Lost in traslation

TOKYO PROLOGO Sto volando sopra Tokyo, anzi ormai sono prossima alla destinazione. Chi l’avrebbe detto? Quest’anno il viaggio, sembrava destinato a soccombere, a lasciare il posto ad una meta balneare; invece, fortunatamente per me, alla fine siamo riusciti a fare l’uno e l’altro risparmiando in un modo che non mi appartiene (la mia fama...
Scritto da: Susanna Ferrari
lost in traslation
Partenza il: 13/08/2001
Ritorno il: 20/08/2001
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
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TOKYO PROLOGO Sto volando sopra Tokyo, anzi ormai sono prossima alla destinazione.

Chi l’avrebbe detto? Quest’anno il viaggio, sembrava destinato a soccombere, a lasciare il posto ad una meta balneare; invece, fortunatamente per me, alla fine siamo riusciti a fare l’uno e l’altro risparmiando in un modo che non mi appartiene (la mia fama di spendaccina è nota in tutta Bergamo).

Siamo partiti dall’aeroporto di Milano Malpensa ieri alle 21.15 su un aeromobile della JAL, ovviamente pieno di persone asiatiche, eccetto noi; la fortuna ci ha dato in sorte due strepitosi posti nell’upper dek e ci siamo così goduti un panorama spettacolare anche perchè innanzi a noi c’è un megaschermo sul quale è proiettato il percorso dell’aereo durante la fase di decollo.

Mauro, il mio fidanzato da me soprannominato “il caro Vèz”, sta giocando ai videogames di cui sono dotati tutti i sedili (evviva la cultura Jap), mentre io mi dedico alla lettura dell’ultimo libro di Banana Yoshimoto, dal titolo “Honeymoon”.

13 AGOSTO 2001 Shiba Park Hotel h.22.30 Il nostro primo giorno in Giappone è alla fine; non è stato affatto leggero: 11,15 ore di volo e 2 ore di trasferimento dal Narita Airport al nostro hotel.

Arrivati a destinazione, abbiamo optato per posticipare la sistemazione dei bagagli e siamo immediatamente usciti per la nostra prima promenade giapponese; storditi dal viaggio e dal fuso orario abbiamo vagabondato senza alcuna meta precisa, alla ricerca di un posto dove mangiare; siamo finiti in un piccolo ristorante caratteristico, dall’atmosfera vivace , frequentato da diversi gruppetti di giovani.

Dal momento che il menu era scritto unicamente in giapponese-cosa assolutamente più frequente di quanto non si pensi- e in considerazione dell’ignoranza dell’idioma inglese della cameriera, abbiamo ordinato praticamente al buio: UDON e SOBA Quel che ne è venuto fuori è stata una zuppetta in brodo bollente (adesso capisco –vista la stagione- l’espressione sgomenta della cameriera) con pasta di farina di frumento simile a grossi spaghetti (la mia) tagliatelle di grano saraceno (quella del mio fidanzato).

I ragazzi seduti agli altri tavoli ci osservano con una curiosità imbarazzante; mi sento come la scimmietta allo zoo… Fuori c’è già buio e l’aria è ferma e umida; guardo l’orologio, non sono ancora le 19.00.

Il fatto è che il Giappone con la sua tecnologia avanzata e i suoi uomini d’affari, spesso presenti nel nostro paese, ci fa dimenticare l’appartenenza al continente asiatico, all’Oriente! Ad ogni modo, la sensazione predominante, quest’oggi, è l’estraneità, domani chissà… 14 AGOSTO, 2001 Stamane, la giornata è iniziata con un imprevisto: la sveglia, puntata alle 7.00, non riesce a destarci; quando Mauro si sveglia, mancano dieci minuti alle otto; dall’Italia abbiamo prenotato un’escursione cittadina (Cityrama Tokyo morning) con il pullman e una guida locale.

Il pullman ci attende alle 8.30, siamo in ritardo e ci terrei davvero, a non farmi riconoscere anche qui; perciò per guadagnare tempo, decidiamo di fare colazione al bar dell’hotel.

Senza consultare i prezzi (che sarà mai?) ordiniamo : due tazze di thé, due croissants, due bicchieri di succo d’arancia.

