Montieri Il borgo delle rose
Montieri, il borgo delle rose. Dalle miniere alla rivoluzione geotermica di oggi
Un viaggio di tre giorni a Montieri, un paese arrampicato su un poggio tra Siena e Grosseto. Siamo nelle Colline Metallifere, un angolo di Toscana silenzioso, tutto da scoprire. Il verde aspro del paesaggio di giugno è punteggiato dal giallo acceso delle ginestre. Una Toscana quasi invisibile alle rotte turistiche. Con mia moglie andiamo a ritrovare il luogo dove è vissuta a lungo una cugina di suo padre. Nei primi anni Cinquanta, trasferendosi da Firenze, aveva preso in gestione l’Hotel Minerva di Montieri, che oggi non c’è più. La “locandiera”, come è riportato nelle carte del Comune. A Montieri allora si viveva dell’attività delle miniere. D’inverno, la neve poteva rendere difficile raggiungere il paese e d’estate i turisti erano di là da venire. Abbiamo contattato – con i potenti mezzi messi a disposizione dai social – qualcuno che era bambino a quel tempo e ricorda ancora con affetto la “signorina” Silvana. I giorni a Montieri sono l’occasione per incontrare alcuni di loro, Katia, Nunzi, Rita, Oriano, Maurizio.
Da Firenze sono 100 km, un’ora e mezzo di auto. Per Siena, l’uscita a Colle Val d’Elsa Sud, poi la Strada Provinciale Traversa Maremmana. La natura geotermica del terreno delle Colline Metallifere è ben conosciuta fin dal tempo degli Etruschi che avevano costruito un centro termale a Sasso Pisano, così come i Medici al Bagno a Morbo. La famiglia fiorentina sfruttò l’estrazione dell’allume utilizzato per secoli nell’industria laniera, anche se questo costò loro lotte e intrighi di palazzo con i vescovi di Volterra e financo con il Papa. La forza esplosiva del sottosuolo cambia la sua stessa fisionomia con le Biancane, rese tali dai gas che fuoriescono dal terreno. Sempre più questa forza viene incanalata in energia, oggi più che mai pulita, che diventa un vettore straordinario di sviluppo economico.
Di Montieri sappiamo delle miniere di pirite chiuse da vent’anni e già cancellate dalla memoria di tanti. In realtà scopriamo un borgo che conserva l’antica bellezza e al contempo colorato e piacevole. Ai balconi, alle finestre, negli orti e nei giardini, davanti ai portoni e sparsi, quasi in modo casuale, nelle piazzette arrampicate sulla collina, i fiori, e in particolare le rose rosse dal lungo gambo, sono quasi un segno distintivo, l’identità di una comunità. Su e giù per le strette strade di pietra seguiamo un percorso costellato di angoli silenziosi, di camini che fumano, di panni stesi ad asciugare. Il tessuto urbano ha conservato alcune case-torri del XIII secolo.
In via della Dogana casa Biageschi, ingentilita da una ancora elegante porta sormontata da un arco acuto in pietra. In via delle Fonderie, con il nome a testimoniare le attività fusorie di un tempo, casa Narducci nella sua linea architettonica rimanda all’influenza pisana. Da qui via della Ruga sale fino alla Chiesa di San Giacomo dall’ampia navata tardo romanica che dall’alto domina e insieme rassicura il popolo montierino. Questo luogo è legato alla figura di Giacomo Papocchi, il Beato Giacomo. Siamo nel XIII secolo. Papocchi era un giovane che, come tanti in quei tempi, lavorava nelle miniere d’argento. Fu accusato con i suoi amici del furto del prezioso minerale e per questo gli furono amputati la mano destra e il piede sinistro. Si ritirò nella cripta che sorge accanto alla chiesa e qui visse per quarantasei anni in rigorosa penitenza fino alla morte nel 1289. La rilettura storica ha reso giustizia a quei lontani eventi che si collocano in un tempo di soprusi e sfruttamento che le autorità senesi esercitavano sulla popolazione locale. Le scelte di quei giovani furono una forma di protesta e di ribellione. La fama che lo circondava in vita, alla sua morte divenne presto venerazione, arrivando fino ad oggi.