Iran, tesoro di Persia
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Le destinazioni in questo meraviglioso viaggio in Iran sono state: Teheran – Qom – Kashan – Natanz – Abyaneh – Isfahan – Naein – Mohammdieh – Meibuth – Deserto del Kavir – Yazd – Abarkuh – Pasargadae – Persepolis – Shiraz
Premessa
Io e il mio boy cercavamo una meta un po’ insolita, avevamo a disposizione poco più di una settimana, non un budget altissimo e volevamo andare indietro nel tempo con la storia, stare a contatto con la natura maestosa, con la cultura di un popolo e con la gente locale. Da italiani desideravamo un Paese in cui si mangiasse bene, con un clima ottimale e alloggiare in strutture confortevoli. Volevamo provare emozioni forti. Recandoci in Iran abbiamo trovato tutto ciò che cercavamo e il viaggio ha superato di gran lunga le nostre aspettative. Contattiamo via mail il tour operator www.stelledoriente.it il quale aveva personalizzato un pacchetto per un gruppo di una decina di amici secondo le loro esigenze. Sono in parte le nostre e sapere che saranno accompagnati anche dal tour leader dell’agenzia Stelle d’Oriente Viaggi (Roberto) e dalla giovane proprietaria, nonché sua figlia (Giorgina), ci confortava. Con questo operatore, tra l’altro, avevamo già fatto un viaggio molto estremo nella Penisola di Kola (http://turistipercaso.it/russia-europea/66643/penisola-di-kola.html). Compresa un’ulteriore coppia di Latina, siamo complessivamente in 16. L’agenzia provvederà a esplicare tutte le formalità per il rilascio del visto, forse la parte più rognosa se si volesse andar per conto proprio. La quota di € 820 a persona includerà la mezza pensione (8 colazioni e 8 cene comprese bevande analcoliche in ristoranti tradizionali con show, musiche e canzoni persiane – l’ultima sera a Tehran in particolare -; la sistemazione in Hotel a 4* (solo per una notte a 3*); i trasferimenti e le escursioni in comodi pullman (a bordo una bottiglietta d’acqua e per i viaggi lunghi break con caffè ovvero nescafé, tè – da dolcificare con le caratteristiche zollette – e biscottini locali); una guida esperta parlante italiano; l’ingresso nei siti storici, archeologici e nei musei; mance varie; assicurazione base ed extra obbligatoria; l’iscrizione e il volo interno Shiraz-Teheran. Provvederemo noi, perché non inclusi nel pacchetto, al volo internazionale, ai fugaci pranzi, alle eventuali mance per guida e autisti (25 $ circa) e al visto recandoci presso l’ambasciata iraniana con due foto tessera, 50 € da versare su un conto corrente in una banca adiacente agli uffici, le impronte digitali e il passaporto – ci verrà restituito dopo una settimana – che non dovrà avere alcun timbro di Israele!
21 settembre. Volo dall’Italia per Teheran via Istanbul
Volo da Roma via Istanbul con Air Pegasus acquistato on-line tre settimane prima della partenza a € 385 a testa. Si tratta di una compagnia low cost turca: i posti sull’aeromobile sono assegnati (se si voleva sceglierli al momento della prenotazione sarebbero costati € 22 uscite di sicurezza, € 18 davanti, € 14 finestrino o corridoio ed € 9 centrali), il cibo a pagamento e il peso del bagaglio massimo kg 30 a persona. Partiamo alle 14,40 da Fiumicino (posti 21A) e dopo 2,5 ore atterriamo al Sabiha Gökçen (SAW). Non enorme il duty free ma si trova di tutto. Il volo successivo è fra quattro ore che scorrono velocemente grazie alle presentazioni e a qualche chiacchiera con il resto del gruppo proveniente da Milano. Mangiamo presso uno dei fast food e alle 23,05 decolliamo (posti 29E) per atterrare, dopo altre 2,5 ore a destinazione (Tehran IKA).
A Teheran o Tehran sono le 2,25, in Italia è quasi l’una di notte: il fuso orario e di un’ora e mezza in più (proprio oggi le lancette iraniane saranno spostate indietro di un’ora).
22 settembre. Teheran
Prima di scendere dall’aereo, così come vediamo fare alle iraniane, copriamo il capo e il collo (con uno scialle, un foulard, una pashmina o una sciarpa non troppo pesanti, un pareo… più grande è, meglio è) che mostreremo, da oggi e per tutta la durata del viaggio, solo tra le quattro mura delle camere d’albergo. Ebbene sì, per girare in questo paese dobbiamo attenerci al costume islamico per cui bisognerà sempre indossare anche qualcosa di lungo e largo a sufficienza per non mostrare “le forme”. Vanno bene vestiti e gonne lunghe, pantaloni di qualsiasi colore e personalmente consiglio un paio di calzettoni per entrare nelle moschee o nei siti religiosi. Agli uomini è vietato indossare pantaloncini.