Consumiamo il nostro petit dejeuner continentale (niente di eccezionale) osservando il fervore nella hall e chiacchierando beatamente, fino all’arrivo del conto; è allora che il volto di Mauro si sbianca d’un colpo, assumendo una colorazione cerea; sembra, inoltre,che gli occhi gli fuoriescano dalle orbite e, a causa dell’iperventilazione, non riesce a parlare.

Mi ci vuole un po’, prima di capire che a provocargli un accidente, sono quattro numeri scritti sul foglietto che ha in mano, in sostanza l’addition.

Infatti, il costo della nostra colazione è di 3.465 yen, 62.270 delle vecchie lire! Fortunatamente, non c’è tempo per l’autocompatimento (siamo due allocchi, potevamo almeno informarci sul pricing, no? Inoltre, lo sanno tutti che il Giappone è caro e che la colazione in hotel è per turisti ingenui e sprovveduti, magari un po’ attempati…), l’HATO BUS è arrivato.

La prima meta è il MEIJI SHINTO SHRINE, il più antico tempio scintoista della città, dedicato all’imperatore della dinastia dei Meiji.

Scendiamo dal pullman per la visita e mi sento avvolgere da un’afa soffocante: oggi, ci saranno 32 gradi con l’80% di umidità.

La guida, una donna di mezza età di nome Naoko, abbigliata alla maniera occidentale, con vestiti che noi reputeremmo tra il trash e il demodé, ci introduce al tempio.

Io sento di essere prossima alla liquefazione, così per distrarre il pensiero dal caldo, osservo gli altri turisti (tutti giapponesi, tranne una coppia di statunitensi, direi del nord) e colgo facce stravolte.

Il tempio non mi pare eccezionale, anche se devo ammettere che questa architettura mi affascina; mi conquista, invece, l’usanza di appendere ad un albero, in prossimità del tempio, cartoncini di legno su cui è possibile scrivere le preghiere da rivolgere alla divinità, ad occhio e croce ce ne sarà quasi un migliaio, ma soltanto uno scritto in lingua italiana.

La seconda meta è il PALAZZO della DIETA, sede del parlamento giapponese; dall’esterno mi ricorda Buckingam Palace: l’edificio è imponente e totalmente circondato da verdi prati fioriti ed ordinati.

Si prosegue alla volta del PALAZZO IMPERIALE; nuovamente, scendendo dal pullman, siamo assaliti da una nube umida e calda.

Vedendoci provati dalla calura, la guida ci conduce nei giardini ombrosi del Palazzo informandoci che all’interno esistono ben 47 tipi diversi di piante, uno per ogni provincia del Giappone.

Il palazzo imperiale, residenza del sovrano, si estende per un milione di metri quadrati; tuttavia, i giardini visitabili dai turisti rappresentano soltanto 1/10 dell’intero territorio.

Lo spettacolo che mi si para innanzi è indubbiamente attraente, ma il caldo asfissiante mi impedisce di goderne appieno; mi avvicino ad uno stagno popolato da pesci variopinti e, boccheggiante, scatto una foto, fantasticando di tuffarmi tra loro.

Trascinando i piedi mi avvio al pullman per la nostra ultima tappa: l’ ASAKUSA KANNON TEMPLE.

Di tutta la mattinata, questo tempio è l’attrazione migliore.

Innanzitutto perché il quartiere di Asakusa è uno dei pochi quartieri di Tokyo ad aver salvaguardato la tradizione: l’urbanistica, le botteghe e i ristorantini sono quelli del nostro immaginario, quelli fotografati dal grande maestro Akira Kurosawa..

Inoltre, accanto al tempio (davvero meraviglioso) si trova la classica pagoda orientale.

Mi accingo ad entrare nel tempio, ma prima occorre rispettare i rituali d’ingresso; pertanto, prima ci si lava le mani, poi si cosparge il capo d’incenso.

Solo dopo essersi puliti e profumati è consentito l’ingresso.

I giapponesi mi sembrano un popolo eccezionalmente devoto e rispettoso.

All’uscita del tempio, in questo coloratissimo quartiere, si snodano una quantità di bancarelle da cui è possibile acquistare ogni sorta di chincaglieria: catenelle e ciondoli per cellulari, oggetti raffiguranti Hello Kitty (assolutamente un must!), dolciumi, ombrelli, kimoni, ecc… Passeggiare per Nakamise Street è, davvero, divertente; adesso mi sento un personaggio di Kitano (il pluripremiato regista giapponese), è “l’estate di Kikujiro”.

