Le meraviglie delle valli bergamasche
Poco dopo il panificio, in località Forno Allione, inizia la terribile e al contempo spettacolare strada provinciale SP294 nel tratto del passo Vivione, che mette in comunicazione la valle Camonica alla VAL DI SCALVE. Gli aggettivi usati per descriverla posseggono significati opposti e pare strano possano indicare lo stesso percorso, e invece calzano a pennello. La carrozzabile è strettissima, ci passa a malapena una macchina di media grandezza, è senza parapetti e con tratti a strapiombo sulla pineta ripida, è un susseguirsi di curve cieche e la vegetazione non tagliata sui bordi ne rende ancora più complicata la transitabilità. Anni fa l’ho percorsa sia con la bici da corsa che in moto e in entrambi i casi non avevo avuto la sensazione di poter cadere di sotto, o di schiantarmi, da un momento all’altro. Ma si sa, le due ruote, motorizzate o no, occupano molto meno spazio e offrono una libertà che nessun’auto potrà mai eguagliare. Con la punta delle dita si può quasi sfiorare le fronde dei pini. In effetti gran parte del percorso è inghiottito dalla pineta, fatta eccezione per l’ultima frazione, quando i pascoli di alta montagna prendono il sopravvento. Venti chilometri così sembrano un vero incubo eppure volano via veloci. Forse perché in vacanza non pesa nulla. L’altezza del valico non è strabiliante, solo 1827 metri di quota, ma di alberi se ne vedono ben pochi e sono sparsi qua e là. In compenso c’è un laghetto sulla cui superficie si specchiano i rilievi circostanti creando un effetto molto fascinoso e una serie di installazioni in legno, comprese panchine e tavoli, che interrompono il verde del paesaggio. Zaino in spalla compiamo una breve escursione pianeggiante di circa mezz’ora per raggiungere il torrente dopo la malga Gaffione, in direzione dei laghetti delle valli, dove il nostro Leonardo di quattro anni può divertirsi con acqua e sassi e insieme possiamo pranzare al sacco con le prelibatezze acquistate in mattinata.
Il tratto in discesa del passo, di circa dieci chilometri, per arrivare alla nota località turistica di SCHILPARIO, a 1135 metri s.l.m., è leggermente migliore dal punto di vista della viabilità e offre vedute molto più ampie. Lo scorcio idilliaco sul gruppo dolomitico dei Campelli, con vette rocciose molto simili alle famosissime ‘sorelle’ del Trentino Alto Adige ci imbambola gli occhi. D’altronde davanti a una tale bellezza, comparsa inaspettatamente dietro un tornante, non può essere altrimenti. Di certo meriterebbe l’escursione al rifugio Campione, posizionato ai piedi delle dolomiti bergamasche. Purtroppo non ne abbiamo il tempo e giunti al termine della strada del Vivione passiamo da una parte all’altra del paese per lasciare la macchina all’inizio del sentiero per la cascata del Vò. Il tragitto in lieve salita di circa venti minuti zigzaga in una pineta splendida e pulita da rami e arbusti. Pare quella delle fiabe. La frescura del torrente che scorre poco più in basso si insinua fra i tronchi creando un sottobosco umido e verde. Poi il fragore dell’acqua che salta oltre la roccia per venticinque metri prepara gli occhi alla visione che dopo pochi passi ci si trova davanti. Gli spruzzi freddi pungono la pelle e inebriano i sensi. Non la annovero tra le cascate più spettacolari che ho avuto la fortuna di ammirare tuttavia è piacevole, intima ed è la pineta in cui è immersa a renderla particolare. Appena prima sorgono i resti di una regrana, una costruzione in sasso utilizzata in passato per il processo di torrefazione, ovvero la trasformazione della siderite in ossido di ferro, minerale che nel suo stadio iniziale veniva estratto nelle miniere della zona.