All’Imam Khomeini Airport di Tehran la guida che parla italiano (la lingua nazionale è il persiano o farsi, di origine indoeuropea) si fa riconoscere con un cartello; breve la presentazione (si chiama Hadi H. Kashani) e subito sull’enorme torpedone che ci condurrà all’Asareh Hotel 4* (www.asarehhotel.com) distante circa 60 km. Le stanze sono grandi, hanno un’anticamera con poltroncine, tavolinetto e televisione, il bagno rifornito di diversi compliments (spazzolini, dentifrici, shampoo, ciabattine per doccia e da stanza, lucida scarpe…), un doccino da usare per farsi il bidè e il phon. Nonostante la moquettes ovunque che non amo, è molto pulito (€ 62 la stanza doppia in B&B). Buona la posizione a 10 minuti a piedi dalla metro e con quella a 20 minuti dal bazar al quale ci si può arrivare anche con una mezz’oretta di taxi (ma tutto dipende dal traffico). Il tempo di sistemarci, dormicchiare nemmeno quattro orette ed è già ora di colazione. Non c’è molta scelta per chi preferisce il dolce (giusto qualche marmellatina di carote, datteri e melone) ma si sazia chi mangia frittatine, lenticchie e zuppe varie. Squisita, però, è la pizza bianca e il pane tipico di acqua e farina non lievitato: la lavash (piattissima) o il nan o nun sangak (cotto su pietra) una sorta di piadina o pane sardo che diventerà una “droga” irrinunciabile per tutto il viaggio. Proprio adiacente all’Asareh Hotel un negozietto dove acquistare bibite (prezzi non così differenti da quelli del minibar! L’acqua, per esempio, ha lo stesso identico costo: lt 0,5 a € 0,13).
Prima domanda alla guida: possiamo lavarci i denti con l’acqua del rubinetto del lavandino? La risposta è – e anticipo la fine del reportage – assolutamente sì! Nessuno di noi ha mai avuto, in una decina di giorni, problemi dal punto di vista sanitario. Tutti abbiamo mangiato verdura cruda e frutta sciacquata sotto l’acqua dei rubinetti delle stanze, delle fontanelle per strada o di quelle all’interno delle moschee per le abluzioni. A parte un paio di noi, però, tutti abbiamo avuto l’accortezza di dissertarci esclusivamente con quella imbottigliata.
Ognuno aveva la sua piccola farmacia da viaggio, ma è pur vero che, quando una persona ha avuto necessità di un medicinale, l’ha trovato senza alcuna difficoltà presso una farmacia locale.
Unica avvertenza è per chi soffre di pressione alta. Le mete sono state sempre a quota intorno ai 1500 mt. Almeno tre persone hanno sofferto, per qualche giorno, di mal di testa. Non sono sicura sia dipeso dall’altitudine, ma sono coincisi con le diverse escursioni a più di mt 2000.
La visita della città inizia con il Museo Nazionale dell’Iran o Iran-e Bastan ossia antico Museum, iniziato nel 1935 e terminato due anni dopo. La facciata principale riproduce uno stile di 1700 anni fa e all’interno sono esposti manufatti preistorici, lavori di arte islamica e una ricca collezione di oggetti in ceramica, raffigurazioni e statuette in pietra, sculture che risalgono al V millennio a.C…. Tra i 300.000 “pezzi”, mi hanno colpita i contenitori dalla forma di animali (a seconda di quello che veniva usato per bere se ne assumeva la forza: leone, cervo, oca…) e The salt man, un 37 enne, gruppo sanguigno B+, conservato sotto sale per 1700 anni e ritrovato nel 1983 con ancora tutti i capelli lunghi e bianchi, uno sguardo inquietante e due oggetti accanto: un pulisci orecchie e una noce.
I locali pagano i musei un prezzo notevolmente inferiore. Oggi qui a noi è costato € 4, a loro € 1,5.
Bella anche la frase del Corano all’entrata: girate il mondo perché è utile, viaggiate e prendete lezioni dalla storia.
Che capitale caotica! L’aria è un po’ pesante, sicuramente c’è molto inquinamento, visti i quasi 14 milioni di abitanti sui numerosissimi mezzi di trasporto (taxi gialli e verdi, pulmini, auto e quantità industriali di “moto” sulle quali vanno dalle due alle tre, se non quattro, persone e rigorosamente senza casco!) che si muovono in una superficie di 40 km per 40. Le distanze sono enormi, il traffico è spaventoso a qualsiasi ora e i principali luoghi d’interesse turistico sono sparpagliati un po’ ovunque! Il rischio di finire sotto un’auto, guidata da chi sembra di scansare birilli e fare un incidente a ogni manovra, è piuttosto elevato: attenzione! Per fortuna i cinesi hanno finanziato e fatto realizzare la metro! Alcuni ragazzi italiani che incontriamo, e che viaggiano prevalentemente con i mezzi pubblici, ci dicono che sono efficienti e molto economici, mentre altri motociclisti ci parlano di strade buone e nessun pagamento di pedaggio autostradale.
Solo di studenti, l’Iran ne ha 1 milione 400 mila e oggi è anche il primo giorno di scuola! Siamo su un territorio di quasi un milione 650 mila km2, in pratica 5 volte l’Italia.
A Tehran, durante i 200 anni dalla sua nascita, è mancato sicuramente un piano urbanistico visto che le case e le costruzioni in genere non sono tra loro armoniose. Sembra tutto lasciato al caso, anche se alcune strade sono “a tema”: in una venditori di gomme d’auto, in un’altra di lampadari, di timbri, di articoli d’arredamento, d’abbigliamento o tecnologici.
