Istanbul, culla di mille civiltà
Dopo la giornata intensa di ieri, parto per una nuova avventura, un nuovo sogno che vado a realizzare in solitaria. E’ notte, sono appena le 3 quando mio cognato Gigi mi lascia in stazione Centrale alla fermata del Malpensa Shuttle. Il progetto di questo viaggio, prevede il ripercorrere in parte le orme di un grande viaggiatore, Marco polo, lungo quella che per anni è stata la Via della Seta, ovvero dei commerci fra due continenti fra loro sconosciuti. Farò tappa ad Istanbul un giorno ( per poi fermarmi più tempo e visitarla con la dovuta calma alla fine del viaggio), per poi proseguire verso il remoto e poco conosciuto Kyrgyzstan. Il volo Swiss Air che mi porta a Zurigo, per poi cambiare vettore direzione Istanbul, è di una precisione..Svizzera, appunto. Giusto il tempo di ammirare un bellissimo panorama alpino sovrastato da una morbida coperta di nuvole che sembrano di cotone; prima di proiettare le immancabili gag di Mr Bean, dai monitor dell’aereo vengono proiettate le consuete norme di salvataggio. Il fumetto dell’apertura dei giubbotti salvagenti è troppo buffo: l’omino, sorridente, gonfia il suo giubbetto. Poi, sempre sorridendo, si tuffa in acqua dallo scivolo di emergenza raggiungendo moglie e figlio…Mi chiedo: ma è così divertente finire in acqua con l’aereo? Mah, strani questi svizzeri, però almeno su entrambi i voli ti regalano il loro cioccolato. Sono quasi le 14 quando atterro all’aereoporto Ataturk di Istanbul, un’ora avanti rispetto all’Italia; recupero (sospiro di sollievo) il mio zaino, e, prima di cercare un taxi, prelevo lire turche in uno dei tanti bancomat dell’aereoporto. Taxi ( a tassametro, ma è comunque una stangata, 14 euro per arrivare al quartiere Sultanameth), solita guida disinvolta, anche se nulla in confronto ai mitici tuk tuk indiani, ormai sono vaccinato a qualsiasi tipo di guida. Il tassista, che non parla mezza parola di inglese, mi lascia in un punto dicendomi che l’hotel non è raggiungibile via auto, provo ad insistere ma inutilmente, non capisce, in pratica non riusciva a trovarlo nonostante la mappa. Morale: stanco e sotto un sole cocente, mi trascino a braccia il fardello dello zainone per oltre 500 metri, fino a trovare, grazie anche alle indicazioni chieste tra i passanti, il piccolo hotel Emek, prenotato mesi fa tramite il sito Venere.Com. Sono sfinito, per fortuna c’è una piccola ascensore, perchè sennò arrivare alla mia camera 507 al quinto piano…L’hotel è imboscato in una via stretta e non di passaggio. Di fronte ci sono dei lavori, ed è a poca distanza da quello che sembra essere un comando di polizia. Ad Istanbul sono di passaggio, tornerò qua al termine del viaggio e mi fermerò 4 giorni, però, dopo una provvidenziale doccia, mappa alla mano, comincio lo stesso a girarmela un pò. Il primo impatto è quello di una città caotica, tanta gente, e spesso mi ritrovo in stretti vicoli contornati da mille botteghe che vendono di tutto, è un continuo ed unico bazar un pò ovunque. E’ impressionante invece il nazionalismo dei turchi, che già si percepisce in fase di atterraggio con l’aereo sulla città: da numerosi edifici vengono calati dalla cima fino in basso enormi bandieroni rossi con la stella e la mezzaluna bianche, i colori nazionali, che ricoprono intere facciate al posto del cemento. Mi sposto verso il molo Eminonu, dove attraccano i numerosi e grandi traghetti che collegano le varie sponde della città: questa è una della zone più caratteristiche, si vedono venditori di pannocchie abbrustolite, di fichi, di cozze e pesce appena pescato. Lungo il vicino ponte di Galata, diversi pescatori gettano nelle acque sottostanti le loro esche, mentre sullo sfondo il colle con le abitazioni che sembrano arrampicarsi l’una sull’altra, e su tutte la Torre di Galata, al tramonto sono davvero suggestive. Per fortuna le principali attrazioni della città sono facilmente raggiungibili a piedi, così attraverso in salita (Istanbul è tutta un sali e scendi essendo costruita su colli) Alemdar Cad., la via tranviaria, dove passano i lunghi e moderni tram cittadini, bianchi e azzurri, che fanno il pelo ai marciapiedi, infatti è un continuo suonare il loro. La città è viva, tanta gente di tutte le età e razze, tantissimi turisti. Ed è inoltre tenuta molto bene, soprattutto il verde, curatissimo, tanto che è facile vedere improvvisati pic nic di coppiette o intere famiglie col loro tappeto al posto della normale stuoia, ovunque ci sia uno spiazzo verde. Molte delle donne, soprattutto quelle di una certa età, indossano colorati foulard come copricapo, sembrano un pò le nostre nonne di un tempo, alcune in versione più colorata e moderna. E’ sabato, i giardini di Sultanameth, cuore storico di Istanbul, tra l’antica Aya Sophia e Sultanameth Camii (meglio nota come la Moschea Blu), sono presi d’assalto. La grande Moschea Blu da fuori è proprio bella, peccato che oggi ci sia davvero troppa gente. Nel suo cortile interno, piccoli