Repubblica dominicana: viaggio speciale oltre le solite immagini
1° GIORNO
Partenza da Linate in ora antelucana, scalo a Madrid e arrivo nel tardo pomeriggio a Santo Domingo. Dopo aver perso più di un’ora cercando di districarci tra le code caotiche della dogana (occhio: bisogna fare prima una fila extra per comprare la carta turistica, 10 dollari), abbiamo preso un taxi per fiondarci in albergo: sarebbe stata ora di cena, ma per noi era notte fonda e siamo andati a dormire subito. Il taxi dall’aeroporto è stato il trasporto più costoso che abbiamo affrontato in tutta la vacanza (40 dollari o – meglio – 1.400 pesos), ma non ci sono alternative. Il nostro hotel era in piena zona coloniale (il centro storico): Hotel Doña Elvira, comodissimo e molto carino, col fascino della antica casa coloniale, il patio coperto da un grande mango e una piccola piscina al centro. 80 euro la doppia, prenotato su internet, compresa un’ottima colazione: prezzo proporzionato all’atmosfera (un po’ meno alla camera, che era davvero piccola).
2° GIORNO
La giornata è dedicata a visitare la città: le affascinanti vie della città coloniale, le mura, la cattedrale… È la più antica d’America tuttora in uso, e d’altra parte in questa città troverete tutte le cose “più antiche d’america”, perfino la strada più antica e la casa più antica. D’altra parte, fu il fratello di Cristoforo Colombo a fondare la città, già nel 1496. Tutto questo e molto altro si scopre nell’interessante Museo de las Casas Reales, che vale la pena di visitare. Abbiamo goduto anche dell’atmosfera del carnevale, coi ragazzi che girano per le strade tenendo in mano delle specie di palloncini, il cui scopo (abbiamo scoperto a nostre spese) è… Tirarlo sul fondoschiena altrui! Un improvviso temporale ci ha convinti a rientrare in albergo, perdendoci la sfilata di carnevale, ma la giornata nel complesso era già stata abbastanza densa e proficua. Cena al Meson D’Bari, per cominciare a provare le specialità locali. Buono!
3° GIORNO
Si parte per il mare: destinazione Las Galeras, penisola di Samanà. Una di quelle giornate che, a ripensarci dopo, sembra che sia durata almeno 36 ore, con tutto quel che abbiamo vissuto in quell’arco di tempo. Magica sensazione che solo i Viaggi sanno donare. Primo: la piccola avventura per arrivare a Parque Enriquillo, punto di partenza delle “guagua” (i piccoli bus che vanno dappertutto a basso prezzo). Si passa per la chinatown di Santo Domingo, si attraversa una piazza caotica e piena di bancarelle, gente, motorini… Infine si arriva. Nel frattempo capita di incontrare la Politur (polizia turistica) che ti ferma e ti avvisa: da quelle parti pare che si verifichino rapine se ci si allontana dalla piazza… Ma a noi è parsa un po’ un’esagerazione, forse per guadagnarsi una mancia, forse per darsi un po’ di autorità… Tutto sommato c’era così tanta gente in giro che noi ci siamo sentiti più che sicuri. Stranieri, sì, ma sicuri. Secondo: il viaggio sulla guagua, ma di questo parleremo più avanti. Terzo: l’arrivo a “Las mariposas”, meraviglioso centro dove ha sede il Projecto Guariquen (www.guariquen.org). Sono italiani, legati alla comunità di San Benedetto al Porto, e gestiscono numerosi progetti di sviluppo per la gente della zona. Che siano benvoluti lo si capiva già da come la gente per strada ci indicava dove dirigerci (“la casa de Cila y Domingo”), con larghi sorrisi e senza che nemmeno noi lo chiedessimo. E meno male, visto che le indicazioni scarseggiavano… Comunque, il centro è dotato anche di piccole casette in legno, meravigliose fra le piante fiorite e i colibrì, e una di queste casette era per noi. Quarto: abbiamo fatto in tempo a fare il nostro pimo bagno. La Playita, piccola spiaggia nei paraggi, praticamente vuota al tramonto, acqua trasparente, palme, sabbia bianca… Talmente simile al nostro stereotipo di spiaggia caraibica, che stentavamo a credere di essere davvero lì! Quinto, e ultimo: la cena da Pedro, “el catalan loco”, come recita l’insegna. Catalano non si sa, ma loco (matto) lo è di sicuro: parla strano, esce ogni tanto ballando al ritmo della radio, usa un fischietto per richiamare l’attenzione del cameriere… Il menù varia a seconda dell’umore, e a noi quella sera è andata bene: aragoste grigliate e gamberi, con mille piattini di contorno, un dolce, più infiniti giri di mamajuana (tipico liquore alle erbe a base di ruhm). Prezzo… 900 pesos a testa, circa 18 euro! E con questo, la giornata si è degnamente conclusa.
