Si vive solo due volte in Giappone

[Si vive solo due volte: una volta quando si nasce e una volta quando si guarda la morte in faccia. (Ian Fleming, Si vive solo due volte, 1964)] Agosto non sarebbe il mese ideale per visitare il Giappone, però è una terra che ci affascina talmente che decidiamo di affrontare lo stesso il caldo afoso che ci aspetta e sfruttare l’unico...
Scritto da: marcodonna
si vive solo due volte in giappone
Partenza il: 13/08/2009
Ritorno il: 29/08/2009
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
[Si vive solo due volte: una volta quando si nasce e una volta quando si guarda la morte in faccia.

(Ian Fleming, Si vive solo due volte, 1964)] Agosto non sarebbe il mese ideale per visitare il Giappone, però è una terra che ci affascina talmente che decidiamo di affrontare lo stesso il caldo afoso che ci aspetta e sfruttare l’unico periodo che ci possiamo permettere. Alitalia collega Roma con Tokyo con un volo diretto. Dobbiamo registrare una qualità a bordo abbastanza scarsa: sedili scomodi con apparati multimediali spesso non funzionanti e cibo pessimo. Però la compagnia di bandiera (quanto odio questo termine) offre dei buoni vantaggi. Ad esempio, il volo non ha scali e quindi permette un tempo di percorrenza di “sole” dodici ore. Inoltre, è un periodo di offerte ed abbiamo pagato il biglietto Andata e Ritorno a poco più di 700 Euro.

– Aeroporto Narita – All’aeroporto di Tokyo si ha il primo impatto con una costante nella vita dei giapponesi: l’ossessione per l’igiene. Siamo accolti da inservienti che ci offrono mascherine e regole pratiche per la pulizia. Cose dell’Altro Mondo: dopo anni in cui il telefonino è entrato nel dna di ogni italiano, in Giappone i nostri modelli sono obsoleti e non si agganciano alle loro reti di nuovissima generazione. Decidiamo di affittare un apparecchio in gruppo e troviamo una gentile inserviente che parla un discreto inglese e ci spiega le varie formule possibili. Alla fine, la stupiamo, scegliendo l’unica con sms: per loro sono una cosa ormai superata.

Non trovando un bancomat, decidiamo di affidarci ad uno dei tanti uffici di cambio per procurarci degli Yen. In tutto il Giappone è molto difficile prelevare con le nostre carte (sia Bancomat che di Credito). Solitamente si riesce solo nelle macchinette degli Uffici Postali. Inoltre, si trovano negozi, ristoranti ed anche alberghi che non accettano la Carta di Credito. Fate attenzione, quindi, a non rimanere senza contanti.

L’ultima attività che dovete svolgere all’aeroporto è ritirare il vostro Japan Rail Pass. In Giappone, infatti, è sicuramente più pratico girare in treno che in macchina. La puntualità è assicurata e la pulizia delle carrozze maniacale. Tutto ciò, però, si paga a caro prezzo. Soltanto per gli stranieri, è possibile acquistare un abbonamento, più economico, che permette di salire su molti treni. Però, l’acquisto si può effettuare soltanto finché si è all’estero. In caso, procedete sul sito di Japan Rail. Dopo aver pagato, dovrete ritirare una ricevuta in un’agenzia di viaggi che vi permetterà di prelevare, direttamente negli uffici dell’aeroporto, il vostro abbonamento.

– Kyoto e Nara – Orgogliosi di essere riusciti con successo ad affrontare tutte le attività in aeroporto, non ci resta che prendere i due treni per Kyoto, la prima tappa del nostro viaggio.

Nell’antica capitale, soggiorniamo al Nishiyama Ryokan (www.Ryokan-kyoto.Com) che è anche l’unica struttura che abbiamo prenotato dall’Italia. Si tratta di un ryokan, cioè un albergo in stile orientale dove si dorme sui futon, posati direttamente sul tatami, nella stessa stanza dove ci si dovrebbe preparare il the. La tradizione li vorrebbe anche con bagni comuni e cameriera dedicata ma, per fortuna, abbiamo il bagno in camera e ci accontentiamo dell’estrema gentilezza del personale. Arriviamo nel tardo pomeriggio e siamo immediatamente coinvolti da una lezione sulla cerimonia del the. Le quattro ore di cerimonia sono, fortunatamente, condensate in quaranta minuti che ci coinvolgono immediatamente nelle tradizioni dell’Estremo Oriente. La lezione mi ha appassionato talmente che, durante la vacanza, comprerò anche la scodellina e lo spazzolino per prepararmi il the verde. Ed ora la sto osservando e penso: “Ma a me fa schifo il the verde, perché ho fatto questo acquisto?” È più importante aver scoperto che siamo nel periodo del Bon (paragonabile alla nostra Festa dei Morti) ed il giorno successivo, a Nara, si svolge la festa delle lanterne.

