimono tradizionale. Il tempo di alcuni brevi cenni storici e già mi rendo conto che la cerimonia ha molto in comune con le arti marziali. L’interprete a questo punto ci invita ad uscire in giardino. Quando si esce per andare in giardino è buona norma mettersi delle calzature da esterni per non sporcare le calze: il primo ad uscire solitamente porge le scarpe al secondo e così via. A questo punto ritorna la figlia della Sensei la quale eseguirà per noi tutta la cerimonia mentre la madre la commenterà e ci guiderà attraverso le varie fasi. Prima di tutto bisogna purificarsi in quanto si sta per iniziare una cerimonia considerata sacra: il processo di purificazione prevede l’uso dell’acqua nella fontanella. Come prima cosa si prende il mestolo con la mano destra e si raccoglie un po’ di acqua dalla vasca. A questo punto ci si bagna un poco la mano sinistra strofinandola come per pulirla, poi si prende il mestolo con la sinistra e si lava la destra. A questo punto si raccoglie un altro poco di acqua, sempre tenendo il mestolo con la destra, e si mette in bocca un sorso di acqua versandolo prima nella mano sinistra (non dal mestolo direttamente): l’acqua non va ingoiata ma educatamente riversata alla base della fontana. A questo si porta in verticale il mestolo sulle proprie braccia riversasi su entrambe le mani l’acqua rimasta. Una volta purificati entriamo nella stanza passando sempre da fuori. Per entrare bisogno sfilarsi le scarpe, appoggiarsi con le ginocchia dentro la stanza, quindi girarsi verso l’esterno (sempre in ginocchio) in modo da raccogliere le scarpe e sistemarle fuori, liberando così il passaggio per l’ospite seguente. Una volta dentro ci sediamo e la cerimonia inizia: non ho molte parole per descriverla, salvo che bisogna davvero aprire il cuore e la mente per poterne coglierne l’essenza. Prima ci viene preparato e servito il tè, poi la Sensei ci invita a prepararlo noi stessi. E’ difficile spiegare alcune sensazioni provate, ma ho avuto la stessa impressione che ho quando all’hombu dojo vedo Sensei eseguire una tecnica: ogni movimento, essenziale ed eseguito con precisione chirurgica, è carico di significati che difficilmente vengono colti vedendo la cerimonia solo una volta. Anche la mia ragazza, nonostante avesse quasi vomitato sul tatami il (tremendo) dolcetto che ci hanno offerto per attutire il sapore forte del tè, ha molto apprezzato questa incredibile esperienza, che a pieno titolo rientra tra le cose da fare assolutamente a Tokyo. Prima di tornare nella caotica città, la Sensei ci offre un tè fatto da lei personalmente nel salotto di prima e ci intrattiene con le classiche quattro chiacchiere da ora del tè: nonostante si è trattato di una visita a pagamento, ho avvertito da subito una grande ospitalità nella Sensei ed in sua figlia. DOMO ARIGATO GOZAIMASU. Anche la nostra interprete si è dimostrata molto disponibile: facciamo tutta la strada per tornare a Shinjuku insieme e già che c’ero ne ho approfittato per farmi spiegare qualche cosa delle usanze Giapponesi. In particolare ero interessato alle regole da rispettare in un Onsen (terme pubbliche Giapponesi dove saremmo stati il giorno dopo): ho imparato molto da lei e, tra le altre cose, anche che la Yukata (vestaglia Giapponese) si chiude nello stesso modo del nostro GI, ovvero la parte sinistra sulla destra. Lei ci spiega che al contrario vorrebbe dire che siamo morti!!! Che abbia qualcosa in comune con l’usanza di appendere le foto a destra o a sinistra del Kamidama ? lo chiedo a lei la quale non mi da una risposta precisa ma si riserva di mandarmi una email. La giornata è quasi finita. Giusto il tempo di una visita alla stazione di Hachiko (Shibuya) ed i suoi dintorni. Dato che a pranzo ho avuto il mio pasto Giapponese, la sera decidiamo di andare a mangiare alla Saizerya, un family restaurant italiano presente un po’ ovunque a Tokyo. Il posto è pienissimo ma troviamo subito un tavolo. Spaghetti alla carbonara in Giappone? Solo alla Saizerya!!!