stand che vendono testi religiosi, mentre il Muezin diffonde in tutta l’area attraverso gli alptoparlanti posti sui minareti, il suo forte richiamo alla preghiera, davvero suggestivo. Mi ricorda il calare della sera a Leh, in Ladakh…Nella parte esterna invece gli stand vendono articoli per turisti e kebap, con l’immancabile enorme rullo di carne di manzo sempre in caldo. Passo accanto all’ Obelisco egizio di Teodosio, risalente al 1450 a.C. Tornerò, per apprezzare meglio questi luoghi affascinanti, come Aya Sophia e il Palazzo Topkapi, anche da dentro. Intanto come primo assaggio mi accontento così. Riscendendo per Alemdar Cad. Curioso tra i vari negozi ( ottimi prezzi, mi sa che anche questo viaggio si concluderà con dello shopping), facendomi venire l’acquolina passando davanti alle vetrine dei negozi di dolci, ce ne sono alcuni dall’aspetto proprio invitante. Ma anche per loro, ci sarà tempo. La mia prima giornata qui in Turchia non poteva non concludersi con un classico piatto di kebap. Me ne rientro presto all’hotel Emek, mentre le luci colorate delle insegne illuminano Istanbul, e nel cielo (non sono lontano dal molo) svolazzano corvi e gabbiani. Domani, nel pomeriggio, si riparte, destinazione Kyrgyzstan…
30 agosto Istanbul Colazione per strada, seduto su un divanetto, spremuta di arancia fatta al momento e toast, con sottofondo musicale di brani arabi e new age. E’ domenica e si vede, in giro solo turisti stranieri, sembra che la città dorma da quanto è tranquilla rispetto a ieri. Il sole è caldo, però si sta bene, non c’è umidità. Passeggio tra le attrazioni turistiche di Sultanameth, percorrendo la ripida stradina acciottolata che arriva all’ingresso del Palazzo Topkapi, poi di nuovo in piazza Aya Sophia, e infine un pò di relax nel grande e bel Gulhane Parki, pieno di alberi secolari e ben curato, con alcune piccole sculture di personaggi della storia turca, aiuole fiorite e tanti gatti! Si, gatti, e non sono i primi che vedo, sono un pò ovunque nella città e, cosa alquanto insolita per i felini, molto a loro agio tra la gente, tanto che alcuni si fanno avvicinare e coccolare dai passanti. In alto, nascoste su alcuni tronchi, noto diverse piccole casette in legno per gli uccelli, non mi aspettavo tutta questa cura. Sono quasi le 14, zaino pronto, e prendo il taxi che mi porta all’aereoporto, stavolta è un ragazzo giovane alla guida, che sfreccia oltre i 100 km/h, e in meno di mezz’ora sono di nuovo al chek-in, con largo anticipo. Lungo la strada ho notato cartelloni pubblicitari che raffigurano giovani e belle modelle col velo colorato! Pubblicizzano proprio quello. Il moderno aereoporto Attaturk è affollato, sono tanti i voli in partenza. Dentro ci deve essere anche un bagno turco, perchè tra tutta la gente in attesa del proprio chek-in, ci sono anche uomini vestiti solo di asciugamani bianche, col loro bagaglio a mano al seguito, è surreale! Lunga attesa, volo per Bishkek in ritardo si un’ora. Alla fine eccomi finalmente sul volo Turkish Airline, altro decollo, altra meta da raggiungere nel cuore della notte…
…(il racconto del viaggio in Kyrgyzstan lo trovi sul sito www.Vagamondi.It) 18 settembre Istanbul Notte come sempre insonne sul volo della Turkish Airlines che stanotte mi ha portato da Bishkek a Istanbul. Atterraggio puntuale, ma poi mi tocca un’infinita coda per il controllo passaporti. Passa oltre un’ora prima di recuperare il bagaglio, per fortuna, un omino dell’Hotel Esen dove ho prenotato, mi aspetta col mio nome scritto a penna su un foglio di carta: è buffo, piccolino, non parla mezza parola di inglese se non “Turkyie good”, e fatica pure a trovare la macchina parcheggiata nei sotterranei dell’aereoporto. Appena risaliti con l’auto in superficie, Istanbul mi accoglie con una bellissima alba che si riflette sul mare, e sfuma all’orizzonte i profili dei tanti minareti della città. Non c’è ancora molto traffico a quest’ora, sono le 7.30 del mattino, e in una ventina di minuti sono all’Esen (www.Esenhotel.Com), situato appena dietro alla stazione ferroviaria di Sirkeci, a pochi passi dal quartiere Sultanameth. La mia camerà è la 401 (chissà poi perchè questo numero, visto che ci saranno una decina di camere in tutto), al quarto piano, niente ascensore ma scale a chiocciola buie, illuminate solo alla base da piccole luci colorate, che fanno luce solo sui gradini di moquette rossa, sembra di essere in un night club! Piccola stanza col bagno, dalla finestra, sporgendosi un pò, oltre alla stretta via sottostante, si vede il quartiere di Beyoglu, con la Torre di galata in evidenza. Sono stanco dalla nottata passata in volo, provo a dormire un pò, ma senza risultati. Ormai si è fatta tarda mattina, decido così di farmi un giro in direzione Sultanameth, C’è tantissima gente, talmente tanti turisti che mai mi era capitato di vederne così tanti concentrati in un’unica città, sento parlare in qualsiasi lingua, la maggiorparte sono spagnoli (così come mi