Laos, Missione compiuta!
La meta è dall’altra parte del mondo, nella Repubblica Democratica del Popolo del Lao.
Appuntamento a Bangkok alle 15:00 del 15 agosto alla guest house che abbiamo individuato in Khao San road.
La nostra meta è il nord del Laos, in particolare la riserva naturale Nam Ha, vicino alla cittadina di Louang Nam Tha. A parte il biglietto aereo, rigorosamente acquistato on-line, non prenotiamo nulla. Vogliamo l’avventura? E che avventura sia! Io partirò da Milano e lui da Shanghai, nostre rispettive città di residenza.
1° giorno – 16 Agosto Parto da Malpensa alle 17:45 con un volo Turkish Airlines, che dopo un breve scalo a Istanbul mi porta a Bangkok alle 13:00 ora locale (5 ore di fuso in avanti rispetto all’Italia).
La prima lezione che la Thailandia mi impartisce è che bisogna temere il gelo causato dall’aria condizionata dei mezzi di trasporto almeno quanto il caldo umidissimo del Paese.
Arrivo e incontro subito Francesco, arrivato la notte prima, vicino alla guest house dove trascorreremo la notte. Un caloroso abbraccio tra due fratelli che non si vedono da un anno, doccia e si parte subito con l’organizzazione; ci sarà tempo per raccontarci le nostre vite durante il viaggio! Il giorno dopo, la nostra meta è Chiang Kong, nel nord della Thailandia, al confine con il Laos. Chiediamo un po’ in giro e ci dicono che ci sono degli autobus dalla stazione nord dei pullman, quindi decidiamo di andarci subito per essere sicuri di trovare posto. Prenotiamo quindi l’autobus di linea per Chiang Kong, evitando accuratamente i fantomatici bus VIP: Partenza prevista intorno alle 8:00 per un viaggio di circa 10 ore; costo del biglietto, 10 € circa. Da considerare che in Thailandia, ed a maggior ragione in Laos, gli orari dei mezzi di trasporto sono a dir poco orientativi… può capitare che tra l’orario teorico di partenza e quello effettivo passi anche più di un’ora!!! Attratti dalla vivacità della stazione, che comprende anche una sorta di mercato con l’inevitabile appendice di banchetti e ristorantini, e sollecitati dalla fame, ceniamo lì, inscenando un primo “scambio di vedute” su questioni di politica internazionale. 2° giorno – 17 Agosto Alle 7:30, per sicurezza, siamo alla stazione nord, in corrispondenza del parcheggio da dove partirà, oltre un’ora dopo, il nostro autobus per Chiang Kong. L’autobus, pur non rientrando nella categoria VIP, è molto confortevole, con la solita aria condizionata pesantissima (ed infatti è dotato di copertina di lana, alla faccia dello spreco energetico!!!), e ci consente un robusto recupero di sonno.
Il paesaggio è sempre più ricco di vegetazione folta, anche se rimane sempre pianeggiante. Arriviamo a Chiang Kong alle 20:20 e abbiamo la netta sensazione che in quel momento stia cominciando la nostra avventura. Il paese è un minuscolo gruppo di case e strade male asfaltate che ci accoglie minacciosamente in un buio pesto. Troviamo un’indicazione per una guest house con una mappa abbozzata della cittadina. Ci incamminiamo fiduciosi ed alla fine arriviamo in una bella guest house suggestivamente posizionata proprio sulla riva ovest del Mekong. Fortunatamente incrociamo l’ultima stanza disponibile, con terrazzino sul fiume. La guest house, infatti, come scopriamo a cena, è molto frequentata da viaggiatori in attesa di attraversare il confine col Laos. Gustiamo un’ottima cena a base di cucina tipica thailandese e birra fredda, chiacchierando con la proprietaria, che ci allarma sulle condizioni sanitarie del Laos. Si parla di malaria, di febbre gialla e di malattia dei piedi di elefante, che pare sia molto diffusa nei villaggi interni. 3° giorno – 18 Agosto Ci svegliamo presto per i rumori della vita che si rianima lungo il Mekong. Oggi entreremo anche noi a far parte di quella vita, quando attraverseremo il fiume con decine di altri viaggiatori diretti in Laos. Colazione a base di uova strapazzate con pomodoro e cipolla ed un bel piatto di ananas e banane (1 €). La proprietaria della guest house ci porta col fuoristrada al punto d’imbarco per l’attraversamento del confine. Dopo le formalità doganali per l’uscita dalla Thailandia, attraversiamo il fiume su una lunga e leggera barca. Dopo cinque minuti si è a Houysai, Laos, dove serve circa un’ora complessiva per ottenere il visto turistico di 15 giorni, del costo pari a 35 dollari, oppure 1.500 bath (30 euro).
Troviamo un pulmino per Louang Nam Tha: 500 bath (10 €), in Kip ci sarebbe costato l’equivalente di 6 euro.
Il tragitto, che condividiamo con due coppie di francesi, è durato tre ore e mezzo, tre ore e mezzo di curve drammatiche per i nostri stomaci, ma soprattutto per quelli ben più deboli dei laotiani, che saltuariamente salivano per brevi passaggi, e vomitavano regolarmente dopo cinque minuti di strada! L’usuale pausa ristoro ci consente di fare il primo incontro con l’ambiente che impareremo a conoscere bene nei giorni successivi. Il piccolo villaggio dove sostiamo ci sembra un luogo fuori dal mondo… ma è solo l’inizio! I bambini ci guardano con un misto di curiosità e timore; le condizioni igieniche sono, come dire, approssimative; il caldo è crudele, ma la natura circostante imperiosa.
