Israele da scoprire

Attraverso nuovi itinerari, tra turismo etnico e culturale, boutique wineries e ristoranti gourmet
Scritto da: la_gasp
israele da scoprire
Partenza il: 14/04/2017
Ritorno il: 21/04/2017
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
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Atterriamo all’aeroporto Ben Gurion nel pomeriggio e ad attenderci ci sono i nostri amici, che vivono li. Non abbiamo dunque bisogno di noleggiare un’auto, ma per chi deve farlo, Eldan è la compagnia più affidabile e al giusto prezzo. Guardo il paesaggio all’imbrunire e mi sento a casa, tanto questa parte del paese è verde e rigogliosa che viene spontaneo paragonarla alle dolci colline toscane. La strada che percorriamo è costeggiata da oliveti e vigneti che riflettono i sacrifici di coloro che per generazioni ne hanno tramandato la tradizione, in una terra della quale si conosce la storia e si avverte la diversità etnica e religiosa anche solo visivamente, attraversando i suoi villaggi: ebraici, cristiani, drusi o arabi, o un po’ degli uni e degli altri hanno tutti una qualche nota caratteristica che li contraddistingue. Il caos tipico dei villaggi arabi si contrappone alla pietra bianca dei paesaggi ebraici, i minareti sunniti, riconoscibili dalla luce verde che si accende al calare del sole, si alternano ai campanili cristiani.

Ci perdiamo nello spettacolo del tramonto che illumina le colline e avvolge il paesaggio come in un sogno, e, non guidando, non dobbiamo neanche preoccuparci delle numerose “junctions”. Chiamatele rotonde, roundabout o test attitudinali, ce ne sono ovunque. Efficaci ma traditrici, siate pronti a impostare il navigatore se non volete girare per venti minuti, com’è successo a me la prima volta che mi ci sono imbattuta. Destinazione Bassa Galilea. Ci ritroviamo a cena tutti insieme, a casa dei nostri amici di fronte alle colline che sovrastano la città di Karmiel, dopo qualche anno di lontananza ed il calore dell’accoglienza e dell’amicizia che ci unisce rende questo ritorno in Israele veramente speciale.

PRIMO GIORNO, 15/04/17: HAIFA, AKKO, ROSH HANIKRA

Dalla Bassa Galilea iniziamo la scoperta dell’Alta Galilea. Arriviamo a Haifa, il suo ingresso disordinato, con la zona industriale e l’enorme raffineria, la più grande del paese, il porto, costruito durante il mandato britannico, e ora secondo scalo marittimo per importanza dopo quello di Ashdod, non mi entusiasma. Proviamo a vedere se vista dall’alto fa un altro effetto. Arrivare alla sommità del Monte Carmelo dove si trova il Monastero Stella Maris, con la grotta che la tradizione vuole abitata dal profeta Elia. Un’occhiata al monumento posto di fronte al monastero, che ricorda la fallita campagna di Napoleone per la conquista della Palestina nel marzo 1799, durata ben poco. Pochi mesi dopo, l’esercito decimato dalla peste, sembra scendendo proprio per la valle che ci troviamo di fronte, raggiunse la costa e ritirò in Egitto. Fu in seguito a questi episodi che la repressione turca portò alla completa distruzione del monastero e all’uccisione dei monaci e dei soldati francesi che erano rimasti sul posto. L’attuale edificio venne poi ricostruito da monaci italiani intorno al 1820. Un luogo dove perdersi a Haifa sono i meravigliosi Giardini Baha’i, che attraversano la città in perpendicolare, incastonando in mezzo a tanto cemento un tesoro di fiori, colori, bianche scalinate di marmo lucente e giochi di fontane, curati quotidianamente da 300 giardinieri rigorosamente adepti della religione Baha’i. E’ possibile godere di questo spettacolo anche osservandolo dal basso, comodamente seduti in uno dei tanti locali che animano la Colonia Tedesca, un quartiere ricco di storia, fondato intorno al 1850 da templari tedeschi che desideravano stabilire una comunità cristiana in Terra Santa e rimasti fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando tutti i membri vennero deportati. Quello che colpisce è l’accurato restauro di questo quartiere, con le sue case di pietra chiara e i tetti rossi, molte delle quali conservano il nome scolpito sull’uscio dei primi occupanti, ora destinate ad essere centro della movida della città.

Lasciamo Haifa e la zona costiera e ci spostiamo verso le colline, mezz’ora circa di strada e arriviamo al Kibbutz Kabri. In una casa di pietra ricca di charme, con un grande patio dal quale si gode una magnifica vista al mare, si trova il ristorante Adelina. Un ristorante gourmet, Spanish-style, che abbina sapientemente prodotti e sapori locali con uno stile mediterraneo. Iniziamo perdendoci nel tapas-tour, dove tartare di pesce, carpacci, verdure di stagione e formaggi locali ci fanno intendere che il meglio deve ancora venire. I dessert sono favolosi, e la carta dei vini permette una vasta scelta delle migliori boutique wineries in Israele. Il locale è curato, con quello stile di casa di campagna dove niente è lasciato al caso, l’accoglienza e il servizio semplicemente squisiti. E’ frequentato da gente del luogo, e già questo per me è una garanzia, e durante la settimana offre menù di lavoro. Tappa altamente raccomandata.

