La rotta delle spezie…

Viaggio fai da te nei luoghi simbolo di tre Paesi del Sud Est Asiatico
Scritto da: giubren
la rotta delle spezie...
Partenza il: 19/04/2014
Ritorno il: 06/05/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Di nuovo a Singapore, dopo quasi 23 anni. L’isola-stato non è poi così cambiata, sempre efficiente e ben organizzata, con un clima umido e soffocante… il taxi attraversa rapidamente le strade che dall’aeroporto internazionale di Changi conducono in centro, precisamente al quartiere di Chinatown dove abbiamo deciso inizialmente di alloggiare. La circolazione ordinata, le aiuole curate dello spartitraffico ed una vegetazione lussureggiante sono le prime immagini che sfrecciano dal finestrino e che subito evidenziano il notevole livello di benessere raggiunto da Singapore, una delle economie rampanti dell’Asia. Il profilo dei grattacieli a Marina Bay ed i nuovi edifici avveniristici e dall’architettura d’avanguardia compaiono ben presto all’orizzonte… scendiamo nei pressi della strada pedonale di Trengganu, dove si trova il nostro Hotel all’interno di un edificio tradizionale che un tempo ospitava un teatro di Opera Classica Cinese. La hall è estremamente spaziosa, le luci soffuse delle lanterne ed i velluti rosso porpora creano un’atmosfera esotica e rilassante. La stanza si affaccia sulle strade brulicanti di Chinatown, che verso sera sono ancora più affollate grazie alla presenza del mercato notturno e della moltitudine di ristoranti e bancarelle di cibo di strada, estremamente economici rispetto alla media. Il quartiere ha conservato lo stile eclettico delle vecchie shop-house dove la comunità cinese gestiva al piano inferiore le attività commerciali, riservando i piani superiori all’uso abitativo.

Nell’Heritage Museum è possibile ripercorrere la storia del quartiere che gli inglesi vollero riservare alla comunità cinese e che si suddivise in ulteriori zone a seconda della provenienza regionale e del dialetto parlato dagli immigrati. Particolarmente interessanti sono le ricostruzioni delle abitazioni, delle botteghe e delle strade che testimoniano le dure condizioni di vita degli abitanti fino agli anni ’60.

Singapore è senz’altro un riuscito esperimento di convivenza tra popoli con origini e religioni diverse anche se è decisamente prevalente il numero di abitanti di etnia han (circa l’80% del totale…): proprio per questo la Federazione Malese, subito dopo aver raggiunto l’indipendenza dalla Gran Bretagna, preferì che l’isola diventasse uno Stato a sé stante per garantire sul proprio territorio una maggiore omogeneità etnico-linguistica.

Le lingue ufficiali sono quattro: l’inglese, ereditata dagli antichi coloni, è senz’altro la principale, venendo insegnata obbligatoriamente a tutti nelle scuole. Gli studenti possono scegliere l’insegnamento di una delle altre 3 lingue ufficiali del Paese, perciò è il cinese mandarino quella più richiesta rispetto al Tamil (degli abitanti di origine indiana) ed al malese (della residua popolazione autoctona di religione islamica).

Singapore, assieme agli altri “Straits Settlements”, aveva una notevole importanza strategica perché, assieme alle città di Malacca e di Penang, permetteva agli inglesi di controllare la rotta delle spezie ed il traffico mercantile tra l’Europa, l’India e la Cina. Trattandosi di importanti zone di passaggio, molti furono i mercanti che decisero di trasferirsi stabilmente in queste terre; alcuni di essi decisero di integrarsi con la popolazione locale dando origine alla cultura “Peranakan” (dalla parola malese che intende indicare i figli delle coppie miste). In particolare, dalle unioni tra mercanti cinesi e donne malesi prosperarono le cosiddette famiglie Baba & Nonya: nelle ricche case che sono aperte al pubblico come musei (Baba House, Peranakan Museum) e che risalgono all’800, si evidenziano abitudini di vita frutto della fusione della millenaria cultura cinese con quella locale e di origine europea.