Così, dopo aver visitato il curioso castello Nijo con i suoi pavimenti cinguettanti (altro che Twitter, visitatelo) e i giardini imperiali, dopo pranzo ci spostiamo con il treno a Nara e ai suoi famosi templi. In particolare, ci mettiamo in coda per l’impressionante Todai-ji, la costruzione in legno più grande del mondo. Al suo interno, si trova una statua di Buddha alta quattordici metri ed in bronzo placcato d’oro. Ogni tanto passa un cervo sacro a guardarci con curiosità. Sarebbe un messaggero divino della religione Shinto ma, da degli Occidentali come noi, è più probabile che stia sperando in uno dei biscottini che i negozi di souvenir vendono, proprio per sfamare gli animali sacri. Se volete comprare un regalo per vostra zia, fate attenzione a non prendere i biscotti per i cervi. In caso, essendo la confezione decorata con sole scritte in giapponese, potrebbe comunque non accorgersene. Il Buddha enorme è un’esperienza molto coinvolgente ma nulla in confronto al percorso tra i templi che affrontiamo di notte alla sola luce dei lumini e della luna, contornati da decine di migliaia di persone.

Il giorno successivo ci prepariamo al Bon, visitando la zona delle colline di Kyoto che è la parte più spettacolare dell’antica capitale. Ci incamminiamo verso Higashiyama per visitare il tempio di Kiyomizu. Scopriamo le pietre dell’amore. Trovata la prima, si cammina ad occhi chiusi per alcuni passi. Se si finisce davanti alla seconda pietra, si troverà l’amore eterno. In caso contrario… Vabbè, meglio soprassedere ed introdurci per le eleganti stradine di Nene-No-michi. Decidiamo di fare il pieno di templi per quasi tutto il viaggio e non ci facciamo mancare il tempio giardino Shoren-in e quello maestoso di Chion-in.

La nostra ultima sera a Kyoto, coincide con la notte del Daimonji-goren-Okaribi. L’ultima notte della festa del Bon, come forma di segnale per gli spiriti dei defunti, si incendiano le colline dei dintorni della città con degli enormi falò che formano sei ideogrammi. I nostri gentili albergatori ci fanno una lezione sulla tradizione del Bon per poi accompagnarci all’ultimo piano da dove si vede molto bene l’ideogramma incendiato che rappresenta il simbolo “Grande”. E poi, tutti per strada a festeggiare. Una coppia ci ferma per farsi fotografare. La loro macchinetta si inceppa ed approfitto per scattare loro una foto e lasciare, per la prima volta, il mio biglietto da visita. Come vedrete, è una cerimonia che ripeterò più volte in terra nipponica (portatevi scatole di biglietti da visita). Ceniamo con una spettacolare grigliata di carne che comprende un assaggio di manzo di Kobe. Ognuno si può cucinare i propri pezzi, come nella pierrade francese, sostituendo una griglia alla pietra.

Il terzo giorno ci ributtiamo nelle colline per visitare altri templi. Dopo il famoso Ginkuku-ji ci immettiamo nella rilassante passeggiata del filosofo ad ammirare le eleganti ville con vista sulla città. Non ci facciamo mancare i templi di Otojo-jinja, Eikan-do ed un acquedotto che ci ricorda le costruzioni romane, prima di entrare al Nanzen-ji. Finiamo la nostra permanenza a Kyoto con Gion, il quartiere delle Geishe e con l’ultima passeggiata lungo il fiume a Pontocho (sede di molte nostre serate). Possiamo così salire sul treno per la nostra prossima tappa: Hiroshima.

– Hiroshima e Myajima – Come precedentemente descritto, siamo giunti in Giappone prenotando solo la prima parte del soggiorno. E così abbiamo elaborato la nostra tecnica di prenotazione. Inutile sperare in risposte da internet (anche se è molto facile trovare postazioni gratuite). L’unica soluzione è cercare gli hotel proposti dalla guida ed iniziare a telefonare. Tralasciamo, per ovvi motivi, le strutture che non accettano occidentali. Non si tratta di razzismo: per la loro estrema cortesia, temono di non poter servire adeguatamente persone di cui non conoscono la lingua e gli usi. Ovviamente, nessuno di noi conosce il giapponese. Più o meno tutte le telefonate seguono lo stesso iter: rispondono in giapponese, chiediamo se possiamo parlare in inglese e parte un lungo monologo dove la gentile dipendente dell’albergo, probabilmente, ci spiega che va a chiamare qualcuno che sa l’inglese. Il livello della lingua è molto scarso. Non è facile per un giapponese imparare una lingua occidentale in quanto composta da un numero di fonemi più elevato, rispetto a quelli che conosce fin dalla nascita. Inoltre, l’enorme cortesia della popolazione impedisce loro di dire di no. Per cui, quando non hanno stanze disponibili, ci mettiamo circa venti minuti a capire che non ci possono ospitare. E sempre con il nostro mitico telefonino in affitto.

