Sognando Patagonia

La Patagonia. Cosa non evoca nelle menti di noi ammalati di viaggio, di noi che abbiamo letto Chatwin e Coloane, di noi che inseguiamo un mito che non sappiamo bene che cosa è, o fuggiamo da qualcosa che conosciamo bene. Finalmente la Patagonia, dopo averci riflettuto, sognato, ripensato e infine deciso. Anche perché mia moglie Elisabetta aveva...
Scritto da: Maurizio Virgili
sognando patagonia
Partenza il: 31/10/1995
Ritorno il: 05/12/1995
Viaggiatori: in coppia
La Patagonia. Cosa non evoca nelle menti di noi ammalati di viaggio, di noi che abbiamo letto Chatwin e Coloane, di noi che inseguiamo un mito che non sappiamo bene che cosa è, o fuggiamo da qualcosa che conosciamo bene. Finalmente la Patagonia, dopo averci riflettuto, sognato, ripensato e infine deciso. Anche perché mia moglie Elisabetta aveva qualche dubbio, si immaginava la Patagonia come un luogo monocromatico, monocorde, monotono insomma. Siamo invece entrambi tornati a casa con un appagamento interiore che raramente abbiamo avuto dopo un viaggio. Attraversare i grandi spazi semi desertici senza incontrare anima viva, l’incessante rumore del vento, i paesaggi poderosi, l’impressione frequente di doversela cavare da soli, il fatto di visitare dei luoghi stupendi e godersene l’atmosfera incantata in perfetta solitudine: tutto questo ha fatto si che io abbia il ricordo di una grande, fortissima sensazione di libertà che non avevo mai avuto prima, e che non ho più avuto da allora in nessun’altro luogo. Questa regione del mondo è davvero forse rimasta l’unica che ti dà ancora la sensazione di essere una terra di frontiera nel senso più romantico del termine.

Abbiamo deciso di investire parecchio tempo (5 settimane) e soprattutto parecchi soldi in questo viaggio, ma non ci siamo mai minimamente pentiti di averlo fatto. Abbiamo deciso di viaggiare affittando un’auto (soluzione piuttosto onerosa in Argentina) per avere il massimo di libertà, per poterci fermare ad ammirare il paesaggio ogni qual volta ci appariva interessante (ed è successo spessissimo) e per poter visitare luoghi che, almeno a quel tempo, non erano serviti da alcun mezzo pubblico, per poter attraversare con calma e dandoci noi i ritmi, tutto l’altopiano centrale che è un po’ il cuore della Patagonia; ho avuto occasione di ascoltare delle persone che hanno visitato la Patagonia con un tour organizzato viaggiando in aereo e su pulmini che, ovviamente, avevano le tappe prefissate nei luoghi più spettacolari e classici di questa regione, e li ho sentiti lamentarsi nell’ aver trovato piuttosto noiose le tappe di trasferimento in pullman attraverso l’altopiano perché “il paesaggio è tutto uguale”. Se fate il viaggio in macchina, non scappate da quel paesaggio “tutto uguale”; fermatevi a vedere i greggi di pecore ed i gauchos che le governano, l’ombra fuggevole di qualche guanaco o di qualche nandù spaventato, gli armadilli che vi attraversano improvvisamente la strada, i rari gruppetti di alberi piegati al volere del vento, seguite con lo sguardo il volo dei condor, inorridite davanti alle carcasse dei cani appese sulle recinzioni che delimitano le haciendas e chiedetevi da quante ore, o giorni, non incontrate un essere umano. “Godetevi” tutto questo con un vento che vi taglia la faccia, così forte che vi impedisce di camminare agevolmente se non addirittura di stare in piedi, godetevelo perché questa è la Patagonia. Cose da non perdere: ovviamente la penisola di Valdes, ovviamente il ghiacciaio Perito Moreno, meno ovviamente ma altrettanto belli e suggestivi il Bosco Pietrificato José Ormaechea, Il Canyon del Rio Pinturas con la Cueva de Las Manos, il Parco Nazionale della Terra del Fuoco, ed in Cile Il Parco di Torres del Paine e Puerto Natales, un piccolo abitato che possiede veramente l’atmosfera da “fin del mundo” molto più di Ushuaia che costituisce invece una parziale delusione: il paesaggio che la circonda è molto bello, specialmente dall’alto, ma la cittadina è diventata un bazar per turisti americani. Altra cosa che può essere evitata è la grotta del Milodonte, a meno che non siate fans sfegatati di Bruce Chatwin. Non è particolarmente bella né suggestiva, ed il pupazzo di milodonte che hanno messo all’ingresso non fa altro che peggiorare le cose.Ricordo poi con particolare piacere la piccola riserva di Cabo dos Bahias a sud di Camarones sulla costa atlantica, e la baia di San Paulo nella terra del fuoco, a sud di Rio Grande, dove giace su una spiaggia abbandonata un vecchio relitto arenatosi non so quanto tempo fa ed oramai adottato a mò di condominio da centinaia di uccelli.