era capitato in India), tanto che in alcuni locali le scritte per turisti sono appunto spagnolo e inglese. Mi sento un pò disorientato, non ero più abituato alla gente, alle voci, alle auto…Tre settimane di Kyrgyzstan mi avevano proiettato in un’altra dimensione. Tanto per riambientarmi al caos, mi reco in uno dei luoghi più affollati e caotici d’Europa: il quartiere dei Bazar, uno dei mercati più grandi al mondo. Un labirinto infinito di bancarelle che vendono di tutto, una addosso all’altra, un fiume di gente, locali e turisti, che come tanti piccoli pesci vengono attratti nelle reti dei venditori! Sono finito in quello che sembra un inferno dantesco, aiuto! Le botteghe vendono di tutto: jeans, scarpe, articoli per la casa, costumi per la danza del ventre, argenteria, narghilè, oro, ceramiche dai colori vivaci, e soprattutto thè e dolci turchi. La parte più interessante e pittoresca del bazar è indubbiamente il Gran Bazar, il più famoso suk del mondo, un grande mercato al coperto che esiste da oltre 500 anni. Rinuncio ad orientarmi con la mappa, è praticamente impossibile, l’unica e più pratica soluzione è quella di girare tra i mille vicoli lasciandosi guidare dalla curiosità, e nonostante sia stanco e disorientato, devo dire che questo luogo ha un fascino particolare. Anche io mi faccio attirare in una delle piccole botteghe, e dopo l’obbligatoria e divertente contrattazione, compro diversi pacchetti di thè turco. Non so come, ma riesco ad uscire dal Gran Bazar, ritrovandomi a percorrere stradine tutte in salita e discesa, occupate spesso dai furgoni di carico e scarico merci, che intasano e bloccano la viabilità, mentre la gente fa acquisti o trasporta con carrellini ma anche a spalla, enormi sacchi pieni di merce appena scaricata. E’ un vero delirio, in più fa pure caldo! Sempre a piedi, torno lungo la via tramviaria a Sultanameth. Anche qui i negozietti per turisti abbondano, così come i ristoranti, e i pub. Trovare dove mangiare ad Istanbul non rappresenta per nulla un problema, e si spende anche poco! Sono di nuovo a Sultanameth, il cuore storico della città, che nonostante l’invasione di turisti, appare come una delle poche città viste fino ad ora che non ha perso la propria identità, dove moderno e antico si fondono e convivono perfettamente; è proprio questo forse il fascino di Istanbul. Scendo fino al molo Eminonu, che all’ora di punta diventa un frenetico via vai di gente che corre per non perdere il traghetto: sono i pendolari che vivono dall’altra parte del Corno d’Oro o anche nella parte asiatica della città. E’ un pò come vedere la gente da noi in metropolitana, ma il fascino è tutta un’altra cosa qua. Dieci minuti di passeggiata e sono al Ponte di Galata: bello camminare su questo grande ponte a due piani, sotto i piccoli ristoranti di pesce e i caffè, sopra la strada e i due grandi marciapiedi dove posso ammirare da vicino i numerosi cittadini di Istanbul, giovani e anziani, che vengono qui a pescare con le loro lunghe canne, i venditori di simit (i tipici anelli di pane) coi loro piccoli carretti, e qualche venditore di banane e noccioline, mentre in cielo volavo i gabbiani. Ai vari attracchi del molo è un continuo traffico di imbarcazioni e traghetti; sulla sponda occidentale il profilo della città vecchia con le grandi moschee e i loro minareti, dall’altro lato il promontorio pieno di case che sembrano incastrarsi l’una sull’altra, dominate dalla tozza e antica Torre di Galata. Si fa sera, e la stanchezza si fa sempre più sentire: torno al molo, anche qui diversi chioschi con venditori di kebap e di cozze fresche, nel solito frenetico via vai di persone. Mentre regalo le ultime cose avanzatemi a delle donne che elemosinano per la strada, ad un certo punto la polizia blocca il traffico creando un notevole ingorgo e un conseguente concerto di clacson, perfino qualche agente controlla dall’alto dei ponti il tutto…Mah, io so solo che ho fame e scelgo un piccolo chiosco dove con 3,5 lire turche (meno di due euro, mentre una bottiglietta d’acqua costa solo 25 cent) mangio un ottimo panino con pesce. Ecco cos’era tutto quel bordello di qualche minuto fa: proprio nella strada adiacente a dove sto mangiando, passa, scortata da auto della polizia e perfino da body guard a piedi, un corteo di auto dai vetri oscurati, chissà chi era…