Ad Hiroshima troviamo un albergo dall’aspetto pessimo (il Minshuku Ikedaya), ma le cui piccole camere sono almeno pulite. Tralasciamo la città il primo giorno, per visitare l’isola sacra di Myajima. L’isola senza ospedali, dove non si può nascere né morire, ha uno dei simboli del Giappone: il Torii (cioè la porta) ed il rosso santuario che si trovano sulla spiaggia e sono sommersi la sera durante l’alta marea. Le foto al tramonto sono tra i panorami più famosi dell’Estremo Oriente. Oltre alla visita del santuario, si può salire fin sulla vetta del Monte Misen con due comode ovovie, per poi scendere attraverso una lunga passeggiata tra i boschi, visitando parecchi templi ed edifici sacri. Il tutto in compagnia di esuberanti scimmiette (fate attenzione ai vostri zainetti) ed ai soliti immancabili cervi sacri che verranno a mangiarvi in mano, fieri del loro importante rango (avete ancora con voi i biscotti per la zia?).

La sera ci fermiamo sull’isola per la già citata foto al tramonto. Quindi ceniamo a base di ostriche che sono cucinate alla griglia. Non c’è verso di averle crude ma sono comunque ottime, accompagnate da un ottimo vino bianco d’importazione.

Il giorno successivo visitiamo finalmente Hiroshima. La città è stata totalmente ricostruita e i grattacieli sono assolutamente spettacolari. Poi il tutto si scontra con il Parco del Memoriale ed i resti della Camera di Promozione Industriale, lasciati a perenne ricordo della mostruosità che segnò la fine della II Guerra Mondiale. Il parco è da visitare, assorti nei propri pensieri. Abbiamo incrociato una scolaresca che porta gli origami alla statua di Sadako, la bambina di 12 anni morta di leucemia per le conseguenze delle radiazioni. La leggenda racconta che, chiunque avesse costruito mille gru di carta, avrebbe compiaciuto e gli dei e avrebbe potuto esprimere qualunque desiderio. È così tradizione portare gli origami che sono conservati attorno alla statua in apposite vetrinette.

Proseguiamo, visitando il Museo della Pace che racconta con occhio critico come il Giappone sia entrato nella II Guerra Mondiale, i suoi sbagli ma anche le valutazioni errate degli Alleati che portarono al maledetto giorno della Bomba. La fredda cronaca di quel giorno è seguita dalle sue conseguenze sulla popolazione e dalla rinascita della città. Una stanza racconta il quadro sugli armamenti atomici nel mondo. Ci spiega quindi perché il Giappone non ha un esercito.

Hiroshima è una città da cui nessuno può andarsene senza un grumo di riflessioni al proprio interno.

– Amanohashidate e Kanazawa – Il clima tropicale ci suggerisce di spostarci al mare ad Amanohashidate, dove siamo riusciti a prenotare una stanza all’ostello con le solite difficoltà. Il viaggio in treno è un turbinio di civiltà giapponese. Per raggiungere la piccola cittadina, infatti, è necessario pagare un piccolo supplemento al Japan Rail Pass. La volenterosa bigliettaia non riesce a farci il biglietto aggiuntivo, diventa rossa, va nel pallone e si intravedono le prime lacrime, quando le diciamo di non preoccuparsi. Pagheremo il supplemento direttamente sul treno.

