San Pietroburgo a modo mio, sognando l’Ermitage
Indice dei contenuti
Per il visto però, necessario all’ingresso nella Federazione Russa insieme al passaporto, abitando lontano dai consolati, mi rivolgo ad un’agenzia specializzata, la Project, per circa 150,00 €: una semplice paginetta del passaporto con i miei dati anagrafici in russo e italiano e l’indicazione del motivo del viaggio con la relativa tempistica.
All’arrivo in Russia mi consegneranno poi la carta d’immigrazione, un foglietto da conservare e riconsegnare all’uscita dal paese.
In quanto donna sola non ho avuto problemi a San Pietroburgo, anche se, più spesso che altrove, qualche uomo per strada o davanti ai musei si è fatto avanti “per aiutarmi”. Niente di allarmante, sembra che si tratti soprattutto di cavalleria vecchio stampo nei confronti di una donna sola, come mi ha spiegato la guida che ho conosciuto.
La lingua non è stata un grosso intralcio, per comunicare le cose essenziali si trova sempre il modo, io ho usato il mio pessimo inglese, il mio buon francese e la gesticolazione istrionica in cui noi italiani siamo esperti, spesso mixando questi elementi insieme. i cartelli sono sia in cirillico che a caratteri latini. Infine sono riuscita a dire “mal di gola” in russo ad una farmacista, termine che ho poi dimenticato. Infine, su acquisto il volo Bologna – St Pietroburgo con scalo a Francoforte all’andata e a Vienna al ritorno, spendendo in tutto 300,00 € (volo di circa 4h e 50minuti in totale). Soggiornerò al Nevsky Hotel Grand (www.nevskygrandhotel.com/it/), situato in una strada tranquilla e alberata che si affaccia sulla vivace Nevsky Prospect, la più famosa arteria di San Pietroburgo: 5 notti in doppia con colazione a 400,00 €, più wi-fi gratuito.
Il mio viaggio ha inizio, non senza una certa emozione, in una piovosa mattinata d’agosto. Atterro la sera alle 18.15, ora locale, all’areoporto Pulkovo e supero indenne i controlli che m’immaginavo molto più lunghi. M’imbatto subito nel servizio taxi, subito prima dell’uscita dai gates, con la scritta a caratteri latini e un paio di addetti che parlano inglese. Con la spesa di circa 18,00 €, che pagherò al tassista, i ragazzi mi rilasciano un foglio con il numero della vettura.
Ad uno dei bancomat dell’areoporto mi procuro un po’ di rubli, la valuta locale, con la mia carta di credito: le istruzioni sono in inglese e non colgo difficoltà maggiori rispetto ad altri paesi esteri. Dopo un viaggio in taxi di mezz’ora con un tassista, incarnante alla perfezione lo stereotipo del russo severo e poco comunicativo, entro in città.
Frattanto ho notato con curiosità le auto, specchio impietoso della disparità di condizioni sociali del paese: alcune lussuosissime, altre che cadono a pezzi, fra cui tante vetture italiane “vintage,” per usare un eufemismo. Man mano che ci avviciniamo al centro, la San Pietroburgo che scorgo dai finestrini comincia a svelarsi e ad affascinarmi con i suoi celebri canali ed i sontuosi palazzi.
La città fu fondata nel 1703 da Pietro il Grande, zar che volle occidentalizzare l’impero, gettando le basi di una contaminazione tra Oriente ed Europa che tutt’ora sono il marchio distintivo di San Pietroburgo. Ovunque si leggono ancora la grandeur e l’opulenza dell’epoca zarista, alla cui riuscita parteciparono molti architetti italiani. Sorge sull’acqua, alla foce del fiume Neva ed è affacciata sul Golfo di Finlandia. Poco prima che l’auto si fermi davanti al mio hotel, incrociamo la sagoma policroma della chiesa più bella di tutta la città: il Salvatore sul sangue versato. E’ un vero colpo di fulmine. In mezzo all’eleganza, indiscutibile sì, ma un po’ fredda, degli altri edifici, questa struttura da favola, che ricorda la moscovita cattedrale di S.Basilio, mi appare come un coloratissimo fuoco d’artificio. Osservando le cupole a cipolla ed l’acceso cromatismo orientale realizzo che è vero, sono proprio in Russia!
La famosa Nevsky Prospect, abitata un tempo da intellettuali del calibro di Dostojevskij, Gogol e Ciaikovskij, oggi è una strada turistica, movimentata e piena di gente a tutte le ore, soprattutto giovani. Taglia in due San Pietroburgo dal Monastero di Aleksandr Nevskij all’Ammiragliato, fino a giungere al fiume Neva. Tra bei palazzi settecenteschi e negozi di souvenir piuttosto kitsch, ritrovo un panorama tipicamente occidentale: una miriade di esercizi commerciali, con molti marchi europei e ristoranti con cucine etniche ed internazionali. La sensazione avventurosa del trovarsi in suolo russo, si attenua: sembra infatti di essere in una delle tanti capitali europee.