Riprendiamo la macchina e ci dirigiamo ancora più a Nord, arrivando al confine con il Libano: Rosh Hanikra, confine chiuso e pattugliato, in territorio libanese, dai caschi blu dell’ONU. Qui il mare turchese incontra bianche scogliere, formando insenature e grotte che, tutti i sabati, tranne nel periodo invernale, possono essere visitate con un caratteristico trenino, per la gioia dei più piccoli, oppure ammirate scendendo con la ripida funicolare che offre una vista mozzafiato. Da Rosh Hanikra riprendiamo la strada del ritorno, ma non possiamo non fare una sosta ad Acco. Le imponenti mura difensive sul mare ci accolgono, così come ci accoglie la difficoltà a trovare parcheggio a ridosso della città vecchia. Il faro è il punto di partenza della nostra rapida escursione in questa tipica città araba, nota per essere abitata ininterrottamente da secoli, caotica, colorata e non tanto pulita. Seguendo le mura, passiamo accanto alla piccola chiesa di San Giovanni Battista, costruita dai crociati Templari nel 1737, mentre si stanno celebrando dei battesimi, una rapida occhiata all’interno senza disturbare la sacralità del rito, e andiamo oltre. Incontriamo un edificio dall’aspetto curato, sede del “Centro restauro città di Roma”, attraversiamo piazza Venezia e, andando avanti, ci ritroviamo in un caravanserraglio dove potremmo fermarci a mangiare un’ottima pizza al ristorante Napoli. L’Italia è ovunque! E questo non può che farmi immensamente piacere. Al porto la scultura della balena di Giona controlla il molo e le piccole barche dei pescatori, e da qui osserviamo Acco, il suo skyline che sfida le nuvole con i suoi minareti e campanili, con l’eco delle campane che si alterna al canto del Muezzin. La città è ricca di storia e di siti che vale la pena di visitare quali le antiche vestigia crociate e la splendida Moschea, ma arrivando nel tardo pomeriggio non siamo più in tempo per via degli orari di ingresso. Passeggiamo per la città vecchia, inoltrandoci nel suk, accompagnati dal vociare dei mercanti che offrono i loro prodotti con un’insistenza che mi ricorda che “tutto il mondo è paese”. Più che i tanti oggetti esposti, sono le persone ad attirare la mia attenzione, il caos e il disordine nel quale si sentono a loro agio, cosa che a me riesce un po’ difficile, forse anche per un senso di umana diffidenza che mi coglie quando mi trovo nei luoghi così affollati. In cerca di spezie, entriamo in una bottega dove un’infinità di piccoli e grandi oggetti sono stipati in uno spazio che farebbe invidia al più fanatico dei rigattieri di Trastevere. Sulla porta un’insegna di ferro dipinta introduce in un “Turkish coffee and spices”. Ci accolgono con un ottimo caffè al cardamomo, capiscono che siamo italiani e scatta subito una simpatia, ci sediamo su sedie improvvisate, parliamo sorseggiando il nostro caffè, scegliamo le spezie, come se non fosse la prima volta che ci troviamo li.

Proseguendo nel nostro giro, ci fermiamo ad assaggiare una bevanda tipica di queste parti, ottenuta dalla spremitura di canna da zucchero, con aggiunta di succo di limone e menta fresca, molto dolce ma dissetante e naturale. Tornando a recuperare la macchina passiamo accanto all’Accohotel, un hotel boutique tra i più esclusivi in Israele, la cui particolarità è quella di trovarsi in un edificio storico, risalente al periodo Ottomano, inserito nelle stesse mura che circondano la città che meglio di ogni altra cosa ci aiuta a capire la profondità e la maestosità di queste fortificazioni. Si può cortesemente chiedere di entrare per dare un rapido sguardo e l’atmosfera che si respira all’interno è talmente intensa e ricca di storia che ci rapisce subito.

Ci rimettiamo in cammino verso casa, attraversando colline e villaggi, e dopo circa 20 minuti eccoci a Tarshiha, per trovare il miglior gelato della Galilea. Buza è una gelateria che nasce da un progetto ideato da Adam e Alaa, ebreo il primo, arabo musulmano l’altro. Una joint venture che ha dato vita ad una collaborazione che fa riflettere molto sul fatto che la convivenza è possibile. Il gelato è semplicemente favoloso, i prodotti usati sono freschissimi e provenienti dalle coltivazioni circostanti, a parte alcune prelibatezze non autoctone importate, come il cioccolato nero di provenienza italiana. A cinque minuti di strada da qui, verso sud, nel villaggio di Kfar Vradim, lo stesso Alaa è l’artefice del successo del ristorante Aluma.

Dato che il nostro viaggio sta diventando sempre più un percorso enogastronomico, decidiamo di fermarci a cena. Il locale ha una posizione elevata rispetto alla strada, comunque non tanto trafficata, e questo rende gradevole pranzare ai tavoli della veranda che si trova all’ingresso, dalla quale di giorno si gode una splendida vista. L’interno è molto curato, con un’atmosfera romantica ed elegante, e l’accoglienza dello stesso Alaa ci introduce in un’esperienza culinaria da non dimenticare. Il ristorante si ispira alla tradizione locale con un tocco europeo, pesce freschissimo e ortaggi di stagione compongono piatti che esprimono l’amore, la natura e l’essenza stessa della gente. La carta dei vini, neanche a dirlo, propone il meglio dei vini d’Israele. Concludiamo così una giornata intensa e molto interessante.