Ultimo giorno a Tokyo dedicato al relax più totale. Decidiamo di visitare l’Onsen (terme) ad Odaiba, la zona portuale di Tokyo. Per la prima volta da quando vengo a Tokyo posso passeggiare guardando il mare. Dopo una quantità spropositata di cambi di treni (quattro da Shinjuku) e 40 minuti di viaggio arriviamo nella località. Durante il tragitto possiamo ammirare la meravigliosa zona di Odaiba, fatta di grandi parchi all’aperto, centro commerciali davanti al mare, una statua della libertà, ed un panorama di Tokyo da mozzare il fiato. Il treno ci ferma vicinissimo all’Onsen. Subito ci rendiamo conto della maestosità della struttura, fatta anche questa per essere una replica fedelissima di un palazzo nobile di epoca feudale. Dentro ci togliamo le scarpe e le lasciamo al deposito. Una breve fila per pagare il biglietto di ingresso (i migliori 1.900 YEN spesi in tutto il viaggio) e due simpatiche hostess vestite da sacerdotesse ci invitano a scegliere una Yukata che restituiremo a fine giornata. Mi divido dalla mia ragazza per andarmi a cambiare nello spogliatoio: tutto è come sempre estremamente pulito ed ordinato. Mi hanno assegnato una chiave legata ad un bracciale che apre un armadietto. Mi tolgo tutti i vestiti ad eccezione delle mutande ed indosso la mia Yukata: mi guardo allo specchio e sembro appena uscito dal film i Sette samurai… bellissimo. Esco dallo spogliatoi per ritrovarmi in un posto assolutamente pazzesco: una esatta riproduzione di un villaggio feudale al chiuso con tanto di ruscello, negozi, piazza principale e ristoranti tipici. Certo, c’è anche il chiosco dei gelati ma non si può avere tutto!!! Per cominciare ci dirigiamo verso un’area comune (uomini con donne) all’aperto dove è presente un percorso a piedi termale attraverso un enorme giardino. Prima di uscire ci vengono dati due piumini per evitare di finire assiderati (ha nevicato fino al giorno prima). Usciamo in questo meraviglioso giardino dove una enorme vasca a serpentina forma un percorso da affrontare a piedi nudi con l’acqua calda fino a metà del mio polpaccio: sul fondo della vasca delle pietre incastonate e lisce che insieme all’effetto dell’acqua calda dovrebbero aiutare a stimolare la circolazione. Facciamo 4 o 5 passi e ci sembra di essere dei fachiri che tentano di camminare sui carboni ardenti: ci sediamo un po’ ad ammirare l’insieme davvero spettacolare prima di cimentarci nuovamente nel percorso. Alla fine di questo ci attende una sorta di massaggio dove dei pesciolini famelici ci mordicchiano i piedi… QUESTA LA PASSIAMO. Torniamo dentro, dove la scelta delle cose da fare è veramente imbarazzante: massaggi, sauna, sepoltura nella sabbia, sala relax con tv e sedie con massaggio, hot stone, pesci piranha che ti divorano i piedi insomma di tutto ed anche di più. Noi però siamo qui per le terme, quindi terme siano. I bagni sono divisi per sesso: appena entro nella zona riservata agli uomini mi rendo subito conto che i 30 minuti di tempo che mi ero dato con la mia ragazza per l’appuntamento fuori dai bagni non sarebbero mai bastati. Si entra in un secondo spogliatoio dove l’inserviente ti fornisce un telo grande ed un piccolo, oltre che l’ennesima chiave di un armadietto. Mi spoglio totalmente e ripongo i miei vestiti nell’armadietto. Entro nei bagni e davanti a me una sala enorme, sempre in stile prettamente giapponese, con 5 o 6 vasche ed un giardino esterno con altre 3 vasche di acqua termale fumante, una zona per lavarsi subito prima di immergersi nelle vasche e le immancabili postazioni individuali dove potersi lavare dopo, dotate di ogni comfort (shampoo, bagno schiuma, schiuma da barba,spazzolino, specchio, bocchettone della doccia, etc. ) . Provo tutte le vasche: la classica, una vasca con dell’acqua rossa, una arricchita con minerali, l’idromassaggio e le vasche esterne. Alla fine i 30 minuti volano, ma l’esperienza è tra le migliori fatte in Giappone: Onsen forever. Mi cimento anche io, al pari dei miei compagni di bagno, alla doccia da seduti. Torno nel primo spogliatoio dove trovo delle postazioni post doccia complete di asciugacapelli (inutile nel mio caso), specchiera, dopobarba, lozioni e profumi vari, bastoncini per le orecchie, e macchina per massaggiare i piedi!!! Mi ricompongo sempre con la Yukata ed esco per incontrare la mia ragazza ormai del tutto in estasi. Decidiamo di mangiare ovviamente Giapponese: possiamo scegliere se mangiare nella piazza con i tavoli e le sedie o se buttarci in un enorme salone con il tatami. Scegliamo il secondo: tutto può essere pagato usando il braccialetto chiave che ci hanno consegnato all’entrata. Tutto sembra orientato per abbassare drasticamente il livello di stress, devo dire anche con grande successo. Siamo totalmente rilassati quando saliamo nella sala relax per farci un riposino sui divani con massaggiatore. Mentre ci accingiamo a sederci, una signora ci invita a provare gratis un massaggio di 30 minuti su un nuovo tipo di lettino massaggiatore automatico: fantastico, ormai siamo totalmente in estasi. Il pensiero di uscire da quel paradiso ci spaventa. Il nostro programma prevedeva una visita di un’ora: ne siamo usciti dopo oltre 3 spendendo appena € 30,00 a testa ! Comincia a farsi buio quando entriamo al grande centro commerciale Acqua City di Odaiba: il solito giro per negozi fino a quando non prendo di mira un parco giochi della Sega. Entriamo per passare un altro paio di ore tra una macchinetta mangia soldi e un giro sulle attrazioni del parco (se solo mi fossi ricordato di soffrire di mal di mare PRIMA di salire su Wild River!!!). Usciamo che è già buio: il tempo di una foto e ci ritroviamo sul treno. La sera finisce con una cena tra le luci di Akihabara.

Tempo di prepara le valigie e di tornare a casa. Ciao Tokyo.



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