Nota di servizio: le strade della Patagonia, (ad eccezion fatta per la ruta n.3 sulla costa atlantica, la strada da Rio Gallegos a El Calafate e la parte a nord di Rio Mayo della Ruta 40) non sono asfaltate, ma non sono sterrate nel senso che noi generalmente diamo al termine. Sono strade sassose con sassi anche piuttosto grossi talvolta, perciò consiglio caldamente di guidare con grande prudenza se non si vuole rischiare di rimanere appiedati in luoghi dove si potrebbe anche dover attendere il giorno dopo o peggio, per veder arrivare qualcuno.

Unica nota negativa: la decantata ospitalità dei patagoni, che abbiamo letto sui libri non solo di Chatwin, si è tramutata in “senso degli affari”, e perciò aspettatevi di pagare qualunque piccolo servizio, talvolta anche a caro prezzo. E’ comunque rimasto un certo senso di solidarietà tra chi vive in quelle terre desolate, ed è buon uso fermarsi a chiedere se va tutto bene nel caso vediate una macchina ferma sulla strada o se incontrate qualcuno appiedato per dargli magari un passaggio. Loro lo farebbero.

A questo punto inizierò un più dettagliato diario di viaggio, che sarà necessariamente lungo, pertanto comprenderò senza difficoltà coloro che, non particolarmente interessati al viaggio o ad una sua preparazione, non vorranno terminarne la lettura. In ogni caso tenete conto che le informazioni risalgono al 1995.

Per quanto riguarda l’auto abbiamo condotto dall’Italia una sorta di indagine di mercato via fax e telefono. Alla fine, escludendo la possibilità di avere un fuoristrada che sarebbe costato cifre improponibili, ci siamo accordati con Fiorasi (tel. E fax 0965 – 34344) origine italiana, un noleggiatore di Trelew ,non lontano dalla penisola di Valdes, per una Volkswagen Gol (non è un refuso, si chiama Gol ed assomiglia parecchio al primo modello di Golf uscito in Europa): 30 giorni di noleggio a chilometraggio illimitato e con due ruote di scorta (indispensabili) per 2.200 USD con accordo di lasciare l’auto a Ushuaia.

Abbiamo riempito gli zaini con pochi vestiti e parecchia attrezzatura da campeggio: tenda a cupola, piccole gavette per cucinare, sacchi a pelo, materassini, pala ripiegabile, torcia ecc. E una piccola scorta di cibi liofilizzati e in scatola. Nota importante: in Patagonia, nella maggior parte dei casi i campeggi sono semplicemente delle aree dove è consentito accamparsi, senza alcun tipo di servizio se non quello degli immancabili fogones, i grossi barbecue di pietra che gli argentini utilizzano per le loro colossali arrostite; noi utilizzavamo la pala ripiegabile per scavare delle piccole latrine da ricoprire di terra dopo l’uso, oltre che per scavare degli scoli per l’acqua intorno alla tenda; perciò nelle descrizioni che seguono, se non altrimenti specificato quando parlo di campeggi intendo proprio queste aree. E sempre a proposito di campeggi, nonostante quello che si legge su qualche sedicente guida alla Patagonia, raramente vi sarà consesso di accamparvi all’interno delle haciendas, se non quando queste funzionino come sorta di agriturismo a prezzi affatto economici.

