Piemonte in bicicletta
Chi entra nel capoluogo piemontese correndo in auto sulle superstrade e autostrade che la circondano si sciroppa un panorama che sbriciola i sogni di qualunque escursionista alla ricerca di un primo impatto emozionante: è accolto da una tiritera di capannoni e aree industriali che si alternano a cascine trasformate in magazzini e a centri commerciali dotati di sterminati parcheggi. Il fatto è che dall’asfalto a quattro corsie vedrà solo di striscio quegli spazi interstiziali debordanti di vegetazione che costituiscono la valvola di sfogo del grande agglomerato urbano. Il polmone naturale da cui Torino trae ossigeno infatti non si offre con immediatezza, ma va scoperto a ritmo di pedale, rovistando negli angoli meno noti, come Druento, Pianezza, Collegna o San Mauro.
Per farla breve il giorno di San Giorgio io e la mia dolce metà iniziamo a volteggiare lungo i viali del Parco Mario Carrara, detto anche della Pellerina, che raggiungiamo da corso Appio Claudio e senza il minimo pericolo di incontrare alcun genere di mezzo a motore, respiriamo aria di lago e di fiume, perché questa enorme area verde ospita un paio di laghetti e uno stagno con tanto di canneto, formatosi dopo l’allagamento del 2000 ed è intersecata dal corso della Dora Riparia, tradizionalmente considerato il fiume dei poveri, dato che lungo le sue sponde erano stati costruiti degli opifici che lo rendevano inquinato già nell’Ottocento.
Usciamo dalla Pellerina utlizzando una passerella Bailey sul Corso Regina Margherita. Arrivati in via Pietro Cossa iniziamo a seguire i cartelli della ciclovia per Venaria che ci conducono in via Primule e successivamente su corso Ferrara, dove siamo attorniati da palazzoni e condomini tipici della periferia. In Strada delle Vallette le maglie del tessuto urbano cominciano ad allargarsi; scorgiamo in lontananza un carcere e poi strabuzziamo gli occhi increduli: la ciclabile in un punto è stata trasformata in una discarica abusiva! In seguito rasentiamo la decadente Villa Cristina, casa di cura neuropsichiatrica con un giardino inselvatichito per l’incuria. Insomma fra la prima sorpresa negativa e la seconda il mio umore precipita sottoterra e non si risolleva finché non sfociamo sulla porticata piazza dell’Annunziata di Venaria, caratterizzata da un’eleganza d’altri tempi e fasciata di monumenti, fra cui spiccano le chiese gemelle affrontate della Natività di Maria e di S. Eusebio e il palazzo dei principi di Carignano Savoia. In cima a due colonne disposte simmetricamente alle estremità opposte della piazza si ergono le statue dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine, i cui sguardi si incrociano, dando l’impressione che si stiano parlando a distanza. Svoltando a sinistra ci immettiamo su via Mensa: alcune boutique, i negozi più blasonati, vari ristoranti e bar brulicanti di persone si aprono su quella che era l’antica strada Maestra, concepita dall’architetto Castellamonte per raccordare la Reggia al nuovo borgo da lui progettato, esaltandone così la prospettiva. E finalmente siamo in Piazza della Repubblica, dove si può tirare definitivamente un sospiro di sollievo estetico: le pupille sfrecciano qua e là sul complesso edilizio concepito per gareggiare con le corti delle più fastose monarchie europee e in un attimo si saziano di bello. Difatti già piuttosto promettenti sono la torre dell’orologio, il castel vecchio e il teatro d’acqua della fontana del cervo che si intravvede sbirciando dall’esterno verso la Corte d’onore.
Mi unisco alle legioni di turisti che entrano in biglietteria per procurarmi il lasciapassare che mi consentirà di visitare la residenza sabauda destinata allo svago e alla caccia edificata a partire dalla seconda metà del Seicento. Il castello è immenso, però ha un passato remoto di magnificenza e uno più recente di traversie -il periodo d’oro terminò nel 1798, dopo il devastante passaggio delle truppe napoleoniche e da allora il palazzo venne relegato al ruolo di caserma- perciò gli ambienti sopravvissuti in tutta la loro sontuosità restituiti alla pubblica fruizione sono veramente pochi, dunque tanti saluti all’idea di contemplare il corrispondente italiano di Versailles. Imperdibili comunque sono il Salone di Diana, definito così per gli affreschi dedicati alla dea della caccia e le decorazioni a carattere venatorio che ne impreziosiscono il soffitto, l’imponente cappella di Sant’Uberto, meraviglia barocca realizzata tra il 1716 e il 1729 da Juvarra e la luminosissima Galleria Grande, corridoio di circa 80 metri di lunghezza con un inconfondibile pavimento a scacchi bianchi e neri.