Terminato nel 2008, il Tooth Relic Temple è un grande edificio di stile tradizionale che ospita un’interessante museo di statue buddiste provenienti da diversi paesi asiatici oltre che un delizioso giardino all’ultimo piano. Numerose sono ancora le strade fiancheggiate dagli edifici tradizionali che oggi ospitano locali e negozi alla moda: tutti presentano nella zona inferiore dei passaggi coperti che avevano la funzione di riparare i viandanti dal sole o dai frequenti acquazzoni tropicali. Passeggiare in questi luoghi è davvero un’esperienza piacevole, intervallata da scorci panoramici sui grattaceli del centro o da templi confuciani o hindu dalle statue multicolori, tipiche dell’India del sud.

Nel “Colonial District” si concentra gran parte degli edifici realizzati durante la dominazione Britannica, tra cui la St.Andrew’s Church, il vecchio municipio (che al termine dei restauri sarà trasformato in museo) e soprattutto il glorioso Raffles Hotel, vero e proprio monumento nazionale. Dopo i lavori degli anni ’80, parte delle sue candide gallerie colonnate e dei patii, ospitando negozi di grandi marche, lo fanno talvolta assomigliare ad un centro commerciale, tuttavia rimane una tappa imperdibile per i turisti occidentali che amano frequentare lo storico “long bar” dove viene preparato il famoso cocktail “Singapore Sling”, la cui ricetta è rimasta a lungo segreta. Nell’800 presso il Raffles Hotel alloggiavano i viaggiatori europei dopo aver raggiunto l’estremo oriente a bordo dei piroscafi che impiagavano moltissimo tempo per arrivare a destinazione. A differenza di quanto si potrebbe oggi pensare, l’Hotel non era di lusso (o almeno come oggi siamo abituati ad intenderlo…), a quei tempi ci si doveva adattare ad ogni genere di disagio, ma si disponeva almeno di ventilatori a pale, luce elettrica, e dei punkah (ventilatori azionati manualmente da servitori indiani). I più famosi ospiti (tra i quali gli scrittori R.Kipling, S.Maugham e l’archeologo francese A.Malraux) ne descrivevano le stanze scrostate, l’odore di muffa e la scarsità del servizio che si doveva sostenere a proprie spese, nessuno tuttavia avrebbe mai dimenticato lo charme di quei luoghi…

Particolarmente interessanti i musei che sorgono nel quartiere, sempre ospitati in edifici storici (Art Museum nell’ex collegio cattolico di St.Joseph ed il National Museum).

Orchad Road è la via dello shopping: enormi centri commerciali si susseguono senza sosta l’uno dopo l’altro, resiste solamente l’edificio dell’ambasciata Thailandese il cui terreno non è stato venduto per non offendere la memoria del re che aveva fatto costruire la sede diplomatica. Dal grande trambusto di quest’area si distingue Emerald Hill Road con i suoi bellissimi edifici storici ed eleganti locali, probabilmente una delle vie più raffinate ed abitate dall’élite della città.

Attorno ad Arab Street ed alla Moschea del Sultano si concentra la comunità malese ed islamica di Singapore: nel vecchio edificio del Sultano è oggi ospitato il Malay Heritage Center, che ripercorre la storia e le tradizioni dell’originaria popolazione dell’isola, oggi in netta minoranza.