Una volta arrivati a Louang Nam Tha ci dirigiamo alla Boat Landing Guest House, una guest house molto pubblicizzata, con un bel sito internet e punto di partenza per tante esperienze di rafting, trekking e kayaking. Dopo esserci sistemati, decidiamo di andare in città. Il tuk tuk ci lascia di fronte al “Night Market”, nome pretenzioso per definire un mercatino alimentare composto da una serie di banchetti e di tavoli per consumare i pasti..
Proprio all’interno del mercato si trova l’agenzia turistica pubblica, che, sebbene evidentemente meno “professionale” ed organizzata della Green Discovery, offre percorsi di trekking molto simili a prezzi decisamente inferiori; tra l’altro ci sembra un ambiente più genuino e simpatico. Optiamo per un trekking di tre giorni nella giungla, con pernottamenti in villaggi abitati da alcune minoranze etniche locali: 50 € compreso cibo ed acqua per i tre giorni.
4° giorno – 19 Agosto Sveglia alle 6,30, prepariamo lo zaino per i tre giorni di trekking e ci concediamo una ricca colazione per affrontare lo sforzo fisico che ci attende. Alle 8:30 siamo puntualissimi all’ingresso dell’agenzia, dove troviamo ad attenderci la nostra guida locale, Noy, ed il suo aiutante, May.
Siamo in sei: io, Francesco, una coppia di australiani ed un’altra coppia di israeliani. Dopo una breve spiegazione dell’itinerario e del programma per i prossimi giorni saliamo tutti in tuk tuk e ci fermiamo al mercato (quello vero, posto alla periferia settentrionale della città) per fare la spesa. Già la sosta al mercato vale una parte del prezzo pagato. Splendido, coloratissimo e vivacissimo, pieno di cibi improbabili e lontanissimo dalla nostra idea di mercato… odore terrificante e condizioni igieniche raccappriccianti! Sulla parte retrostante vendono anche generi vari e vestiario… Francesco ha un’illuminazione ed acquista un rotolo di carta igienica. Non finirò mai di ringraziarlo per quell’acquisto! Torniamo al tuk tuk e dopo 20 minuti circa di strada siamo al punto di partenza, il villaggio di Huay Dam, abitato dai Khmu, terza etnia più grande del Laos, a cui appartiene anche Noy. Ci accoglie e ci osserva mentre cominciamo l’”ascesa” la solita folla di bambini timidi e sorridenti. Qualche informazione sull’abbigliamento adatto: bisogna tener presente che durante il trekking nella giungla ci saranno zanzare, api, insetti vari, serpenti, sanguisughe ecc. Per cui, come consigliano le guide, è bene vestirsi con magliette a maniche lunghe e pantaloni lunghi, scarpe da trekking e calzettoni doppi magari da mettere sopra i pantaloni; cappello obbligatorio, protezione solare e repellente per insetti. Francesco esagera e, dal momento che non ha portato magliette a manica lunga, scala con un’elegantissima camicia bianca, stile Lawrence d’Arabia. Shlom, l’israeliano, tra la costernazione di tutti, sale in ciabatte da trekking aperte! La camminata è faticosissima, sia per le pendenze, in alcuni punti molto aspre, sia per l’umidità soffocante. Qui il terreno è spesso ricoperto di fango e scivolosissimo, oltre che pieno di rami e molto stretto. Ci sono dei punti in cui affondiamo nel fango fino a metà stinco, per la gioia di Shlom! Proseguiamo tra una fitta vegetazione e degli sporadici scorci nelle vallate circostanti. Dopo tre ore circa ci fermiamo finalmente per mangiare. Il pranzo viene “servito” da Noy e May in una piccola radura nella foresta su delle ampie foglie di banano stese per terra. Mangiamo, rigorosamente buttati a terra e con le mani, con voracità degna di una squadra trekkers! La sensazione di vivere in maniera essenziale, senza orpelli, artifici, ma pensando solo all’essenziale è per me nuova e magnifica.
Lungo la strada l’instancabile Noy si ferma spesso per mostrarci alcune piante particolari, tra cui dei grossi funghi che raccoglie e che, promette, entreranno a far parte della nostra cena. Intorno alle 17:00, quando siamo veramente esausti, Noy ci annuncia che alla fine della ripidissima discesa davanti a noi si trova Nam Kae Noi, punto finale della scarpinata di 13 chilometri del primo giorno.
Il villaggio è abitato dalle genti Lenten, piccola minoranza etnica sparsa tra il nord del Laos, il nord est della Thailandia ed il sud della Cina. I Lenten hanno abiti caratteristici totalmente blu, ornati da corde e collane marroncine; le donne sposate si tagliano le sopracciglie e tutte le donne adulte portano rigide fasciature bianche sulla parte inferiore delle gambe. Il villaggio è molto animato e costeggia una stretta strada sterrata. Una quarantina di capanne di legno si estendono tra la strada ed il fiume, mentre una scuola cofinanziata dall’Unione Europea chiude il villaggio nella zona settentrionale. Oltre ad un centinaio abbondante di abitanti vi sono maiali, galline e cani che scorazzano allegramente in giro, liberi anche di entrare nelle capanne.