Abbiamo volato fino a Buenos Aires alla quale abbiamo concesso tre giorni. La città ha perso una buona occasione per essere bella: tra la fine dell’ottocento e l’inizio del secolo successivo i ricchi argentini chiamarono architetti francesi e italiani a costruire palazzi in stile europeo, di stile forse non originale ma comunque eleganti; palazzi che in gran parte sono stati abbattuti o lasciati decadere, trasformando il centro della città in un ammasso urbano dall’aspetto spesso approssimativo e precario. Ci siamo comunque divertiti a visitare la Boca. In città abbiamo trovato deprecabile l’hotel Do Rey a Lavalle, consigliato dalla Lonely Planet, mentre consigliamo l’Hotel Bahia in Avenida Corrientes, sempre molto semplice ed economico. Con un volo interno abbiamo raggiunto Trelew. Preso possesso della macchina, abbiamo provveduto a riempire il bagagliaio di provviste, di legna e carbone per il fuoco, abbiamo comprato due taniche da venti litri e ne abbiamo riempita una di acqua potabile e l’altra di benzina e ci siamo procurati delle dettagliate mappe stradali di tutte le regioni a sud del Rio Negro presso un ufficio dell’ Automobil Club Argentino, mappe affidabili per le vie di percorrenza, un poco approssimative per quanto riguarda i chilometraggi. La prima meta è stata la Penisola di Valdes. Ci siamo accampati a Puerto Piramide, campeggio a pagamento con servizi tra le dune di sabbia. Qui il custode del campeggio, un ragazzo di nome Diego ci fece incontrare per la prima volta quello strano spirito che circonda quelli che in queste desolate lande ci vivono. Il giorno in cui arrivammo, mi recai da lui; iniziammo a chiacchierare, e quando gli dissi che ero venuto per pagare la tariffa, lui mi rispose: “Adesso stiamo parlando, parliamo. Per me è importante parlare. Quando viene l’inverno e più nessuno passa di qui, io non ho più nessuno con cui chiacchierare, ed allora ripenso ai discorsi fatti con chi ho incontrato durante la bella stagione, mi ricordo di aver parlato”. Questa frase mi colpì talmente che tutt’oggi, dopo sei anni mi ricordo ancora le sue parole ed il suo viso di quando me le diceva.La penisola è bellissima, ha degli angoli incantevoli e suggestivi, e c’è la possibilità di vedere otarie ed elefanti marini davvero da vicino, ma non dimenticate la cautela. Fino a novembre si possono vedere anche le balene franche australi. Ci siamo poi diretti a Gaiman per una breve visita a questa cittadina fondata dai gallesi con le case in mattoncini che ricordano l’ Inghilterra di Cronin. Il campeggio, a pagamento con i servizi, si trova attiguo alla caserma dei pompieri. Non abbiamo potuto rinunciare ad una merenda in una casa da tè che l’insegna pubblicizzava come la più antica della città. In realtà la quantità di dolci che ci hanno portato era tale che abbiamo saltato la cena. Guardandoci attorno, abbiamo poi creduto di individuare in quella casa da tè la stessa che Chatwin descrive nel suo libro: il nome della vecchia proprietaria ormai defunta, la libreria piena di vecchi libri in gaelico, la carta della Gran Bretagna appesa alla parete: tutto coincideva. Siamo tornati verso la litoranea puntando il muso dell’auto verso sud. Abbiamo visitato punta Tombo e la sua sterminata colonia di pinguini, e proseguendo, abbiamo raggiunto la piccola riserva naturale di Cabo dos Bahias, nei pressi di Camarones. Nonostante non fosse attrezzata per il campeggio, il guardaparchi ci ha permesso di piantare la tenda vicino alla sua casupola e di utilizzare il suo fogones. Ci ha anche dato dei consigli sulla strada da fare regalandoci una confezione di “Poxilina”, una sorta di mastice per riparare eventuali rotture del serbatoio. La sera, mentre cucinavamo non ricordo che cosa, abbiamo veduto avvicinarsi due piccole ombre, l’una a poca distanza dall’altra. Era una coppia di volpi argentate, che forse attratte dall’odore, per nulla intimorite, ci hanno fatto compagnia per tutta