Il giardino storico della dimora è “specchio” delle architetture che da esso emergono e durante la bella stagione è un tripudio di fiori, alberi da frutto e colori, peccato che non sia permesso esplorarlo con la dueruote, soprattutto considerato che ha un’estensione di una ventina di ettari. Al contrario, la vicina oasi della Mandria, dove fanno sfoggio di sé giganteschi esemplari di farnia, è completamente a misura di bicicletta. L’avvio dell’edificazione del Borgo della Mandria risale al 1712, anno in cui si cominciarono ad allevare i cavalli di razza che fungevano da serbatoio per le scuderie reali e per l’esercito. Nel diciannovesimo secolo, con Vittorio Emanuele II, un tipo dal grilletto facile che non per niente era soprannominato “Re Cacciatore” ne venne rilanciata la funzione venatoria e quindi la foresta divenne un rifugio faunistico, recintato da un muro di quasi 30 km. Ma le sale del palazzo della Mandria furono allestite principalmente dal monarca come nido d’amore per trascorrervi piacevoli giornate con “la Bela Rosin”, una popolana con la quale si dimostrò generosissimo, insignendola dei titoli di Contessa di Mirafiori e Fontanafredda e convolando con lei a nozze morganatiche nel 1877.
Sia la facciata che l’interno del castello della Mandria, bene UNESCO dal ’97, ora rimesso a lustro, meritano una sventagliata di foto. Gli appartamenti reali sono venti stanze private, totalmente arredate, dove il primo sovrano d’Italia si distraeva dagli obblighi della vita di corte, condividendo momenti di gioia con Rosa Vercellana e con i due figli.
Esaurita la visita al museo lo aggiriamo per recarci all’ingresso posteriore, al centro del quale svetta la torre dell’orologio, ancora bisognosa di restauro: purtroppo il “dritto” è stato ripulito, mentre il “rovescio” è trascurato e permeato da un’atmosfera di decrepitudine. Da ultimo ci dirigiamo verso la Cascina Vittoria e infine sgusciamo fuori dal cancello della tenuta, superiamo un ponte e in capo a pochi minuti siamo in piazza XII Martiri a Druento, su cui si affaccia il palazzo del municipio. Prendiamo via Italia passando davanti alla Chiesa della Santissima Trinità e proseguiamo sempre dritti per la SP179 per qualche chilometro fino a imboccare a sinistra una carrareccia che espone il segnale azzurro per i ciclisti, in corrispondenza di una cabina dell’Enel vandalizzata con graffiti multicolori. Giunti alla chiesetta campestre settecentesca di S. Bernardo e S. Grato viriamo a destra e subito a sinistra al primo incrocio e ben presto ritroviamo l’asfalto che ci conduce al Santuario degli indemoniati in stile neogotico, al cui interno è una cappella con l’affresco che ricorda il miracolo accaduto nel 1450 grazie all’intercessione di San Pancrazio, che riattaccò la gamba di una devota, a cui era stata accidentalmente recisa con la falce dal marito sbadato, impegnato nella fienagione. Tuttavia il santo, per punire il mancato mantenimento del voto da parte dei coniugi, nell’anniversario dell’incidente amputò nuovamente l’arto alla disgraziata finché l’edicola votiva richiesta non venne innalzata come da promessa fatta. Proprio dirimpetto al tempio sacro giriamo a sinistra nel viale e andiamo avanti fino a raggiungere l’abitato di Pianezza. Ancora un breve tratto di SP178 ed eccoci in via Pianezza. Una volta infilato un sentiero in forte pendenza ci vediamo venire incontro una piccola pattuglia di scout che arranca faticosamente in salita a cavallo della propria MTB, per cui siamo costretti a decelerare anziché scendere veloci e spavaldi sino alla Dora, che scorre in un alveo sovrastato da un’alta scarpata rocciosa. Costeggiando il letto del fiume ci inoltriamo in un bosco ripariale in cui predominano le robinie, i salici e i pioppi. Sfortunatamente siamo obbligati a lasciare questo splendido tratto di pista dopo nemmeno due chilometri, all’altezza della romanica Pieve di San Pietro, in via Maria Bricca, che prende il nome dalla contadina pianezzese che nel 1706 guidò i soldati italiani in un cunicolo segreto che portava alla fortezza di Pianezza dove si erano barricati i nemici francesi, permettendo agli austropiemontesi di coglierli di sopresa e sconfiggerli prima del sopraggiungere dei rinforzi.