Passeggiando, noto sull’altro lato della strada un’edificio che mi ricorda S.Pietro in miniatura: un dejà-vu di una fetta d’Italia, fenomeno che sarà ricorrente in questo mio viaggio. Si tratta della Cattedrale di Kazan, circondata da un grazioso colonnato a semicerchio “simil-Bernini”. La chiesa fu voluta ai primi del XIX secolo dallo zar Paolo, poco prima di essere assassinato (per inciso, qui i regnanti, escludendo un paio di fortunati, fecero tutti una brutta fine: fucilati, strangolati o fatti esplodere con una bomba..). All’interno delle sacre mura è sepolto il famoso fedelmaresciallo Kutuzov (vedi Guerra e pace) che sconfisse i soldati francesi di Napoleone e che è ritratto in una statua nel giardino difronte alla chiesa.
Esattamente dalla parte opposta della strada, si trova lo splendido edificio Singer. Da grande amante dell’Art Nouveau quale sono, resto colpita da questo palazzo dei primi del 900’, destinato agli uffici della famosa azienda americana di macchine da cucire. Le linee sinuose della cupoletta, gli eleganti lampioni e le ampie vetrate dimostrano come all’epoca si tentasse d’infondere stile anche alle strutture destinate ad usi lavorativi. Attualmente la Singer ospita al primo piano la più celebre libreria della città, Dom Knigi, con libri anche in inglese, e al secondo piano il fantastico Caffè Singer con vista panoramica sulla cattedrale di Kazan e sulla Nevsky Prospect.
Torno sui miei passi e, sempre sulla Nevsky, mi fermo a cenare in un bel locale con tavolini di legno, cesti di rosmarino e ortaggi esposti su scaffali rustici, a due passi dall’hotel. Al Market Place troverò cibo ottimo, ambiente giovane e informale e prezzi più che abbordabili. Si tratta di un self service, con piatti di cucina internazionale, alcuni già pronti e altri preparati sul momento dai giovanissimi cuochi che spadellano al centro del locale.
L’Ermitage
Il mattino seguente ammanta la città di un gelido grigiore, decisamente più autunnale che estivo, ed io mi ritrovo a percorrere ancora la Prospettiva Nevsky, in direzione nord ovest, verso la Neva: la mia destinazione è l’Ermitage. Ho acquistato il biglietto sul sito del museo www.hermitage.org, scegliendo il ticket di 2 giorni per circa 25,00 €. In tal modo approfitterò meglio della mia visita, data la vastità delle collezioni.
A passo svelto e col batticuore mi faccio guidare dalla guglia dorata del campanile dell’Ammiragliato, un ottimo punto di riferimento, data la sua grande visibilità.
Seguendo la strada in una manciata di minuti, svolto sulla destra ed ecco che mi appare improvvisamente, in una visione mozzafiato, il Palazzo d’Inverno: è abbagliante nella sua veste verde menta, sottolineata per contrasto dal bianco di cornici e colonne e dall’oro degli stucchi. Sono frastornata dalla vista d’insieme, il mio sguardo vaga tra le migliaia di finestre e la selva di statue del tetto. L’Ermitage è un grandioso complesso architettonico comprendente diversi immobili, oltre a questo, tutti dislocati lungo la sponda sinistra della Neva: il Piccolo e il Grande Ermitage, il Teatro ed il Nuovo Ermitage.
Il Palazzo d’Inverno fu residenza imperiale dalla sua costruzione nel 700’ fino al fatidico 1917, quando i venti della Rivoluzione d’Ottobre soffiarono sulla dinastia dei Romanov. Eretto per la zarina Elisabetta dall’italiano Bartolomeo Rastrelli, l’edificio doveva riflettere la potenza e lo splendore di corte, divenendo uno dei più spettacolari esempi di barocco russo. Con Caterina la Grande, zarina dal carattere indomabile e vera anima di questo luogo, vedrà la luce il piccolo Ermitage, suo rifugio prediletto, e luogo della prima raccolta di quadri: insomma, il primo piccolo embrione da cui si svilupperà poi la collezione del museo.
L’edificio domina la spianata severa e grandiosa della Piazza del palazzo, mentre alle sue spalle scorrono le acque gelide del fiume Neva. Al centro della piazza si trova la Colonna di Alessandro, un monumento di 47 metri che celebra la vittoria dello zar sulle truppe napoleoniche. Davanti all’Ermitage l’Edificio dello Stato Maggiore abbraccia a semicerchio l’altro lato della piazza, progettato nel 1829 da un’altro architetto italiano, Carlo Rossi. Mi colpisce il via vai di soldati in uniforme, seri e accigliati, con visi dai tratti decisamente russi.
Visto che sono in anticipo (il museo non apre che alle 10.30) opto per una passeggiata e oltrepasso il Dvortsovy most, il grandioso ponte del palazzo che attraversa il fiume e porta all’Isola Vasilyevsky. Di fronte a me si slanciano le Colonne Rostrate, simbolo del potere navale russo. Furono costruite sulle rive della Neva nel XIX secolo come fari a petrolio; dipinte di uno sfarzoso rosso pompeiano, sono decorate con le prue di diverse navi straniere conquistate dall’esercito russo e dalle statue simboleggianti i quattro più grandi fiumi del paese.