la sera approfittando dei piccoli bocconi che gettavamo loro. La mattina dopo, svegliandoci prestisimo, abbiamo goduto soli soletti del panorama della baia sulla quale la riserva si estende, assieme ad un bellissimo branco di guanachi e ad una nutrita colonia di pinguini. Proseguendo abbiamo raggiunto Comodoro Rivadavia , centro petrolifero che offre uno strano paesaggio formatosi con le escavazioni del terreno, e da lì abbiamo puntato verso ovest. Abbiamo raggiunto Sarmiento. C’era un’area di campeggio gratuita, ma il terreno troppo duro per piantarvi i paletti ed il fortissimo vento di quella sera ci hanno fatto infine desistere ed optare per l’hotel Sarmiento, piuttosto semplice ed economico, ma che aveva accanto all’ingresso una bella collezione di punte di freccia. Vicino a Sarmiento è assolutamente imperdibile il Bosco Pietrificato José Ormaechea. Vi si trova un gran numero di tronchi e frammenti pietrificati risalenti al terziario, circa 60 milioni di anni fa, e tutto questo immerso in un canyon con un caleidoscopico paesaggio di rocce stratificate e multicolori. E’ un paesaggio straordinariamente suggestivo ed i fotografi avranno di che sbizzarrirsi, specie con le luci del pomeriggio, e ce lo siamo potuto godere come al solito in perfetta solitudine. Proseguendo verso ovest si può fare benzina a Bajo Caracoles: l’abitato consta di un posto di polizia, pochissime case ed un distributore; il benzinaio sicuramente non ci sarà ma sarà sufficiente strombazzare con il clacson per farlo arrivare e vederlo azionare la pompa manuale! Abbiamo così raggiunto il canyon del Rio Pinturas (così chiamato perché la presenza di vari minerali all’interno delle rocce, colora il terreno di vivaci tinte rosse, gialle, verdi o bianche) nel quale si trova la celebre Cueva de Las Manos. Panorama magnifico sia dal campeggio che lungo il sentiero che discende il canyon. Ci sono sette-otto posti tenda gratuiti ed un fogones accanto alla baracca del guardaparchi, però questi vi rimane solo durante il giorno, e perciò ci siamo goduti in perfetta solitudine il canyon e la grotta con le pitture, dato che eravamo gli unici visitatori. Abbiamo così raggiunto la fatidica Ruta 40, una strada che corre parallelamente alla cordigliera andina per tutta la lunghezza del paese, e che all’incirca da dove noi l’abbiamo incrociata, è, verso sud, una strada non asfaltata (almeno così era) ed anzi molto sassosa da percorrere con molta prudenza se non si vuole rimanere a piedi. Passando per Rio Mayo (vero posto di frontiera piuttosto desolato) e per Perito Moreno (dove c’è un ottimo campeggio a pagamento con docce calde ed un cordialissimo impiegato dell’ufficio turistico) abbiamo raggiunto l’abitato di Tres Lagos. Qui abbiamo dormito in un pessimo Hospedaje di cui non ricordo il nome, per poi raggiungere il mattino dopo El Chalten. Abbiamo piantato la nostra tendina nel secondo “campeggio” situato in un magnifico punto con vista sulle montagne. Il primo ha il vantaggio della vicinanza del torrente. Scrollate via la pigrizia, e seguite il sentiero che porta alla Laguna Torre, ai piedi del Cerro Torre; il sentiero è ben visibile, battuto dagli escursionisti, con scarsissimo dislivello, e vi conduce ad una vista meravigliosa sui monti innevati. Per i più volenterosi c’è anche il sentiero che porta al Fitz Roy, leggermente più faticoso. Da qui siamo arrivati poi a El Calafate, per raggiungere il parco dove si trova il ghiacciaio Perito Moreno. Ricordo che all’incrocio della strada proveniente da El Chalten abbiamo incontrato due autostoppisti australiani che abbiamo trasbordato con noi a El Calafate. Quando li incontrammo era circa mezzogiorno; si erano fatti lasciare lì da u camion che proseguiva verso nord, e ci dissero che dalle sette del mattino eravamo le prime persone a passare di lì. Ci siamo accampati in uno dei campeggi vicini (poche centinaia di metri) al ghiacciaio. Evitate di mettervi vicino al