Little India con le sue strade dagli edifici Peranakan, è il coloratissimo quartiere abitato dalla popolazione di origine Tamil dove si diffondono profumi di spezie e le musiche ritmate della cinematografia di Bollywood

Ma Singapore è oggi nota soprattutto per il suo aspetto moderno che si lascia ammirare agli occhi stupiti dei visitatori lungo le rive di Marina bay, in prossimità dell’immenso porto mercantile. Altissimi grattaceli ospitano uffici di compagnie internazionali ed alberghi di lusso. In particolare impressiona la sagoma del Marina Bay Sands Hotel dove una piattaforma sostenuta da tre altissimi edifici offre uno spettacolare panorama a 360° della città, che si lascia ammirare dal Ku De Tà, uno dei più lussuosi sky bar. Ancora più mozzafiato, la vista notturna dall’Altitude, l’open bar più alto del mondo all’ultimo piano della terza torre a Raffles Place, dove sembra davvero di poter toccare le nuvole…

Nella baia, si affacciano anche l’Art Science Museum dalla caratteristica forma a fiore di loto, i teatri dalle strutture a placche metalliche ispirate al frutto del durian, dal noto odore pungente e la statua del Mer Lion simbolo del Paese (metà leone e metà pesce). Alle ore 8 di sera, si assiste al gioco di laser e luci nella baia che dura all’incirca 30 minuti.

Conviene dedicare almeno mezza giornata allo zoo di Singapore che si raggiunge comodamente con i mezzi pubblici: immerso in un rigoglioso ambiente tropicale, si ha l’occasione di osservare da vicino molte delle specie endemiche del sud est asiatico, in particolare i simpaticissimi orangutan liberi di scorrazzare tra gli alberi del loro recinto.

Nel complesso, Singapore è un Paese sicuro ed accogliente, la città si visita attraverso l’efficiente rete di metropolitana che permette di raggiungere in breve tempo ogni quartiere a prezzi contenuti. Inoltre costituisce una base ideale per visitare i paesi limitrofi, visti gli ottimi collegamenti aerei con le isole dell’Indonesia ed i collegamenti via pullman con la penisola malese.

Raggiungiamo la storica città di Malacca (in Malaysia) servendoci del pullman in partenza dalla stazione di Queen Street. Attraversata la frontiera, l’autostrada taglia la fitta giungla di palme ed in meno di 4 ore ci troviamo catapultati in un altro Paese ed in una nuova realtà. Il caldo nella tarda mattinata raggiunge davvero livelli poco sopportabili, ci facciamo lasciare da un taxi all’Hotel Majestic, ritenuto il migliore della città. Rispetto a Singapore, il traffico disordinato, gli odori e la maggiore confusione ci ricordano una volta di più che siamo in Asia….. ma attraversato l’ingresso dell’albergo ci ritroviamo in un’oasi di tranquillità e nell’ovattata atmosfera anni ’30 dell’edificio Peranakan che ospita al piano inferiore la hall, la libreria ed il bar. Le stanze, estremamente spaziose ed in stile retrò, sono ospitate in un alto edificio alle spalle della zona storica… ci lasceremo viziare per 2 giorni in questo luogo rilassante approfittando anche della bellissima piscina, che abbiamo utilizzato la sera visto che la temperatura non sarebbe mai scesa al di sotto dei 30°…

Malacca è iscritta nella lista dei siti “patrimonio dell’umanità” dell’UNESCO. Durante il fine settimana la città è estremamente affollata per il mercato notturno di Jonker Street, per cui se si preferisce una maggiore tranquillità, è meglio visitarla nei giorni feriali.

Malacca, grazie alla sua posizione strategica che la pone a metà strada sulle coste dell’omonimo stretto, prosperò grazie al commercio. Il locale sultano tuttavia, inimicandosi i portoghesi, fu costretto a fuggire quando nel 1510 i lusitani riuscirono a conquistare la città che rimase sotto il loro dominio per molto tempo. I tesori saccheggiati, che avrebbero dovuto raggiungere Lisbona, affondarono a largo di Sumatra assieme alla nave Flor de la Mar che li trasportava, a causa di un’improvvisa tempesta.

Ai portoghesi si avvicendarono gli olandesi ed infine i britannici: le diverse dominazioni e la cultura della locale comunità cinese hanno così influenzato lo stile degli edifici e la cucina locale, dando a questo luogo un’impronta unica.