19 settembre Istanbul Ci ha pensato il richiamo del muezin alle 5 di questa mattina a svegliarmi, mentre dagli altoparlanti dei minareti diffondeva forte il richiamo alla preghiera dei fedeli. Fuori è un pò nuvoloso, si sentono già anche le sirene dei primi traghetti che attraccano al vicino molo. Ho deciso che dedicherò questa giornata alla scoperta dei luoghi storici di maggiore interesse di Istanbul. Veloce (e poco soddisfacente) colazione in hotel e mi dirigo verso Aya Sofya: non sono ancora le 9, orario di apertura al pubblico, e sono tra i primi a bazzicare davanti all’entrata della basilica. Alle 9 puntuale l’apertura, mentre intanto si è formata una bella coda di turisti, molti dei quali scesi in gruppo e con guida dai pullman turistici. Si, ahimè oggi mi toccherà “convivere” coi turisti, nonostante la mia nota allergia a questa categoria. Infatti, per alcuni di loro, già fare una normale coda per il biglietto, pare un’impresa ardua…Vabbè, mi estraneo, pago le mie 20 lire turche ed entro in quello che è considerato l’edificio storico più celebre della città. La chiesa, infatti, fatta costruire dall’imperatore Giustiniano nel 537, al suo interno mostra tutta la sua grandiosità: è impressionante, da fuori non sembra! La cupola centrale, di 30 metri di diametro, è un qualcosa che ti fa rimanere col naso all’insù per un bel pò, così come le semi cupole e gli affreschi; ci si sente piccoli piccoli, le dimensioni sono proprio grandiose, dall’alto pendono fino quasi a terra, cavi che sorreggono enormi lampadari circolari di epoca ottomana, mentre la luce è soffusa, e penetra appena dalle vetrate colorate, creando un’atmosfera calda e allo stesso tempo quella tiepida oscurità che sa di passato. Le colonne di marmo, il trono dorato, le due grandi urne di alabastro all’entrata, e i grandi medaglioni neri posti in alto ai quattro angoli con incise in oro le scritte arabe dei nomi di Allah, Maometto e i califfi Ali e Abu Bakr, fatti mettere dopo che Mehmet il conquistatore trasformò la chiesa in moschea nel 1453, anno della presa di Costantinopoli…Tutto affascinante e grandioso, non pensavo di rimanere così piacevolmente stupito dall’interno di una basilica. Il piano superiore è meno interessante, anche se la salita semi buia sul pavimento acciottolato è suggestiva. Esco soddisfatto, nel frattempo la folla di turisti aumenta e il vociare si fa fastidioso. A pochi passi da qui c’è l’ingresso della Cisterna Basilica, biglietto 10 lire turche, seconda tappa del mio giro culturale. La Cisterna Basilica è una struttura sotterranea dove nel 500 veniva raccolta l’acqua ricevuta dal Mar Nero tramite lunghi acquedotti. Il sito è particolare, sono sottoterra, al buio, su delle passerelle poste sopra ad uno specchio d’acqua, con file di colonne che sorreggono il tetto, illuminate solo alla base in modo da creare una suggestiva luce. Nell’acqua vedo le sagome di grandi carpe che nuotano, mentre dall’alto piovono grandi gocce che rendono la passerella scivolosa. Arrivo fino in fondo dove ci sono le colonne più interessanti, una con decorazioni a forma di gocce, e due con alla base una testa di medusa rovesciata. La cisterna non è grandissima, in una ventina di minuti sono già fuori. Mi rilasso un pò nei bei giardini tra Aya Sofya e la Moschea Blu, e ora sono pronto per l’ultima mia meta giornaliera, la grande Moschea Blu, altro simbolo di Istanbul, edificata tra il 1606 e il 1616, oltre mille anni dopo Aya Sofya, per volere del sultano Ahmet I. Da fuori è imponente, una grande cupola centrale e tante altre piccole che la circondano, con ai lati i 4 alti minareti. Entro dall’ampio cortile laterale, al cui interno piccoli banchi vendono testi religiosi, mi metto poi pazientemente in coda per entrare (ingresso gratuito). Lentamente arrivo, mi tolgo le scarpe che metto negli appositi sacchetti di plastica che un rullo a strappo continua ad elargire senza soste, ed entro: come per Aya Sofya il primo impatto è grandioso, anche se qui, a differenza di prima, la luminosità è totale, dovuta sia alla luce che filtra, sia soprattutto ai colori chiari degli arabeschi con cui tutto è decorato all’interno, sembra nuovo. Enormi colonne bianche in marmo sorreggono le volte su cui poggiano le cupole, anche qui dall’alto “piovono” verso il basso una miriade di cavi che sorreggono i lampadari circolari, fasce azzurre con scritte arabe in oro e tantissime finestre a volta che illuminano il grande atrio di preghiera su tappeti rossi, transennato al pubblico. Bellissima, luminosa, enorme, completamente diversa da Aya sofya dove si avverte di più il peso e il fascino della storia, però difficile scegliere la più bella da quanto sono diverse. Esco, e passeggio dal lato della moschea dove ci sono, a poca distanza l’uno dall’altro, l’ Obelisco di Teodosio, scolpito in Egitto nel 1450 a.C. E portato a Costantinopoli nel 390 d.C., poi ancora l’ Obelisco di pietra grezza e quel che resta di un’antica colonna serpentina del 478 a.C. Per oggi il mio tour culturale finisce qua, per una volta ho fatto seppure a modo mio, anche io il turista. E’ quasi pomeriggio e ancora non ho pranzato, così torno in zona hotel e mi fermo in un piccolo ristorante a mangiare qualcosa, prima di rientrare in camera per una sosta. Per poco però: mi riarmo di sana voglia di camminare e mi dirigo verso il molo Eminonu, percorro il Ponte di Galata, tra gli improvvisati pescatori, fino alla sponda opposta, al quartiere di Beyoglu. Seguo l’itinerario a piedi consigliato dalla Loonely Planet, partendo così dalla più famosa pasticceria della città, la Karakoy Gulluoglu, dove