Ed è appunto uno di questi luoghi la nostra prossima meta. L’ingresso alla miniera Gaffione si trova a una manciata di chilometri da Schilpario, all’inizio della salita per il Vivione. A causa dell’emergenza Covid-19 bisogna prenotare l’orario d’ingresso e presentarsi almeno dieci/quindici minuti prima per avere il tempo di acquistare il biglietto e soprattutto per indossare abbigliamento pesante e comodo. All’interno infatti la temperatura si aggira intorno ai 7° Celsius e l’umidità supera il 95%, inoltre gli spifferi d’aria incanalata nei tunnel peggiora la percezione di freddo. Consiglio quindi di calzare scarponcini per camminare comodamente fra sassi e pozze d’acqua e di infilarsi felpa e giacca invernali. I caschetti vengono distribuiti dal personale. Vi assicuro che superata l’ora di permanenza in miniera (la durata totale della visita è di un’ora e mezza) desidererete di esservi vestiti ancora di più! Gelo a parte, l’esplorazione del luogo inizia sui vagoni di un trenino che si addentra nella roccia per 200 metri, dopodiché si deve scendere e seguire le indicazioni della guida in un percorso a piedi sotterraneo con un dislivello in discesa di 30 metri e 2,5 chilometri di lunghezza. Sembrano molti ma in realtà non sono nulla rispetto ai 60 km esistenti. La nostra accompagnatrice, molto brava, simpatica ed esperta, ci spalanca la porta, metaforicamente parlando, su un mondo a noi sconosciuto, alternando tratti di camminata a momenti di sosta nei punti più interessanti per elargire le spiegazioni. Si comincia con la storia delle miniere e al come venivano individuate le vene del minerale in superficie, per proseguire con i metodi di scavo delle stesse e il passaggio da quelli manuali all’avvento delle grandi industrie siderurgiche di estrazione del ferro come la Falck. Utensili e fotografie d’epoca arricchiscono la visita. Fra queste mi colpisce il viso del fuochino, colui che utilizzava la dinamite, e l’immagine che immortala i minatori con un paio di bambini piccoli, 7 e 8 anni. Erano usati come ‘animali da soma’ per trasportare in superficie il minerale in piccole gerle pesanti 20 chilogrammi e oltre sulla schiena, arrampicandosi in cunicoli verticali e scivolosi. Questo è accaduto fino agli anni ’40: pazzesco. Incredibile pure la purezza dei fiumi sotterranei e i colori delle rocce.
Dopo essere rimasti al freddo e nella parziale oscurità per un’ora e mezza la sensazione che si prova tornando all’esterno, e si viene investiti dalla luce e dal calore del sole, è di liberazione. Pare impossibile che degli uomini potessero lavorare in quelle condizioni per 8 ore al giorno, 6 giorni la settimana, senza alcuna tutela né protezioni, o comunque con pochi di essi conquistati a seguito degli scioperi della seconda metà del ‘900.
La miniera di Gaffione è per noi un’incredibile scoperta, la prima nel suo genere che visitiamo, e la consiglio assolutamente.
Passiamo dalle viscere della terra alle pinete che lambiscono Schilpario dove uno spazio ampio ospita dei parchi giochi perfetti per Leonardo. Poi una cena al ristorante pizzeria Capriolo, immerso nel bosco, dall’ottimo rapporto qualità prezzo, con porzioni abbondanti e terrazze per mangiare all’esterno. Concludiamo la serata con un giro per le vie del paese che, devo ammettere, non mi ha colpito particolarmente. Rimaniamo sorpresi invece dall’oratorio aperto a tutti con gonfiabile, saltarello, calcetto, ping pong, baretto e sala comune dove poter svolgere giochi di società, leggere o soltanto sedersi a chiacchierare.
Domenica mattina ci svegliamo all’hotel ristorante Scanapà, situato 3,5 chilometri oltre il passo della Presolana (punto di giunzione tra la val di Scalve e la VAL SERIANA) proprio lungo la strada statale e distante 20 km da Schilpario. La posizione è strategica e facile da trovare, l’albergo tre stelle propone camere e bagni rinnovati da poco, il personale è molto gentile e la colazione è varia e abbondante nonostante le nuove disposizioni sanitarie causate dal coronavirus abbiano imposto l’eliminazione del buffet. Al suo posto c’è n’è uno ‘viaggiante’ così mi piace definirlo, ovvero un carrello colmo di torte, brioches, marmellate e molto altro spinto a turno dai camerieri. In conclusione, se dovessimo tornare in zona terremo di nuovo in considerazione questa struttura.
Leonardo attende impaziente di raggiungere Donico, la località a un paio di chilometri che ospita in mezzo a un grande prato in pendenza la pista di bob estivo, la discesa con i gommoni, i tappeti elastici, scivolo, altalene e molto spazio per giocare a pallone. E’ il paradiso dei bambini ai piedi dell’imponente gruppo calcareo della Presolana. Per informazioni su orari e prezzi consultate il sito internet: .