Durante il viaggio, il mio vicino si munisce immediatamente di mascherina e si rannicchia lontano da me, appena mi siedo accanto a lui. Le fatiche ed il caldo umido non mi devono fornire un aspetto così rassicurante. E poi, questi Occidentali così sporchi, chissà quali malattie possono portare. In effetti, il Giappone è stato fregato una sola volta dal vaiolo. Di verso totalmente opposto il comportamento della vicina di una mia amica. Cerca immediatamente di attaccar bottone. Per loro le occasioni di esercitare il proprio scarso inglese sono poche. È incuriosita quando scopre che la mia amica è di Roma ed io di Milano. Quindi ci chiede una foto insieme e le lascio un mio biglietto da visita. Mi guarda con quegli occhi pieni di gioia che solo i bambini sanno ormai regalarci. Esplode un “I am very happy, now!”. Apre la sua agendina, rigorosamente Hello Kitty (preciso che non sto parlando di una bambina ma di una donna di circa quarant’anni con due figli), e segna una piccola nota sulla giornata di oggi. Poi strappa un foglio degli appunti a forma di nuvola e mi segna i suoi riferimenti. Dopo circa venti minuti, in un attimo di silenzio, riapre l’agendina e riguarda il mio biglietto da visita. Ne distribuirò parecchi durante tutto il viaggio, sempre citando che sono di Milano, la città della moda. Funziona. Provate anche voi. Vi assicuro che è sempre segno di importanza ricevere un biglietto da visita di uno straniero e ne saranno sempre contenti.

Arriviamo ad Amanohashidate tardi e i ristoranti stanno chiudendo. Troviamo una birreria dove alcuni del posto stanno terminando la loro serata. Gli avventori non parlano una parola di inglese ma ci avviciniamo ad un acquario e facciamo capire quali pesci vogliamo. Con molta fatica e con l’aiuto di uno degli altri clienti, riusciamo anche ad ordinare dei tempura e delle birre. Siamo diventati immediatamente l’attrazione del villaggio e, probabilmente, la base dei loro discorsi.

Il giorno successivo affittiamo le biciclette e visitiamo la striscia di sabbia che taglia in due la gola di mare della cittadina. Dopo aver fatto il bagno (gli unici, dato che i turisti orientali si limitano a giocare sulla spiaggia e pescare), saliamo sulla collina sovrastante ed osserviamo il panorama a testa in giù. La leggenda dice che, così facendo, il mare diventa cielo ed il cielo mare… Non commentate. Se lo dice la guida bisogna farlo, va bene?! La sera partiamo per Kanazawa. Finora, ho cercato di non usare il luogo comune che il Giappone è una terra di contrasti. Ma ora non mi viene in mente altro: Kanazawa è una città di contrasti. La stazione è un’opera d’arte di modernità con enormi archi in vetro. L’albergo che ci ospita (il Dormy-Inn) è in stile occidentale ma ha un enorme onsen (bagno termale di tipica tradizione giapponese) frequentato da business-man che, tanto per cambiare, attaccano bottone per esercitare il proprio inglese. In particolare un signore, nudo con il suo asciugamano in testa, mi racconta che è di Osaka e che vive il contrasto di dover trasferirsi in una città caotica come Tokyo. Che dovrei dire io, nudo ma che mi rifiuto di tenere l’asciugamano in testa, che sono di Torino e vivo a Milano? Kanazawa, che sembra così moderna al primo impatto, nasconde dei quartieri che raccontano le più famose tradizioni del Giappone. Il quartiere dei Samurai è assolutamente fantastico e sembra di essere catapultati indietro di diversi secoli. Analoga emozione si può provare nel quartiere delle Geishe. Infine merita una visita quello che è considerato uno dei più grandi giardini in stile giapponese del mondo: il Kanzoku-en. Purtroppo la pioggia rallenta i nostri ritmi e non possiamo ammirare la rinomata Galleria d’Arte Moderna. Un treno ci aspetta per portarci, questa volta, nel mezzo delle Alpi Giapponesi.

– Takayama, Kamikochi e Shirakawa-go – Takayama è un centro turistico rinomato e molto organizzato, base ideale per gite nella natura. Troviamo da dormire in un ottimo ed economico ryokan (Ohmachi Ryokan), più in stile Orientale rispetto a quello di Kyoto. Siamo gli unici ospiti delle poche camere e la padrona è totalmente dedicata a noi. E se avessimo bisogno di un dentista, il figlio ha lo studio nella casa a fianco. Decidiamo di visitare la città prevalentemente di sera per usare il giorno per i dintorni.

Il primo giorno, ci prendiamo un po’ di riposo ed andiamo a Fukuchi-Onsen ad immergerci nelle calde acque delle sue numerose terme naturali.