addirittura c’è la fila da fuori per entrare! Poi su, lungo una ripida salita fino ad arrivare alla Torre di Galata, costruita dai genovesi nel 1348, che coi suoi 67 metri di altezza domina dall’alto del colle immersa tra le case, il quartiere a nord del Corno d’Oro. Il quartiere in sè però è un pò deludente, qualche stretto vicolo e poi strade con architetture e negozi occidentali, nulla di particolarmente interessante, così ripercorro il Ponte di Galata in senso inverso fino a tornare al molo di attracco dei traghetti, sormontato dall’imponente Yeni Camii, la Moschea Nuova, anche se per nuova, si intende fine XVI secolo! Intanto si fa buio, torno nel cuore storico dell’antica Bisanzio, poi Costantinopoli…A Sultanameth, per qualche foto notturna: l’illuminazione di Aya Sofya è molto suggestiva, calda. Alle 19.30 puntuali, anche la Moschea Blu si illumina, e tramite dei fili collegati tra i due minareti frontali, appare la scritta come se fosse sospesa in cielo ” Lailahe Illallah”, e la voce del muezin comincia a riecheggiare nella città. Passeggio tra i giardini di piazza Sultanameth, pieni di famiglie locali che improvvisano pic nic notturni anche attorno alla grande fontana centrale, anch’essa illuminata. All’improvviso il fuggi fuggi generale: si abbatte un improvviso temporale, proprio mentre cerco di fotografare il profilo illuminato di Aya Sofya. Mi riparo, stretto fra altra gente, sotto una cabina telefonica, e come per magia si materializzano subito i venditori di ombrelli. Dura poco per fortuna, giusto il tempo di rovinare la cena dei tanti turisti che affollavano i tavoli all’aperto. Riprendo a passeggiare nei pressi della moschea, in un attimo i chioschi di kebap, di gelati, di venditori di pannocchie abbrustolite e castagne, sono di nuovo presi d’assalto: ceno e me ne torno verso l’Esen Night Club (ormai l’ho ribattezzato così!) lungo la via piena di ristoranti, alcuni dei quali con musica di suonatori turchi dal vivo, altri coi cuscini e i tappeti fuori dove turisti fumano i narghilè, tutti con intraprendenti camerieri che in ogni modo cercano di portare nei loro locali i passanti, in maniera garbata e simpatica, menù alla mano, e guarda caso nel dubbio, il loro primo approccio è quasi sempre un “hola, buenas tarde”.
20 settembre Istanbul – Anadolu Kavagi – Istanbul E’ domenica mattina, sono da poco passate le 9 e qui al molo Eminonu si nota l’assenza del frenetico via vai dei pendolari. Faccio il biglietto di andata e ritorno (20 lire turche) per il traghetto che attraversa tutto il Bosforo fino al suo sfociare nel Mare Nero, alla cittadina di Anadolu Kavagi. Per fortuna che sono arrivato così preso, il traghetto parte alle 10.35, ma già alle 9.45 si forma una disordinata coda di turisti in attesa dell’imbarco. Il cielo è in parte nuvoloso, ma quando il sole si fa largo è davvero uno spettacolo, con le nuvole bianche all’orizzonte e tantissimi gabbiani che si gettano a pelo d’acqua per pescare e poi risalire in volo. Sul vicino Ponte di Galata già i primi pescatori hanno gettato i loro ami nelle acque sottostanti. Si sale, alle 10 il traghetto a due piani è già pieno: la maggiorparte della gente fa a gara per occupare i posti sul ponte, io invece preferisco le panche laterali più a bordo acqua, l’ideale per fotografare, in fondo all’imbarcazione. Si salpa, gente addirittura rimane in piedi, siamo ben oltre la capienza dei posti a bordo. Tira un bel vento durante la navigazione e ogni tanto arriva anche qualche spruzzo d’acqua. Sto viaggiando lungo il Bosforo, da una parte l’Europa, dall’altra l’Asia…La prima breve fermata è al quartiere Besiktas, sponda europea, e sale altra gente. Navigando, mi rendo conto di quanto estesa sia Istanbul, le cui case, tutte più che dignitose, si arrampicano sui promontori a ridosso del mare. Si passa sotto enormi e moderni ponti che collegano le due sponde, quindi i due continenti; sul versante europeo passiamo davanti al bianco neoclassico Palazzo Ciragon, poi promontori completamente ricoperti di vegetazione dalla quale spunta l’onnipresente bandiera turca. Dopo un paio di ore scarse e 6 fermate, il traghetto attracca al piccolo molo di Anadolu Kavagi: si tratta di un minuscolo villaggio, qualche imbarcazione da pesca, graziose casette colorate che si affacciano sul molo di legno scuro, e un numero consistente di ristoranti, coi camerieri che appena attracca il traghetto, fanno a gara, menu alla mano, per attirare a gran voce i turisti appena sbarcati. Aggiro la folla affamata e mi dirigo subito verso la cima della collina per ammirare il panorama dall’alto. La salita è ripidissima, faticosa…C’è un simpatico negozietto di pinocchi e altre bambole in legno, qualche altro piccolo ristorante panoramico, e finalmente, dopo 20 minuti e con la lingua a penzoloni, arrivo alla cima dove ci sono i resti di un antico castello medioevale. Da qui il panorama è fantastico! Ammiro dall’alto la parte terminale del Bosforo che sfocia