La mattina vola via tra un gioco e l’altro e all’ora di pranzo, su consiglio di una coppia il cui bimbo si è divertito assieme a Leonardo, guidiamo per una ventina di minuti fino a Colle Vareno. La piccola località turistica situata lungo le pendici del monte Pora offre ai più piccoli un parco giochi prospiciente al laghetto con tanto di anatre e l’attrazione del ‘bosco incantato’. Il sentiero si sviluppa quasi completamente in piano, fatta eccezione per il segmento iniziale in salita, tra il bosco e il prato. Camminando i bambini scoprono le sculture in legno di animali e personaggi stravaganti con tanto di leggende nate e tramandate nel territorio. La lunghezza di 2,5 km lo rende percorribile in un’ora, noi però vi trascorriamo molto meno tempo perché l’interesse di nostro figlio si esaurisce dopo le prime tre statue. Non perché non sia interessante ma per colpa dell’impazienza di Leonardo di raggiungere il rifugio per la merenda. L’obiettivo del pomeriggio è infatti quello di scarpinare sul Pora. La carrozzabile si conclude in Malga Alta di Sotto dopo nemmeno 3 chilometri, qui bisogna scendere dalla macchina e superare il dislivello di 150 metri in salita arrancando sulle piste da sci. La fatica è compensata dalle vedute sul maestoso gruppo della Presolana, alle nostre spalle, poi si tira il fiato per proseguire su un sentiero al limitare della pineta in località Pian della Palù che, come fa intuire il nome, è un pianoro vasto ed erboso. Il paesaggio è molto diverso da quello valtellinese, le cui montagne si innalzano le une vicinissime alle altre e custodiscono ghiacciai e picchi innevati. Qui gli occhi possono scrutare per chilometri l’orizzonte fino a scorgere, pochi passi più su, le vette più alte d’Italia. A volte sentiamo il bisogno di stimolare la mente con paesaggi nuovi, diversi, fantastici. Il rifugio Magnolini si vede da lontano, a 1610 metri di quota, circondato dall’erba già sfumata di giallo e ci entriamo dopo quaranta minuti scarsi, complessivi, di camminata. Lascio marito e figlio a divorare il primo un panino con la salamella e il secondo un gelato, per salire al Monte Alto. La cima arrotondata a 1720 metri di altitudine si raggiunge in un quarto d’ora di passo spedito grazie a una striscia di terra scavata nei pascoli, priva di difficoltà e pure di alberi. Se il luogo non colpisce di certo per la vegetazione, lascia senza fiato per il panorama meraviglioso sul lago d’Iseo, la bassa valle Camonica, il comprensorio del Pora e della Presolana e la catena delle Alpi in lontananza.
Il viaggio tra queste montagne non delude le nostre aspettative e una volta tornati al valico della Presolana scopriamo un altro gioiello: il salto degli sposi. Cinque minuti di cammino dal posteggio nei pressi del valico conducono a un balcone roccioso naturale a sbalzo sulla stretta via Mala, il tratto di valle percorso dal fiume Dezzo fino a Darfo Boario Terme, il caratteristico cono della Corna Mozza e la riserva naturale dei boschi del Giovetto. Leggenda vuole che due giovani polacchi, il compositore Massimiliano Prihoida e la pittrice Anna Stareat, trasferitisi qui perché conquistati dall’amenità del luogo, si suicidarono lanciandosi nel vuoto e vennero ritrovati abbracciati nel bosco sottostante. Il motivo del gesto non venne mai spiegato ma forse è romantico pensare che lo abbiano compiuto per sancire il loro amore in eterno.
Ci prepariamo ad ammirare l’ultima bellezza naturale del weekend e per farlo guidiamo sui tornanti in discesa del passo verso Schilpario per incrociare, e imboccare, la strada provinciale SP294 della VAL DI SCALVE. Man mano che la si percorre in direzione di Darfo i fianchi delle montagne si avvicinano e divengono sempre più ripidi e scoscesi. Poi, alla fine di una galleria, in corrispondenza della ex casa Cantoniera ristrutturata e riconvertita in infopoint e caffetteria, un ammasso di auto posteggiate indica l’avvio del pezzo meglio tenuto della via Mala. Purtroppo non riuscendo a trovare parcheggio diamo solo un rapido sguardo al baratro sottostante. Pochi secondi che ci lasciano senza fiato. Certo bisognerebbe avere il tempo di poggiare i piedi sui sassi già calpestati dagli antichi romani e di sfidare il senso di vertigine per scendere sino al fiume per guardare in alto e subire la sensazione che i monti stiano per caderci addosso. Il verde scuro di una fitta vegetazione abbraccia il grigio dei sassi senza arrivare a lambire il fluire nervoso del torrente. Lo immortaliamo nella mente così, ma ci torneremo per esplorarlo meglio. Intanto capiamo il motivo del nome Mala che deriva dal fatto di essere un percorso difficile e disagiato, con precipizi e passaggi pericolosi, chi lo percorreva poteva ferirsi o addirittura morire.
Dopo aver visto la via Mala e la miniera Gaffione ed essermi resa conto dei rischi e delle fatiche degli uomini di un tempo non mi lamenterò più di dover fare le scale a piedi se si rompe l’ascensore!
A fine giornata da Darfo Boario Terme risaliamo la valle Camonica per oltrepassare il passo dell’Aprica e tornare a Sondrio dopo un fine settimana trascorso tra le meraviglie delle vallate bergamasche, felici per aver vissuto senza ressa la montagna e aver scoperto cosa si cela sotto di essa.