Langhe, Roero e Cuneese in autunno
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Tre giorni nel basso Piemonte approfittando delle eccezionali giornate di alta pressione di fine ottobre.
Le strade provinciali del basso Piemonte
Alcune strade nel mondo sono considerate un mito: la route 66 negli USA, la ruta 40 in Argentina, Road to Hana nelle Hawaii, la Stuart Highway in Australia… Tutte decantate nei book turistici per il valore storico o paesaggistico.
Le strade provinciali di Langhe, Roero e Cuneese sono in Italia: non c’è bisogno di fare voli intercontinentali per raggiungerle, sono qui a portata di mano, o meglio di auto. A volte noi sminuiamo le bellezze del nostro paese, per una forma di ingiustificato autolesionismo: queste contrade entrano a buon diritto nel novero dei percorsi che un appassionato dell’on the road non dovrebbe mancare. Ne hanno tutti i requisiti: paesaggi caldi e spettacolari (specialmente in primavera e in autunno), castelli ricchi di storia, tradizione gastronomica, arte e artigianato locale, salvaguardia del dialetto e un po’ di sano isolamento che fa da guardiano a tutto l’insieme prevenendone la contaminazione.
Il percorso che descrivo si snoda lungo queste strade: SP 3 da Alba a Castagnole delle Lanze in direzione nord e poi verso Grinzane Cavour e Barolo in direzione sud – SP 9 verso Monforte e Serralunga – SP 187 verso Serravalle d’Alba – SP 32 verso Bossolasco e Murazzano – SP 661 direzione Dogliani – SP 58 da Barolo a La Morra – SP 12 e 422 da Narzole a Cuneo. C’è qualche tratto fattibile anche con l’autostrada, ma se ne può tranquillamente fare a meno.
Tutte le strade sono decisamente panoramiche, con alcuni tratti stupendi che vi riempiranno completamente gli occhi: da Roddino a Serralunga d’Alba – da Serravalle a Bossolasco – da Murazzano a Dogliani – da La Morra alle meravigliose colline tappezzate di vigneti attorno a Barolo. Quest’ultimo è il tratto più frequentato e trafficato, soprattutto nei weekend.
Il Tanaro
Il bacino del Tanaro con i suoi affluenti Stura, Bormida e Rea, è una presenza costante in questo territorio. Fermatevi su uno dei tanti ponti: sulla riva sinistra prevalgono i pioppeti, sulla destra ammirate salici, ontani, faggi, farnie e robinie le cui foglie mandano riflessi giallo e arancione sulla superficie dell’acqua. Il punto più curioso si trova lungo la SP 12 vicino all’abitato di Farigliano, andando verso Cuneo: qui il fiume fa una serie di profonde anse a S, ma la strada va dritta. Risultato: quattro ponti in sequenza, da cui si aprono scorci uno più bello dell’altro sul greto sottostante.
Alba – il mercato del sabato e la fiera internazionale del tartufo
Ogni sabato a Alba si tiene un grande mercato, che la gente delle Langhe e del Roero vive come un appuntamento imperdibile. Mi dicono che una volta qui in autunno arrivavano persino le bigonce cariche d’uva con le stadere appese per pesare: adesso non ci sono più, ma visitarlo rimane un grande momento di approfondimento sui prodotti e sulla cultura agroalimentare di queste terre.
La visita al mercato comincia lungo Via Vittorio Emanuele, meglio nota come Via Maestra. I banchi sono posti al centro della via lasciando uno stretto passaggio ai lati. In questa zona le bancarelle non sono particolarmente interessanti: bigiotteria, articoli per la casa, abbigliamento. Molto meglio focalizzarsi sui negozi ai lati. Alcuni nomi sono storici: la Polleria Ratti, la Pasticceria Cignetti, Tartufi Ponzio.