Dobbiamo lavarci e lavare i vestiti, e l’unico modo, ci fa notare Noy, è scendere al fiume per espletare entrambe le incombenze. Già il colore marrone del corso d’acqua non è che ci incoraggi particolarmente… ma il fatto che il fiume venga usato per sciacquarci le viscere e la testa di un maiale, ci obbliga quanto meno ad attendere la fine delle operazioni. Al termine, ci tuffiamo e… bè, devo ammettere che è stato un bagno molto molto bello!!! Tornati al villaggio proviamo a socializzare con i numerosissimi bambini. Ci avviciniamo con circospezione e capiamo che mostrare le foto sul display della macchina fotografica catalizza l’attenzione. Ancora meglio coinvolgerli nello scattare le fotografie! Quando poi Roy capisce che può giocare a darmi pugni sulle braccia con tutta la forza che vuole, è l’apoteosi dell’allegria! Ceniamo vicino alla capanna principale in compagnia di un rappresentante del villaggio, che, alla fine del pasto, ci tiene a sapere qualcosa in più su di noi. Chiacchieriamo e fumiamo per un’oretta ed alla fine facciamo due giri di un liquore locale, dal sapore forte ed intenso.
Alla fine Noy ci accompagna nelle rispettive capanne. A me e Francesco ne capita una abbastanza grande, sul lato meridionale del villaggio. Ci sistemiamo su delle assi di legno ricoperte da teli, e condividiamo la casa con altre quattro o cinque persone.
Ci addormentiamo, increduli su quello che stiamo vivendo, nel sommesso bagliore di un fuoco che va spegnendosi, tra i fortissimi colpi di tosse della vecchia accanto a Francesco ed il via vai di gente che continua ad entrare e uscire. Durante la notte, in cui spesso ci svegliamo, continuiamo a vedere movimenti, come se la vita del villaggio non si fermasse neanche di notte… si continuano ad accendere fuochi e una donna allatta il proprio bambino.
5° giorno – 20 Agosto Ci svegliamo alle 7:00 in punto. Noy e May sono già all’opera per preparare un’abbondante colazione che, non abbiamo dubbi, ci servirà per la giornata di trekking. Partiamo alle nove, lasciando una Nam Kae Noi in piena attività.
Ci inoltriamo nella giungla, in una strada in continua salita. Proseguiamo tra salite e discese continue, tormentati dal caldo umido, ma estasiati da paesaggi incantevoli, tra vallate, campi di risaie e aguzze montagne, che ci si rivelano spesso all’improvviso quando usciamo dal folto della foresta. Come il giorno prima, ci fermiamo a mangiare nella foresta e nel pomeriggio facciamo in tempo ad incrociare un cobra (Noy ci dirà più tardi che il suo morso uccide in tre ore!) ed un altro serpente velenoso più piccolo. Intorno alle 17:00 arriviamo, anche oggi esausti dopo aver percorso 17 chilometri, a Sarmyord May, villaggio abitato dall’etnia Hmong. Questa volta siamo in un villaggio completamente isolato, accessibile esclusivamente tramite alcuni sentieri che attraversano la foresta. May mi dice che per arrivare al villaggio più vicino ci vuole almeno 1 ora e mezzo di cammino. Il villaggio si estende sul fianco di una collina, con una notevole pendenza, e si sviluppa in modo irregolare intorno ad una sorta di spiazzo centrale, utilizzato come punto di riunione. Ci sistemiamo in una capanna sopraelevata nella parte più alta del villaggio.
Per “lavarci” dobbiamo scendere verso il fiumiciattolo, dove c’è una semplice struttura in legno che produce una piccola cascata d’acqua gelida. Ci affianchiamo alle ragazze (e bambine) del villaggio, impegnatissime a lavare i variopinti abiti locali. Rientrati alla capanna, che questa volta è tutta per noi, ci stendiamo sui tappeti a riposarci: il sole passa attraverso le assi di legno di cui è fatta la capanna; ci rilassiamo, recuperiamo le forze ed entriamo in sintonia con l’ambiente che ci circonda. Penso che sono fortunato a trovarmi li.
Quando fa buio non c’è altro da fare che cenare, questa volta senza personalità locali (i Hmong ci sembrano più restii alla socializzazione dei Lenten, ma forse sono solo meno abituati alla vista di stranieri!). Nel villaggio, infatti, non c’è corrente elettrica di alcun tipo, oltre a non esserci acqua corrente e servizi igienici. Terminate le scorte di acqua della giornata, iniziamo a bere un’acqua marroncina che Noy ci spaccia come acqua bollita con l’aggiunta di elementi rafforzanti. Il mio sospetto che in realtà trattasi di acqua di fiume verrà rafforzato durante la notte, quando insistenti problemi intestinali mi costringono a frequenti sortite nella foresta! Siamo rimasti tutti stupiti dal notare che in un posto dove non c’è quasi nulla di tutti i comfort cui noi siamo abituati non mancano i cellulari! May ci ha spiegato che sono indispensabili per mettersi subito in contatto con l’esterno nel caso di malattie o incidenti. La compagnia telefonica del Laos garantisce una linea perfetta persino li, nel mezzo della foresta tropicale. May aveva la batteria scarica e mi ha chiesto di usare il mio cellulare con la sua scheda. Conserverò sempre gelosamente i messaggi in laotiano che ha erroneamente salvato sul mio telefono! Dopo cena, come sempre splendidamente preparata da Noy, con le nostre torce continuiamo a girare per il villaggio che, lungi dall’essere addormentato, ospita una festa. Nello spiazzo centrale le bambine, vestite con gli abiti tradizionali, ballano tutte insieme al ritmo di una musica proveniente da un vecchio mangianastri, sotto gli occhi imbarazzati dei bambini, tutti perfettamente vestiti in camicia. Leggermente in disparte assistiamo alle danze e ci godiamo un cielo stellato come non credevo potesse esistere. È incredibile quanta luce ci può essere in un cielo stellato! Pian piano la festa si esaurisce e, mentre alcuni bambini continuano a rincorrersi e gli adulti continuano ad accendere fuochi che lentamente si spengono, andiamo tutti a dormire, travolti da stanchezza e meraviglia. 