nel Mare Nero, le acque di un blu intenso che sembra appena mossa da un leggero vento, con lente navi merci che si dirigono verso nord, e la bandiera rossa con la stella e la mezza luna bianche che sventola dal promontorio. Da una parte l’Europa, dall’altra, dove sono adesso, l’Asia. Sto qualche minuto quassù a godermi lo spettacolo, poi, alla spicciolata, comincia, arrancando, a salire un pò di gente, così me ne scendo verso il molo e mangio, ora che la ressa è finita, in uno dei ristoranti, mentre i gatti girano tra i tavolini all’aperto. Il traghetto riparte alle 15, comincia a formarsi la coda per i posti migliori, mi ci infilo anche io dopo essermi concesso un buon gelato turco, cremoso, da provare, molto diverso dal nostro. Si sale, mentre un gruppo di gabbiani prende d’assalto uno dei pescherecci ormeggiati. Come all’andata, tutti su, e io comodamente giù sulla panca che si riempie per ultima. Il traghetto parte puntuale e ricomincia a percorre il Bosforo a ritroso. Per un tratto di navigazione siamo affiancati ad una enorme nave merci, mai vista così lunga, sarà più di 400 metri, probabilmente trasporta gas dal Mare Nero a giudicare dai lunghi tubi, e batte bandiera di Singapore, chissà quanto ci metterà a tornare in patria. Intanto il personale di bordo passa a vendere thè, caffè e yougurt. Il cielo si fa sempre più minaccioso, ripassiamo sotto i grandi ponti di collegamento fra i due continenti, e proprio poco prima di arrivare al molo Eminonu, comincia a piovere forte. Scendo in fretta dal traghetto, nel fuggi fuggi generale; mi butto giù per le scale di un sottopasso pedonale, pessima scelta: c’è un mare di gente, sembra l’uscita da San Siro dopo un derby, con i venditori dei negozi di abbigliamento che urlano per attirare i clienti, aiuto! Trascinato dalla corrente umana e con mano ben stretta sul marsupio, esco in superficie, nonostante i tuoni la pioggia sta calando di intensità, e riesco a tornarmene in hotel. Si è fatta sera, ha smesso di piovere, ora l’aria è fresca. Scendo di nuovo giù verso il molo per vederlo in versione notturna e, sorpresa: i suoi marciapiedi si sono trasformati in un suk all’aperto! Piccoli carretti improvvisati che vendono kebap di pesce, ai loro lati dei tavolini che noi useremmo negli asili (saranno alti 15 cm!) e sgabelli in miniatura. Poi un’infinità di venditori che che sui loro teli di plastica espongono di tutto: jeans e magliette contraffatte, giocattoli, copri cuscini in pelle, perfino cellulari e orologi. Non mancano ovviamente anche venditori di pannocchie e castagne, tutto attorno è un gran vociare come in un mercato. Incredibile l’arte del commercio dei turchi. Caotico ma bello, con le luci della città che danno qual tocco in più, il Ponte e la Torre di Galata illuminati così come la Moschea Nuova. Ormai ho imparato ad attraversare la strada alla turca, i semafori sono qui solo un abbellimento coreografico, e occorrono sempre mille occhi. Cena veloce all’aperto, e ora qua, nella mia piccola camera, mentre sotto un gruppo di inglesi fa baldoria in un pub. Accendo la tv e copro le voci guardandomi un programma di giovani promesse canore locali, più o meno il loro zecchino d’oro. Fuori ricomincia a piovere, tempo infame in questo viaggio…
21 settembre Istanbul Anche oggi nuvoloso, e anche oggi sono il primo ad essere sceso giù per la colazione a buffet dell ‘Esen Hotel. Esco presto per arrivare tra i primi all’ingresso del Palazzo Topkapi. Arrivo, il grande portone ancora chiuso, è presidiato da due giovani militari. Da fuori già si può ammirare il grande arco di marmo, con le scritte dorate in caratteri arabi su sfondo nero, e a lato le antiche mura in pietra. Arrivano le 9, il portone viene aperto, una breve passeggiata nel parco tra querce secolari e arrivo alla biglietteria, pago 20 lire turche ed entro in quella che è denominata la seconda Corte, mentre alle mie spalle cominciano ad arrivare folti gruppi di turisti. Decido di entrare per prima nell’ Harem del Palazzo, che ha una biglietteria a parte, davanti al suo ingresso (15 lire turche). Il Palazzo Topkapi è enorme, non consiste in una unica struttura, ma in tanti edifici separati tra loro da giardini o piccole vie, costruiti tutti in epoche diverse. L’ edificazione del Palazzo fu voluta da Memeth in Conquistatore nel 1453, subito dopo la presa dell’allora Costantinopoli. L’ Harem era il luogo dove viveva la famiglia imperiale e le concubine, governate dalla madre del sultano regnante, tutte straniere per via del divieto islamico di ridurre in schiavitù dei musulmani. Le ragazze dell’ Harem venivano educate alla musica, alla danza, alla lingua e alla cultura turca. Loonely Planet in una mano, macchina fotografica al collo, comincio a perlustrare i vari ambienti dell’ Harem: le pareti e i soffitti sono semplicemente sontuosi, rivestiti di piastrelle e di maioliche finemente lavorate, dai colori chiari, che vanno dal bianco, al rosa, al turchese. Fontane in marmo