SECONDO GIORNO, 16/04/17: GOLAN E LAGO DI TIBERIADE

Il tour di oggi prevede una “risalita” verso Nord, poiché la ricchezza di queste zone non permette di abbandonarle tanto rapidamente. Percorriamo strade che tagliano ettari ed ettari di meravigliosi vigneti che coprono le colline quasi a dipingerle, costeggiando sempre il confine con il Libano. Arriviamo al Kibbutz Yiron, e qui troviamo la Galil Mountain Winery. La sua posizione è alta e dominante sul paesaggio circostante, 1000 mt sul livello del mare, e il design innovativo che ci accoglie aggiorna la storia di questa regione che ha un antico passato e una lunga storia di produttori di vino. All’interno l’ambiente è curato, con note di arte moderna che mettono allegria. La grande vetrata della sala ristoro spazia sul mare di vigneti ai nostri piedi. Una breve degustazione è d’obbligo. La qualità del vino è ottima, compriamo alcune bottiglie e, dopo una bella boccata di aria fresca, ripartiamo. Ci dirigiamo a Ovest, alla volta di Hurfeish, un villaggio che conta il 93% della popolazione drusa e il 7% cristiana. Andiamo a vedere come procede il restauro di una piccola chiesa, una delle più antiche chiese bizantine in Israele, che sta tornando alla luce grazie all’impegno di alcuni volenterosi cristiani residenti, con l’aiuto del Vaticano per il restauro. Entriamo nel piccolo edificio e ci colpisce la sua semplicità, la caratteristica pietra chiara di questi posti, ne ammiriamo l’architettura antica, la profondità delle mura che lasciano intravedere antichissime travi di legno ancora intatte. Il prezioso altare antico è già posizionato, stanno aspettando i mosaici direttamente da Roma per completare il piccolo abside. In tutto questo contesto risalta la piccola statua, ancora mezza incartata per la sua incolumità, della Santa Marian Baouardy, nata in Galilea da genitori di origini libanesi, conosciuta per diverse manifestazioni mistiche. Questo piccolo tesoro storico e religioso è dedicato a lei e il restauro è il frutto di un lungo dialogo interculturale, interreligioso e sottilmente diplomatico, che ha permesso a una minoranza di far valere, con discrezione e nel rispetto di tutti, le proprie tradizioni. Per conoscere bene questo villaggio bisogna conoscere la storia del popolo Druso, che in Israele è tra le poche etnie di religione non ebraica a servire nell’esercito regolare israeliano e nella polizia, quindi decidiamo di salire fino alla sommità del Monte Zvul, che domina l’insediamento, con uno spettacolo mozzafiato sulle colline circostanti fino ad arrivare al mare, dove si trova un luogo sacro per il popolo druso. Visitiamo il santuario dedicato al Profeta Sabalan, che qui si dice abbia vissuto e sia stato sepolto. Abbiamo la fortuna e l’onore di poter parlare con due religiosi che ci spiegano a grandi linee la cultura e la storia del loro popolo: in sintesi, drusi si nasce, non si diventa, e ciò mi fa riflettere sulla forza e la ancestralità delle loro tradizioni, incontaminate da secoli. Parcheggio ampio, piccolo chiosco con souvenir e bagni pubblici all’ingresso, tavoli da picnic: il luogo infonde una tale pace che merita una sosta. L’ingresso al Santuario è libero, anche se come tutti i luoghi sacri, bisogna rispettare un codice di abbigliamento. Ricordatevi di togliere le scarpe prima di entrare, indossare pantaloni lunghi e magliette adeguate per gli uomini, mentre per le donne, oltre ad una certa sobrietà, è previsto coprire il capo con un velo che troverete all’ingresso. Assolutamente vietato scattare foto all’interno.

Proseguiamo il cammino verso il lago di Tiberiade, il Mare di Galilea, ma evitiamo le soste più conosciute, i siti religiosi visti in precedenza e andiamo a visitare una boutique winery che si trova in collina. Vigneti rigogliosi ci indicano la strada per la Chateau Golan Winery. La cultura del vino in Israele ha storia antica ed è esportata in tutto il mondo. Le cantine sono suggestive, un lungo tavolo antico nella fresca penombra accoglie i partecipanti a degustazioni su richiesta, circondati da botti antiche dove il vino riposa ed invecchia tranquillo.