Il cuore della città è la Town Square caratterizzata dagli edifici del periodo olandese, tra cui lo Stadhuys/Municipio (un tempo sede del governatore) e la Christ Church. I portoghesi, durante la loro dominazione costruirono delle mura possenti a difesa della città (la fortezza A’Famosa), successivamente smantellata dagli olandesi, di cui oggi rimane la sola Porta di Santiago.

In cima alla collina di San Paolo, da cui si gode un bel panorama della città che spazia fino al mare, sorge ciò che resta della chiesa omonima, trasformata in polveriera dai britannici. Interessante notare come nei pressi della piazza denominata Medan Portugis continui ad abitare una comunità euroasiatica, discendente dai matrimoni misti tra portoghesi e malesi e che ancora utilizza nella lingua parlata il “cristao”, un dialetto in cui compaiono parole di chiara origine lusitana. Poco rimane dell’epoca del sultanato, perciò di recente è stata portata a termine la ricostruzione del palazzo reale in legno di teak, un edificio senz’altro affascinante soprattutto dall’esterno.

Il quartiere di Chinatown si estende al di là del fiume e qui si conservano interi caseggiati in stile Peranakan. Il Baba & Nonya Heritage Museum è senz’altro da non perdere: si tratta di una ricca abitazione ancora di proprietà dei discendenti di 4° generazione del costruttore di origine cinese. Grazie all’accurata visita guidata, si colgono le peculiarità che distinguevano la cultura Peranakan rispetto a quella cinese vera e propria … dalle vecchie foto alle pareti, si nota come non venisse seguita la tradizione della fasciatura dei piedi per le donne. Durante i pasti, non venivano utilizzate le bacchette per portare il cibo alla bocca ma le mani, secondo il costume malese.

Si susseguono le elaborate architetture di templi cinesi con templi hindu e la moschea Kampung Kling, dal caratteristico minareto che segue lo stile di Sumatra…. Tra i vicoli, ancora è aperto il negozio di calzolai, che in passato realizzava le scarpette per i piccolissimi piedi fasciati delle donne cinesi, secondo un’usanza rispettata almeno fino agli anni ’30 e che oggi continua la propria attività per i turisti di passaggio.

Torniamo a Singapore, in tempo per decollare verso l’Indonesia, destinazione Jogyakarta.

Dal piccolissimo aeroporto, raggiungiamo il Phoenix Hotel, un gioiello art deco’ risalente al periodo coloniale olandese. Originariamente sorto quale abitazione privata, il Phoenix è senz’altro l’albergo preferito dagli occidentali per l’atmosfera e la cortesia del servizio.

I costi sono davvero irrisori in Indonesia, tuttavia sono stridenti le differenze rispetto ai Paesi precedentemente visitati. Jogyakarta, cuore culturale dell’isola di Giava, è molto caotica ma estremamente accogliente nei confronti dei visitatori stranieri: nel centro della città sorge il Kraton, il palazzo reale del Sultano che tuttora occupa con la sua famiglia un’ala dell’edificio svolgendo un ruolo cerimoniale. Le guardie del Sultano sono gli anziani che vivono all’interno della cittadella reale: vestiti con i tradizionali sarong, si prendono cura del palazzo e custodiscono i numerosi oggetti esposti nelle varie sale ai visitatori. Caratteristici sono i cortili e gli ariosi padiglioni cerimoniali, in uno di essi una grande orchestra gamelan accompagna uno spettacolo di ombre…. i suoni armoniosi dei gong e dei tamburi si diffondono negli ambienti e fanno sognare le atmosfere del passato.

Terminata la visita, ci imbattiamo casualmente nella casa del principe Joyokusomo… alcune delle stanze sono liberamente accessibili per chi intendesse fermarsi a pranzo nel ristorante presso il padiglione all’ingresso.