La mia passeggiata prosegue poi verso lo Strelka, il punto panoramico più antico della città, luogo scelto da Pietro il Grande come base amministrativa ed intellettuale, dalla quale sovrintendere ai lavori di costruzione urbana. In questo punto si gode una vista superba sulla Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, da una parte e dall’altra sull’inconfondibile profilo dell’Ermitage. La Fortezza è una sorta di cittadella che divenne anche una prigione: tra i suoi “ospiti” si annovera niente di meno che Dostojevskij. Dopo diverse foto e altri due passi fino a Dodici Collegi, apparato burocratico dello zar, finalmente si è fatta l’ora di apertura del museo.
Si entra dall’ingresso che dà sulla Piazza del Palazzo; subito all’interno, prima di accedere al cortile, trovo il chiosco per i visitatori con “online ticket.” Presentando un documento d’identità, scambio il mio voucher con i biglietti per le due giornate di visita. Noto che nel cortile ci sono alcune macchinette automatiche, come quelle del Louvre. Acquistata l’audio guida per circa 200,00 rubli (con documento d’identità, altrimenti occorre lasciare un sostanzioso deposito) e presa dagli espositori la mappa del museo in italiano, inizia la mia visita.
Ci si accorge subito che all’Ermitage il contenitore rivaleggia col contenuto. Uno scrigno a dir poco sontuoso ospita l’immensa collezione suddivisa in otto dipartimenti: culture primitive e orientali, numismatica, mondo antico, fino alle arti figurative russe e occidentali.
Trovarsi qui, stordisce, sia per la quantità dei visitatori che per la bellezza delle sale. Nelle collezioni la parte del leone la fa la pinacoteca, con alcune delle più belle opere dell’arte europea. Io ho un piano di sopravvivenza per gestire la mia visita: dirigermi al terzo piano che ospita le opere impressioniste e moderne, quindi cerco di non fermarmi, per ora, in nessun’ altra sala.
Salgo i gradini del celebre Scalone Giordano, ingresso scenografico alle collezioni. Era percorso solennemente dagli zar per scendere alla Neva nella giornata del 6 gennaio, in ricordo del battesimo di Cristo nel fiume Giordano. Soggiogata da tanta bellezza, avanzo timidamente, giungendo nelle sale agognate grazie alla mappa a qualche indicazione del bizzarro personale del museo.
I capolavori che si trovano qui sono frutto di alcuni trafugamenti operati dall’Armata rossa durante l’ultimo conflitto mondiale, ma per la maggior parte provengono dalle collezioni di due grandi industriali russi, Morozov e Schukin, che importarono nel loro paese il meglio della pittura occidentale di quegli anni. I più grandi artisti degli ultimi due secoli sfilano davanti ai miei occhi, con opere che spesso non sono mai uscite dalla Russia. Come raccontarvi dello splendore di questi capolavori? Oltre agli impressionisti, che non deludono mai, trovo dipinti di Gauguin, Cézanne, Braque e Van Gogh.
Tra tutti, rimarrà scolpita nei miei ricordi la luminosità palpitante dipinta dal giovane Monet nel suo Signora in giardino a Sainte-Adresse (1867), che traspare quasi magicamente dalla tela; ancora, mi è rimasto addosso lo sguardo lascivo della Bevitrice di assenzio (1901) di Picasso, un quadro che appartiene all’inizio del periodo Blu, percorso da una malinconia sottile.
Continuo la mia beata promènade e, come a ritroso nel tempo, mi ritrovo d’un tratto tra i pittori della Scuola di Barbizon e tra gli esotismi di Delacroix.
Mi accorgo che mancano all’appello due pezzi grossi presenti nella mia guida, forse non proprio aggiornata: Kandiskij e Matisse. Ma dove sono?!
Scopro che si trovano nell’edificio di fronte, al Palazzo dello Stato maggiore. Non le perderò di certo…
Lasciando il terzo piano per tornare sui miei passi, cammino tra pareti dai colori regali, sotto ridondanti lampadari barocchi; cullata dalla strana malia di queste antiche sale, attraverso epoche storiche e luoghi lontani. Come il protagonista del film Arca Russa (2002), ambientato all’interno dell’Ermitage dal regista Aleksandr Sokurov, mi aggiro per il palazzo quasi come un fantasma, spiando qua e là.
M’imbatto allora in una mostra temporanea di valore documentario eccezionale: sono esposti abiti e accessori degli zar. Veri capolavori di sartoria, sono i pochi ad essersi salvati dalle distruzioni successive alla rivoluzione d’ottobre. Sete impalpabili ed arabeschi di pizzo avvolgono le sagome minute dei manichini: la loro opulenza rifletteva lo status sociale di chi li indossava. Un trionfo di perle, gemme, velluti. Dietro agli espositori, occhieggiano stupefatti dalle cornici proprio loro, i proprietari di quegli abiti, immortalati dai pittori centinaia d’anni fa…
Tra pizzi e merletti il mio stomaco inizia però a brontolare. Vicino all’uscita del piano terra trovo un internet bar abbastanza economico, il Max Cafè. Consumo velocemente un’insalata greca e una fetta di cheescake, mentre delle turiste giapponesi accanto a me si scattano dei selfies, fingendo di mangiare. Nel pomeriggio mi perdo tra le sale e letteralmente inciampo in Goya, Gainsborough e Fragonard: all’Ermitage dove cadi, cadi bene! Inizio ad essere stanca dopo ore di visita, per cui decido di uscire nella luce fredda del pomeriggio russo.