6° giorno – 21 Agosto Ci svegliamo alle 7:30 con l’odore della colazione (spaghetti!) che Noy e May stanno preparando. Mangiamo e ci prepariamo per l’ultimo giorno. Stoicamente indossiamo gli stessi abiti sporchi e completamenti bagnati degli altri giorni (non c’è alcuna speranza che abiti bagnati si asciughino durante le notti umide). Partenza alle 9:30. Questa volta il percorso prevede una tremenda salita iniziale che ci porta a circa 1.400 metri (il villaggio era a 700 metri circa), poi una parte in falso piano ed infine una lunghissima discesa che devasta definitivamente il mio ginocchio destro. L’ultima ora di trekking è scandita dalle mie cadute e da una piacevolissima atmosfera che è un misto di stanchezza, soddisfazione ed euforia. Intorno alle 17:00, dopo 11 chilometri, terminiamo il percorso ed arriviamo nei pressi della strada asfaltata dove, poco dopo, arriva il tuk tuk per riportarci a Louang Nam Tha. Siamo tutti stanchissimi, ma comunque ci dispiace un po’ rivedere l’asfalto ed un mezzo a motore. Arrivati alla sede dell’agenzia e compilate le schede di valutazione, decidiamo con Ray e Rachel (i due compagni australiani) di onorare una promessa che ci eravamo fatti quando non potevamo fare altro che bere acqua bollita… e quindi, in un banchetto del night market, birra, doppia birra e tripla birra! Scherziamo sugli episodi dei giorni scorsi ed un rutto di Rachel, accompagnato da grosse risate e dagli elogi di Ray circa la “raffinatezza” delle donne australiane, chiude la bevuta.
Io e Francesco ci sistemiamo allo Zuela Guest House: 4 euro a notte, centralissimo, molto pulito, gradevole. Il momento tanto atteso è finalmente giunto. Riesco a catapultarmi nella doccia prima di Francesco ed uso una buona parte delle mie riserve di bagnoschiuma! Mentre aspetto Francesco, comincio a parlare con due fiorentini che alloggiano allo Zuela e che segneranno simpaticamente il resto del nostro viaggio. Giulia e Gianni sono due ragazzi simpaticissimi che viaggiano come matti e amano il mondo! Ci diamo appuntamento per cena al Night Market.
Prima di cena ci rechiamo in una piccola agenzia che ci aveva segnalato Noy e prenotiamo una giornata di rafting per due giorni dopo, dato che sentiamo l’assoluta esigenza di un giorno un po’ più tranquillo.. La cena è quanto mai piacevole e l’anatra alla brace è eccellente nella sua semplicità. Continuano a scorrere birre. Stimo moltissimo Gianni e gli sono sinceramente riconoscente per non averci tolto il saluto dopo aver assistito attonito al secondo, furibondo, round di diatribe storico-politiche tra me e Francesco, che si chiude con un grande brindisi al Laos! 7° giorno – 22 Agosto Oggi abbiamo in programma una giornata defatigante, quindi ci facciamo rapire dal fascino delle due ruote… più motore! Decidiamo di affittare delle moto e di andarcene in giro nella zona a nord di Louang Nam Tha, in direzione di Muang Sin (che dicono essere molto interessante) e, magari, fino al confine cinese.
Per circa 6 euro abbiamo la disponibilità fino a sera di una moto coreana spacciata per 125 cc. Partiamo con un sole che picchia da paura e ci rendiamo subito conto che non è propriamente agevolissimo portare la moto in strade dissestate, piene di pietre e terra e praticamente perennemente in curva. Muang Sing dista 56 chilometri, e noi dopo mezz’ora, con tutta la tranquillità di cui abbiamo bisogno per ammirare il paesaggio circostante, ne abbiamo percorsi appena 10. Cominciamo a realizzare che forse oggi non sarà una giornata defatigante! Attraversiamo nell’ordine: Hong Leuay, Donexay, Nammat Kao, Lak Kham May, Sopee e Thin That prima di arrivare a Muang Sing. Più che di villaggi si tratta di gruppi di capanne addossati alle strade. Muang Sing ci delude un poco; cittadina abbastanza grande e mal tenuta, non sembra offrire alcuno spunto interessante. Dopo pranzo ci inoltriamo verso il confine cinese, distante una ventina di chilometri Ad un certo punto ci troviamo di fronte un cartello scritto in lao, cinese ed inglese che ci avverte che il confine è a 300 m. L’uomo addetto al controllo è totalmente disinteressato a noi e quasi infastidito dal nostro esitare ad andare oltre. Arrivati al confine vero e proprio, invece, dopo essere entrati con le moto per un paio di metri in territorio cinese, l’addetto alla frontiera ci fa inequivocabili segni di andare via, di li non si passa! Riflettiamo sul fatto che ci troviamo al centro di una delle principali rotte mondiali del narcotraffico, il triangolo d’oro dell’eroina. Il confine con il Myanmar è distante appena un’ottantina di chilometri e l’area tra i tre Paesi è interamente occupata da una fitta giungla che offre una copertura perfetta per i trafficanti. L’abbondanza di droga ci si palesa quando, sulla strada del ritorno verso Muang Sing, veniamo bloccati da un gruppo di donne Akha che insistono per venderci dei cubetti di oppio! Gli Akha sono un’etnia che vive tra Thailandia settentrionale, Myanmar, Laos e Cina meridionale, noto per le forti tradizioni ed i coloratissimi abiti. Le minuscole donne, di età indefinibile ma dall’aspetto antico e solenne, insistono sulla qualità della loro “merce”, ma noi, dopo aver gentilmente declinato quell’offerta, ci interessiamo ad altri articoli in mano alle donne, ovvero sciarpe, bracciali e borse. Dopo una dura contrattazione portiamo via un bel po’ di roba a prezzi oggettivamente bassi. Dopo quest’incontro ci concediamo frequenti incursioni in stradine sterrate secondarie alla ricerca di villaggi abitati dagli Akha, che si rivelano molto interessanti. Torniamo a Muang Sing intorno alle 17:30 e, dopo aver fatto un altro giro, scopriamo un baretto con terrazza che dà su una splendida distesa di risaie, con alte montagne alle spalle. Il bar è provvisto anche di sala massaggi e sauna, tutto rigorosamente in semplici strutture di legno. Pensiamo seriamente di fermarci un po’ li, ma comincia a far buio e ci attendono 56 chilometri di strada, non propriamente agevole. Il ritorno, infatti, è massacrante! Una volta calato il sole le montagne del Laos sono fredde se attraversate a 60 chilometri orari. La strada che avevamo fatto in 4, 5 ore con le opportune soste, si rivela eterna se fatta tutta di fila. Al tramonto l’aria è infestata da milioni di insetti che si spiaccicano sui nostri caschi e sui nostri corpi. Mi scopro a desiderare un tergicristallo da occhiali, mentre Francesco, accecato dai moscerini, mi cede il ruolo di apripista. Lotto per due ore col freddo, le pozzanghere, il terriccio, gli insetti, le curve a gomito, il buio pesto e degli inquietanti lampi che si avvicinano sempre di più.