Nella cittadella merita una visita il Museo Sono-Budoyo, che conserva un’interessante collezione di statue, maschere, marionette in una suggestiva quanto polverosa atmosfera, ed altri edifici nei dintorni del Kraton tra i quali il Taman Sari (noto come castello dell’acqua) ed il Kareta Kraton dove sono esposte le sontuose carrozze reali. I vari punti di interesse della città sono raggiungibili in bekak, comodi e caratteristici risciò a tre ruote che attendono i clienti ad ogni angolo delle strade. I conducenti, spesso con i classici cappelli a cono, sono molto socievoli si lanciano in lunghe conversazioni durante il percorso nelle poche parole inglesi che conoscono. La via principale della città chiamata Malioboro è invece interessante da percorrere a piedi: lungo i porticati laterali sono ospitati innumerevoli negozi di magliette e di batik economici. Ma è soprattutto interessante il secondo piano del mercato Beringharjo dove vengono vendute le spezie oltre a frutta e verdura di ogni genere.

Organizziamo le visite nei dintorni di Jogyakarta in macchina privata tramite un’agenzia vicina all’albergo. L’autista e una ragazza ci avrebbero accompagnato nei tre giorni successivi mostrandosi gentilissimi ed efficienti. Ad est della città sorgono diversi complessi templari risalenti all’epoca in cui questa zona di Giava era dominata dal regno induista di Mataram e rappresentano una pregevole testimonianza di quel periodo. Il tempio dedicato a Vishnu a Prambanan è assolutamente spettacolare, con le imponenti guglie dedicate a diverse divinità. I lavori di restauro dopo il devastante terremoto del 2006 sono quasi terminati e restano solamente alcune impalcature intorno alla guglia principale. Entriamo a contatto con le numerose scolaresche in visita al monumento, venendo timidamente approcciati dai maestri che parlano in inglese ed accontentando coloro che desiderano scattare delle foto con noi… fa un certo effetto vedere le studentesse velate ed abbigliate secondo i rigidi dettami islamici sotto il solo cocente, nelle vecchie foto sbiadite dell’epoca coloniale le donne giravano tranquillamente in sarong e a capo scoperto.

A due chilometri dal complesso principale, raggiungiamo il Candi Sewu e lo visitiamo in quasi completa solitudine: un tempo, il tempio principale centrale era circondato da più di 200 templi minori, in gran parte crollati a seguito del sisma, ma il posto rimane incredibilmente suggestivo. Due degli ingressi principali al tempio sono tutt’ora custoditi dalle statue dei dwarapala (guardiani), nei templi minori superstiti, nelle nicchie, trovano ancora il loro posto dei Buddha decapitati.

Notevole anche il complesso del Candi Plaosan, caratterizzato da due costruzioni gemelle circondate da santuari minori e piccoli stupa. Dopo aver visitato altri templi, la giornata si conclude con la visita del Kraton Ratu Boko, cioè di un complesso di palazzi costruito su un’altura da cui spazia la vista sulla pianura di Prambanan, con le guglie del tempio principale in lontananza.

Dedichiamo il secondo giorno alla zona ad ovest di Jogyakarta, dove si trova Borobudur, una delle meraviglie del sud est asiatico. Si tratta senz’altro del monumento più noto non solo di Giava ma dell’intera Indonesia. Il tempio di Borobudur sorge su una collina: visto dall’alto, appare come un gigantesco mandala che, secondo la cultura buddista ed induista, rappresenta il ciclo delle rinascite.

Le varie terrazze quadrate alla base possono essere visitate con estrema tranquillità, gran parte dei visitatori e delle scolaresche si concentrano infatti sull’ultima terrazza circolare del complesso, sormontata da un grande stupa. I muri delle varie terrazze raccontano con elaborati bassorilievi la vita del principe Sidharta e rappresentano la cosmogonia buddista. Statue del Buddha, spesso acefale, si sporgono dalle terrazze verso l’esterno e decorano ogni angolo dell’intricato monumento. Difficile spendere ulteriori parole per celebrare l’armonia e la grandiosità di questo luogo, che l’UNESCO ha meticolosamente restaurato per trasmettere ai posteri la più grandiosa espressione della cultura buddista. Nel pressi di Borobudur ci soffermiamo a contemplare il Monastero ed il Candi Mendut prima di far rientro in albergo.