A metà circa del viale c’è l’entrata della 86ma Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba. Dura dal 6 ottobre al 27 novembre. Appena entrato, un concentrato di suoni, strepiti, profumi e odori quasi mi stordisce. Su tutto l’odore inconfondibile e inebriante del tartufo, ma la fiera presenta anche tutti gli altri prodotti tipici dell’economia locale: il vino, il miele, le nocciole, i formaggi, i salumi, i dolci, il pane, la pasticceria. Noto subito che la lingua più parlata nello stand del tartufo non è l’italiano, ma l’inglese. “White truffle” prevale nettamente su “Tartufo bianco”. I compratori sono quasi tutti stranieri, arrivano persino da oltre oceano e dall’estremo Oriente (Cina e Giappone). I “trifulau” si sono adeguati, hanno studiato e parlano un inglese fluente.
Chiaramente il sovrano della fiera è lui: sua maestà il tartufo bianco d’Alba. Solo vedere e annusare, purtroppo, perché i costi sono proibitivi: si va dai 300 € all’etto delle pezzature più piccole sotto i 20 grammi, fino ai 400-450 di quelli più grossi. C’è anche la variante nera, il meno pregiato scorzone d’Alba. Costa 8-10 volte meno, accessibile per un risotto anche ai portafogli di noi consumatori comuni.
La Via Maestra si apre sulla Piazza Risorgimento dove c’è il Caffè Calissano, il “Caffè dei signori”, locale storico che riluce di specchi e decori. Ci sono giocatori e appassionati che con gli occhi bassi commentano la dolorosa eliminazione della squadra di Alba dalla finale del campionato di pallone elastico, il “balòn”, che è uno degli appuntamenti che ho messo nel programma di viaggio.
Proseguo verso Piazza Elvio Pertinace, animata dal vivace Mercato della Terra. Sono dei gazebo che vengono affittati ai produttori locali di formaggi, vini, conserve, prodotti da forno, miele e prodotti dell’alveare, frutta e verdura, salumi, carni di struzzo. Uno stand a parte è dedicato alla “Tonda gentile delle Langhe”, la pregiata varietà di nocciola che si coltiva in queste terre. Nella piazza c’è un altro famoso negozio di trifulau, “Tartufi Morra”, il cui fondatore è riconosciuto come grande ambasciatore del tartufo in tutto il mondo.
Un suggerimento per il parcheggio: se arrivate dopo le 10 non troverete alcun posto libero nei parcheggi gratuiti lungo le vie che costeggiano il mercato. Puntate direttamente al parcheggio coperto multipiano della stazione ferroviaria. E’ a pagamento, ma almeno vi risparmiate code e nervosismo.
Verso Castagnole delle Lanze per la finale del “balòn”
Da Alba a Castagnole delle Lanze il percorso è breve (19 km). Dopo il ponte sul Tanaro, si raggiunge Barbaresco, le cui “rocche” si vedono già da molto lontano, poi Neive con il borgo medioevale attraversato da stradine di acciottolato e le case in pietra disposte ad anello attorno alla sommità della collina.
Per chi ama gli sport antichi legati alla tradizione e alla cultura, non solo ai soldi e ai diritti tv, il pallone elastico (dal 2001 “pallapugno”) è uno spettacolo da non perdere. è uno sport regionale, che si pratica nel basso Piemonte e nella Liguria di Ponente. Si gioca in uno sferisterio, come la pelota. Il campo è lungo 90 metri. Le squadre sono formate da 4 elementi, ma il peso del gioco ricade per almeno il 70% sul battitore, al punto che spesso le squadre sono identificate solo col suo nome. Il battitore, col pugno fasciato da liste di stoffa e cuoio, scaglia una palla di gomma a 70-80 metri nel campo avversario, da dove i contendenti devono rimandarla indietro. Le fasi più spettacolari si hanno quando i due battitori si scambiano bordate tremende in sequenza, spesso colpendo la palla al volo senza rimbalzo, fino a quando uno cede o sbaglia il colpo. Epici gli scontri tra Bertola (“il campionissimo”) e Berruti, negli anni ’70-’80.