Tento di assorbire gli odori della cucina giapponese e di fotografare ogni particolarità, così da portarmela in Italia; vorrei fermarmi ancora un po’, ma l’Hato bus ci attende per portarci (e lasciarci) nel famosissimo quartiere di Ginza! Ginza è il decantato quartiere dello shopping e dell’alta moda; ci sono grandi magazzini, boutiques e negozi elegantissimi.

Il passaggio da Asakusa a Ginza è breve (15 minuti), ma sembra di viaggiare nel tempo e di trovarsi catapultati nel futuro anteriore.

Ginza, infatti, è situato nel cuore della Tokyo moderna; le strade sono incorniciate da grattacieli, o da modernissimi palazzi di vetro.

I negozi non hanno nulla da invidiare alla Quinta Strada di New York e le catene di fast food sono presenti in ogni dove.

Facciamo un giro all’interno di un centro commerciale giusto per curiosare un po’ ma, prodotti artigianali a parte, ci rendiamo conto che la globalizzazione sta facendo passi da gigante annullando tutte le particolarità derivanti dalle differenti culture! Che orrore! Nel tentativo di ritemprare lo spirito, ci concediamo un pranzetto a base di sushi e sashimi, alla faccia di mr Mc Donald! Il resto del pomeriggio lo trascorriamo bighellonando finchè, esausti, facciamo ritorno in albergo, sperimentando la metropolitana.

A parte la mancanza di indicazioni in inglese sulla mappa, muoversi con la metro non è male; tuttavia, sappiate che contrariamente all’opinione comune, in Giappone pochissime persone parlano inglese (e quelle poche eccezioni sono di difficile comprensione a causa della pronuncia).

Dopo una breve pennichella, usciamo per la cena dirigendoci nel noto quartiere di ROPPONGI.

Questo quartiere, molto amato dagli occidentali, è il quartiere del divertimento: vi potete trovare diversi night club, locali ove potete cantare al karaoke, ristoranti dalle variegate cucine internazionali e sale di Patchinko (enormi sale giochi ove, musica e videogames si fonsoni in un tutt’uno).

Per la nostra cenetta romantica, noi scegliamo la TRATTORIA BELLINI: ordiniamo penne ai formaggi che, nonostante siano cucinate da un cuoco locale, sono davvero squisite; il ristorante, inoltre, riesce a ricreare l’italica atmosfera.

Soddisfatti e satolli, concludiamo la nostra lunga giornata con una passeggiata sotto le mille luci al neon di Tokyo.

FERRAGOSTO GIAPPONESE Dopo la débacle economica di ieri, andremo alla ricerca di qualche bar ove fare una colazione… diciamo meno impegnativa.

Prima bella sorpresa: oggi non c’è il sole! Seconda sorpresa: scoviamo un baretto locale specializzato nella preparazione di breakfast continentali; il cappuccio è da manuale e, tutto sommato, il prezzo è accessibile anche se ancora irragionevole (£.14.000)! Stamane si visita il quartiere di OMOTESANDO, la cui strada principale è considerata gli Champs Elysées di Tokyo, per i numerosi bei negozi che la costeggiano a destra e a manca.

Cammino con il naso rivolto verso l’alto dove cartelloni luminosi, televisioni dallo schermo gigante e poster galattici si susseguono ininterrottamente.

Per attraversare questo enorme stradone (5 corsie per senso di marcia), occorre utilizzare i cavalcavia, dai quali si può ammirare un fiume di automobili Toyota in corsa per le ordinarie incombenze.

Senza rendercene conto, arriviamo a SHIBUYA, con la sua piazza popolosa e la sua enorme cartellonistica! Shibuya è la zona della città preferita dai giovani, dove locali, negozietti di tendenza e tanta tecnologia fanno da padroni.

Mauro ed io ci sediamo ad ammirare questo spaccato di società: tutte le ragazze giapponesi (adolescenti o mature) usano scarpette con i tacchi, medi o vertiginosi, comunque sempre con i tacchi; indossano jeans con camicie dai colori improbabili, oppure gonnelline con calzini corti.

Hanno una passione smodata per la moda italiana, soprattutto per ciò che concerne gli accessori; portano le borse con la tradizionale stampa Gucci con qualunque tipo di abbigliamento, che indossino la tuta da ginnastica, la divisa da lavoro, o l’abito da sera.