Ci fermiamo in un ufficio cambio e cominciamo a prendere un po’ di dimestichezza con la moneta locale. € 1 = Rials 38.500 o Toman 3.850, mentre $ 1 = Rials 28.500.
L’Iran è un paese basato fondamentalmente sul denaro contante, quindi i pagamenti saranno prevalentemente in moneta locale – Rials o Toman –, ma saranno accettati anche euro o dollari americani e il resto, in Rials, avrà un cambio non sfavorevole. Hanno accettato le carte di credito nei negozi di tappeti; non abbiamo fruito mai dei bancomat perché molti possono essere utilizzati solo con carte emesse localmente.
E’ già ora di pranzo, abbiamo un’oretta di libertà e la trascorriamo al caotico bazar, dove si trova veramente di tutto (che maestri nella lavorazione del metallo, del vetro e del legname!). Mangiamo uno dei più invitanti kebab degli ultimi tempi (€ 1,50 compresa una bibita), della frutta secca mista (una bustina di pochi grammi € 1,30, il peso è al kg) e beviamo un centrifugato espresso di melograno o melagrana (€ 1,30) e un bicchiere di khakeshir o sisymbrium irio dolcissimo. Quest’ultimo mi è offerto da un ragazzo di passaggio che mi osserva mentre cerco di capire dal venditore cosa sto per acquistare. Il ragazzo mi spiegava che non è altro che acqua, zucchero e semi di “sesamo”; in effetti, il sapore è un incrocio tra “succo di fico e acqua e miele” e dà tanta energia. Cerco di restituire i soldi al passante, ma questo si allontana dicendomi che è felice di vedermi deliziare con un preparato locale.
Al contrario di più di un venditore un po’ burbero e poco paziente (ma solo qui nella capitale), gli abitanti – e lo riscontreremo in tutti gli altri posti in cui andremo – sono persone cordiali, amichevoli, vogliose di comunicare con gli italiani. Siamo per loro una sorta di “miti” e ci considerano “di cuore” così come si definiscono loro. Sono desiderose di scambiare un sorriso, un saluto o semplici battute. Pare sia alta la percentuale di turisti del Bel Paese seguita da visitatori giapponesi. Durante i telegiornali della sera, un corrispondente dà almeno tre minuti di notizie dall’Italia. Gli americani non sono ancora ben visti! Khomeini, fondatore della rivoluzione islamica, diceva che l’America era il Grande Diavolo che con la scusa di difendere il Paese lo veniva a derubare delle risorse più preziose (forse i giacimenti petroliferi?). Il suo ritratto appare quasi ovunque come quello dell’Ayatollah Khamenei, dal 1989 Guida spirituale, Leader Supremo e senza il quale nulla è possibile in Iran (velayat-e faq). Ancora oggi i rapporti con gli Stati Uniti non sono dei più sereni, ma con il nuovo Presidente Hassan Rohani, che dal mese di agosto è succeduto alla presidenza della Repubblica islamica dell’Iran ad Ahmadinejad, qualcosa sta cambiando. Pare ci sia stata una telefonata con Obama (dopo 35 anni di silenzio tra le due Nazioni) e si stia “massaggiando” col fondatore di Twitter (qui i social media sono vietati e i siti di informazione censurati)! Una telefonata, un messaggino, operazioni per noi comuni mortali così semplici, in questo contesto fanno tenere il fiato sospeso a tutto il mondo e assumono una valenza strepitosa. Sulle prove d’intesa tra i due Presidenti e il possibile disgelo… è uscito da poco il volume “L’Iran torna in campo” http://temi.repubblica.it/limes/videoeditoriale-913-liran-torna-in-campo/52956.
Seconda tappa al Museo nazionale dei gioielli reali (50.000 IRR), nel caveau della banca iraniana che conserva i beni più pregiati di tutte le dinastie persiane tra cui il Trono del Pavone. Una guida in inglese ci illustra gran parte dei manufatti, gli occhi ci diventano verdi smeraldo, rosso rubino, luccicano come diamanti di oltre 150 carati e non sono pochi i pezzi di queste dimensioni! Il clou è il “mare di luce” ossia il diamante rosa del peso di 182 carati, forse quello grezzo più grande al mondo. E nelle vetrine (sono tutte allarmate e scatta l’antifurto anche solo se si sfiorano) corone, fibbie, candelabri, coppe, coperchi, foderi di armi, addirittura un ombrello da sole… tutti oggetti così tempestati di preziosi che si fa fatica a credere che siano veri!
In Iran ci sono tre calendari: quello Solare persiano, usato ufficialmente per le feste nazionali, le scuole e che parte dall’Egira (oggi siamo nel 1392), quello Lunare musulmano per le feste religiose (Ramadan, nascita di Maometto…) con 355 giorni l’anno (ora siamo nel 1434) e quello occidentale per i rapporti tra il Paese e il resto del mondo. Ve ne era anche un quarto, quello reale, che però è stato “dismesso”.
Oggi, per esempio, è per noi una domenica di settembre, lo è anche qui ma siamo nel mese Shahrivar e non è festivo, lo saranno venerdì e il giorno che lo precede.