Alle 20:30, finalmente, arriviamo. Raramente le luci di una città sono state più apprezzate di quelle di Louang Nam Tha quella sera. Lasciamo le moto e, completamente storditi, ci avviamo verso uno dei ristorantini lungo la strada principale, dove non sappiamo resistere alla tentazione di assaggiare gli “spaghetti bolognaise” (Sic!). Sapevamo che saremmo rimasti delusi, ma un viaggio non è un viaggio se almeno una volta non si prova la varietà locale degli spaghetti alla bolognese!
8° giorno – 23 Agosto
Alle 8:30 siamo in agenzia in attesa di partire per il Kayaking. La nostra guida sarà Ghet, un laotiano intorno alla cinquantina che si spaccia per 36enne. Arriviamo in Tuk Tuk al Boat landing, punto di partenza per il nostro giro di una ventina di chilometri attraverso il fiume Nam Tha.
Ci sono due barche, una da due posti ed un’altra singola; io e Francesco impegnamo quella da due e Ghet ci segue pazientemente dandoci il tempo di ammirare il paesaggio e scattare fotografie. La prima parte, sebbene splendida dal punto di vista naturalistico, si rivela un po’ noiosa, troppo piatta per i nostri gusti: le rapide che ci erano state promesse non arrivano. Comunque lo sforzo necessario per remare è abbastanza intenso, e per fortuna ci fermiamo in due villaggi: Nam May, abitato da Lenten, e Nam Soptum, abitato da Black Thai. Dopo aver pranzato ci accingiamo ad affrontare la seconda parte del tratto in programma. E questa era una parte seria, altroché. Vuoi per la difficoltà oggettiva, vuoi per il fatto che la prima vera rapida ci aveva colto impreparati, ci schiantiamo contro un groviglio di rami che divide il fiume in due. In un attimo ci ritroviamo entrambi attaccati a dei rami, Francesco in piedi appoggiato anche alla barca, io più distante e sdraiato a pelo d’acqua, sottoposto ad una notevole spinta. Un remo mi passa accanto e prosegue indifferente lungo il fiume. Credo che in quel momento il buon Ghet abbia perso una decina d’anni: comincia a gridare come un matto in un inglese di cui si capisce solo “wait”. In una mezz’ora riusciamo a riaggiustare la situazione raddrizzando la barca e spostandoci tutti sulla riva. Un remo però è andato. Il povero Ghet, visibilmente provato, propone di finire li, dato che senza un remo è molto difficile affrontare la parte restante che, ci preannuncia, presenta tante rapide anche più difficili di quella che abbiamo incontrato. Ovviamente io e Francesco non abbiamo alcuna intenzione di fermarci, ora che viene il bello. Convinciamo Ghet a proseguire, anche con un solo remo: ci alterneremo nelle remate. Ora siamo attentissimi, ed anche, devo ammettere, un po’ tesi! Effettivamente arrivano delle belle rapide toste: le affrontiamo con coraggio, provando a ragionare su cosa fare. Le affrontiamo con difficoltà, imbarchiamo acqua, a tratti ci giriamo, ma alla fine ce la facciamo sempre, emettendo un urlo liberatorio al termine di ognuna. Il cielo enorme sopra di noi, il fiume marrone ed arrabbiato, il sole cocente, la foresta tropicale che ci osserva dalle due rive del fiume: fantastico! Penso a quando sui banchi di scuola io e Francesco dividevamo i libri… ora dividiamo un remo, e superiamo tutte le rimanenti rapide del fiume Nam Tha, nella foresta del Laos settentrionale! Per l’ennesima volta esausti, torniamo in tuk tuk a Louang Nam Tha. Ceniamo in un altro ristorantino lungo la strada principale. Verso la fine, quando ci si chiudono gli occhi dalla stanchezza, tre ragazzi laotiani di un tavolo a fianco ci invitano ad unirci a loro per festeggiare il rilascio dell’autorizzazione ad aprire un ristorante che una di loro ha appena ottenuto. Chiacchieriamo sulla vita in Laos e ricambiamo la birra offerta in un pub/karaoke in città, vicino alla nostra guest house, di cui non ci eravamo mai accorti. Evidentemente gli orientali, che siano cinesi, giapponesi o laotiani, hanno tutti una tanto smodata quanto incomprensibile passione per il karaoke! 9° giorno – 24 Agosto Partenza alle 8:30 dallo Zuela con un tuk tuk che ci porta alla stazione degli autobus, proprio accanto al campo da calcio. Alle 9:30 partiamo in minivan per Louang Prabang, la città principale del Laos settentrionale ed antica capitale del Paese.