4° GIORNO
Abbiamo conosciuto Luca e Roberta, anche loro ospiti di Las Mariposas, e trovandoci subito in sintonia con loro e con lo spirito con cui visitavano il luogo, abbiamo deciso di unirci a loro già per la prima escursione. Con Cila infatti, che organizza l’accoglienza per gli ospiti, avevano già organizzato una gita a Playa Fronton, una meravigliosa spiaggia isolata, dove si arriva solo a piedi o in barca, con alle spalle una parete di roccia a picco, poi palme, sabbia bianca, acqua popolata di pesci colorati… Un altro paradiso, insomma, anche questa volta semideserto, sia per la distanza dai resort più affollati, sia per la bassa stagione. Ci siamo arrivati con un’oretta di camminata tra i cocchi, dove la nostra guida gentilmente, oltre a mostrarci la flora della zona, andava anche in cerca di noci di cocco cadute, le puliva con l’immancabile machete che accompagna praticamente ogni dominicano che si rispetti, e ce le offriva lungo la via.
5° GIORNO
Altre spiagge da visitare, questa volta per conto nostro. Gita in barca a playa Rincon, la più grande che abbiamo visto, anche questa di difficile accesso (ci arriva la strada, ma è un lungo sterrato; per la barca invece abbiamo fatto una lunga trattativa, ma ne siamo usciti vincitori). Vuota come le altre spiagge, un po’ sporca ma solo perché durante la notte il mare mosso aveva portato a riva molte alghe e qualche bottiglia, ma per il resto sempre da cartolina. C’è anche un fiume che prima di sfociare in mare forma un laghetto trasparente contornato da mangrovie. Vicino al fiume, una baracca offre pesce alla brace e pinha colada (niente a che vedere con le nostre: un intero ananas scavato, la polpa fatta a pezzettini, e arricchita con latte di cocco e ruhm). Questo è il lato più semplice della spiaggia, dal lato opposto – almeno un quarto d’ora a piedi – c’è un ristorantino in muratura, le sdraio e i venditori di souvenir. Nel pomeriggio, abbiamo preso il “motoconcho”, motorino taxi su cui si viaggia in due più l’autista, mezzo molto comodo per spostarsi da quelle parti: con uno o due euro a testa ti portano dappertutto, si trovano ovunque, e sono relativamente sicuri perché sapendo che il turista medio ha un po’ paura, viaggiano piano. Molto utile anche perché Las mariposas non è proprio nel centro del paese, e per lo meno la sera fare 15 minuti a piedi sulla strada buia non è il caso. Dicevamo, con il motoconcho siamo andati a vedere l’iguanario, altro progetto gestito dal Guariquen, dove i ragazzi del posto, volontari, allevano queste iguane autoctone che in alcune zone si stanno riducendo rapidamente. Carine, ma non molto espansive, diciamo così! Il bello di questa visita è stato non solo l’iguanario in sé, ma anche la strada per arrivarci. Nell’aria dolce e tiepida che precede il tramonto, abbiamo attraversato in motorino piccoli gruppi di casette lungo la strada sterrata, bimbi che giocano, galline, anziani sulla soglia… Insomma, l’immagine della pace agreste come la si potrebbe incontrare… In Africa. Sì perché – per inciso – da quelle parti la popolazione è quasi interamente africana, segno di quanto enorme sia stata la tragedia della tratta degli schiavi (non ci si pensa mai abbastanza, da qua). E così vedi la terra rossa, le casupole, le moto, la gente, gli studenti in divisa… Non potreste distinguere una foto scattata qui da una scattata in Uganda!