Tra le feste importanti, il capodanno=No Ruz che cade il 21 marzo, la Magnifica vittoria della rivoluzione islamica dell’Iran, l’anniversario dell’ascesa al potere di Khomeini nel 1979, la giornata commemorativa per la sua morte nel 1989.
E’ bene non frequentare moschee e luoghi sacri durante le ricorrenze e nei giorni di festa perché molto affollati.
Questa è una settimana di grande festa (militare): l’anniversario dall’inizio della “difesa sacra” o “santa difesa” nei confronti del nemico iracheno (quella che il mondo chiama Guerra con l’Iraq). Ogni tanto si sente una fanfara, sulle tv appaiono marce di migliaia di persone in differenti divise… e poi sembra di stare in Italia nei giorni successivi la vittoria dei mondiali poiché, ovunque, ci sono addobbi tricolori. E’ anche il mese in cui tanti iraniani (in questo momento circa 60.000) si recano a La Mecca.
La bandiera locale è: verde (il sacro), bianca (la pace) e rossa (il sangue dei martiri) a strisce orizzontali! Al centro, sulla parte bianca, in precedenza campeggiava il simbolo dello Scià (cane, spada e sole), oggi vi è la scritta del nome Allah.
Altra meta è il Palazzo Golestan in un complesso di 17 residenze signorili dalle facciate dipinte minuziosamente su piastrelle o con rifiniture in argento e specchi, utilizzate prevalentemente per celebrazioni importanti come le incoronazioni e come luoghi di rappresentanza dai vari re nel corso delle ultime dinastie. All’interno una lunga fontana e un giardino molto curato dove grosse cornacchie fanno da padrone. Per visitare il palazzo principale (150.000 IRR + 50.000 a palazzo) e ammirare, tra l’altro, l’imponente sala del trono, dove statue di cera riproducono personaggi reali, bisogna indossare delle soprascarpe. Purtroppo il profilo della costruzione è deturpato dalla presenza retrostante di un recente edificio.
Giusto una foto ricordo a Piazza Azadi=Libertà, un immenso prato all’inglese al centro del quale si erge la Torre simbolo della capitale, che segna l’ingresso alla città. A me il monumento sembra più un arco stilizzato in marmo bianco formato da due torri intrecciate.
La nostra guida abita a Tehran e, per quanto lodi maggiormente altre città, ci dice che vale la pena visitarla sia per i suoi numerosi e bellissimi musei (non riusciremo a vedere quello del Vetro e della Ceramica, Reza Abbasi per la pittura islamica, del Palazzo Bianco Nazionale), sia per alcune chiese tra cui l’imponente Cattedrale Sarkis di origine armena. La ragione per la quale vale la pena viverci, invece, è per la presenza dei parchi, dei giardini e soprattutto dei Monti Elburz, “Stella Polare” o “tetto” di Teheran a nord della città (la cui cima più alta raggiunge i mt 5671).
Rientriamo in hotel per una rigenerante doccia e nuovamente fuori per la cena in un ristorante tipico che consiglio vivamente sia per la qualità e quantità delle pietanze, sia per la caratteristica del locale all’interno di una costruzione di 300 anni fa. Si chiama Khayyam Traditional Restaurant, si può cenare a gambe incrociate su divani di legno, appoggiando la schiena a grossi cuscini, o normalmente seduti. Musica di sottofondo, scorrere di fontanelle centrali alla struttura e piatti unici della tradizione persiana. A ognuno un’insalata di pomodori, cetrioli e lattuga o una ciotola di yogurt acidulo, un piatto grande ovale con riso bianco, qualche verdurina e, a scelta, spiedino di pollo, purea di melanzane, trota fritta o una lunga striscia di vitellone. Molto veloce il servizio che in un batter d’occhio spolvera la tovaglia (o, meglio, il leggero tappeto dove avevamo sbriciolato grandi nan) e subito frutta, bicchierino di tè (tutti i pasti si concludono con una tazzina di chay nero, forte e bollente) e qualche dolcino (una sorta di struffolo, datteri e zucchero caramellato aromatizzato e cristallizzato su stecchini da usarsi per girare e dolcificare – visto che col calore si scioglierà – il tè). Il tutto per una cifra che va dagli euro € 10 ai 15, bibita compresa. Ho provato la birra alla frutta ma… troppo dolce e un po’ finta… alla fine non è né una birra né un succo e comunque forse sta meglio più col dolce che con il salato.
A proposito di cucina, Hadi ci spiega che è soprattutto a base di riso, pane, verdure, erbe aromatiche e carne (pollo, vitella, agnello, montone). Quando ci propongono carne macinata, in genere intendono agnello o montone tritati. Alla fine i piatti standard non sono moltissimi e in una settimana, variando, si riuscirà ad assaggiarli tutti.
Da deliziarsi con i succhi di frutta fresca, i frullati, i centrifugati e da provare, perché tipica, la doogh, una bevanda a base di yogurt, menta e pizzico di sale che a me non è piaciuta per niente.
Chi è abituato al “goccetto” entrerà in crisi d’astinenza perché l’alcol non si trova così facilmente essendo severamente vietato agli iraniani musulmani.