Costeggiando la Neva, mi spingo a passeggio fino al Palazzo di marmo e agli splendidi giardini d’estate. Sta scendendo la temperatura, per cui cerco rifugio in un ristorante segnalato dalla guida: Tandoori Nights, cucina indiana e prezzi abbordabili.Si trova in una via davanti agli Admiralty Gardens (M admiratelyskaya).
Storia, leggende ed il quadrato che sfidò il comunismo: Museo di Stato russo
Mentre l’Ermitage evidenzia la sua vocazione internazionale ed enciclopedica, il Museo di Stato Russo (ingresso 350 rubli, si focalizza sulla storia dell’arte nazionale: le sue collezioni supereranno decisamente le mie aspettative. E’ una tappa imperdibile per avvicinarsi alla mentalità e allo spirito russi.
Il fastoso Palazzo Mikhailovsky fu eretto agli inizi dell’800’ in stile neoclassico da Carlo Rossi come residenza del fratello dello zar, il Gran duca Mikhailm Romanov. E’divenuto museo aperto al pubblico alla fine dello stesso secolo per volere dello zar Nicola.
Attualmente ha diverse sedi distaccate in città: il Palazzo Stroganov, il Palazzo di Marmo e il Castello Mikhailovsky. Raggiungo la sede centrale del Museo attraversando i deliziosi Giardini Mikhailovsky, situati dietro alla Chiesa del Sangue Versato. Percorrendo l’elegante scalone d’ingresso si giunge al primo piano, dove si sviluppa un itinerario artistico in ordine cronologico. La celebre collezione di antiche icone russe, abbaglianti d’oro, conta più di 5000 opere in cui arte, religione e filosofia si fondono in modo affascinante; provengono da grandi centri artistici del passato, come Novgorod, Mosca e Volovgda.
Molto spazio è dedicato a Pietro il Grande, il fondatore di S.Pietroburgo, celebrato con ritratti ad olio e sculture, in cui si sottolineano la forza e la severa imperiosità dell’uomo: un incrocio tra Attila e Mussolini…
Scavalcando i secoli giungo al focoso periodo dell’ottocento. Oltre ai vasti dipinti di storia, pieni di retorica, buona parte delle opere rimanda al mito ed alla grandiosità di questa terra: trame epiche e immortali, cavalieri dalla splendente armatura, paesaggi sovrastati da cieli tempestosi…
La ritrattistica dell’epoca offre squarci affascinanti su mondi lontani che non esistono più.
Tra ventagli di piume e vaporose gonne di taffettà, le grandi dame russe fissano inquiete lo spettatore dalle loro dimore, adagiate sui sofà di salotti eleganti o a passeggio in ombrosi giardini.
Indimenticabile l’universo subacqueo, popolato da strane principesse, di Ilya Repin: il dipinto, intitolato Sadko (1876) narra di un’antica leggenda di Novgorord. Il celebre artista russo, al quale è dedicata una sala, ritrasse anche Lev Tolstoj nel 1901, la cui effigie è appesa proprio in questo museo. L’autore di Guerra e Pace e Anna Karenina è immortalato in piedi, quasi a grandezza naturale, nel giardino della sua dimora rustica fuori città. Casacca bianca, barba lunga, piedi nudi. Rimango incantata a osservare quanto il ritratto parli dello scrittore e dei suoi valori…
Come in un flash raggiungo l’ala dedicata al 900’, dove passo dalla musicalità variopinta degli astratti di Kandiskij al romanticismo di Chagall, fino alla carica rivoluzionaria di Malevitch: il suo Quadrato nero, semplice ed essenziale, dipinto nel 1913, sconcertò i rigidi canoni del realismo comunista. Stava nascendo il movimento d’avanguardia del Suprematismo.
La mia esplorazione al museo russo sta purtroppo per volgere al termine e mi concedo un’ultima, veloce sbirciatina all’area dedicata al folclore russo, dove trovo bamboline di cartapesta policrome e antichi abiti nuziali provenienti da remote regioni della paese.
Uscendo, percorro i viali ombrosi dei Giardini Mikhailovsky. Proprio un bel posto: panchine, piccoli chioschi retrò e tanta tranquillità. Dopo un break riposante, pranzo col tradizionale pane scuro di segale, trovato in panetteria, e del formaggio; provo anche la Kvas, una specie di birra leggera a basso tenore alcolico ottenuto dalla fermentazione di vegetali come orzo o bacche.
Nel pomeriggio, proseguo la mia visita all’Ermitage. Mi dirigo, mappa alla mano, verso la zona al secondo piano dedicata all’arte fiamminga e olandese del periodo barocco, che ospita, tra l’altro, i dipinti di Rembrandt. Il famoso Ritorno del figliol prodigo è qui esposto, emblema della condizione umana e di valori universali.