Sabato 29 novembre: nello sferisterio comunale “Prof. Remo Gianuzzi” di Castagnole delle Lanze si disputa la finale di andata del campionato nazionale di pallapugno “Trofeo Cantine Manfredi”. Però qui nessuno chiama così questo sport: per tutti è semplicemente “el balòn”. Quest’anno sono in finale due squadre giovani. La “Araldica Castagnole Lanze” è capitanata da Massimo Vacchetto, peraltro non nuovo ai successi perché vinse già nel 2012, affermandosi a soli 19 anni come il più giovane campione italiano di tutti i tempi, e poi ancora l’anno scorso. Lo sfida la compagine “Acqua S. Bernardo Bre Banca Cuneo”, guidata del rampante battitore Federico Raviola.
C’è un’atmosfera da festa paesana, più che da finale sportiva: gente che si è portata pane e salsiccia da mangiare, tifoseria con cori e tamburi (le trombe da stadio le lasciamo al calcio), la banda proveniente da Magliano Alfieri con il piattista che dopo ogni pezzo si ferma a bere un calice di vino, la tribuna riservata alle autorità (sindaco, assessori, medico condotto e sponsor, stranamente non c’era il parroco). Inno nazionale come di dovere, poi si comincia. La partita è senza storia. Vince per 11-4 la quadretta (si chiama così, senza la “s”) di Vacchetto su quella di Raviola, che cede di schianto dal decimo gioco in poi, fiaccato dai rinvii costantemente oltre i 70 metri dell’avversario. Rivincita a Cuneo sabato prossimo.
Tour delle Langhe
Prima tappa a Grinzane Cavour, dominato da un imponente castello che fu una delle dimore preferite dello statista Camillo Benso conte di Cavour. Si prosegue lungo la SP 9, tra colline ammantate di vigneti dalle calde tonalità tra il giallo e il rosso, fino a Monforte d’Alba, uno dei maggior centri di produzione del vino di questo territorio. Nella piazza del paese (dove dopo le 11 è praticamente impossibile parcheggiare), tavolini dovunque per gustare un aperitivo o un bicchiere di vino fuori da una delle tante enoteche e osterie. Una parte della piazza del nucleo storico di Monforte, piccolo anfiteatro dall’acustica perfetta, è utilizzata come auditorium. È intitolata al pianista polacco Mieczyslaw Horszowski che vi tenne il concerto inaugurale nell’estate del 1986.
Deviazione verso Serralunga d’Alba, lungo un crinale coperto da ordinate file di vigneti. Il castello della città, uno dei più famosi della regione, si vede già da lontano stagliarsi al cielo con l’alta torre quadrata e il mastio centrale.
Rientro sulla SP 32 in direzione di Serravalle Langhe. La strada si snoda a una certa altezza (7-800 metri), un saliscendi continuo tra avvallamenti e colline dove non ci si stanca mai di ammirare i panorami. Impossibile non fermarsi di continuo a scattare foto. Ogni punto dove accostate la macchina offre un’immagine da cartolina. Le piazzuole di sosta sono rarissime, così tutti fermano l’auto sul ciglio della strada. Nessuno si lamenta per la restrizione della carreggiata, anzi dove vi fermate voi è molto probabile che subito dopo si fermi qualcun altro per catturare la stessa inquadratura.
Da Serravalle si prosegue per 9 km fino a Bossolasco, in posizione splendida sulla cima di una collina che domina le vallate sottostanti che si aprono a raggiera. Nel piccolo centro abitato, lungo la strada che dalla piazza porta alla Parrocchia, sono piantate 10.000 rose abbarbicate ai muri, con le radici che affondano tra le pietre del selciato. In cima alla via principale c’è il Palazzo Balestrino, e più avanti la chiesa dedicata al patrono San Giovanni Battista. Davanti alla chiesa c’è l’Angelo dell’Alta Langa, una struttura in alluminio alta 3.5 metri con le ali aperte e scintillanti di luce, a simboleggiare un abbraccio di protezione per residenti e visitatori. Il monumento, che è qui da giugno 2015, è stato costruito dall’artista Daniele Cazzato con una tecnica d’avanguardia derivata dalla tecnologia aeronautica. Bossolasco, che per me era sconosciuto, è stata una bellissima sorpresa e lo scelgo come borgo più bello tra quelli toccati lungo il percorso.