Hadi, il nome della nostra guida in onore al 10° Imam, lavora da tanti anni presso il Ministero dell’Agricoltura, ha trenta giorni di ferie l’anno e, quando è possibile, per viaggi di massimo dieci giorni, se le prende perché ama molto il lavoro di accompagnatore e il contatto con noi italiani. Il significato del suo nome, tra l’altro, è guida per cui… di nome dalla nascita e, di fatto, appena ha potuto (h.h.kashani@gmail.com).
Ufficialmente ci sono venti guide che parlano italiano (le restanti inglese) per cui prenotarla è bene. Esser accompagnati da lui è un onore perché è preparato, riservato, rispettoso, educato, sempre puntuale… ha condotto per il Paese la spedizione di Overland, una decina di camperisti, l’accompagnatore archeologico Marco Perissinotto e Graziano Tavan, giornalista del quotidiano il gazzettino di Venezia (utile può essere il libro Iran tesori di Persia, le guide di Abaco, € 21).
Hadi è un musulmano credente, praticante e forse per questo motivo è l’unica persona con la quale non si è potuto parlare liberamente di alcuni dettati della religione islamica perché molto radicato nel suo credo. Spesso cita un motto, un verso del Corano, un detto…
Quello di oggi è: non si possono far correre i bambini, non si può metter fretta agli anziani e non si possono chiudere le bocche delle donne.
23 settembre. Teheran – Qom – Kashan – Natanz – Abyaneh – Isfahan
Dopo colazione ci dirigiamo all’immenso mausoleo Imam Khomeini (1900-1989) presso il quale parcheggio molte famiglie di pellegrini sostano una o più notti con camper o montando piccole tende e apparecchiando e mangiando, a gambe incrociate, su tappeti poggiati sull’asfalto. Sembra di arrivare in un’area pic-nic all’interno di un campeggio se non fosse che di fronte l’improvvisato accampamento si erge la grande struttura aperta 24 ore al giorno in fase di ristrutturazione o meglio, dopo 24 anni, ancora in costruzione, quindi coperta da ponteggi. Ci togliamo le scarpe per visitarne l’interno, depositiamo qualsiasi borsa e, donne da una parte, uomini dall’altra, previa perquisizione, entriamo.
Telecamere e macchine fotografiche non possono essere introdotte, ma telefonini sì per cui foto o filmini si potranno realizzare con quelli (nessun divieto di chiacchierare al cellulare). Il reliquiario è posto nella navata centrale, protetto da cancelletti su cui i devoti poggiano il capo o una mano e pregano. Il tanto decantato monumento funebre al Supremo Ayatollah delude un po’ tutti. Da questo punto ha inizio l’autostrada.
Anche qui, e già da ieri, avevamo notato prevalentemente ragazze (e qualche maschietto) con il naso fasciato. Come mai? Non ci sembra si tratti di cerottini per respirare meglio perché nella città c’è tanto smog! Molti visi sono veramente belli, altri meno per i lineamenti un po’ forti. Cominciamo a darci delle risposte confermate dalla guida. Tra le caratteristiche fisiche degli iraniani, c’è quella di avere un naso piuttosto pronunciato. Il sogno di tutti è ricorrere alla rinoplastica e, siccome operarsi costa l’intero stipendio medio mensile di un impiegato (€ 600) chi può permetterselo ostenta ed è felice di mostrare la nuova bellezza e l’esser benestante. Paese che vai, usanza che trovi!
Continuiamo il viaggio fino alla città Santa di Qom o Qoom dov’è sepolta Fatima Mashumed – sorella dell’8° Imam Alì – che ancor oggi pare faccia miracoli per chi la invoca e dove scattiamo molte foto all’interno dello splendido cortile antistante la non accessibile moschea. Qui la religione è così sentita che, anche se siamo celate, ci fanno indossare chador=enormi parei, in pratica lenzuola (sicuramente non profumate), per nasconderci ulteriormente e confonderci. Siamo in una delle città più fondamentaliste, quasi tutte le donne sono completamente vestite di nero, sembriamo attorniati da fantasmi corvini e, secondo la situazione politica del momento, il sito non è visitabile dai turisti o lo è solo grazie all’aiuto della guida. Uno studente pakistano di teologia, ospitale e accogliente, ci illustra lo spirito pacifico dell’Islam, il ruolo di Maria e di Gesù nel Corano e ci saluta offrendoci da bere e da mangiare (una merendina). Molti sono gli studenti del mondo islamico sciita che si formano nell’adiacente Centro di Teologia e in passato anche Khomeini è vissuto e ha guidato l’Iran proprio da questo luogo in cui non siamo potuti arrivare con il nostro pullman, ma con un bus-navetta (€ 1,30 a tratta per tutto il gruppo).
Notiamo che alcuni uomini indossano il turbante. La storia racconta che chi lo ha bianco è una persona semplice, chi nero si dichiara discendente di Maometto o comunque di un Imam. Gli studenti oggi lo mettono, secondo il colore, per evidenziare il più bravo che ovviamente è quello che lo porta scuro.