Proseguiamo il nostro tour puntando verso Sud, percorrendo la strada 98, costeggiando il confine con la Giordania, particolare che noto anche perché inizio a ricevere messaggi delle compagnie telefoniche giordane che agganciano il mio segnale. Con il Mare di Galilea alle nostre spalle, arriviamo al Kibbutz Gesher, situato lungo le rive del Giordano, fondato negli anni ’30 da immigrati provenienti dalla Germania. Il sito è storicamente interessante, sconosciuto alla maggior parte dei turisti, inserito in una vera e propria oasi di pace. Luogo simbolo della resistenza dei pionieri durante la Guerra d’Indipendenza del 1948, si scorrono diverse epoche storiche passando dal ponte Bizantino, al ponte Ottomano, fino all’ultimo ponte, in ordine di costruzione, che risale al periodo del Mandato britannico. Qui ci si imbatte nella storia di Pinhas Ruthenberg, ingegnere ebreo russo, che nel 1930 costruì qui la prima centrale idroelettrica del paese. Quando è periodo di migrazioni, si assiste a un fenomeno di proporzioni ridotte rispetto a quello che si può osservare nella valle di Hula, in alta Galilea, ma ugualmente spettacolare. Migliaia di uccelli migratori si riposano nelle acque di alcuni bacini idrici che si trovano in questa valle prima di proseguire il loro viaggio. Facciamo sosta al ristorante Ruthenberg, a pochi metri dal confine giordano. Una vecchia casa che all’esterno mantiene ancora i segni dei proiettili che l’hanno colpita negli anni della guerra, e sembra surreale, in mezzo a tanto silenzio, immaginare i rumori della battaglia. Osserviamo dall’interno il confine così vicino, la vecchia ferrovia che collegava Gerusalemme a Damasco interrotta, un vagone abbandonato su una linea ormai ridotta a un ammasso di ruggine e una garitta in lontananza che sembra osservare proprio noi. Alle pareti le foto di Ruthenberg raccontano la storia di questo pioniere dell’elettricità, in un locale semplice ma non banale, dall’atmosfera calda e accogliente. Il cibo anche qui è il risultato di un riuscito connubio tra sapori genuini e prodotti locali, con una buona scelta di vini, tra i quali spicca anche un italianissimo Barbaresco. Ci rilassiamo nel prato che circonda la casa, e al calar del sole l’aria è fina e i colori si velano di tinte malinconiche e romantiche. Ogni angolo di questo paese è magico.

TERZO GIORNO, 17/04/17: SKITOPOLIS, CHIESA DI SAN GERASIMO, WADI ARUGOT, MASADA, EIN BOQUEQ

Partenza all’alba per questa giornata che si prevede lunga. Lasciamo la verde Galilea e ci dirigiamo a Sud. Prima tappa le rovine della città di Beit She’an, Scitopoli per i romani, Skitopolis in greco antico. Ci troviamo di fronte ai resti ben conservati di quella che era una fiorente città, le alte colonne in parte integre, l’anfiteatro e le terme evidenziano l’importanza storica di questo sito e mi stupisce quanto sia scarsa l’affluenza turistica. Fuori dall’aerea recintata, nascosta tra le case della nuova città, andiamo a cercare l’antica arena quasi sommersa dall’incuria e dall’abbandono evidenti, ed è un vero peccato.

Lasciamo Beit She’an e il paesaggio che ci circonda cambia completamente aspetto. Il caldo si inizia a far sentire e il sole sempre più forte surriscalda la terra intorno a noi e sembra tutto più arso e più arido. Stiamo attraversando la Samaria, i villaggi beduini con le loro case e tende si alternano a coltivazioni di palme, greggi di pecore intente a brucare, kibbutz che strappano al deserto terra che diviene fertile, colline e distese aride e inabitate. Il paesaggio cambia a ogni chilometro e mostra il diversificato patrimonio umano che popola queste zone. Arriviamo al monastero di San Gerasimo, il più antico della zona. All’interno il chiostro ha poco aulico ma è ricco di piante, fiori e decorazioni come in una piazza di paese nel giorno di festa, dove ci accoglie un grande gallo comodamente appollaiato su un vaso, incurante di essere il protagonista di molte foto. Il monastero ha anche un laboratorio di mosaico, un negozio di libri e souvenir dove poter acquistare articoli religiosi, consigliato per i prezzi, decisamente più bassi che a Gerusalemme ed un punto ristoro con un ombreggiato giardino dove trovare riparo dal caldo intenso.

Il nostro viaggio verso Sud ci porta su strade che tagliano un territorio sempre più aspro, facciamo una breve sosta per fare rifornimento di carburante in un’area con un piccolo mercato di souvenir e, accanto a un vivaio, troviamo un cammello in attesa di turisti pronti per una foto ricordo. Ci prestiamo a questa esperienza divertente, facendo anche noi un giro per aiutare l’economia locale, chiudendo gli occhi per immaginare di stare passeggiando tra dune di sabbia dorata e non costeggiando la strada 90. Lo spettacolo del Mar Morto è lì a pochi chilometri, ma prima facciamo una deviazione all’interno, perché ci aspetta un’escursione al Wadi Arugot. Il wadi è un canyon tipico delle regioni desertiche, dove alla base scorre un torrente che può essere permanente oppure riempirsi in seguito a improvvise alluvioni, a volte anche molto pericolose. Il percorso alterna tratti di pietraia, dove si cammina sotto il sole senza alcun riparo e tratti nel fiume, dove l’acqua non arriva quasi mai oltre la caviglia. In un punto si guada una pozza un poco più profonda, ma con lo zaino alle spalle, telefonini e camere fotografiche sono al sicuro. Camminare nell’acqua dà una sensazione di sollievo con le temperature che si stanno alzando e la vegetazione è ricca, permettendoci di passare per alcuni tratti all’ombra. Obbligatori sandali, cappello e crema solare protettiva, e mai farsi mancare l’acqua da bere. Un’ora circa di camminata e arriviamo al fondo del wadi, dove un laghetto e una scrosciante cascata ci permette di bagnarci e trovare sollievo.