Poco distante c’è Murazzano. Qui non ci si può esimere dall’acquisto della toma di Murazzano DOP. Viene venduta in tre versioni: quella principale di latte ovino, ma ci sono anche tome di latte caprino e altre miste fatte con latte vaccino.
Prossima tappa Dogliani. Si entra nella zona di produzione del dolcetto DOCG. La torre civica e il campanile della parrocchiale di S. Lorenzo, entrambi rossi, si vedono già da lontano lungo la strada che dalle colline scende verso il paese. Questa domenica 30 ottobre è in corso il rally del Piemonte, che parte dalla piazza della imponente parrocchiale di S. Quirico e Paolo e nel tratto cittadino comprende strade libere al traffico. Conseguenza: un paio di volte le auto della corsa sfilano via come missili rombando a non più di un paio di centimetri dalla fiancata della mia.
E adesso via verso Barolo. Da Dogliani a Cherasco, il paese delle lumache, sono 19 km lungo la SP 661 che corre in pianura ed è meno panoramica delle altre. Gli scenari spettacolari riprendono mano a mano che ci si avvicina a Barolo: nomen omen. Siamo nella patria del più famoso vino DOCG d’Italia. Le colline tutto attorno al centro abitato (che è piccolo, solo 700 abitanti) sono un caleidoscopio di colori. Sono completamente ricoperte di vigneti a cui l’autunno conferisce ogni possibile tonalità dal giallo al bruno, tutto mescolato con le tinte in chiaroscuro dei campi arati e il verde intenso degli ultimi prati ancora tappezzati d’erba. E’ ormai tardo pomeriggio quando arrivo qui: la luce di taglio del sole che si abbassa conferisce ancora maggiore vividezza agli stupendi panorami che si aprono agli occhi, mentre una bruma sottile sale dai fondovalle.
Il castello dei marchesi Falletti, oggi castello comunale, domina l’abitato e offre vedute a perdita d’occhio sulle colline piantumate a vigneto. Il castello ospita l’Enoteca Regionale del Barolo e il Museo del Vino: una visita è di prammatica, con relative degustazioni. Non condivido molto l’eccesso di anglofonia che si rileva visitando le sale. Lo stesso fatto che lo chiamano WiMu, con la W doppia di “wine” in inglese, evidenzia la propensione esterofila dell’allestimento. Curioso, e più ruspante, il Museo del Cavatappi che c’è nell’attigua piazza Castello.
Con un po’ di tempo a disposizione si può percorrere uno dei “sentieri del barolo”, itinerari escursionistici che propongono percorsi circolari di esplorazione delle colline del barolo, intervallando natura, borgate medioevali e coltura vitivinicola.
Ultima tappa a La Morra, posta in cima a una collina alta 500 metri. Da qui se non c’è foschia si ha una visione completa a 360 °C su tutte le Langhe; se invece c’è, tocca alla nebbia della sera creare suggestioni mentre sale dal terreno per via del riscaldamento solare diurno. Nelle giornate limpide come oggi la visione arriva fino alle Alpi: il tramonto dietro il Monviso è spettacolare.
Il giro che ho descritto è lungo circa 110 km includendo le deviazioni a Neive e a Cherasco. Si può fare in un giorno solo, se non c’è foschia e si possono sfruttare anche le prime ore del mattino. Ma è meglio prendersela con calma e dedicarci 2 giorni, così si ha anche il tempo per le soste gastronomiche e enologiche, occasioni che lungo il percorso si incontrano a ogni piè sospinto.