bianco con rivestimenti dorati, enormi stanze con vetrate a volta, grandi cupole come soffitti dai quali scendono grandi lampadari, letti a baldacchino, divani…Tutto bellissimo, soprattutto le pareti con le incisioni in arabo e le bellissime piastrelle. Curioso tra le tante stanze e i lunghi corridoi per arrivarci, scattando foto a ripetizione. Passo dalla sala dei ricevimenti a quella da bagno della madre del sultano, con vasca e fontane, fino ad arrivare al corridoio delle concubine, le quali dovevano nascondersi (non era permesso loro di guardare e farsi vedere dal sultano senza prima il suo permesso) al passaggio del sultano stesso, facilmente intuibile dai passi fatti con pantofole rivestite da suole di argento. L’ Harem era anche il luogo del divertimento e della perdizione per i sultani, uno di questi, Murat III, ebbe ben 112 figli! Proprio bello e perfettamente conservato! Esco, comincia a piovere forte, così attendo un pò che smetta, seduto su una panchina al riparo dall’acqua. Leggo la guida, le mille storie successe in questo Palazzo nei suoi 500 anni di storia. La pioggia concede una tregua, così mi incammino in uno dei cortili per rientrare dalla Porta della seconda Core, detta della Felicità, e da qui nella sala delle udienze del sultano, anch’essa finemente decorata anche all’esterno. La folla è decisamente aumentata, la mia “insofferenza” aumenta soprattutto nei confronti di quei “gruppi vacanza” con guida, chissà perchè sempre italiani, che brillano in scarsa educazione e rispetto dei luoghi; vabbè, per fortuna gli ambienti sono tanti così posso optare di volta in volta per quelli meno affollati. Visito la biblioteca, con il suo enorme camino in rame, poi i vari chioschi dei pascià, il Padiglione di Baghdad, la sala delle circoncisioni, quella del capo medico, tutti con i soffitti a cupola altissimi. Poi ancora i giardini privati, con le belle fontane in marmo, il baldacchino di Iftaryie dal piccolo tetto dorato, dal quale si ammira un bel panorama del Corno d’Oro. Lascio per ultime le stanze coi cimeli, spade e mantelli, e quella dei ritratti dei sultani, decisamente stile museo, meno interessanti e per di più affollatissime. Ho fatto bene a visitare per prima l’ Harem, la parte più bella, quando ancora non c’era questa folla e si poteva addirittura girare nelle stanze; uscendo sono ancora più contento vedendo dalla biglietteria una lunga fila che arriva quasi al portone della prima Corte, oltre 300 metri in là, dove qualche ora fa ero tra i primi ad aspettare l’entrata. Ora ci vorranno almeno un paio d’ore solo per arrivare a fare il biglietto! Turisti a parte, molto bello, suggestivo, immenso (più grande di Versailles), soprattutto l’ Harem, la parte che più mi è piaciuta. E c’è da considerare anche l’adiacente (al di là delle mura) Gulhane Parki, un tempo parco del Palzzo Topkapi, nel quale ho trascorso il primo giorno di questo viaggio quasi un mese fa, immenso e ben tenuto, pieno di alberi. Uscendo assisto ad una scena bizzarra: dei piccoli gatti appollaiati, placidi, in mezzo ad un gruppo di grossi corvi! Ripasso davanti ad Aya Sofya (dista un centinaio di metri) e mi dirigo lungo una delle tante strade che salgono in direzione del Gran Bazar. Ma stranamente è chiuso, non me lo aspettavo, la Loonely non parla di giorni di chiusura. Le stradine che due giorni fa erano un inferno sono desolatamente vuote; le percorro a casaccio, e senza farlo apposta mi ritrovo proprio in un altro Bazar, quello delle spezie, decisamente più piccolo ma pieno di gente. Scatto foto tra i banchi che, oltre alle spezie, vendono anche dolci e formaggi. Il Bazar finisce nell’ampia piazza di fronte alla Yeni Camii, la Moschea Nuova. Sia la piazza che le mura della Moschea sono invase dai piccioni e dai locali che si fanno fotografare sulla scalinata. Da fuori la Moschea assomiglia alla Moschea Blu, anche se meno imponente. Entro, non ci sono code nè turisti, anche l’interno è simile, per terra grandi tappeti, in alto l’enorme cupola sorretta dalle grandi colonne di marmo, e colma, come le semi cupole, di splendide e luminose decorazioni. Nella parte centrale alcuni fedeli stanno pregando, è valsa la pena entrare. Esco, mi rimetto le scarpe e mi incammino verso l’hotel per trovare un posto dove mangiare, approfittando anche del fatto che ha smesso di piovere. Mangio, poi una sorpresa che proprio non mi aspettavo: svolto l’angolo per immettermi in Hudovendigar Caddesi, la strada in salita che porta a Sultanameth, e sono di nuovo in un mare di gente, ma stavolta non turisti, ma turchi! Intere famiglie e giovani di ogni età che passeggiano in entrambe le direzioni! Oggi è la fine del Ramadan, il periodo di digiuno dei musulmani, ecco perchè era chiuso anche il Gran Bazar. Sono tantissimi, fa impressione vedere la strada che fino a stamattina era percorsa quasi solo da turisti, completamente presa d’assalto dai locali. Scendo verso il molo di Eminonu, qui il flusso di gente fa