Dopo questa piccola avventura riprendiamo la macchina e finalmente arriviamo al punto panoramico dal quale ammirare lo spettacolo dei laghi del Mar Morto, perché di laghi si tratta a dispetto del nome, a -400m sul livello del mare, il punto più basso della terra. Mentre scattiamo qualche foto vediamo molte macchine parcheggiate e gente che scende fino alla riva. Evitate di fare lo stesso in presenza di cartelli di pericolo. Non è uno stratagemma per far si che si vada necessariamente nella zona turistica attrezzata di Ein Boqueq, ma molti non sanno della pericolosità di queste zone. E’ una realtà geologica data dal ritiro delle acque e dall’erosione del sale che causa improvvise depressioni, tecnicamente chiamata sinkhole, ed è un fenomeno in crescente aumento. Capita, per chi si avventura in aree non protette, di trovarsi malauguratamente su una zona che improvvisamente sprofonda e inghiotte tutto ciò che si trova in superficie. Breve sosta alla sede della Hahava, compagnia israeliana che produce creme e prodotti di bellezza con i sali del Mar Morto, e proseguiamo velocemente verso Masada.

Sono già le quattro del pomeriggio e cerchiamo di arrivare in tempo per l’ultima corsa della cabinovia che ci porterà dritti in quota (16:30 ultima salita), perché il percorso a piedi sul sentiero, di certo più eroico, affascinante e suggestivo ha una durata di circa un’ora. Arrivati a quota -200 della fortezza di Masada restiamo senza parole, per ciò che stiamo vedendo e soprattutto per la storia di questi luoghi, simbolo della estrema resistenza ebraica alla conquista dell’Impero Romano. Consiglio una sosta a Masada più lunga di quella che abbiamo fatto noi, soffermarsi sul significato che ha per il popolo ebraico, osservare dall’alto in tutte le direzioni i resti dei numerosi campi romani perfettamente riconoscibili, che per un anno posero sotto assedio un pugno di uomini che dopo una estrema resistenza, vedendo ormai arrivata la fine, si tolsero la vita per non cadere nelle mani dei conquistatori. Scendiamo da questo luogo simbolo assorti e impressionati mentre il sole sta calando sul Mar Morto, e in poco tempo siamo a Ein Boqueq, centro del turismo e degli alberghi della sponda israeliana, che colpisce per essere un punto di civiltà in mezzo al nulla. Decidiamo di non fermarci a cena in albergo, abbiamo voglia di esplorare un po’ la zona in cerca di qualche posto caratteristico, con scarsi risultati. La recezione alberghiera è ottima, per il resto non c’è un granché, così, sinceramente affamati e complice una grande stanchezza ci fermiamo in un Mc Donald.

QUARTO GIORNO, 18/04/17: VALLE DI ARAVA, MACTESH RAMON, FATTORIA KORNMEHL, TEL AVIV

Sveglia alle 5:30, lo spettacolo dell’alba ci attende. Scendiamo in spiaggia e siamo lì seduti ad aspettare il sole che sorge, immersi in una pace e una tranquillità infinita. Scattiamo foto a raffica per cercare di fermare il sole e impedire che il crescendo di luce cambi le ombre e le sfumature che stiamo immortalando in questi momenti. Galleggiamo nelle acque salatissime e un po’ oleose, una rapida doccia (ce ne sono molte a disposizione di tutti sulla spiaggia) e di nuovo in macchina. Continuiamo sulla strada 90, che porta a Eilat, costeggiando i laghi e le distese di sale, passiamo accanto alla più grande fabbrica di sale e magnesio di Israele, e ci troviamo nella valle di Arava, una regione desertica dal cuore verde completamente trasformata. Ripopolata grazie alla costruzione d’insediamenti, con possibilità di alloggio, si possono visitare siti d’interesse storico e stare a contatto con la natura. Il Vidor Center, situato al centro della valle aiuta a capire meglio quanto la costante ricerca e il livello tecnologico raggiunto siano stati messi al servizio dell’agricoltura, dell’acquacoltura e di tutto quello che permette di rendere fertile e produttiva la terra più povera. Si può fare un giro all’interno del centro, assistere a proiezioni in 3D che narrano la storia di questa valle e dei pionieri che l’hanno trasformata, visitare interattivamente il centro dove sono illustrati i progetti che si stanno portando avanti, fare un giro nelle serre dove si sperimentano nuove colture e nuove tecniche e acquistare prodotti biologici.

Lasciamo la strada camionabile 90, conosciuta anche per non essere il massimo in fatto di sicurezza stradale, e ci dirigiamo verso l’interno. Siamo circondati dal deserto nella sua aridità più assoluta. La nostra prossima meta è il Mactesh Ramon, il più grande cratere erosivo del mondo, nel deserto del Negev, formatosi centinaia di milioni anni fa per l’improvvisa depressione del terreno dovuta al ritiro delle acque. Osserviamo i suoi confini, con le pareti che risaltano i differenti colori della stratificazione delle rocce nelle varie ere geologiche. È un buco immenso delimitato nella parte superiore da una lunga linea nera che lo circonda come una collana, e man mano che risaliamo ci rendiamo conto della sua vastità. Sul bordo settentrionale del cratere si trova la città di Mizpe Ramon, unico insediamento della zona, e si trova anche uno dei più lussuosi hotel di Israele, il Beresheet, che tradotto vuol dire Genesi, un luogo veramente speciale perché ubicato proprio sulla cima del cratere, inserito nel contesto del paesaggio quasi ad essere invisibile, dove i colori della struttura sono i colori del cratere. All’interno ampie vetrate permettono di avere sempre lo sguardo verso il panorama circostante tanto da far sembrare che non ci siano pareti. La nostra sosta al Beresheet è solo pura curiosità architettonica, quindi una volta soddisfatta, proseguiamo oltre. Altra caratteristica della città di Mizpe Ramon è la presenza di una fattoria di alpaca e lama provenienti dalle Ande, Alpaca Farm, un progetto realizzato dalla famiglia Dvir, che ha creato un’oasi di pace, in un panorama unico, dove poter trascorrere giornate a contatto con una natura selvaggia, tra attività di trekking, passeggiate a cavallo, lezioni di yoga e relax a bordo piscina osservando il tramonto.