Accanto queste sale si trova il Piccolo Ermitage, una delicata sinfonia di marmi bianchi e stucchi dorati, illuminati da magnifici lampadari di cristallo. La candida doppia loggia crea un ambiente raffinato e femminile, dov’è ospitato un manufatto davvero sorprendente: l’orologio meccanico del Pavone.
Fabbricato a Londra nel 1777 da un esperto orologiaio, su richiesta di Grigorij Potëmkin, allora favorito della zarina Caterina II, fu pagato un prezzo esorbitante. E’ ricoperto di rame dorato e circondato da altri simpatici animaletti. Il manufatto fu trasferito a S.Pietroburgo, qui però nessuno fu in grado di montarlo: solo un secolo dopo ci riuscirono! Il Pavone viene animato, grazie all’attivazione di alcune manovelle, solo il mercoledì alle 19.00.
Passeggiando nel secondo piano in direzione della zona dell’arte italiana, giungo fino alle gallerie che ospitano la copia delle Logge vaticane: incredibile, sembra di stare a Roma. Furono progettate dal Quarenghi verso il 1780 per Caterina la Grande, ammiratrice entusiasta dell’opera di Raffaello. Qualche particolare però è diverso: l’aquila bicipite dei Romanov sostituisce lo stemma vaticano.
Più tardi, uscendo dal museo, mi ritrovo lungo la Neva, esattamente all’imbarco delle escursioni in barca: che bella occasione, una piccola crociera (500 rubli)! Me ne starò seduta a ricaricare le batterie e mi godrò il panorama. Purtroppo non faccio bene i conti: non navigherò sui placidi canali della città, come credevo, bensì dalla Neva fino al gelido Golfo di Finlandia… Mi viene consegnata una coperta e mi siedo insieme ad altri turisti, nella zona aperta sul tetto dell’imbarcazione. Durante il tragitto fiancheggiamo l’Incrociatore Aurora, varato nel maggio del 1900. Nell’ottobre del 1917 sparò il colpo che diede il segnale per la conquista del Palazzo d’Inverno.
Dopo aver ammirato un tramonto glaciale sulle acque del Mar Baltico, sotto i cieli alti del nord, facciamo ritorno. Una serie di spericolati ceffi in sella a moto d’acqua d’improvviso tagliano la strada all’imbarcazione, scatenando l’ira del capitano.. a me ricorda una scena del film Italians, con Carlo Verdone.
Dopo una tranquilla cena in hotel, durante la quale finalmente assaggio il bliny una crêpe dolce al burro e panna,esco ad ammirare la Cattedrale di S.Isacco. E’ una chiesa neoclassica di dimensioni imponenti, progettata dal francese August Montferrand, la cui cupola dorata, una delle più grandi del mondo, domina lo skyline della città. La Piazza dei Decabristi si trova tra la cattedrale ed il fiume; al centro svetta il monumento equestre a Pietro il grande.
Alla scoperta delle regge degli zar
Peterhof, la residenza estiva degli zar, si trova ad una trentina di km ad ovest della città, in posizione spettacolare sul Golfo di Finlandia. La raggiungo in mezz’ora di navigazione con l’aliscafo che parte dalle sponde della Neva dietro l’Ermitage, al costo di 500,00 rubli. Acquisto online http://peterhofmuseum.ru l’ingresso al Lower park, altri 500,00 rubli, evitando file. All’interno occorre comprare i singoli biglietti per ogni attrazione che si vuole vedere.
Si tratta di un grande sito, che richiede diverse ore per la visita; ci sono il Parco superiore, il Parco inferiore e il Parco di Aleksandra, che occupano un’area di circa 600 ettari, oltre a diversi palazzi e pittoreschi viali che si snodano tra i boschi, con viste panoramiche sul Mar Baltico.
Appena l’aliscafo attracca al molo accedo al Parco inferiore seguendo il Viale d’acqua, un canale marittimo che dal mare giunge al Gran palazzo, attrattiva principale di tutto Peterhof, inaugurato nel 1723 e ampliato successivamente da Rastrelli per la zarina Elisabetta. La Grande Cascata del palazzo è la parte più spettacolare. In un rutilante digradare di scalinate, sculture bronzee e zampilli esuberanti l’acqua giunge alla vasca della fontana, al centro della quale un Sansone dorato e nerboruto spalanca le fauci del leone. Purtroppo con la seconda guerra mondiale questo luogo è stato molto danneggiato: è seguita una ricostruzione quasi totale. Qualcosa a Peterhof però conserva ancora una certa autenticità.
Il piccolo edificio di mattoni rossi, verso al quale mi dirigo, ricorda vagamente l’Olanda, mentre il tetto richiama forme asiatiche. Si tratta di Monplaisir, la parte più antica, del complesso, scelta come dimora d’estate di Pietro il Grande (ingresso 400 rubli, l’audio guida è disponibile presso il palazzo di Caterina).