Molte si tingono i capelli, ma la maggior parte usa pettinarsi con codini, treccine, ecc… Tutte, naturalmente, hanno telefonini tecnologicamente avanzati dai quali non si separano neanche alla toilette (posso testimoniarlo personalmente).

Gli stessi giapponesi dicono che dalla piazza della Shibuya Station transitano, prima o poi, tutti i giovani del Paese.

Mi piace questa bolgia, ha un che di primigenio! Dopo aver pranzato da Mr Donut, un fast food specializzato nella preparazione di piatti nipponici, ci dirigiamo al NATIONAL THEATRE di Tokyo.

Dacchè sono in Giappone, muoio dalla voglia di acquistare le tanto declamate bambole kokeshi, le bambole di legno, rappresentanti donne (senza braccia?!) in abiti tradizionali: Mauro ed io ritentiamo la sorte in quel di Asakusa. Dopo aver cambiato ben tre linee della metropolitana, arriviamo a destinazione.

Mentre cerco le bamboline di legno, ne approfitto per immortalare in belle fotografie quest’angolo di tradizione; improvvisamente la mia attenzione è attratta da un negozietto di robivecchi, o meglio una bottega colma di ogni genere di prodotto artigianale; in una stanzetta al piano superiore di questo negozio che è una vera chicca trovo: grammofoni, lampade, ceramiche finissime, suppellettili vari e finalmente individuo le bambole.

Prima di tornare in hotel per la cena, abbiamo ancora il tempo di fare una foto all’hotel progettato dal famoso architetto Philip Starck e alla sua rappresentativa fiamma dorata, nonchè alla porta scintoista.

Sono ormai le sette quando rientriamo al Shiba Park Hotel; stasera ceneremo al ristorante dell’albergo, perché l’indomani mattina la sveglia suonerà molto presto, lo Shinkansen –il treno super veloce- ci aspetta per condurci a Kyoto.

KYOTO 16 AGOSTO 2001 Scrivo, comodamente seduta su un tatami presso il Ryokan YACHIYO di Kyoto; io e il caro Vèz abbiamo concluso il rito dell’abluzione pubblica, un’antichissima usanza nipponica; si tratta di un bagno bollente in una vasca pubblica in cui ci si immerge completamente nudi, dopo essersi strofinati vigorosamente con sapone e acqua.

Siamo arrivati a Kyoto, alle tre del pomeriggio, dopo aver percorso la tratta Tokyo-Kyoto (circa 400 km) in 2h e 40 minuti.

Anche quest’oggi la calura è insopportabilmente afosa.

Il ryokan è una locanda giapponese ammobiliata secondo la tradizione: una camera da letto con futon e tatami, due bagni pubblici (uno per gli uomini e uno per le donne) e una dining-room comune.

Gli ospiti della locanda devono levarsi le scarpe e lasciarle all’ingresso a favore di ciabatte di pelle morbidissime e comodissime, se non fosse che sono enormi.

A disposizione degli ospiti c’è, inoltre, uno yukata (il kimono da casa di cotone); non mi sembra vero! Potrò indossare un kimono! Anche perché di comprarne uno di seta, visti i prezzi, non se ne parla ! Appena giunti in camera io e Mauro abbiamo abbandonato i vestiti e ci siamo diretti al bagno pubblico; so (l’ho letto sulla mia guida Fodor’s) che l’acqua è inizialmente caldissima, ma questa sensazione viene avvertita solo per pochi minuti, poi il corpo si abitua e ne trae sommi benefici purificativi.

Saluto il mio fidanzato e mi accingo ad immergermi nella vasca; fortunatamente sono l’unica, perciò mi metto in libertà senza imbarazzo.

Dopo 10 minuti, l’acqua bollente non accenna ad essere più sopportabile, ma resisto pensando al benessere che ne trarrò; dopo 20 minuti la temperatura mi sembra ancora alta e inizio a vedere ovunque puntini neri… Mi si è abbassata la pressione e se non esco subito rischio di lasciarci le penne.

Torno in camera, dove trovo Mauro che ha vissuto la medesima esperienza.

Alle 19.00 una geisha (che poi scoprirò essere “la nostra” geisha) vestita di un bellissimo kimono di seta color blu cina ci avvisa che la cena è servita.

Mi guardo attorno ed ammiro la cornice di un momento perfetto. Il tavolo è imbandito di ogni ben di Dio, in sottofondo c’è una musica dolcissima e, dulcis in fundo, innanzi ai nostri occhi si staglia un giardino nipponico di indescrivibile bellezza.