6° GIORNO
Di nuovo con Luca e Roberta, questa volta per l’escursione al parco Los Haitises. Sempre con l’aiuto di Cila, abbiamo prenotato questo tour con una piccola agenzia del paese, che per 40 dollari a testa ci ha offerto il trasporto a Samanà (porto di imbarco), l’escursione in barca fino al parco, la visita guidata a una grotta con incisioni Taìnos (gli abitanti dell’isola prima di Colombo), un paio di cuba libre, e la visita all’isola di Cayo Levantado, con pranzo a buffet. Il parco è affascinante: isolotti pieni di alberi che si ergono nella laguna, insenature di mangrovie, uccelli… C’è anche la spiaggia dove hanno girato un’Isola di famosi qualche anno fa, ma la guida sembrava incredula sentendo che nessuno di noi quattro l’aveva vista e riconosceva i posti… Cayo Levantado è invece un altro mondo: un misto tra Disneyland e quello che nei telefilm vedi a Miami. Una spiaggia splendida, ma dietro solo bancarelle, stradine, aiuole curate, praticello da campo di golf, e gruppi di turisti che probabilmente non metteranno mai piede fuori dell’isola se non per tornare all’aeroporto. Comunque, un’esperienza da fare se si vuole vedere anche l’altra faccia della Repubblica Dominicana! Al ritorno, non abbiamo potuto fare a meno di tornare alla Playita per un bagno al tramonto, e poi via verso casa, dove ci aspettava una cena preparata e gentilmente offertaci dagli operatori del progetto Guariquen. Ottimo pesce, ovviamente, e un cuba libre per concludere la serata, chiacchierando e condividendo esperienze.
7° GIORNO
E’ il nostro ultimo giorno a Las Galeras, e decidiamo di dedicarlo alle balene. Infatti questa è la stagione in cui la baia di Samanà è popolata da questi cetacei, che vengono qui per riprodursi. Eravamo un po’ indecisi se andare: occorreva tornare a Samanà, pagare 50 dollari a testa, e sperare di avvistarle… Le avevamo già viste in Argentina, ma alla fine abbiamo deciso che ne valeva la pena comunque, e siamo partiti. Il viaggio è stato lungo, l’attesa a motore fermo sull’onda lunga che ci cullava, al piano alto della barca (che quindi oscilla di più), sotto il sole, ha dato i suoi effetti procurandoci un gran mal di mare. Ma l’attesa è stata ricompensata, e abbiamo potuto osservare una mamma col cucciolo, e il padre che nuotava un po’ più in là. Non hanno fatto grandi acrobazie come le loro cugine argentine, ma sono pur sempre animali maestosi, e con lo sfondo della costa caraibica offrono uno spettacolo speciale. Al ritorno il mal di mare è passato in fretta: abbiamo preso la prima guagua di passaggio, ma in realtà si trattava di un pic-up stracarico, quindi abbiamo passato cira mezz’ora di viaggio su una panchetta di legno posta fuori, tra sacchi di granaglie e passeggeri che salivano e scendevano. Un po’ d’aria ci ha fatto piacere! Per cena siamo tornati dal nostro amico catalano loco, ma quella sera era un po’ meno pazzo del solito, niente aragosta, niente balletti, niente ruhm… Ma in cambio una costata gigante che ci siamo divisi in due, per una cifra ridicola.
8° GIORNO
Qualche problema di pancia durante la notte per tutti e due, ma si è risolto in fretta ed è stato l’unico della vacanza. Non male, tutto sommato… Comunque, il giorno era dedicato al viaggio, con destinazione Bonao, la ruta del caffè. Una guagua fino a Samanà, una verso Santiago, ma scendendo a metà percorso, sull’autostrada, per aspettare una terza guagua che ci ha portato fino a Bonao, e da lì ci sono venuti a prendere per salire in montagna, nella comunità di Blanco. Ma è ora di raccontare qualcosa di più sulle guagua: noi ci siamo sempre mossi con questi mezzi, che sono dei piccoli bus (20/30 posti nei viaggi lunghi, 10/12 posti negli spostamenti più brevi). Sono meravigliosi perché non ci trovi su quasi mai un europeo, e dal tuo posto ti puoi comodamente godere tutta l’atmosfera dominicana: il predicatore che sale alla partenza, parla dieci minuti, vende qualche adesivo (quelle frasi mistiche che si leggono un po’ ovunque in America Latina, dai camion ai cartelloni pubblicitari), e zompa giù; il venditore di tè verde (“per depurare l’organismo”) che fa più o meno la stessa cosa; il venditore di gelati che si affaccia dentro al semaforo; il ragazzo che sale con un meraviglioso galletto sottobraccio; l’autista che ride e scherza col suo amico dietro e inizia a fare battute maschiliste; l’anziana signora che se la prende per le suddette battute e avvia una discussione che man mano coinvolge tutto il bus; le voci che si alzano ma in realtà nessuno è arrabbiato e anzi ridono come matti, compresa l’anziana signora; la musica (“Qua non troverete mai una guagua triste”, ci hanno detto un giorno)… Insomma, se si considera che tutto questo costa pochi spiccioli (l’equivalente di 2 euro per gli spostamenti brevi, 7 euro per quelli più lunghi, e il prezzo è pure a prova di fregatura-turista perché si paga tutti insieme), vale decisamente la pena. Oltre tutto, le uniche fermate stabilite sono la partenza e l’arrivo: in mezzo, potete scendere e salire dove volete. Fine della divagazione sulle guagua, torniamo al racconto: stanchi morti, arriviamo a casa di Bolìvar e Josi, famiglia di coltivatori di caffè, ceniamo con loro velocemente e ci buttiamo a letto. Non è certo come i nostri bed & breakfast, ma c’era una bella coperta per ripararci dall’aria fresca della notte, una zanzariera per difenderci dagli insetti (inesistenti, in realtà, almeno in quella stagione, ma per la psiche di noi europei è importante… L’immagine del ragno tropicale nel letto accompagna sempre i sonni del turista). Infine, qualcosa che neanche un hotel cinque stelle può fornire: nel buio completo dei monti e dei boschi, dalla finestra entra una lucciola e illumina tutta la stanza delicatamente, per darci la buonanotte. L’inizio promette bene, domani scopriremo cosa c’è qua intorno!
9° GIORNO
Boschi meravigliosi, ecco cosa c’è! In mattiniama visitiamo il sentiero “El cafetal”, accompagnati da Jonathan, la nostra guida: un giovane della comunità, che trasmette in ogni sua parola e in ogni suo sorriso la grande passione e l’orgoglio che nutre per la sua terra, la sua gente, il caffè, la cooperativa, la storia di questi posti, la natura… Piccolo esempio: ci ha attraversato la strada un bellissimo serpentello verde smeraldo (raro ed innocuo), e lui ha pronunciato ad alta voce un entusiastico “Grazie!”, rivolto al mondo che in quel momento ci aveva regalato questa sorpresa. Nel sentiero del caffè siamo stati accompagnati anche da un anziano contadino, che di quelle piante sa tutto, le tratta come figlie sue e ne trae persino lezioni di vita, con qualche perla di saggezza da trasmettere anche a noi giovani turisti, venuti dall’altro lato dell’oceano per conoscere il suo caffè. Poi abbiamo seguito tutta la lavorazione del caffè, dalla pulizia alla macinazione… Alla caffettiera… Un aroma che non si può descrivere! Dopo pranzo abbiamo chiesto lezione di domino: se lo pensate un gioco banale, vi sbagliate. Mai vinta una partita contro di loro. Per strada, in qualsiasi città, li vedrete ovunque, la sera, con il tipico tavolino quadrato e il clac clac delle tessere che vengono calate sul tavolo. Quando non giocano a domino, giocano a scacchi… Non ci abbiamo provato, certamente le avremmo prese anche lì. Dopo pranzo un altro sentiero (tutti brevi e facili), con un bel bagno nel fiume, seguiti dai bimbi (Jonelvis e Joelvis, due dei figli della famiglia che ci ospitava), e con Jonathan, accompagnati questa volta anche da Benjamin, volontario statunitense dei Peacecorps (me li immaginavo un po’ come delle specie di boyscout antipatici, e invece è stata davvero una fortuna conoscere una persona così), e Claudia, fidanzata di Benjamin. Insomma, più una gita fra amici che una visita guidata, conclusasi sotto una cascata nel bosco. A sera, due chiacchiere in uno spagnolo un po’ improvvisato tra i fiori davanti a casa, una partita al gioco dell’oca con Jonelvis, e poi a letto. Notare: un foglio di carta malridotto, due piccoli dadi… Questo è l’ammontare dei giochi da tavola di Jonelvis, ma di risate ce ne siamo fatte tante lo stesso (e forse più che davanti a una Play Station).