L’atmosfera dell’epoca, come graziata dal tempo, ancora permea muri e stanze di questo luogo, riflettendo perfettamente i gusti sobri del proprietario. Costruito dall’architetto Friedrich Braunstein tra il 1714 e il 1723, il suo nome sottolinea la vocazione allo svago ed al relax. Lo zar era sì un omaccione di due metri dal carattere terribile e cruento, ma anche un’amante della vita semplice e degli affetti familiari. A Monplaisir la sua seconda moglie, una contadina lituana con cui era scoppiato il colpo di fulmine, cucinava i suoi piatti preferiti nella rustica cucina, tutta decorata di piastrelle blu di Delft. Si dice che Pietro non volesse discorsi sgradevoli tra queste mura: puniva coloro che contravvenivano a tale regola costringendoli a bere un enorme bottiglione pieno di vodka…
La boiserie alle pareti del corridoio, dove sono esposte delle bellissime marine fiamminghe, conferisce particolare calore agli ambienti. Ovunque si legge l’amore di Pietro per l’Olanda e Amsterdam, la città sui canali che strego’ lo zar nel suo viaggio in Europa. Dalla camera da letto, sul cui comodino si trova ancora il suo berretto da notte, si può guardare dalla finestra il Mar Baltico, sferzato dai venti. Fuori, a picco sul mare, c’è un piccolo giardino cinese ed un’incantevole balaustrata in marmo che chiude una terrazza sullo sfondo marino.
Dietro Monplaisir trovo aiuole fiorite, fontane e statue. Il Palazzo di Caterina, che fa parte del complesso, ricorda un episodio storico cruciale per la Russia: quando la zarina venne a passare la notte a Peterhof, mentre in città fu spodestato, per suo volere, il marito. Lo zar morirà poco tempo dopo, strangolato in una rissa scoppiata a tavola, sulla cui casualità c’è da dubitare.
Passeggio nel parco, facendo attenzione alle numerose fontane e giochi d’acqua, data la temperatura non proprio estiva. Gli spruzzi imprevisti divertono moltissimo i turisti, anche quelli anziani, che tornano per un po’ bambini tra fiori che zampillano acqua gelata ed ingegnosi “innaffiatoi” nascosti tra i cespugli.
Non visito gli altri palazzi e, dato il freddo, mi concedo una pausa pranzo in uno dei pochi ristoranti al chiuso del parco, la Grand Orangerie, allestito nella serra del palazzo. La temperatura non accenna ad alzarsi, per cui filo via sull’aliscafo dell’una e trenta (ce ne sono molti al giorno, basta guardare i pannelli elettronici del porticciolo che indicano l’orario e il numero del Pier).
Ritornata in città mi precipito al Palazzo dello Stato Maggiore (300 rubli l’ingresso, ma ci sono tickets cumulativi con il palazzo d’inverno). L’edificio ospita una parte delle collezioni moderne dell’Ermitage e, nell’ala ovest, il quartier generale del Distretto Militare Occidentale. Strana accoppiata! Un arco di trionfo sormontato dal Carro della vittoria collega le due parti disposte a semicerchio sulla Piazza del palazzo.
Finalmente posso ammirare la Danza e la Musica (1911), esposte in grandi e moderne sale al 4° piano, provvidenzialmente quasi deserte. Commissionate a Matisse da Serghei Schukin nel 1911 come ornamento per la scalinata d’ingresso della sua dimora moscovita, furono installate personalmente dallo stesso artista. Mi siedo di fronte alla Danza, per ammirarla con calma: nella profondità dello spazio interplanetario danzano sulla curva terrestre grandi esseri primordiali. La raffigurazione tocca le corde più segrete dell’inconscio, il vortice perpetuo del movimento, l’essenzialità di forme e colori..tutto è pura magia!
Il palazzo ospita anche manifestazioni e mostre d’arte contemporanea, con installazioni a volte grottesche o divertenti, che non mi colpiscono in modo particolare.
Osservo la gente intorno a me: qui niente masse di giapponesi con le macchine fotografiche, né europei croceristi. C’è molto silenzio ed un ambiente vagamente ricercato e soft, pieno di gioventù alternativa.
Dopo un’aperitivo sulla Nevsky, ceno in un locale sulla strada, Biblioteka, dove gusto una discreta zuppa tradizionale con cavolo cappuccio e altre verdure, la postny borscht. Rientrata all’hotel mi godo una mezz’ora di Simpson in russo (che doppiaggio strano, si sente ancora la lingua inglese sotto!) e finalmente il meritato riposo: domani sarà una giornata impegnativa!
Splendori ed eccessi alla corte degli zar: Pushkin e Pavolvsk
Continuando l’esplorazione delle dimore imperiali, mi accingo a visitare Pushkin, conosciuto anche come Tsarskoye Selo, e Pavlovsk. Si tratta di due tenute imperiali, attorno alle quali si sono sviluppati dei villaggi. Sono abbastanza vicine, ma ognuna richiederebbe una visita di un giorno. Solo in certe fasce orarie è previsto l’ingresso singolo, con file molto lunghe. Mi adatto: acquisto una costosissima escursione con guida e autista privato fornita dal mio hotel, pagando subito, in contanti. Sgancio i miei rubli, pari a 220,00 €, dicendo a me stessa: “quando mi ricapiterà di fare una gita così?”