Il fiume per un po’ resta nascosto da svariati edifici e da un campo da calcio, ma ricompare, fedele, alla nostra destra e l’itinerario ridiventa suggestivo: stiamo pedalando nel Parco Agro-naturale della Dora Riparia di Collegno, come ci indicano alcune bacheche e pannelli informativi. Più avanti attraversiamo il Parco Generale dalla Chiesa e sbuchiamo in un’arteria più grande, viale Certosa -che collega il parco della Certosa di Collegno con l’Aero Club Torino-, lambito da un’ampia ciclabile. Giunti all’aerodromo, dove è esposto un cacciabombardiere AMX, svoltiamo a sinistra in strada della Berlia e dopo poco ci riavviciniamo alla Dora, la varchiamo su un ponte ciclopedonale e siamo nel Parco della Pellerina e da qua torniamo indietro all’hotel.
Consacriamo la seconda giornata al centro storico di Torino, al parco del Valentino e alla Reggia di Stupinigi. Partiamo mantenendoci sulla pista ciclabile del controviale destro di Corso Francia, dove varie costruzioni, come il villino Raby o la palazzina La Fleur rivelano l’adesione al decorativismo liberty nei raffinati particolari in ferro battuto e nelle finestre dalle vetrate colorate. Al centro di piazza Statuto notiamo il monumento terminato nel 1872 che rende omaggio agli operai che lavorarono al primo collegamento ferroviario tra l’Italia e la Francia, il tunnel del Frejus. Infilando la signorile e maestosa via Garibaldi, bandita al traffico motorizzato, iniziamo a percepire l’intenso pulsare della vita cittadina: un lento corteo di pedoni osserva le vetrine di lussuose botteghe o si pappa un gelato e chiacchiera, ostacolando il nostro passaggio. Piazza Castello ci riceve con la sua modernità mista all’antico: Palazzo Madama, Palazzo Reale, Palazzo Chiablese e la chiesa di S. Lorenzo sono sovrastati dalla vicina Torre Littoria, un grattacielo che è come una sberla in faccia per chi guarda. In via Verdi appare una rassicurante corsia ciclabile che abbandoniamo in vicolo Benevello per avvicinarci alla Mole Antonelliana e scattarle un’istantanea da un parcheggio adiacente. Tornati in via Verdi proseguiamo verso il Po fino a via Giulia di Barolo che imbocchiamo per vedere la famosa “fetta di polenta”, cioè casa Scaccabarozzi di un colore giallo tuorlo d’uovo, progettata da Alessandro Antonelli che sul retro si assottiglia all’inverosimile. Arrivati al fiume prendiamo a destra il Lungo Po Cadorna, oltrepassiamo la faraonica Piazza Vittorio Veneto e scendiamo sulla banchina fluviale dei Murazzi, dove la liquida ondulazione del fiume riflette piacevolmente i raggi del sole, poi sfiliamo accanto all’arco di trionfo del Valentino e imbocchiamo la strada che entra nell’omonimo parco e ci accorgiamo di quanto sia forte la voglia di verde delle persone, sia che esse cerchino la pace e il riposo, sia che desiderino intrattenersi in compagnia o solo passeggiare romanticamente mano nella mano, perché questa zona bellissima straripa di gente. Siccome il Po in passato era una via navigabile, e dunque arteria di commerci, il Castello del Valentino, era affacciato su di essa: i Savoia vi approdavano con l’imbarcazione ducale, la “peota”. A pochi passi dal superbo maniero, che sembra proprio il castello delle favole, benché oggi sia sede della facoltà di architettura, si trova il pittoresco borgo medievale, che non lo è realmente, nonostante riproduca un villaggio fortificato del Piemonte del XV secolo. Per visitarlo si lascia la bici nel parcheggio sulla destra, si attraversa il ponte levatoio, si contempla una riproduzione della fontana del melograno del castello di Issogne e si è circondati da negozietti e botteghe artigiane, davanti alle quali si esibiscono dei giocolieri.