Cuneo
La capitale della “Provincia Granda” non è una meta turistica molto frequentata, ma se ci andate vi sorprenderà. La città ha forma di cuneo (manco a dirlo), posto su un terrapieno rialzato tra i fiumi Gesso e Stura. Il fulcro delle attività cittadine è la centrale Piazza Duccio Galimberti, il “salotto” della città, dedicata al partigiano Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti detto Duccio, la più importante figura della resistenza in Piemonte. E’ immensa (24.000 mq), circondata da palazzi neoclassici tutti negli stessi colori bianco e giallo con finestre verdi e delimitata da un porticato su cui si aprono negozi di ogni sorta. In mezzo troneggia la statua di Giuseppe Barbaroux, avvocato e politico famoso del Regno di Sardegna.
Il portico della piazza continua lungo i due grandi viali che si aprono alle estremità: corso Nizza e via Roma. All’angolo di corso Nizza c’è il famoso caffè confetteria pasticceria Arione, aperto dai tempi del fascismo, che conserva ancora gli stessi arredi in radica di allora, le stesse bottiglie in porcellana con caramelle sciolte e gianduiotti, gli stessi stucchi in stile impero. E’ sempre pieno di gente che fa la fila per i rinomati “cuneesi al rum”, deliziosi cioccolatini formati da due strati di meringa che racchiudono una crema pasticciera al cioccolato fondente e rhum, il tutto rivestito da un altro strato di cioccolato fondente.
Sotto i porticati di via Roma e corso Nizza si affacciano negozi di ogni genere con le insegne dorate d’epoca in font italico e nomi che rievocano una tradizione antica come “la bottega del pane”, “l’orto del gallo”, “Pietro Bruno confettiere liquorista”.
Per dormire e mangiare…
Queste province non sono le più adatte per chi è in dieta e per gli astemi. L’offerta gastronomica e enologica è eccezionale. Del vino si è detto nel diario (Barolo, Dolcetto, Barbaresco e Nebbiolo). La cucina è a base di carne: un pranzo col bollito di fassona è davvero qualcosa che non si può mancare, così come uno dei tanti eccellenti formaggi, i sughi di salsiccia e salmì, i dolci a base di nocciola e cioccolato. Nei menu si riscoprono sapori familiari forse dimenticati: la giardiniera di verdure, l’insalata russa con la maionese fatta in casa, il bicerìn di rosolio, i marron glacé. Altre chicche: gli gnocchi di patate al castelmagno, le lumache di Cherasco, la cacciagione, il brasato rigorosamente al barolo, il cardo gobbo, i cuneesi al rhum e naturalmente per chi se lo può permettere un piatto con i tartufi.
… Qualche consiglio
– Cascina Gardina a Castellero, B&B. Isolata e difficile da raggiungere, è immersa nella tranquillità delle colline astigiane. L’arredamento è curatissimo, la sala della colazione è piena di tradizioni e di ricordi. Lucio e Florinda vi coccolano e vi viziano con le specialità locali (sensazionale il pane caldo alla nocciola che Lucio va a prendere tutte le mattine). I due proprietari sono anche una miniera di informazioni sulle peculiarità dei dintorni. D’estate è in funzione la piscina.
– Ristorante Madama Vigna a Baldichieri: come dice il nome, la cantina è fornitissima. La cucina è quella tradizionale piemontese (ravioli al plin, tajarin, carni, dolci al torroncino e alla nocciola).
– La Cascina di Villa Due a Narzole (hotel e ristorante). Nel cuore delle Langhe, in ottima posizione logistica per organizzare piani di viaggio in tutte le direzioni, verso le Langhe, verso il Roero, verso il Cuneese. Cucina familiare e ovviamente vini della regione.
– Confetteria pasticceria Arione a Cuneo: non si possono perdere i cuneesi al rum.
Grazie per l’attenzione
Luigi (luigi.balzarini@tin.it)