Appena saliamo sul mezzo ci rendiamo conto della gravità dell’errore commesso. Il minivan è di rara scomodità: strettissimo, stracolmo, senza neanche i poggia testa. Girano voci incontrollate sul numero di ore necessarie per giungere a destinazione.
Le strade del Laos!! Un continuo di buche, sassi, terriccio, fango, restringimenti ed interruzioni.
Arriviamo a Loaung Prabang alle 17:00. È stato un viaggio durissimo, ma alla fine la città ci ripaga della fatica affrontata per arrivarci. Louang Prabang, dichiarata “la città meglio conservata del sud-est asiatico” dall’UNESCO e definita già nel 1909 da Marthe Bassene “il rifugio degli ultimi sognatori”, è un misto tra città santa buddista e meta di avventurieri viaggiatori stralunati. E’ tagliata in due dal grande Mekong, che rincontriamo dunque qualche centinaio di chilometri più a sud rispetto a dove l’avevamo attraversato per entrare in Laos, e dal suo tributario Mae Kok. Tutto il lungofiume è costeggiato da splendide case in antico stile coloniale francese, spesso adibite a guest house. L’atmosfera è autentica, sembra di essere in un luogo magico, frutto di suggestioni antiche e lontane.
Iniziamo a chiedere a qualche guest house lungo il Mekong ed alla fine ne troviamo una molto carina per 5 euro a testa al giorno. Il posto è accogliente e vicinissimo alla zona centrale, di fronte al fiume.
Ci sistemiamo e laviamo velocemente ed andiamo subito a fare un giro. Lungo la via principale c’è un bel mercatino notturno adibito alla vendita di magliette, tessuti ed oggetti di artigianato locale. Appena ci avviamo sento Francesco che chiama ad alta voce Gianni. Sapevamo che anche Gianni e Giulia erano diretti a Louang Prabang, ma non immaginavamo di incontrarli subito! Ci consigliano di cenare all’affollatissima bancarella che si trova proprio di fronte all’entrata del mercato dell’artigianato. Mi sembra di essere tornato a Milano, praticamente un happy hour in salsa laotiana. Per la modica cifra di 40 centesimi scarsi puoi riempirti un piattino attingendo dalle pietanze sparse sul tavolone centrale. C’è dell’ottimo riso, magnifiche “tagliatelle” con carne, eccellenti spaghetti e delle gustose patate lesse. Inoltre, con l’aggiunta di un’ulteriore euro, una succulenta bistecca di maiale, molto ben cotta, oppure un pollo allo spiedo. C’è anche del pesce, che però non ci ispira e dunque non assaggiamo. Lao beer per accompagnare il tutto. Una gran mangiata.
10° giorno – 25 Agosto Oggi è una giornata completamente dedicata alla visita della città. Da fare in tutta calma, senza ansia o fretta, godendoci atmosfera, gente e quello che ci capita. Questa è la nostra filosofia quando giriamo per una città; preferiamo assaporare la vita piuttosto che collezionare “cose viste”.
In mattinata visitiamo la Phou Si hill, la principale altura della città, con annesso tempio buddista. In un tempio buddista non si respira la sacralità che si avverte in una chiesa cristiana o la solennità di una moschea, ma si avverte tanta calma ed una sorta di sintonia col mondo circostante. Dalla cima della collina si gode di una splendida vista di tutta Louang Prabang e dei fiumi che la tagliano. Facciamo ancora in tempo a visitare il tempio Vat Xieng Toung, il più antico e bello della città. Continuiamo a girare per i vicoli, sostando anche in qualche locale per bere un po’, fino a quando non andiamo al mercatino per cenare in compagnia dei soliti Gianni e Giulia, con cui avevamo preso appuntamento. Mangiamo tantissimo anche oggi e chiacchieriamo di progetti di viaggi ed esperienze future… pian piano la conversazione inizia a girare sulla cucina italiana e, prima che ce ne possiamo accorgere, ci ritroviamo a descrivere animatamente la ricetta del caciucco alla livornese e del riso patate e cozze (io e Francesco siamo orgogliosamente originari di Bari). Per carità, il riso che abbiamo nei nostri piatti è gradevole, il pollo gustoso, però… 11° giorno – 26 Agosto Oggi sveglia prestissimo per assistere alla “Alms ceremony”. Si tratta di una processione che si tiene ogni giorno all’alba lungo la strada principale di Louang Prabang, in cui tutti i monaci della città “sfilano” in ordinata fila indiana, per ricevere delle offerte da parte dei fedeli. Ci svegliamo, quindi, che è ancora buio. Arrivati sulla strada, ci ritroviamo davanti un’incredibile distesa arancione: decine di monaci sono ordinatamente allineati in attesa che la lancetta dell’orologio segni le 6:00 in punto. A quell’ora cominciano a marciare lungo il marciapiede della strada principale, passando lentamente accanto ai fedeli appostati ai lati con pentoloni colmi di riso. Ogni monaco è dotato di piccole scodelle, che vengono riempite al loro passaggio dai fedeli, i quali rispettosamente rimangono inginocchiati su dei tappeti e tengono sempre la testa china in avanti. Alle 9:00 partiamo su un barcone diretto alle Pak Ou Caves, qualche chilometro più a nord lungo il corso del Mekong. Il viaggio, che dura 2 ore (al ritorno è sufficiente un’ora, perché si naviga a favore di corrente), è l’occasione buona per rilassare i sensi, perdersi in riflessioni varie, ed apprezzare in tutta tranquillità l’ambiente naturale ed umano unico che circonda il grande fiume indocinese.