La mia guida è Cristina, una russa colta e molto bella, che parla un ottimo italiano.Con una vecchia mercedes ed un autista quasi imberbe in giacca e cravatta, inizia il viaggio verso le dimore degli zar.
Uscendo dalla città Cristina inizia a parlarmi della storia russa e e di S.Pietroburgo. Immagini, storie personaggi s’intrecciano, mentre imbocchiamo la Moscova, strada che porta alla capitale della federazione, come suggerisce il suo nome.
Passiamo davanti all’impressionante Monumento a Lenin del 1926, che m’incute una certa soggezione. Fu proprio qui, nei pressi della Stazione Finlandia, che il rivoluzionario fece ritorno dall’esilio il 3 aprile 1917. In tutte le città della Russia si trovano piazze e sculture a lui dedicate: più che un significato politico però, oggi la sua immagine rappresenta un simbolo unificante e nazionale. Il viaggio a Mosca per vedere la sua salma al Mausoleo Lenin lo fanno molti russi, anche coloro che non apprezzano il comunismo, come la mia guida. Stalin, al contrario di Lenin, è percepito dai più come un dittatore terribile e sanguinario.
Incontriamo il Monumento ai caduti della seconda guerra mondiale: più tardi Cristina mi racconterà della morte di suo nonno di stenti e denutrizione, durante l’assedio della città. L’ultima sera della sua vita, la famiglia doveva andare ad un concerto di musica classica: le circostanze drammatiche non sradicarono il profondo amore per la cultura di questo popolo.
Pushkin, chiamata così in onore del più grande poeta russo, trova la sua attrazione più sfavillante nel Palazzo di Caterina, nato nel 1710 come ”regaluccio” di Pietro a sua moglie. Commissionato all’architetto scozzese Charles Cameron, subì diversi rimaneggiamenti, in particolare eseguiti dal famoso Rastrelli, a causa del variare del gusto, degli anni e degli zar.
Il palazzo è oggi emblema del barocco russo più sfrenato. Il fasto dell’architettura esterna richiama quello dell’Ermitage, sottolineato da un color turchese ancor più vivace. Per immaginare gli interni, prendete Versailles e raddoppiatene il lusso: l’Infilata delle Sale di Gala, la cosiddetta “Infilata d’Oro”, eseguita da Rastrelli per Elisabetta, è abbacinante. Un’apoteosi di ori invade le pareti della grandiosa sala da ballo, dove la zarina appariva in sfarzosi abiti, facendo allontanare le donne che potessero competere con lei o imponendo loro i pantaloni invece delle gonne…
I turisti qui impazziscono, tutti spingono e strattonano, in un vociare confusionario che mi fa pensare di essere allo stadio più che in una dimora reale.
La famosa Camera d’ambra, inaugurata ufficialmente da Putin nel 2003 dopo un ventennio di ricostruzioni, sembra sia stata sovvenzionata anche dalla Germania. Furono proprio i soldati tedeschi a smantellare la preziosa sala nel 1941: tutt’ora non si sa dove sia finita l’ambra originale…attualmente l’effetto, tra i colori caldi e lucidi delle pareti e il caos di turisti, è un po’ soffocante.
Cristina mi racconta di come, nonostante l’estremo lusso, la dimora fosse ammorbata da miasmi maleodoranti: come Versailles e un po’ tutta S.Pietroburgo, era stata costruita su di una zona paludosa, aggravata dalla mancanza di una rete fognaria e di bagni.Si rimediava con enormi profumiere di ceramica, se ne ammirano alcune a Palazzo.
Dopo lo stordimento dovuto ai bagliori d’oro e dei flash delle macchine fotografiche, è piacevole uscire all’aperto, per una passeggiata nei giardini.
Camminando nel verde si gode di uno scenario naturale meraviglioso e riposante, lontano dagli eccessi del palazzo.Nel pittoresco Parco all’inglese distribuito intorno al Grande lago, sono disseminati una serie di suggestivi edifici dalle più disparate architetture, come le fantasiose creazioni neogotiche dell’Ammiragliato e l’eccentrico Bagno turco, con cupola e minareto.
A Pavlovsk, www.pavlovskmuseum.ru, residenza di Paolo I e della sua numerosa famiglia, a sette km da Pushkin, troviamo meno confusione ed un atmosfera più autentica. Il complesso si compone di un enorme parco e del palazzo, costruito anche questo da Charles Cameron. La residenza è meno opulenta delle altre dimore, però rispecchia appieno le personalità del proprietario e di sua moglie. Paolo non era in buoni rapporti con la madre Caterina, e qui, lontano da lei, trovò una certa serenità, anche se poi, divenuto zar, fu ucciso da alcuni cospiratori.
L’edificio fu concepito in due metà speculari, una maschile ed una femminile, destinate ai coniugi che si riunivano solo quando volevano; ovunque regna un gusto più sobrio rispetto agli ori elisabettiani. Anche i turisti si comportano meglio, sono pochi e quasi tutti russi.