Capiamo qualcosa in più sull’Islamismo. Esiste un unico Dio, il popolo deve credere in Lui e servirLo. In arabo Islam significa sottomissione e il musulmano è chi si sottomette al Suo volere. La nostra guida, come ho già detto, è molto osservante, quando noi donne, per distrazione, avevamo la testa un po’ scoperta o inavvertitamente ci tiravamo su le maniche della camicia, pronunciava frasi tipo “perdo il lavoro… mi mettono in galera… sono responsabile del gruppo… mi ferma la polizia…” e, se accidentalmente qualcuna lo urtava o lo toccava per chiedergli un’informazione… aggiungeva “questa sera farò una doccia per purificarmi… stanotte pregherò per voi…”.
Arriviamo, dopo 90 km (ai lati della strada solo distese aride e brulle e un punto di ristoro in mezzo al nulla), in un’altra città Santa: Kashan dove un primo ministro fu ucciso all’interno di un bagno pubblico di quello che diventò il famoso giardino di Fin ancora intatto grazie all’acqua proveniente da vicine cascate. Quest’oasi color sabbia è rinomata per l’acqua di rose utilizzata in tutto il paese e per la lavorazione dei tappeti sia a mano sia a macchina.
Il bagno pubblico, nel vero senso della parola, è uno dei pochi nei di questa vacanza. Le toilette si trovano presso qualsiasi sito, ma sono sempre maleodoranti, sporche, al 99% alla turca, sprovviste di carta igienica e come sciacquone un doccino che solitamente i locali adoperano per pulirsi dopo i bisogni. Per contro, accanto ai lavandini è sempre presente il sapone.
Lungo il percorso, notiamo delle cittadelle (militari o solo con giardini…); si tratta di set cinematografici, dove sono girate molte scene di film di guerra o di altro genere. Quando le attrici indossano lo chador sono iraniane e durante le scene romantiche non sono autorizzate a baciare il “marito” proprio perché è un altro uomo; se non portano il velo sono star di un altro paese. Mohsen Makhmalbaf è il regista più controverso e più elogiato dell’Iran.
In mezzo al nulla, Natanz e il Centro di ricerche nucleari per l’arricchimento dell’uranio sia a uso civile sia militare. Ovviamente non possiamo fotografare nulla e la guida ci informa che, probabilmente, i nostri commenti e discorsi sono intercettati e ascoltati per cui… attenti (cosa mai avremmo dovuto confabulare!).
Dopo 120 km raggiungiamo Abyaneh, polveroso, desolato e incantevole antico villaggio nascosto tra i Monti Karkas (siamo a 2500 mt di quota e il picco massimo è di quasi 4000 mt), dove gli abitanti hanno mantenuto intatte le proprie tradizioni e i costumi (solo quando si allontanano indossano vestiti comuni). I residenti, dai ritmi rallentati in questo luogo fuori dal tempo che pare passato indenne al ritmo incalzante della modernità, sono prevalentemente anziani, i giovani studiano nelle migliori scuole dell’Iran o anche all’estero. Molto importante la presenza di alberi da frutta da cui si ricava quella disidrata consumatissima. Quando entriamo in qualche negozietto di souvenir (curiose le collane realizzate con pezzettini di stoffa e ceci come se fossero perle) alcune donne ci offrono piccole susine gialle molto dolci. Altre rincasano con secchi pieni di melette verdi succose appena raccolte o le vediamo sui tetti a sistemare ampi cesti rotondi e piatti di paglia che contengono albicocche messe a essiccare. C’è un unico albergo per qualche turista stanco o conquistato dal calore e dalla cordialità della gente. La passeggiata è assai piacevole, incontriamo, tra l’altro, una coppia di giovani sposi e a un certo punto non capiamo chi chiede una foto a chi! Noi abbiamo il piacere di immortalare i variopinti foulard (sfondo bianco e fiori rosso-fucsia), le sgargianti gonne lunghe e i contagiosi sorrisi; loro i “temerari” turisti quali ci considerano cercando di capire il motivo che ci ha spinti a raggiungere un villaggetto di montagna in un Paese di cui il mondo non parla bene! Incrociamo pure un asinello, trainato a forza da due anziane, che trasporta contenitori di latta e famigliole in cui l’uomo adulto porta pantaloni morbidi dall’ampio cavallo basso. Davanti una “panetteria” e all’unica cassetta postale, sono tante le persone che aspettano una nun sangak che un fornaio, abilmente, prepara instancabilmente e “tira” su una griglia al fine di raffreddarla un po’ (le griglie esterne ai vari negozi, invece, sono calde affinché se ne mantenga la fragranza). Piegata a mo’ di fazzoletto, la piadinona è portata via, spesso senza alcun confezionamento, per un centesimo di euro. Una bella scarpinata che consiglio vivamente tra mura e vicoletti color ruggine/rossastri/ocra, per l’argilla e il terreno ricco di ossidi di ferro.
Subito dopo il tramonto ci si mette in moto, mancano 160 km alla meta finale, sulla strada non si può andare velocissimi e ogni tanto (anche qui!) qualche controllo radar rallenta il tragitto.
Ci fermiamo a far rifornimento e scopriamo che lo Stato aiuta le famiglie con un contributo per l’acquisto della benzina distribuendo una tesserina mensile con la quale si pagheranno i primi 60 lt a soli 4000 IRR al lt (€ 0,10 scarsi) e quelli successivi a 7000 IRR al lt. Il gasolio costa € 0,04 al litro. No comment.