Riprendiamo il viaggio e continuiamo il nostro percorso attraverso il deserto, fermandoci per un breve spuntino alla fattoria Kornmehl, sulle alture del Negev. Sulla strada 40, conosciuta anche come la strada del vino, per le innumerevoli distese di vigneti che spuntano dall’arido deserto, a Sud del kibbuzt Sde Boker, luogo in cui ha vissuto ed è sepolto il 1° Primo Ministro di Israele David Ben Gurion. Alla fattoria Anat e suo marito Daniel, che venti anni fa hanno deciso di lasciare il nord e impiantare qui la loro attività di produttori di formaggio di capra. Ascoltare da Anat la loro storia pioneristica rende questo posto ancora più magico. Il piccolo ristorante è stato realizzato con un vecchio vagone ferroviario riadattato al quale si collega una terrazza che spazia sul giallo costante del deserto. Comode panche con grandi cuscini soffici e colorati permettono di rilassarsi godendo di un panorama che commuove, degustando i deliziosi formaggi di produzione propria. Anche questa sosta è altamente consigliata.

Di nuovo in macchina, destinazione Tel Aviv. La giornata è stata lunga ma ricca di emozioni e dal silenzio del deserto ci troviamo al tramonto nella vibrante città che non dorme mai, passeggiando sul lungomare mai deserto, notte o giorno che sia. Scegliamo uno degli alberghi internazionali sulla Hayarkon, accoglienti e non tanto economici, ma essendo questa una tappa programmata senza tanto anticipo, e essendo capitati nel periodo della Pasqua, che quest’anno coincide con Pesach, le strutture recettive a buon prezzo erano esaurite.

QUINTO GIORNO, 19/04/17: TEL AVIV

Dopo aver girato in lungo e in largo, da Nord a Sud, decidiamo di goderci una giornata tranquilla, senza corse e senza auto, rilassandoci in spiaggia, percorrendo il lungomare che ci porta fino a Giaffa, con il caratteristico porto e le stradine curate. Un piccolo gioiello ricco di storia. La piazza centrale con l’alto campanile, i locali caratteristici dove mangiare un ottimo shawarma, una doverosa sosta all’antica panetteria Abulafia, dove mangiare la migliore pitta della zona, un giro al mercato delle pulci e di nuovo relax, mare e sole. La nostra giornata si conclude in un pub sulla Ben Yehuda, dove sorseggiamo dell’ottima birra israeliana ghiacciata mangiando pollo fritto e patatine.

SESTO GIORNO, 20/04/17: GERUSALEMME

Anche se può sembrare che il nostro viaggio a questo punto sia simile a quello dei salmoni che risalgono il fiume, non possiamo non dedicare una giornata a Gerusalemme. Da Tel Aviv percorriamo per una mezz’ora circa la strada 1, molto trafficata e con diversi cantieri in corso che la stanno ampliando, deviando per una sosta a Latrun. Questo incantevole monastero trappista si erge sulle colline che dominano la strada che da Tel Aviv porta a Gerusalemme, circondato da cipressi, oliveti e vigneti, e da silenziosi giardini nei quali è possibile passeggiare per godere della quiete che vi regna. Non per nulla è chiamato il monastero del silenzio, secondo la solenne promessa dei frati al voto del silenzio. È possibile acquistare olio, vino, liquori e miele prodotti dagli stessi monaci nel piccolo negozio situato all’ingresso.