Tornati alla base, la sera mangiamo dell’ottimo manzo Hida, una specialità del posto. Takayama è inoltre famosa per le sue cento botteghe del sakè. Sorseggiandolo nei ristoranti milanesi, non ho mai amato il tipico liquore prodotto dalla fermentazione del riso. E neanche il primo assaggio a Kyoto mi ha entusiasmato. Qui, invece, il discorso cambia. Ne provo diversi tipi e sono particolarmente colpito da una versione dal sapore legnoso, che mi scalda lo stomaco come un Whisky d’annata. Il giorno successivo andiamo a Kamikochi dove ci avventuriamo in un lungo trekking in mezzo ai boschi. Ci aspettano paesaggi favolosi. Desidero sottolineare in particolare i laghetti di pond-Myojinke. Si paga un biglietto di pochi Yen per entrare ma il costo è ampiamente ripagato da un’emozione unica. Il cuore batte forte come quando ci si immerge negli occhi di una ragazza favolosa. Ci abbracciamo emozionati e non vorremmo più andarcene.

Il terzo ed ultimo giorno nelle Alpi Giapponesi visitiamo Shirakawa-go. Si tratta di un villaggio di coltivatori di bachi da seta. I suoi famosi tetti di paglia e la disposizione regolare delle casette lo ha reso Patrimonio dell’Umanità.

– Tokyo, Nikko ed Hakone – Grazie ad una nostra amica, diplomatica italiana a Tokyo, troviamo due piccole stanze ad un prezzo economico in un residence nel quartiere delle ambasciate nella capitale giapponese. Tokyo è l’ultima tappa del nostro viaggio e raccontarla meriterebbe un apposito articolo. Mi limito a qualche accenno, dato che questo racconto di viaggio si è dilungato su aspetti più periferici del Giappone. Uno riguarda il fatto che non ho parlato di sushi finora perché nel nostro itinerario non è stato così facile trovarlo. Ci siamo comunque rifatti con gli interessi con splendide serate nei sushi-bar di Roppongi e degli altri quartieri avveniristici di Tokyo.

Poi meritano un accenno la Mori Tower con la sua splendida sala mostre all’ultimo piano, decorata da un enorme lampadario e con una stupenda vista della città. Non ci siamo fatti mancare la Tokyo Tower, versione nipponica della Tour Eiffel. Abbiamo inoltre apprezzato una splendida serata al New Otani Hotel, un albergo extra lusso con un meraviglioso giardino in cui non mancano cascate d’acqua. Il ristorante è all’ultimo piano ed è una sala che ruota per farci apprezzare il panorama della città. Se andate presto, potete usufruire dell’happy hour che costa di meno e vi pemette comunque di servirvi da mangiare da ben quattro cucine differenti, compresi dei dolci eccezionali. L’albergo è stato anche una location Bondiana, dato che Sean Connery girò alcune scene di “Si vive solo due volte” di Lewis Gilbert. Torniamo però ai dintorni di Tokyo, per continuare a respirare l’antico spirito del Giappone.

Sentendo la mancanza dei templi, ci siamo avventurati fino al Parco Nazionale di Nikko. Si tratta di una zona sacra immersa nei boschi, Patrimonio dell’Umanità a pochi chilometri da Tokyo. I templi, in questo caso, sono più pittoreschi rispetto alla sobria eleganza di Kyoto e dintorni. In alcuni casi rasentano il kitsch estremo in un esagerato trionfo di colori e mostriciattoli vari. Questa zona ha risentito dell’influenza cinese più delle altre. Un basso rilievo a Toshogu rappresenta le tre scimmie che si tappano con le mani orecchie, occhi e bocca. Non si tratta di una presenza mafiosa bensì delle tre scimmie guardiane del mausoleo dello Shogun Tokugawa Ieyasu. “Non vedono il male”, “non sentono il male”, “non parlano del male” e controllano i visitatori affinché interrompano il loro chiacchiericcio che potrebbe disturbare l’eterno riposo dello Shogun. Il simbolo originale è databile attorno all’VIII secolo e deriva da un monaco buddista cinese della setta Tendai (quanta influenza cinese in questi templi). Il penultimo giorno giapponese ci imponiamo di vedere il Monte Fuji. Con il nostro solito treno, partiamo per Hakone dove ci aspetta un interessante percorso tra funivie, ovetti, passeggiate e attraversamento in barca di un lago. Lungo il percorso si gode del panorama del Monte Fuji in ben tre punti. Agosto non è il mese migliore e il monte è offuscato da una fastidiosa foschia. Però riusciamo a fotografarlo e ci sembra anche di vedere Goldrake che esce dal suo rifugio segreto per salvare la terra da qualche mostro alieno.

Con il magone ci tocca ripartire. Ma non ci facciamo mancare nulla e l’ultimo giorno ci svegliamo alle 4:00 per andare al mercato del pesce di Tokyo, il più esteso del mondo. Ricordatevi di portarvi delle ciabatte. Se no, il puzzo alle scarpe sarà un ulteriore souvenir che riporterete in Italia.



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