Israele e territori palestinesi: una terra di contraddizioni
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Nel posto più sacro del mondo – La Terra Santa (fa quasi paura dirlo!) – di primo acchito viene da chiedersi dove sia l’amore, dove si nasconda. Si è forse rifugiato sotto le migliaia di turistiche cianfrusaglie vendute nel suq di Gerusalemme? O è forse finito in un piatto di hummus e kebab?! Tutti con la testa coperta da kippah, veli e kefiah, tutti che pregano e s’inginocchiano ma che poi non chiedono scusa se ti urtano, non ti aiutano fingendo di non capirti, e se ti hanno appena offerto un dolce e tu ringrazi pur non essendo ebrea, bè allora cara mia, il dolce non te lo meriti più! Eppure, appena sopraggiunge lo sconforto – e a volte anche la rabbia – succede qualcosa di magico: qualcuno ti dà il benvenuto con il sorriso più sincero che tu abbia mai visto; il cassiere di un alimentari ti aiuta nel modo più caloroso e generoso che tu abbia mai percepito; nel bel mezzo del diluvio una signora dai modi delicati e gentili ti dà un passaggio; un tassista ti accompagna alla stazione anche se hai finito i soldi; un palestinese ti porta ovunque tu voglia perché “all that matters is that you’re happy!“. Allora inizi a scorgerlo quell’amore… c’è, ma non si vede. Lo devi cercare. Ed io l’ho trovato dentro un ospedale per bambini palestinesi: era così forte e prepotente che mi ha scossa. L’ho ritrovato poi in una ragazza che mi ha aiutata ad attraversare il muro e in un tassista che non vede – non può vedere – Gerusalemme da quindici anni nonostante abiti a Betlemme. E insieme all’amore ho trovato la Libertà, quella cosa che noi diamo così tanto per scontato ma che scontata non lo è. Ho riscoperto la condivisione, la compassione nel senso greco del termine, come empatia e comprensione verso l’altro, la gratitudine e la volontà di andare sempre oltre all’apparenza delle cose. Israele è una terra di contraddizioni. Alcune sopportabili, altre talmente forti da lasciarti l’amaro in bocca. Ma è da quella stessa terra che ho imparato che sta a te trasformare l’amaro in zucchero.
INFO UTILI per i viaggiatori:
- FUSO ORARIO: è di un’ora in avanti rispetto all’Italia, eccetto nei mesi in cui è in vigore l’ora legale
- QUANDO ANDARE: più o meno sempre anche se in estate potrebbe fare veramente troppo caldo
- VOLI: da Milano Malpensa volo diretto su Tel Aviv con EasyJet
- MONETA: la valuta ufficiale è lo shekel israeliano. 1 ISN corrisponde a 0,25 €
- ASSICURAZIONE DI VIAGGIO: consiglio di farla, io ho utilizzato World Nomads con una spesa di 50 euro per 7 giorni.
- DOCUMENTI DI VIAGGIO: è necessario il passaporto con validità di almeno 3 mesi dal momento di entrata in paese. Non è necessario il visto il quale viene rilasciato cartaceo in aeroporto e che sostituisce il timbro che – per fortuna! – non viene più impresso. In questo modo si evitano un sacco di problemi nel caso abbiate progetti futuri come andare in America o Iran.
- COSA PORTARE: cappelli, sciarpe, crema solare, scarpe da trekking e tanta, tanta pazienza.
ITINERARIO:
Atterraggio a Tel Aviv per la quale consiglio 2 giorni, non di più (a meno che non siate super amanti della movida e dei locali!). Dalla metropoli potete arrivare in un’ora a Gerusalemme (io ho utilizzato lo sherut, ovvero un taxi collettivo che permette di pagare una cifra irrisoria e di farsi portare dove si vuole. A Gerusalemme vanno dedicati minimo 2 giorni ma ideale sarebbero 4, cercando di evitare – per quanto sia spettacolare – venerdì e sabato causa Shabbat (alias tutto chiuso!). In tal caso potete utilizzare quei giorni per esplorare la Palestina, Betlemme, i graffiti di Banksy sul muro, i monasteri di Mar Saba e San Giorgio, Gerico e il Mar Morto. Io non sono riuscita a spingermi più a sud, nella regione del Negev, per questioni di tempo e per il clima un po’ troppo freschino, ma appena potrò ci tornerò sicuramente. Quello che però vi consiglio è di noleggiare una macchina e fare la costa della Galilea settentrionale, in particolare Akko sul mare (che è stupenda) e Tsafed verso il lago di Tiberiade. Buon viaggio!