Alle 21,30 arriviamo a Isfahan o Esfahan, situata a 1700 mt e il primo impatto è positivissimo. E’ un po’ tardino, facciamo il check-in e ceniamo (€ 7 a persona) presso l’hotel Sheykh Bahaei che ci ospiterà per tre notti (una matrimoniale, formula B&B, € 40 la stanza).
La cena è gustosissima e molto abbondante. A volontà zuppe di verdure e mais e di spaghettini tagliati in brodo di pomodoro, un buffet d’insalate (pomodoro, carote, cetrioli, verza, lattuga), il piatto forte (a scelta carne alla piastra: pollo/manzo/macinato di agnello o trota fritta) e riso bianco. Per dessert gelato alla frutta dalla consistenza particolare e dal sapore che è un incrocio tra una big babol che si scioglie in bocca e uno zucchero filato più gommoso, molto dolce ma sfizioso per la presenza di una particolare resina.
In stanza, per ricaricare i cellulari, la macchinetta fotografica, la telecamera… l’elettricità è di 220V ma l’attacco è differente dal nostro per cui sarà indispensabile una presa internazionale. Presso talune strutture si avrà la possibilità di attaccare l’oggetto in alcuni caricabatteria standard presenti nelle hall.
Il motto di oggi è: le donne sono perle (è per questo motivo che vanno coperte).
A tal proposito, il religiosissimo Hadi ci racconta di Maometto che per tre volte ha nominato le donne e solo una volta gli uomini.
Da signorina mi vien da dire: ma non era meglio coprire gli uomini e far vedere bene, almeno i visi di queste splendide donne? Se si ha una cosa bella, non è piacevole “mostrarla” o, visto che non si tratta di un oggetto, far decidere a lei se “rivelarsi” o meno? E dire che, al tempo dello Scià, prima della rivoluzione del 1979, non andavano così “protette”! Oggi senza il copricapo il gentil sesso può esser visto solo dal marito, dai figli, dai fratelli e dagli zii (fratelli del marito). Neanche un cugino può scorgere la capigliatura.
Alle donne è vietato cantare e ballare. Solo in un’occasione possono farlo: durante i matrimoni in un’apposita sala. Considerando che Maometto ha detto di sposarsi giovani (gli uomini possono avere fino a 4 mogli) e avere tanti figli… spero non mancheranno feste nuziali per “scatenarsi”.
24 settembre. Isfahan
Colazione sicuramente più abbondante. Come frutta del cocomero, diverse pietanze cotte e per dolce datteri, biscotti al sesamo e assolutamente da provare l’halvardeh, un composto di pistacchi (esteticamente simile al tofu e dalla consistenza di un trancio di tonno, ma color verde e che si squaglia in bocca).
Alle 9 ci fermiamo presso un ufficio della polizia dove, per motivi di ordine pubblico, tutti i turisti, in transito per questa città, sono obbligati a registrare la loro presenza. Uno di noi, accompagnato dalla guida, è sottoposto a un garbato interrogatorio nel corso del quale, in maniera rassicurante, gli ufficiali sono interessati a sapere cosa ne pensiamo della situazione politica in Iran, se abbiamo visto troppe guardie in giro e avuto qualche problema (nulla di tutto ciò). Nel frattempo un bel bicchiere – già usato – d’acqua, era gentilmente offerto. L’incontro terminava tra sorrisi e un’amichevole stretta di mano.
Iniziamo a visitare la città attraversata dal fiume Zayandeh che la divide in due. Siamo nella parte nord, un po’ più povera, dove si trova l’Atiq Jam-e Mosque o Moschea del Venerdì costruita in varie fasi ma iniziata 1200 anni fa. E’ la più grande e antica (tutti i monumenti di Isfashan risalgono al 1600) e all’interno si trova una scuola religiosa=Madrasa. Bellissime le colonne anche se svariate sono un po’ pericolanti. Nell’ampio cortile si trovano delle rientranze, dei portali chiusi su tre lati e aperti verso la corte (Ivan) rivestiti con piastrelle che sembrano avere disegni geometrici ma che in realtà riportano scritture del Corano e nomi di profeti (qui l’arte si esprime attraverso forme non figurative e stilizzate). Al centro una sorta di palco che simula La Mecca.
Ci rechiamo poi in una Chiesa armena detta anche Chiesa nera o Cattedrale di Vank all saviors’ costruita nel 1655 in una decina d’anni (150.000 IRR). Si trova a sud della città, nella parte più ricca, dai quartieri residenziali tra cui quello Julfa abitato prevalentemente dalla comunità armena. La sagoma è simile a quella di una moschea per non suscitare la sensibilità dei musulmani e per non indurli ad abbatterla. E’ bello vedere che oggi, dopo 400 anni, continua la sua storica missione di testimonianza di una coesistenza e di un legame culturale tra le persone armene e quelle iraniane. E’ singolare, ha degli affreschi ricchissimi che rappresentano sia il ciclo delle festività ortodosse sia la vita di San Gregorio patrono degli armeni. Nel complesso anche un museo costruito nel 1971 che conserva il curioso libro più piccolo al mondo, stampato in Germania, di 14 pagine e sulle quali il Padre Nostro è tradotto in 7 differenti lingue (tranne che in italiano!). Strabiliante è pure il capello (0,1 mm) di una ventenne castana sul quale è stata scritta, nel 1974, con una penna dalla punta di diamante, una frase lunga 7 mm!