Gusto ogni pietanza, felice ed incredula di trovarmi in un simile atmosfera, qualcosa a metà tra il cartone animato di Kiss me Licia e i racconti di Haruki Murakami; comunque un mondo talmente bello da sembrare irreale.

Assaggio ogni prelibatezza, di sushi e sashimi sono abbastanza esperta, ma di alghe chiedo addirittura, il bis lasciando basìto il mio fidanzato non uso a vedermi “gastronomicamente” audace; Confesso di essere piuttosto pittima, una sorta di Meg Ryan nel film “Harry, ti presento Sally! Quando torniamo in camera un paio d’ore (e di saké) più tardi troviamo sulla soglia una lanterna illuminata e personalizzata (ci sono i nostri nomi scritti in italiano e in giapponese), il futon già srotolato, ‘Notte Kyoto… 17 AGOSTO 2001 Sveglia alle 7.30, ennesima levataccia! Dopo aver fatto colazione a base di sushi, riso di soia, tofu e thè verde servitoci nel classico BENTO, una scatola in cui ogni cibo ha il proprio spazio (ho scoperto che per la cultura jap, è di fondamentale importanza decorare il piatto, quindi in ogni pasto il cibo è servito in un modo assolutamente studiato, perché oltre che buono deve essere bello alla vista…).

Io ero una sostenitrice della cucina giapponese, ma il pesce crudo di prima mattina, per quanto radical chic, mi fa venire la nausea… In programma per oggi c’è il trasferimento nel nuovo hotel, il NEW MIYAKO HOTEL, dal momento che non potevamo permetterci due notti in locanda –per inciso, una notte in un ryokan , per due persone, costa circa un milione delle vecchie lire!- e una visita organizzata chiamata Kyoto morning.

Prima tappa: CASTELLO NIJOJO Il castello fu la sede dello shogunato dei Tokugawa; la nostra guida, un donnino di un metro e cinquanta, parla un inglese abbastanza comprensibile; non riesco ad attribuirle un’ età, direi che potrebbe avere dai 40 ai 50 anni.

E’ truccata di tutto punto a dispetto dei 38 gradi di oggi; sento le gocce di sudore corrermi lungo la schiena, quest’umidità mi consuma.

Devo ammettere che ho “cannato” look alla grande! Mi sono intestardita nel voler indossare il mio top nero e rosa, con paillettes (nonostante il caro Vèz, abbia tentato di farmi desistere) che tra tutti i miei abiti è quello meno traspirante; è che s’abbina meravigliosamente con i pantaloni neri.

Il gruppo di cui facciamo parte è multietnico: c’è una signora de Paris (una civettuola che passa tutto il tempo a berciare), una famiglia messicana, una coppia argentina, diversi americani (secondo me di uno stato tipo Minnesota) e due amici inglesi (uno dei quali porta un parrucchino inquietante).

Tutti comunichiamo in inglese, poi ciascuno si rivolge ai suoi nella madrelingua.

Quel che ne esce è una sorta di Babele moderna.

Da qui, dopo un’ora ci spostiamo al tempio KINKAKUJI, più noto come GOLDEN PAVILLION.

Trattasi di un tempio tutto d’oro, costruito nel 1474 dallo shogun Yoshimasa Ashikaga, consta di tre piani e ogni piano è stato costruito nel rispetto di un differente stile architettonico.

La prossima tappa è il PALAZZO IMPERIALE (pare che l’imperatore abbia un proprio palazzo in ogni città del paese).

La mia mente è annebbiata dal caldo e non riesco a percepire le parole del donnino che non si scompone neanche con questa canicola, mentre io mi sto letteralmente squagliando.

Mi fa tenerezza, ma ha una resistenza davvero invidiabile; gli altri turisti, invece, si sforzano di non soccombere al caldo.

Fortunatamente la prossima e ultima tappa è un centro commerciale: Noi abbandoniamo il gruppo alle proprie scorribande consumistiche e ci sediamo su una panchina a sorseggiarci un’aranciata.

Per il pomeriggi il programma prevede una visita al cosiddetto “angolo di GION”, un quartiere ove dovrebbero incontrarsi facilmente geishe e maiko (una sorta di apprendiste, di matricole).

Gion è bellissima; è la zona degli artisti e dei musici.