Le grotte in sé, in realtà, si rivelano una delusione: si entra in un ambiente buio all’interna della roccia, leggermente più in alto rispetto al fiume e si possono vedere alcune statuette raffiguranti il Buddha, dislocate in vari punti.
Ben più interessante si rivela la visita al villaggio di Whiskey, noto per la produzione di infusi alcolici, diciamo così, originali. All’interno delle boccette, infatti, si trovano esponenti della fauna locale essiccati, in particolare serpenti e scorpioni, di dimensioni anche ragguardevoli. Non so resistere e ne compro qualcuna. Girando per il villaggio veniamo attratti da alcune bocce particolarmente grandi: scopriamo con un misto di stupore e di orrore che in una di queste sono depositati piedi di orso. Lo stupore lascia spazio ad una doppia dose di orrore quando scopriamo, increduli, il contenuto della seconda: La moglie dell’elefante proprietario di quel contenuto, dovrà trovarsi un altro compagno!!! Torniamo a Loaung Prabang appena in tempo per correre all’agenzia da cui parte il minivan per le cascate di Kuang Si. Dopo 45 minuti circa di strada, ad una trentina di Chilometri a sud di Louang Prabang, arriviamo al parcheggio delle cascate, purtroppo rovinato da un’accozzaglia di bancarelle. Inoltrandoci nel percorso segnato cominciamo a vedere alcune basse cascate, che sono solo la parte finale di un ampio sistema di laghetti e cascate, sempre più alte e spettacolari, che si articolano in vari rami e che tagliano la vegetazione in maniera sorprendente! Alla fine del percorso una enorme cascata di almeno 30 metri scatena la violenza dell’acqua. 12° giorno – 27 Agosto Partenza alle 9:00 per Vientiane con un grosso e comodo Pullman. Il posto dove ci fermiamo per il pranzo offre un panorama magnifico. Siamo in vetta ad una cima, e davanti e sotto di noi si stendono vallate e montagne ricoperte di foreste, a perdita d’occhio. Noto che, fin dove si può arrivare con la vista, non c’è alcun segno dell’opera umana… non si vedono villaggi e tantomeno città, fili dell’alta tensione o pali: nulla. Solo foresta e cielo. Un cielo diverso dal nostro; sempre “decorato” da nubi dalle strane forme, ma nello stesso tempo splendente di sole, un cielo ampio, lungo, profondo, che sembra appartenere ad una natura antica, che io non conoscevo.
Arriviamo in una torrida Vientiane in serata sul tardi, dopo ben 11 ore di viaggio.
Ci sistemiamo nell’hotel da dove partiremo il giorno dopo per Bangkok, che di hotel ha solo il nome; siamo addirittura costretti a soffrire il caldo perché l’aria condizionata è bloccata al minimo.
Anche se è tardi, usciamo per mangiare spinti dalla curiosità per la città. Arrivati sul lungofiume (anche Vientiane è bagnata dalle acque del Mekong), abbiamo la prima delusione. Si tratta di una zona assolutamente anonima, senza alcuna particolarità e totalmente trascurata. Ci fermiamo a mangiare in uno dei pochi locali aperti, una pizzeria gestita da un francese. Non che ci aspettassimo di mangiare come in una pizzeria napoletana, ma abbiamo comunque la seconda delusione.
13° giorno – 28 Agosto Il viaggio si avvia alla conclusione. In serata abbiamo il pullman per Bangkok, e la mattina dopo Francesco ha il suo aereo per Shanghai. Io partirò il giorno dopo di lui, sul tardi. Oggi, comunque, abbiamo un’ultima giornata da condividere nella perlustrazione della capitale del Laos. L’umidità è soffocante e c’è anche un sole che scotta. Giriamo per la città seguendo sporadicamente le indicazione della nostra Lonely Planet. Visitiamo qualche monastero buddista e incrociamo qualche scuola, stracolma di bambini. In ogni caso, confermiamo la nostra impressione del giorno prima. Vientiane è una città anonima, brutta, trafficata e dannatamente calda.
Ci fermiamo in un bar sul Mekong, lì dove il lungofiume si restringe e diventa quasi un sentiero di campagna. Ci sediamo all’ombra, mangiamo bene a base di frittate e riso. Abbiamo un paio d’ore abbondanti, così ne approfittiamo per trarre le somme della nostra magnifica esperienza. La Lao beer è particolarmente apprezzabile se bevuta fredda con un caldo soffocante, per cui, tra una birra e l’altra, parliamo, ricordiamo, progettiamo e poniamo le basi per future esperienze! Brindiamo al popolo Lao ed ai nostri progetti e promettiamo che, qualora realizzati, torneremo a festeggiare in riva al grande Mekong.
Alle 16:30 siamo di fronte all’hotel in attesa del pullman. Non poteva mancare l’incontro con Giulia e Gianni!. Incredibile, il vero filo conduttore del viaggio. Solite conversazioni, grandi abbracci, scambi di impressioni su Vientiane. Ci salutiamo, come sempre, convinti di non incontrarci più.