Lasciamo Jogyakarta e ci dirigiamo verso nord, in direzione della città di Solo (altrimenti nota come Surakarta). Prima di arrivare in città, ci rechiamo a visitare i misteriosi templi hindu sulle pendici del monte Lawu, tra i più alti dell’isola. Il Candi Cetho ricorda l’architettura di un tempio balinese e sorge su diverse terrazze nelle vicinanze di un villaggio dove ancora si professa l’antica religione induista. Il nome in lingua locale (che significa tempio delle nuvole) è dovuto alla foschia che di frequente avvolge la struttura che dona a questo luogo un’aura di mistero, così come è singolare lo stile che caratterizza le statue dei guardiani e di una piattaforma circolare di pietra che compone il carapace di una tartaruga. A breve distanza, si raggiunge anche il Candi Sukuh, un tempio molto isolato dall’insolita ed enigmatica struttura a piramide, che lo fanno assomigliare, anche per il singolare aspetto dei bassorilievi e delle statue, ad un santuario Maya. Arriviamo così a Solo presso l’Hotel Roemahkoe dove rimarremo per due giorni. L’albergo (che in lingua Bahasa significa “casa mia”) era inizialmente una casa tradizionale giavanese degli anni ’30, costruita da una ricca famiglia di mercanti di batik. La struttura risente fortemente dell’influenza dello stile art decò, molto in voga nelle colonie olandesi e, sin dal momento in cui si entra, si respira l’eleganza e l’atmosfera dell’epoca. Il mobilio, le pale dei ventilatori nei corridoi all’aperto e sui soffitti, le linee “cubiste” della struttura, le numerose vetrate istoriate ed ogni altro particolare rende questo luogo estremamente nostalgico e ricco d’atmosfera. Sono pochi coloro che si fermano a pernottare a Solo, questo fa si che il Roemahkoe appaia davvero quale la propria residenza privata mentre si cena o si legge sui comodi divani prima di ritirasi nella propria stanza.

Dedichiamo alla visita di Solo l’intera giornata successiva: la città si presenta molto più rilassata rispetto alla frenetica Jogyakarta, perfino il costo dei bekak è più basso, visto l’ancor minore afflusso di turisti. Anche Solo, come Jogyakarta, ospita il Kraton del locale sultano, tuttavia più modesto per dimensioni rispetto al precedente, ma il suo stato decrepito di malinconica decadenza rende la visita estremamente affascinante. Anche qui, vasti padiglioni con pavimenti in marmi e colonne di cedro mescolano elementi decorativi locali con quelli europei in voga nei primi del ‘900. Donne in costume tradizionale, inservienti del sultano, vigilano affinché i pochissimi visitatori non superino le delimitazioni che separano le aree dei cortili visitabili con quelle private, dove risiede tuttora la famiglia reale. Dopo una rapida occhiata alla moschea, ci rechiamo a far visita al palazzo Mangkunegaran, abitato dalla famiglia dei principi di Surakarta e discendenti da un ramo secondario della famiglia reale. Le condizione della struttura sono decisamente migliori rispetto al Kraton. Nel padiglione d’ingresso un orchestra gamelan accompagna le prove di danza tradizionale di alcuni apprendisti. La visita è obbligatoriamente guidata e veniamo accompagnati da una giovane studentessa che ci da esaurienti spiegazione sui vari oggetti esposti nella sala del trono e dei ricevimenti e sulla collezione di maschere antiche provenienti dalle numerose isole dell’arcipelago indonesiano.

Torniamo a Jogyakarta per gli ultimi acquisti e per preparaci al lungo viaggio di ritorno verso casa.

Termina così il nostro breve girovagare tra scenari di indescrivibile bellezza e luoghi simbolo di questa zona dell’Asia, tante volte sognata nel nostro immaginario per infine materializzarsi ai nostri occhi.

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Kraton di Jogyakarta



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