torrente se non volete essere travolti dalle zanzare. Eravamo al solito in perfetta solitudine e di notte udivamo il fragore provocato dagli schianti del ghiaccio. Quando eravamo lì, stavano anche approntando dei servizi di bagni e docce, forse da mettere a pagamento. Godetevi la vista del ghiacciaio con calma (noi l’abbiamo fatto per tre giorni) e da ogni punto di vista che riuscite ad avere con qualunque mezzo: a piedi, in barca, o anche standovi semplicemente seduti davanti. La strada prosegue poi verso sud, attraversa il confine cileno a Cancha Carrera e da lì si può raggiungere Torres del Paine. Non c’ problema per accamparsi, si possono fare delle bellissime camminate ed il parco è magnifico. Abbiamo raggiunto poi Puerto Natales, una cittadina dove non c’è nulla e nulla da fare (se non una escursione in barca), ma che con la sua tranquilla baia racchiusa da monti innevati che si gettano nel mare, ci ha dato più di ogni altro luogo abitato, la sensazione di essere alla fine del mondo. Noi abbiamo pernottato da “Rosita”, un vero affittacamere, una vera Casa de Familia dove ci si poteva godere il ritmo e l’atmosfera di una famiglia patagonica, divertentissimo. Punta Arenas ha maggiormente l’aspetto della città, ed ha un interessante Museo Braun Menendez dove si può vedere perfettamente conservata una dimora signorile del primo novecento. L’attraversata dello Stretto di Magellano non ha in sé molto di spettacolare, ma se ci si immedesima psicologicamente pensando dove ci si trova, cosa ha rappresentato lo stretto e quanti sono passati di lì prima di noi, beh la cosa ha un certo fascino. Si sbarca a Porvenir, non esattamente un luogo interessantissimo, ma molto suggestiva è invece la strada che costeggiano la Bahia Inutil procede verso est. Si arriva a Rio Grande, che lo sviluppo legato al petrolio ha trasformato in una insospettabilmente caotica cittadina priva di personalità; noi abbiamo proseguito verso sud senza indigiare per pernottare al Campin do Sur, a pagamento con servizi; a quel tempo era ancora in costruzione, ma i bagni e le docce funzionavano già ed in considerazione del fatto che io sono nato ad Ancona così come il padre del proprietario, ci siamo accampati a modico prezzo con la promessa di spedirgli una cartolina da Ancona, una volta ritornati in Italia. Siamo passati per il lago Fagnano che offre dei buoni spunti paesaggistici, per la baia di San Paolo (c’erano delle indicazioni, non ricordo se neppure fosse segnata sulla carta e forse non saprei ritrovarla) per ammirare un vecchio relitto arenato sulla sabbia, e per il panoramico Paso Garibaldi che vi proietta verso Ushuaia. Come ho detto all’inizio, la cittadina è stata snaturata dal turismo, e oltre ad una piacevole passeggiata per le vie durante la quale potete visitare il minuscolo museo locale, ed a una mangiata di centolla (ottimo crostaceo locale a carissimo prezzo), non offre molto. Stupendo è a mio avviso il poco lontano Parco della Terra del Fuoco, che offre la possibilità di piacevoli e facili passeggiate tra un paesaggio costellato di torbiere. Si possono fare anche dei sentieri che costeggiano le piccole insenature sul Canale di Beagle e approfittando della bassa marea, cogliere gli ottimi choritos (cozze) da cucinare la sera al campo. Fate attenzione alla marea roja ( segnalata sul posto) che rende i molluschi velenosi. Per accamparsi non c’è alcun problema, vi sono diverse aree, noi ne abbiamo trovata una vicino ad un torrente che ci forniva ottima acqua. Per il ritorno, dopo aver lasciato l’auto ad un corrispondente noleggiatore di Ushuaia che ci ha fatto i complimenti per l’ottimo stato in cui si trovava il mezzo (pare che spesso i turisti restituiscano macchine semidistrutte) ci siamo imbarcati su un volo che ci ha portati a Buenos Aires e da lì abbiamo volato verso casa con la Patagonia ancor nel cuore. Buon viaggio a tutti!



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