Partiamo da Vientiane con un estenuante ritardo e verso le 19:30 siamo al confine con la Thailandia, che è proprio alla periferia di Vientiane. Dopo le lungaggini amministrative per il controllo incrociato dei passaporti, riattraversiamo il Mekong, questa volta in direzione opposta, dal Laos alla Thailandia. Una curiosità: ci fanno prendere i bagagli dal pullman prima di attraversare il confine, dato che dall’altra parte ci attenderà un altro autobus. Infatti, il passaggio di confine comporterà un cambio del verso della guida, dalla normale guida a destra del Laos, alla guida a sinistra della Thailandia. Quando ci fermiamo a mangiare, subito dopo l’attraversamento del confine, mi soffermo a guardare il Laos dall’altra parte del fiume. Il mio pensiero va alla serata a Chiang Kong, quando, qualche centinaio di chilometri più a nord, guardavo il Laos attraverso il fiume, esattamente come sto facendo ora, e mi chiedevo che cosa ci fosse, come fosse quella terra, e che cosa mi aspettasse. Sorrido pensando che ora ho una risposta, seppur parziale, a quegli interrogativi… ed è una bella risposta! 14° giorno – 29 Agosto Alle 4:30 del mattino arriviamo finalmente a Bangkok. Francesco ha il volo alle 10:00, per cui si muoverà col pullman per le 6:00. Mi accompagna quindi al Rambuttri Village Hotel, hotel economico consigliato dagli ottimi Giulia e Gianni. Faccio giusto in tempo a prendere l’ultima camera. Ora sono io che accompagno Francesco al pullman: ci fumiamo un’ultima sigaretta insieme, in silenzio, soddisfatti. Ci salutiamoci, dandoci appuntamento in Italia, o sul Mekong.
Anche il Rambuttri di hotel ha solo il nome. Di questi due giorni che mi restano da trascorrere a Bangkok decido di riservarne uno per una visita della città ed un altro per la visita del famoso mercato galleggiante. Dopo un breve e rigenerante riposo, cartina alla mano, inizio il giro della città. L’operare congiunto di caldo umido, traffico e smog sconsiglia decisamente di girare a piedi, per cui, dopo mezz’ora, comincio, a chiedere passaggi ai soliti tuk tuk. Scopro presto che in quel periodo è valida un’offerta per cui si può viaggiare gratis a condizione che ci si faccia portare in alcuni particolari negozi di abbigliamento. I negozianti, infatti, pagheranno ai conducenti il pranzo e daranno loro dei buoni per fare rifornimento gratis. Pare che l’offerta sia particolarmente conveniente per i conducenti: praticamente nessuno è disposto a portarti semplicemente in giro a pagamento. Sono quindi costretto a prestarmi a questo tour commerciale, intervallato da soste in templi o palazzi: un negozio, un tempio! In serata ceno con carne di maiale e noodles e mi fermo in un piccolo bar in una traversa di Khao San road a bere e ad osservare la gente che passa. Tanta gente strana, turisti appena arrivati con zaino in spalla, thailandesi indaffarati che corrono chissà dove, conducenti di tuk tuk che aspettano ed aspettano, ragazzi ubriachi e coppie abbracciate.
15° giorno – 30 Agosto Ultimo giorno. Partirò in serata tardi, alle 23 :00, quindi ho tutto il giorno a disposizione. Il giorno prima avevo prenotato la visita al famoso Damnoen Saduak, il mercato galleggiante.
Sveglia alle 7:00 e partenza alle 8:00. In circa 1 ora e mezzo arriviamo nel piccolo paese alla periferia di Bangkok dove si tiene il mercato. Prendiamo una barca a motore ed arriviamo nella zona centrale. Qui non ci sono strade, ma solo canali e corsi d’acqua, le strutture in legno sono interamente occupate da negozi e bancarelle, quindi per spostarsi da una parte all’altra occorre muoversi tramite delle piccole imbarcazioni condotte da gente locale, soprattutto donne. Le barche stesse fungono spesso da bancarelle, dato che molte donne vendono oggetti o cibi da una barca all’altra. In alcune sono addirittura improvvisate delle cucine da campo, ed i piatti appena cucinati vengono consumati o venduti. Sicuramente il mercato è molto suggestivo ed assolutamente particolare. Purtroppo, però, non è possibile ignorare che ormai si tratta soprattutto di un’attrazione turistica, avendo perso molto del carattere originale e spontaneo che doveva contraddistinguerlo un tempo.
Ritorno a Bangkok verso le 13:30. Trascorro il resto del tempo vagando in giro per il centro di Bangkok, impegnandomi per aggiornare la mia collezione di magliette estere. L’ultima birra non poteva che essere in uno dei tanti bar di Khao San road. Quest’ultima sosta mi consente di conoscere Linda e Stefano, due splendidi e giovanissimi ragazzi di Forlì che, stanchi di un’Italia che non offriva tanto, hanno scelto di andar fuori; ora vivono nel sud della Thailandia, disegnando e vendendo magliette ed altri capi d’abbigliamento. Ma sono stati in India, in Nepal e non hanno assolutamente idea di dove potranno essere tra un anno. Si vogliono un gran bene e amano la vita. Belle persone.
Questo è l’ultimo incontro che ho la fortuna di fare in questa splendida avventura. Vado alla fermata del pullman che mi porterà all’aeroporto. Il caldo è ancora insopportabile, ma ora non ci penso più. Mi vengono in mente i bambini di Nam Kae Noi e la capanna di Sarmyord Mai dalle cui fessure nel legno vedevo entrare il caldo sole della foresta.