Lasciamo Latrun e ci dirigiamo verso le colline di Beit Gemal, vicino alla cittadina di Beit Shemesh, dove si trovano due monasteri, uno per preti dell’ordine dei Salesiani di Don Bosco, e uno per le suore dell’ordine delle Sorelle di Betlemme. L’accoglienza dei padri salesiani rispecchia lo spirito dell’ordine, con la piccola e preziosa chiesa di Santo Stefano, l’organizzazione di concerti nel fine settimana e il negozio dove poter acquistare ottimo vino ed olio prodotti localmente. Il monastero delle suore ha anch’esso una chiesa che però non siamo arrivati in tempo a visitare. In compenso ci siamo fermati nel negozio di ceramiche che si trova all’ingresso, prodotte dalle stesse suore, rispettose anch’esse del voto di silenzio. Prima di arrivare in albergo, visitiamo la Ticho House, una delle prime case costruite a Gerusalemme fuori dalla città vecchia nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Acquistata nel 1924 dal Dr. Avraham Albert Ticho e da sua moglie Anna, pittrice, venne convertita in ospedale oftalmico. Molto attivi nella vita sociale e culturale della città, Anna, alla sua morte, avvenuta nel 1980, vent’anni dopo il marito, ha lasciato questa casa, le sue collezioni e la sua libreria alla città, come centro pubblico di cultura e di arte. Salendo al primo piano di questa graziosa casa di campagna, immaginandola circondata da alberi che ora sono diventati alti palazzi moderni, troviamo il ristorante Anna, che offre una cucina degna della migliore tradizione locale con incursioni nella cucina italiana che viene proposta in alcuni piatti simbolo, come gli spaghetti cacio e pepe più che dignitosi. Visibile le pietre originali, tutte rigorosamente numerate per essere ricomposte in caso di restauro, che compongono la grande ombreggiata terrazza, dove si respira l’aria del passato quasi a dimenticare la modernità che ci circonda. Altamente raccomandato. Scegliamo per la nostra ultima notte in Israele l’Inbal Hotel, anche questa scelta è stata dettata dal ritardo con il quale abbiamo fatto il nostro itinerario. Avremmo soggiornato volentieri nel monastero di Ein Karem per godere della rinomata ospitalità dei Francescani missionari in Terra Santa. Queste strutture, denominate “Casa Nova”, non solo a Gerusalemme, esprimono al meglio lo spirito dell’accoglienza che i Francescani della Custodia vantano in questi luoghi. Comunque l’hotel si trova in posizione strategica, vicino al piccolo villaggio ebraico fuori le mura antiche, a due passi dalla Porta di Jaffa con il grande mulino Montefiore, dal nome del filantropo inglese Mose Montefiore, cognato del Barone Rotschild che lo fece costruire nell’ottocento, per rendere autonoma questa parte della città che si stava sviluppando fuori dalle vecchie mura. Il quartiere è un incanto, con il mulino che domina le basse case di pietra chiara, doviziosamente restaurate e mantenute, con i balconi coperti di fiori e una via destinata a ospitare numerose e costose gallerie d’arte.

Entriamo nella città vecchia passando per la porta di Jaffa e ci dirigiamo al Santo Sepolcro. Siamo colpiti dal gran numero di pellegrini etiopi che sostano sui gradini fuori dalla chiesa con i loro vestiti tipici, dai colori vivaci. Prima di entrare nella basilica, ci dirigiamo a lato dell’ingresso principale, dove una piccola porta sovrastata da un cartello che ricorda di abbassare la testa, anche in lingua italiana, ci conduce attraverso strette scale e piccoli cortili fino alla cappella della Chiesa Copta Ortodossa, presente fin dall’inizio della costruzione della basilica. La cosa più interessante di questo luogo che merita di essere visitata (lasciate una offerta simbolica prima di scendere), sono le cisterne di Sant’Elena, che si trovano sotto la cappella, raggiungibili attraverso ripide e strette scale di pietra dagli alti gradini che portano nelle profondità delle fondamenta, dove è ancora raccolta l’acqua che si dice sia servita per la costruzione della basilica nel 325 dC. Entriamo infine nella parte principale, dove lunghe file di fedeli aspettano silenziosi di poter accedere alla cripta del Santo Sepolcro, recentemente restaurata. Si respira un’aria di solennità, anche se si perde la capacità di raccoglimento per la grande confusione che inevitabilmente crea un afflusso così imponente di fedeli. Continuiamo il nostro giro per la Città Santa, passando i vari quartieri, la parte araba con il suk nel quale è impossibile non fermarsi a comprare qualche piccolo ricordo, il quartiere armeno, con i negozi di ceramiche dai colori vivaci, fino ad arrivare al luogo più sacro al mondo per il popolo ebraico, il Muro Occidentale, o più semplicemente Kotel. Siamo capitati nel giorno in cui si svolge la cerimonia di giuramento delle reclute dell’esercito israeliano, la piazza è gremita di giovani soldati e stanno arrivando le loro famiglie ad assistere alla cerimonia che ci dicono essere molto toccante. Ci defiliamo dalla confusione e cerchiamo di ritornare alla porta dalla quale siamo entrati cercando il percorso più tranquillo, non senza aver prima bevuto dell’ottimo succo di melograno appena spremuto e mangiato le pizzette tipiche di queste parti, calde, morbide e abbondantemente ricoperte di un profumatissimo za’atar.

Breve sosta in albergo e riusciamo alla ricerca di un posto dove cenare. Non diamo molta importanza al cibo in questo momento, ecco perché scegliamo di passare alcune ore nel ristorante che è situato nella Cinemateque di Geusalemme. La cineteca è un luogo culturalmente molto vivo e attivo, dove ogni anno si svolge il Jerusalem Film Festival, un appuntamento di risonanza internazionale, e dove tutto l’anno si alternano proiezioni, incontri con artisti, laboratori per bambini e famiglie, con un archivio di oltre 30.000 film israeliani e stranieri. La particolarità di questo posto è anche quella di trovarsi in un luogo magico, che si affaccia sulla Piscina del Sultano Sulayman, un sito archeologico di grande importanza, un ampio anfiteatro dove si svolgono in estate concerti e rappresentazioni di opere liriche, proprio sotto le mura della Città Vecchia con una vista spettacolare sulla città. Fermarsi a cena nel bistrò della cineteca, seppure non interessati in maniera particolare al cibo, di buona qualità, con una scelta che spazia dalle immancabili insalate, passando per ottime zuppe, arrivando ad hamburgher e patatine fritte, tutto a un prezzo onesto, è più una scusa per godere, in silenziosa contemplazione, dell’antica bellezza di questi luoghi.