10° GIORNO
Fuori programma, un’ultima gita, per vedere un’altra cascata, e poi ancora un po’ i dintorni, la lavorazione del bambù, un ottimo pranzo (lo preparano per noi le donne della comunità), e poi purtroppo è ora di ripartire. Con la consapevolezza di lasciare degli amici. Che infatti ci hanno salutati dicendo “D’ora in avanti, lo sapete, avete una famiglia qui”. Non dimenticheremo facilmente queste persone. Jonathan, per esempio, quando a pranzo ci ha raccontato la storia degli agricoltori, le loro lotte contro i costruttori della diga che volevano pagare quattro soldi le piante di caffè abbattute, la lotta contro la miniera d’oro che rischia di inquinare le acque e le risaie di tutta la regione, la volta in cui ignoti hanno buttato una bomba in macchina a Esteban, l’uomo che tra i primi ha dato vita a tutto questo e che abbiamo avuto la fortuna e l’onore di incontrare: con due occhi neri vivissimi e saggi, e le mani macchiate dai segni indelebili dell’ustione. O ancora, quando Moreno ha accompagnato il nostro pranzo con una chitarra e una canzone (tipico latinoamericano, ma per una volta spontaneo e non certo per la mancia!), e la canzone parlava del fratello del dittatore Trujillo, che governava la regione di Bonao, e Jonathan ci ha raccontato la storia, e ci ha spiegato che occorre continuare a raccontarla, perché la gente dimentica, e la storia rischia di ripetersi. Com’è piccolo il mondo! Fino a due giorni prima, quasi non sapevamo cosa fosse il turismo responsabile, oggi abbiamo capito che è ben di più rispetto a quanto si immagini. E lo consigliamo a tutti Piccolo inciso prosaico: queste due giornate, tutto compreso, pranzo, cene, gite, degustazione, quota di sostegno al progetto… 100 € a testa. Ne vale la pena! ). Partenza, dunque. Segue l’ennesima guagua, direzione Santo Domingo. Poi una passeggiata sul malecòn (il lungomare) al tramonto, con quel cielo caraibico che si vede in tutte le foto del più famoso malecòn di l’Avana, e che finalmente è qui, davanti ai nostri occhi, con le coppiette che si tengono sotto braccio e gli aquiloni dei bimbi che si stagliano contro il cielo grigio e rosso.
11° GIORNO
Vogliamo assolutamente fare un ultimo bagno. E quindi via, di nuovo a Parque Enriquillo, di nuovo una guagua, diretti a Boca Chica. Sappiamo che è come andare a visitare una specie di Rimini triste, sappiamo che non reggerà il confronto con le spiagge deserte di Samanà, ma l’ultimo tuffo ci vuole. In fondo, anche questa è un’esperienza da fare. La malinconia di un’altalena arrugginita che cigola sullo sfondo del mare azzurro rappresenta bene quel che abbiamo visto. Dopotutto ha il suo fascino. Ma quanta gente a chiedere, a vendere, a insistere, a offrire una sdraio o un massaggio (?), a elemosinare una moneta (mai visti mendicanti altove)… Insomma: un tuffo, un pranzo veloce alle bancarelle, una pinha colada che era un furto, e via verso la città: siamo ancora in tempo per visitare l’Orto Botanico, e sicuramente ne vale molto più la pena. Una nota sulla cena: una sera siamo andati a La briciola, su consiglio della Lonely, era un po’ caro (sui 30 euro a testa: uno sproposito per quel paese), ma si mangia bene ed il patio illuminato nella sera è splendido. La sera dopo siamo andati in Plaza España: la scelta fra i ristorantini è ampia, i prezzi sono un po’ meno cari, e anche lì la vista sulla piazza illuminata è meravigliosa. Infine, sempre grazie alla Lonely, abbiamo trovato da dormire in pieno centro da Bettye, una originale signora statunitense trapiantata lì chissà come e chissà quando. Aveva libera una grande stanza arredata con tantissimi oggetti d’arte, molto originale (il bagno però è davvero claustrofobico!), comunque 30 a notte in due, compresa una piccola colazione”autogestita”.
12° GIORNO
Ultimi giri: il museo Mundo de Ambar (molto bello), ancora qualche viuzza della città coloniale, la “Leyenda del cigarro” (si vede anche qualcosa della lavorazione dei sigari), poi qualche acquisto (consiglio: il ruhm prendetelo al supermercato, costa meno ed è sempre lo stesso!), un ultimo delizioso frullato di frutti tropicali in plaza Colòn (El Conde Restaurant), e poi via all’aeroporto. Volo in ritardo, coincidenza persa, ma Iberia è ben organizzata e ci hanno accolto a Madrid già con le nuove carte d’imbarco. Insomma, tutto nell’ordinario, e un sacco di bei ricordi.