Dopo alcuni chilometri, a destra ecco il Museo dell’Automobile, dirimpetto al quale c’è un monumento dedicato agli Autieri d’Italia –autisti di camion militari- dalla caratteristica forma rotonda. Non lontano si trova anche l’edificio a cinque piani dell’ex fabbrica FIAT, il Lingotto, la cui rampa elicoidale serviva per far giungere sul tetto le auto che venivano provate sulla pista della terrazza appunto, ma noi continuiamo a pedalare bordeggiando il fiume, che scorre placido e solenne ed è frequentato da canottieri e canoisti delle storiche società sportive ed effettivamente si sente spesso lo sbattere dei remi sull’acqua. Sulla pista il terreno in certi tratti è sabbioso e ombreggiato da salici. Alle Vallere, la piana alla confluenza fra il Po e il Sangone, al confine fra Torino e Moncalieri, vediamo l’antica cascina che ospita il centro visite del Parco fluviale del Po, sul cui prato sono adagiati due tronchi fossili di farnia. Pervenendo a un cancello ci si tiene alla sinistra per salire sulla stretta passerella dotata di scivoli che scavalca il trafficato corso Trieste. Ed ecco di fronte a noi il primo segnale di una ciclovia tabellata per Stupinigi, per cui da qui in poi basta affidarsi ai cartelli. Percorriamo un tratto ricco di orti urbani lungo il torrente Sangone a Nichelino. Poco prima di addentrarci nel “Boschetto del Nichelino”, a sinistra scorgiamo il mausoleo della Bela Rosin, del 1888, una riproduzione in scala del Pantheon romano. Nei pressi di Stupinigi presenziamo uno spettacolo non edificante: notiamo che qui in periferia è tutto un formicolare di “lucciole” ammiccanti, con trucchi pesanti e cinte da minigonne ascellari o brillanti vestitini inguinali, sedute su una sdraio o in piedi sul ciglio della strada.
Ma ormai, per fortuna, l’agognato traguardo è raggiunto: siamo al cospetto della Palazzina di caccia dei Savoia, quella con il cervo che ne orna la sommità, opera di Filippo Juvarra, che l’aveva concepita come un luogo di delizia e progettata con un colpo da prestigiatore: l’edificio doveva infatti fare la sua comparsa sul limitare dell’orizzonte, in fondo al viale alberato, come una meraviglia inaspettata, grazie a un gioco prospettico che forniva un ingresso scenografico alla costruzione. Giusto prima della palazzina, a destra, c’è un bar ruspante, dove mio marito si accomoda per un bicerin dopante –caffè, cioccolato, latte e sciroppo- mentre aspetta che io visiti la palazzina, che possiede senz’altro gli interni più sontuosi che io abbia ammirato in questo viaggio, da autentico svenimento!
Per tornare a Torino percorriamo un rettilineo di oltre 10 km, implacabilmente dritto. Lo scenario che entra nel nostro campo visivo è un coctail urbano dai molteplici aspetti, non sempre in sintonia tra loro. A un certo punto identifichiamo sulla nostra sinistra lo stabilimento della FIAT Mirafiori, quello davanti al quale abbiamo visto in TV i metalmeccanici in sciopero mostrare gli striscioni rivendicativi per la difesa dei propri interessi.
Alla sera, in albergo, anche se la strada non si è rivelata una faticaccia, ci facciamo consigliare dalle nostre gambe, pesanti come piombo, che mostrano un’allarmante tendenza a cedere e quindi ci buttiamo a corpo morto sul letto e restiamo distesi: da qui nessuno ci smuove più per oggi.
L’itinerario dell’ultimo giorno si snoda tra i fiumi Po e Stura. Ah, e c’è pure un breve tragitto lungo un canale nei dintorni della borgata Bertolla, vicino a S. Mauro Torinese.
Dopo aver fatto un copia-incolla del percorso di ieri fino al Po, si scende al fiume, all’imbarco dei battelli turistici, ammirando sullo sfondo il monte dei Cappuccini. Pedaliamo sui Murazzi, il largo argine realizzato tra il 1830 e il 1875 da Carlo Mosca, con scalinate e grandi arcate che in passato custodivano atelier di artigiani e barche e che attualmente, dopo decenni di abbandono, sono sede di circoli notturni. Continuiamo a spostarci sulla via sterrata e alberata a fianco dei Lungo Po Machiavelli e Antonelli fino al ponte di Sassi. A un certo punto, alla foce della Dora, dove le sue acque si mescolano a quelle del Po, la si attraversa su una passerella e si svolta subito bruscamente a destra entrando nel Parco della Colletta lungo uno stupendo viale di ombrosi tigli. Nel parco, bersaglio delle nostre attenzioni diventano le fontanelle comunali, una identica all’altra, dipinte di verde: l’acqua sgorga dal muso di un torello (un torèt, che campeggia anche sullo stemma civico), quindi per dissetarsi bisogna afferrare le corna del bovino, chinarsi e bere dallo zampillo rigurgitato dall’animale.