Lasciamo la cineteca e ci incamminiamo verso la vicina Colonia Germanica, tra la Città Vecchia e il centro, vicino alla quale si trova la First Station, la prima stazione ferroviaria di Gerusalemme, lasciata in completo abbandono intorno alla fine degli anni ‘90, completamente ristrutturata e restituita alla città come centro culturale, ritrovo per giovani e famiglie, con ristoranti alla moda, negozi, mercatini, una galleria d’arte che organizza eventi culturali diversi, anche eventi sportivi e tant’altro. Merita documentarsi bene prima di fare una vista per poter approfittare delle tante attività che si svolgono. Passeggiamo nella quiete della notte sui vecchi binari trasformati in un percorso per pedoni e sportivi, ci fermiamo a una vecchia fermata del bus che mantiene la sua struttura, trasformata però in una “Reading station”, una libreria a cielo aperto dove tutti possono fermarsi per leggere, prendere dei libri e lasciarne altri. Rientriamo in albergo attraversando la tranquilla German Colony, con le sue ville in stile Bahuhaus trasformate in costosi appartamenti, per vie che di giorno si animano con eventi come fiere di libri e mercatini, ed è possibile godere della particolare aria che vi si respira seduti in uno dei tanti caffè trendy che la popolano.

SETTIMO GIORNO, 21/04/17: MERCATO MAHANE YEHUDA, MUSEO D’ISRAELE, AEROPORTO BEN GURION

Abbiamo ancora alcune ore da trascorrere in Israele e decidiamo di riservarle per una rapida visita al mercato Mahane Yehuda, la mattina, per dedicare la maggior parte del tempo rimanente al Museo d’Israele. Il mercato di Gerusalemme rappresenta pienamente il concentrato di culture che compone questa città. Parzialmente coperto, pulito e ordinato, si articola in un dedalo, dove la gente si accalca soprattutto il venerdì e il sabato. Colorato e molto animato, colpisce per la varietà e la quantità di cibo esposto, con una ricchezza di frutta, verdura, spezie e grandi quantità di pane di tutti i tipi. È venerdì e i banchi dei panettieri sono colmi di challah, il tipico pane a forma di treccia che gli ebrei preparano per lo Shabbat. Le bancarelle si alternano a caratteristici locali dove fermarsi a mangiare qualcosa di tipico tra una spesa e l’altra, oppure tornarci di sera tuffandosi tra la folla di giovani che lo animano. Facciamo l’ultima scorta di spezie che, una volta tornati a casa, ci faranno “sentire” ancora in quei posti, beviamo una centrifuga di carote e saliamo in macchina alla volta del Museo d’Israele. Considerato come l’istituzione culturale più importante del paese, nel 2010 è stato sottoposto a un accurato restauro, e quello che colpisce è sicuramente la cura nel design sia all’interno, che al suo esterno, dove i giardini accolgono mostre permanenti di opere d’arte che narrano l’evoluzione della scultura occidentale. Una mummia egizia nel suo sarcofago ci accoglie all’inizio del nostro percorso, accanto a lei un ibis imbalsamato sembra fare da guardia. Andando avanti, attraverso il susseguirsi delle sale, ci si rende subito conto dell’enorme ricchezza che qui è raccolta, dalla sezione Archeologia, con i resti del cranio dell’”Uomo di Galilea”, datati circa 250.000 anni fa, a seguire poi tutte le età e le loro evoluzioni. La più grande raccolta di giudaica proveniente da tutto il mondo è protetta nelle teche di cristallo, in alcune sale sono state ricostruite le più belle sinagoghe nel mondo, ormai distrutte. Il percorso dedicato alle Belle Arti si snoda tra Arte Moderna, Israeliana, Europea e Contemporanea, ritrovandosi a osservare opere di Kandinsky, Picasso, Magritte, Dalì, Wharol. Ci sono spazi creati per ospitare mostre e attività didattiche rivolte soprattutto ai bambini, e si contano numerosi eventi tutto l’anno. Abbiamo solo poche ore da dedicare a questo posto incredibile ma consiglio di ritagliare almeno una giornata intera per vivere un’esperienza ricca di stimoli culturali e riuscire a capire quanti popoli e quante culture hanno dimorato in questa terra nel corso dei secoli.

Nel primo pomeriggio ci dirigiamo verso l’aeroporto Ben Gurion, alla fine di una settimana durante la quale abbiamo percorso 2.000 km circa, scattato più di 3.000 foto, visitato posti fuori dai convenzionali itinerari turistici che ci hanno permesso di conoscere questo paese sotto aspetti più reali ed aderenti alla realtà, a volte molto complicata, che i suoi abitanti affrontano quotidianamente. Lascio qui amici meravigliosi, con i quali abbiamo condiviso questo viaggio indimenticabile, con qualche lacrima e la promessa di tornare quanto prima, perché nella “terra del latte e del miele” c’è ancora molto da vedere e da scoprire. Shalom.

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confine giordano visto dal ristorante Ruthenberg

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chiesa bizantina in fase di restauro a Hurfeish, Alta Galilea

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fattoria Kornmehl, deserto del Negev

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cantine alla Chateau Golan Winery, Bassa Galilea

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turkish shop and coffee, Acco

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"reading station", Gerusalemme

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Museo d'Israele, Gerusalemme



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