ancora più impressione, i chioschi dei kebap e delle pannocchie abbrustolite fanno affari d’oro, si nota un pò in tutti una comprensibile euforia, come se tutti stessero festeggiando qualcosa. Mi fermo sul Ponte di Galata ad osservare questo singolare spaccato di vita, ai pochi passi dai profili delle sempre presenti canne da pesca, mentre nella parte sotto del ponte i cuochi dei ristoranti cucinano il pesce su grandi bracieri. E’ un bel momento, si sentono mille voci accavallate, il verso dei gabbiani e ogni tanto qualche sirena dei traghetti. Penso a quanti estremi ho vissuto in questo viaggio, dall’essere l’unico straniero in molti luoghi del Kyrgyzstan, alle code in mezzo a chissà quante nazionalità qui ad Istanbul, ai silenzi assoluti del Song Kol, al vociare di questo sciame di gente che festeggia la fine del Ramadan. I paradossi del viaggiatore. Certo che ultimamente, senza farlo apposta, mi ritrovo sempre in luoghi sacri dell’ Islam in queste circostanze: l’anno scorso ero al Taj Mahal, quest’anno a Sultanameth, l’anno prossimo sarò a La Mecca? Mah! E’ l’ultima sera, questo lungo ed emozionante viaggio sta per terminare; per una volta anche il cielo sembra voler concedere una tregua, illuminando il molo con la calda luce del sole che lentamente tramonta all’orizzonte. Attraverso il ponte rialzato che mi porta al di là della strada, e mi incammino ancora una volta verso Sultanameth, per vedere Aya Sofya illuminata. Ricomincia a piovere ad intermittenza, piove e smette almeno tre volte nel giro di mezz’ora, ora finalmente sembra smettere. Ultimi piccoli acquisti nei negozi lungo la strada, e ora con un pò di tristezza per un qualcosa di bello che sta finendo, l’ultimo kebap dall’alto di una terrazza, guardando il via vai delle persone e dei tram sottostanti, con a fianco a me una grande pecora di peluche. Buonanotte Istanbul.
22 settembre Istanbul Anche stanotte temporale, ora per fortuna, nonostante i minacciosi nuvoloni, sembra che il tempo regga. Scendo per l’ultima colazione, poi doccia e con mezz’ora di anticipo sul chek out previsto per le 10, lascio la piccola stanza dell’Esen Hotel, “parcheggiando” il pesante bagaglio nella hall. Mi dirigo per l’ultima volta, nel cuore dell’antica Bisanzio, vagando lentamente tra piazza Aya Sofya, i giardini di Sultanameth e la Moschea Blu; ci sono già le code di turisti in fila per entrare, alcuni ambulanti cercano di vendere loro le guide della città tradotte in tutte le lingue. In pratica non ho più nulla di specifico da fare, se non godermi le ultime ore di queste meraviglie. Foto di rito al puffo viaggiatore, mio fedele compagno anche stavolta, poi di nuovo giù in direzione molo. Sono di nuovo qui, in uno dei luoghi fulcro di questa meravigliosa città, al molo di Eminonu, il posto dove meglio si entra in contatto con la vita quotidiana della popolazione locale. Osservo i pescatori, i giovani che chiaccherano e quelli che corrono per prendere i traghetti in partenza, i venditori di kebap col loro gigantesco rullo di carne sempre in caldo, e i numerosi carretti di pannocchie e simit. Ancora poco e mi tocca ritornare in hotel, alle 13 passerà il mini shuttle per l’aereoporto (4 euro). Pranzo in un chiosco vicino al molo, panino con pesce, consumando le ultime lire turche, me ne resta giusto 1 per il carrello in aereoporto. Esce anche il sole nel frattempo: sulla poltrona della hall del piccolo hotel Esen sistemo al meglio le ultime cose nello zaino, faccio il cambio scarpe, mentre i due ragazzi dell’hotel, quasi per passare il tempo, passano l’aspirapolvere. Alle 13 puntuale ecco il furgone, con altri 4 turisti su a bordo: salgo e via verso l’aereoporto Attaturk. Sono atterrato cinque giorni fa con una splendida alba, e anche oggi, dopo tanta pioggia, Istanbul mi saluta con un bel sole che riflette sul mare che costeggio, dall’altra parte della strada le antiche mura della città, poi il faro e ancora i giardini ben tenuti con la gente che fa jogging. In 30 minuti sono all’aereoporto, aspetto l’ennesimo chek in, poi l’ennesimo decollo (ormai ho perso il conto), ma stavolta è uno di quei voli un pò tristi, di quelli che segnano la fine del viaggio, di una esperienza di vita. Si, perchè un viaggio è anche questo. Sono stato bene questi giorni ad Istanbul, città affascinante ed ospitale, ricca di luoghi da vedere, una breve vacanza che ci voleva dopo le fatiche del viaggio vero, quello nelle terre kyrgyze, le terre dell’antica Via della Seta. Ripenso a tutte le avventure e disavventure di queste settimane, alle fatiche, agli incontri, alle emozioni…Come tradizione ormai, scrivo le ultime righe di questo iario in volo, sotto di me un “mare” stupendo di nuvole bianche, sembra l’ Antartide…Mi vengono in mente i cavalli bradi che corrono mentre il sole tramonta al Song Kol, mi viene in mente il canto di ringraziamento nella yurta della piccola Nasmy, e mi sale un pò di magone…
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