Ben presto ci ritroviamo alla confluenza della Stura di Lanzo nel Po, area popolata in ogni stagione da differenti specie di uccelli, tra cui folaghe, gallinelle d’acqua e anatre, facilmente osservabili dalla riva. Sull’altra sponda è visibile il boschetto del Meisino, zona militare e Riserva speciale, dove la natura segue indisturbata il suo corso. Il panorama si apre e in cima alla collina si coglie il profilo della basilica di Superga, mentre in basso si domina il vasto bacino formato dalla diga del Pascolo.
Poco più avanti costeggiamo il canale derivatore AEM e siamo nel cuore della borgata Bertolla, una scheggia di campagna con orticelli e aie incastonata nella metropoli. Arrivati al Ponte Vittorio Emanuele II si passa sull’altra riva del fiume e si raggiunge il centro di San Mauro. Il ritorno si compie fiancheggiando costantemente il Po –che adesso si trova alla nostra destra- su una pista ciclabile fino a tornare alla Chiesa della Gran Madre. L’orizzonte è chiuso da un severo panorama di montagne innevate, mentre vicino a noi spunta il segno più caratteristico di Torino: la Mole Antonelliana. Insomma, nonostante Torino sia una tra le città più industrializzate d’Italia conserva ancora una natura di notevole fascino, che non rinuncia a valorizzare e che consente fugaci esplorazioni nel verde.
Come arrivare: in treno con trenitalia www.trenitalia.it o in auto.
Dove pernottare e dove cenare: presso l’hotel quattro stelle Mercure Royal, Corso Regina Margherita 249, Torino, Tel: 011 4376777. Se andate in macchina per parcheggiare l’auto nel posteggio privato dell’albergo si pagano 10 Euro al giorno.
Noleggio bici e percorsi: Due Ruote nel Vento, Corso Tassoni, 50 – Torino, Tel/fax 011 488529 – www.dueruotenelvento.com, info@dueruotenelvento.com (110 km, circa, in tre giorni) Sulla ciclovia da Torino per Venaria e La Mandria http://www.piste-ciclabili.com/itinerari/462-torino-venaria-reale-parco-la-mandria; http://www.gazzettatorino.it/pedalando-fra-po-e-stura
Per saperne di più
– sul borgo di Venaria: brevissimo video https://www.youtube.com/watch?v=KPUJo2xI0pc
– video: visita guidata al borgo di Venaria https://www.youtube.com/watch?v=SVJbEHey1pY
– Sulla Reggia di Venaria, Piazza della Repubblica, 4, 10078 Venaria Reale TO Tel: 011 499 2333
Breve documentario: https://youtu.be/RLszYDdJJk4
Breve documentario sul percorso all’interno della Reggia: https://www.youtube.com/watch?v=OkhjLr0JyBA
– Su Amedeo di Castellamonte: http://www.cr.piemonte.it/web/media/files/tascabile_50.pdf
– Sulla relazione fra Vittorio Emanuele II e la Bela Rosin http://www.lastampa.it/2011/02/28/cultura/bruna-sensuale-rubacuori-la-bela-rosin-BQQAOeDNWdu7lYFucGWX1J/pagina.html
Breve documentario sui giardini di Venaria: https://youtu.be/tvyornuAqXo, intervista a Mirella Macera, responsabile Settore Conservazione dei Giardini della Venaria Reale https://www.youtube.com/watch?v=xHyNwQMk6bM
– Sul parco la Madria e Appartamenti Reali: breve documentario https://youtu.be/e4WDtiP9-s4
E sulla fauna: https://vimeo.com/51307600; Orari Appartamenti Reali: mar.-dom. 10.30-17.30, chiusura biglietteria ore 17.00. Tariffe: intero 8 €, ridotto 6 €, minori 18 anni gratuito. Ingresso gratis ogni martedì non festivo, con visita guidata h. 11 e h.15, prezzo: 4 €
– Sul Santuario di S. Pancrazio di Pianezza:
– Sul parco agro-naturale della Dora Riparia a Collegno https://www.youtube.com/watch?v=Fr0zZnWmp6o
– Sul Parco del Po e della collina torinese: intervista al direttore del Parco https://www.youtube.com/watch?v=nf5evaiD-Kg
– Sul parco del Meisino https://youtu.be/ZbZFYBndblk
– sul castello del Valentino: video descrizione sale http://castellodelvalentino.polito.it/?page_id=184
– Sulla visita guidata organizzata da Somewhere il giovedì e il sabato sera alle ore 21.00 da Piazza Statuto n. 15, durata circa 2 ore e mezza (che ci è stata rifilata nel pacchetto da quelli di Due Ruote nel Vento, gli organizzatori del nostro cicloviaggio) vedi il diario di viaggio già pubblicato su turisti per caso a questo indirizzo http://turistipercaso.it/torino/75338/sorprendente-torino.html