La moglie di Paolo, Maria Feodorovna, molto colta e dotata di abilità inusuali per una donna dell’epoca, disegnò e arredò il suo studiolo con mobili moderni e funzionali, come la libreria orizzontale a semicerchio e la poltrona coi due vasi inseriti sullo schienale, per circondarsi del profumo dei fiori.
Il parco che circonda il palazzo è uno dei più grandi di Russia; si tratta di un romantico paesaggio inglese, con morbide colline, tante sculture e colonnati qua e là, nascosti tra gli alberi. E così, tra panorami pittoreschi, scoiattoli ed il profumo degli abeti, si conclude la mia escursione.
L’ultima sera a S.Pietroburgo la dedico ad una particolare evento, Van Gogh Alive, consigliatomi da Cristina. Si tratta di uno spettacolo itinerante di tipo audiovisivo, incentrato sulla vita e le opere del pittore olandese. E’ organizzato in un padiglione giusto dietro il mio hotel; come posso mancare? Tra le musiche di Vivaldi e Mozart, le immagini bellissime del pittore mi circondano in un movimentato microcosmo di fiori, campi di grano e ritratti.
La magia delle chiese pietroburghesi
Per l’ultima mattinata in città passeggio nelle strade dietro alla chiesa del Sangue Versato, lungo i canali. Giungo davanti ad un tempio dai muri rossi ed, obbedendo ad un felice impulso, entro: scoprirò che si tratta della Chiesa di San Pantaleone. La prima cosa a colpirmi è l’incenso, un odore forte e permeante, che sparge nell’aria una delicata nebbia bianca. L’iconostasi, una parete divisoria caratteristica del rito ortodosso, mi appare splendente di ori e ricoperta di icone, le immagini sacre tradizionali. Alcune anziane vestite di nero, col capo coperto da un fazzoletto, si chinano a baciare delle piccole icone su altarini in legno.
Qui faccio la conoscenza di un giovane e aitante prete ortodosso, attirato dalla mia “italianità”. Il loquace ecclesiastico, che parla un’ottimo italiano, mi racconta che viaggia spesso in Europa per venire a celebrare il rito. E’ sposato e ha 4 figli: è permesso sposarsi prima di entrare in seminario. La carriera ecclesiastica è spesso una tradizione familiare, come nel suo caso.
Mentre parliamo arriva una ragazza, la tipica bellezza bionda russa, che si inchina e gli bacia la mano; lui mormora quelle che immagino essere parole di benedizione.
Poi riattacca a parlare e mi racconta della chiesa: è dedicata a S.Pantaleone, un medico che si era convertito al Cristianesimo e che fu denunciato all’imperatore da colleghi invidiosi delle sue fortune. Rifiutò di abiurare e venne decapitato, dopo un serie di eventi miracolosi.
Infine mi fa fare un ottimo prezzo per alcune icone dipinte a mano su legno, provenienti dall’Ucraina, che vende una signora all’interno della chiesa; le porterò a casa, conservandole gelosamente in ricordo di questo viaggio.
Congedandomi con una goffa stretta di mano ( forse dovevo baciargliela!?), mi affretto verso l’ultima perla del mio viaggio: la Chiesa del Salvatore sul sangue versato (ingresso 250 rubli).
La chiesa porta questo nome perché è stata eretta nel punto dove lo zar Alessandro II fu ucciso da una bomba dei terroristi nel marzo del 1881. Al suo interno si conserva ancora una parte della pavimentazione stradale con la leggendaria macchia del suo sangue.
La chiesa è quasi irreale da quanto è bella: sembra uscita da un libro di favole orientali. Riprende le forme dell’architettura medievale russa su progetto di Alfred Parland e nelle sua facciata si susseguono, smalti, piastrelle di ceramica e vetro. Si trova a ridosso del piccolo canale Gribaedov, impossibile non scattare foto alla fuga di edifici che segue il corso d’acqua, terminando nel profilo stravagante della chiesa.
All’interno, in una penombra azzurrina e misteriosa, mi appare il mosaico: un’infinità di toni accesi e vibranti ricopre ogni centimetro dello spazio sacro, dalle pareti agli altissimi soffitti. Su tutto predominano il turchese e l’oro. Le scene del nuovo testamento, qui rappresentate, sembrano sovrapporre lo zar ucciso al Cristo, celebrandolo come un martire o un eroe divinizzato.
Lo stile delle raffigurazioni, pomposo ed eclettico, coniuga la solennità dell’arte bizantina alla pittura d’accademia dell’ottocento. In un’angolo di soffitto, poi, scopro poi che i mosaicisti si sono ispirati anche al cielo stellato del Mausoleo di Galla Placidia: un accenno della mia Ravenna trasportato in Russia!
Uscita, mi soffermo a guardare ancora le cinque sfolgoranti cupole a cipolla e le maioliche colorate: un fantasioso patchwork che, colpito dal sole, riluce sul canale.
Difronte alla chiesa c’è una piacevole confusione data dall’allegro chiacchiericcio della gente, dai musicisti e da diverse bancherelle che offrono souvenirs e street food. Mentre sgranocchio la pannocchia arrostita appena acquistata, mi allontano, salutando questa chiesa, prima ed ultima immagine di questo mio indimenticabile viaggio.
Da svidànija!