Passeggiamo sperando di incontrare giovani geishe (a me piacerebbe fare una foto con una di loro), ma l’impresa non si rivela facile.

Dal momento che non intendiamo cenare, entriamo in uno Sturbuck’s per un cappuccino ; quale sorpresa nel vedere comodamente sedute a chiacchierare quattro geishe vestite con preziosi kimono di seta, dai colori vivaci Ai piedi calzano i classici infradito in legno, i capelli sono raccolti e finemente adornati con perline e il volto è imbellettato secondo la tradizione del Paese.

Quanto vorrei, per una sera soltanto, indossare questo magnifico costume! A confronto, i miei sandali Miu Miu e la gonna mirtillo di cui sono tanto orgogliosa sembrano straccetti da quattro soldi! 18 AGOSTO 2001 Stamane al risveglio mi sono accorta di aver dimenticato al ryokan i miei mitici pantaloni bianchi.

Dopo aver ribaltato la valigia nella speranza di trovarli, devo rassegnarmi all’idea che se li voglio rivedere, devo tornare alla locanda.

Mauro mi dice di non preoccuparmi, però in questo modo perderemo un po’ di tempo e dovremo riadattare il programma della giornata: per prima cosa andremo alla stazione ad acquistare i biglietti per trasferirci da Kyoto ad Osaka, poi capatina in taxi al ryokan, infine angolo di Gion.

La visita diurna, infatti, è destinata al teatro ove si effettuano le rappresentazioni kabuki.

Percorrendo il viale principale ammiro tutti i negozi e mi innamoro follemente di uno che vende infradito giap, simili a quelle che indossavano ieri sera le geishe di Starbuck’s.

Ne comprerò un paio, sarà il mio souvenir from Japan; entro nel negozio (una vera e propria boutique degli zoccoli,) e immediatamente faccio la mia scelta: di legno chiaro, con la tomaia, voglio dire…La parte in stoffa rosa (sono da sempre una pink lady); li indosso e sorprendentemente sono di una comodità insospettabile.

L’unico punto dolente è, ancora una volta, il prezzo: infatti, costano la bellezza di 7.665 Yen (circa 65.000 delle vecchie care lire)! Va beh! Crepi l’avarizia! Dopotutto quale migliore tributo per una proveniente, come me, dalla città dell’albero degli zoccoli? Alle 13.40 c’è l’ultimo tour prenotato dall’Italia: NARA.

Nara è una località nelle dirette vicinanze di Kyoto; la gita prevede la visita al TODAIJI TEMPLE e al suo famosissimo DEER PARK, un parco dove circolano liberamente oltre mille daini.

Io non ho mai visto un daino in tutta la mia vita! Il tempio Todaiji è la costruzione in legno più grande al mondo; il tempio, però, è famoso per il DAIBUTSU , la statua del Buddha alta più di 16 metri.

Al termine della visita ci spostiamo verso lo KASUGA SHRINE: Kondo, la nostra guida, ci spiega i rituali della preghiera alla divinità: bisogna fare due inchini, battere le mani due volte (per attirare l’attenzione del dio, casomai fosse distratto…), pronunciare la propria omelia e, infine, salutare con un inchino.

Naturalmente, l’offerta è gradita.

19 AGOSTO 2001 EPILOGO Il mio viaggio, finisce qui; stamane partiremo dal magnifico aeroporto Kansai di Osaka (progettato dal nostro grande Renzo Piano) alla volta dell’west.

Indubbiamente, la cultura giapponese è di grande interesse: vuoi perché lontana e sconosciuta, vuoi perché profondamente diversa da quella che conosciamo.

Questo Paese val bene un viaggio; tuttavia, se posso permettermi di dare consigli, suggerirei di evitare la stagione calda (in particolare i mesi di luglio e di agosto), perché l’umidità e l’afa potrebbero guastarvi il soggiorno(siamo pur sempre in Asia!).

Inoltre, una pianificazione degli spostamenti e una preparazione sulla cultura (a parte quella cinematografica, io devo riconoscere di non essermi troppo documentata) del Giappone vi permetteranno di assaporare al meglio il viaggio.

Infine, potendo permettervelo, non trascurate Hiroshima e Nagasaki (per me questo è il rammarico più grande); un tributo ai musei di quell’orrore insuperato che fu la bomba atomica mi pare assolutamente doveroso.

FINE Susanna



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