E’ quasi l’ora di pranzo, alcuni luoghi d’interesse stanno chiudendo (di solito nei musei si fa una pausa dalle 12 alle 15 e, in generale, non rimangono aperti oltre le 17) per cui decidiamo di passeggiare sugli unici tre ponti pedonali, sui totali dieci maestosi, che caratterizzano questa città.
Iniziamo dal Ponte Allahverdi Khan (il nome di chi lo realizzò) o Si o se-pol che significa dei 33 archi, il più lungo perché di mt 300 x 14, costruito usando pietra, mattoni e gesso, percorribile sotto (alcune scale portano al letto del fiume completamente asciutto!) e sopra. Le luci che lo illuminano la sera e il loro riflesso nell’acqua lo rendono romantico e imponente.
Proseguiamo col Ponte Khaju=signore, di soli mt 133 x 12 ma molto più bello perché al centro vi è una sorta di palazzina con affreschi nella quale venivano celebrati i matrimoni e sugli archi piastrelle artistiche azzurre. Tra i portici vi è anche un gioco di luci grazie al quale si distinguono le forme di due candele accese. Per chi crede nelle leggende, nei pressi ci sono due leoni alati di marmo che propizierebbero il matrimonio per i soli uomini che possono cavalcarli.
Facciamo una sosta rinfrescante in un bel giardino in mezzo al quale scorgiamo il Mausoleo – con tanto di targa dorata – del professor Arthur Upham Pope (1881-1969), un americano esperto in arte persiana che amava le bellezze artistiche di questo Paese e decise di farsi seppellire, insieme alla moglie, al centro della sua città preferita.
Terminiamo la serie di ponti con quello Shahrestan, il più vecchio (risale a 900 anni fa) con un arco sulla parte iniziale, punto in cui, chi entrava in città, doveva fermarsi a pagare il dazio. Sotto questo ponte il fiume termina esaurendosi in una sorta di pantano.
Un cartello attira la nostra attenzione. L’immagine di alcune donne convertite all’Islam che ne spiegano il motivo in una piccola didascalia. Un logo in basso a sinistra riporta il nome della fondazione intitolata a Edoardo Agnelli (www.edvardo.com) che per i musulmani pare sia un “martire” perché misteriosamente scomparso dopo il suo cambiamento di fede.
Per pranzo al volo prendiamo un kebab (€ 1.50), una centrifuga di carote (20.000 IRR) e un frullato di melone (30.000 IRR) sulla lunga via piena di negozi attigua al ponte Si o se-pol.
Sosta in un negozio di tappeti (articoli d’esportazione più famosi e risalenti al V secolo a.C.) dove ce n’è spiegata la provenienza. I nomadi usano un telaio orizzontale e i disegni, provenendo loro da zone desertiche, sono prevalentemente geometrici o di fantasia. I tessitori di città, invece, usano un telaio verticale per rappresentare motivi ispirati alla natura o a ciò che li circonda (alberi, uccelli, persone…). Alcuni pezzi sono dei perfetti capolavori, dei raffinati “quadri” e mentre sorseggiamo un tè gentilmente offerto, altri acquistano. D’altronde se non si compra un tappeto persiano nel suo luogo di origine…
Ottime e sicure compere si fanno anche presso il bazar e, per esperienza, al Magic of Persia Art Gallery (magicofpersia40@yahoo.com) vicino la moschea delle donne il cui proprietario Alì (come l’Imam, genero di Maometto, che bussava alle porte dei poveri, lasciava latte e riso e andava via senza farsi riconoscere), parla un comprensibile italiano ed espone persino alla Fiera dell’artigianato a Milano (pad. 10A). A ogni importante acquisto viene rilasciato un certificato e per pagare meno tasse di esportazione… ogni venditore propone un escamotage.
Per quanto riguarda la contrattazione, teoricamente non va fatta nei negozi, anche se qualcosina, se si spende molto, sarà tolta. Nei bazar, invece, si può insistere di più; il tira e molla non è estenuante e i prezzi a volte sono così convenienti che di chiedere ulteriori sconti non ne vale neppure la pena.
Finalmente nella Grande Piazza o Naqsh-e Jahān o Piazza dello Scià o Piazza Imam o Piazza Metà del Mondo o L’immagine del mondo o Meydan-e Emam, si dice la seconda (dopo quella Tienanmen) più grande al mondo e personalmente più bella.
Com’è evidente, ogni monumento, edificio, città… ha più nomi (solo per questa piazza ne ho contati sette!) e spesso sono scritti in maniera differente a seconda che si leggano su una guida, in un’indicazione…
Questa Square è stata costruita per motivi religiosi (vi sono la Moschea dello Scià e quella delle donne), commerciali (immenso è il ricco Bazaar) e politici (vi era la residenza dello Scià di Persia).
Oggi è “sede” di pic-nic a qualsiasi ora del giorno e della sera di intere famiglie che, apparecchiando su grandi teli, condividono cibi di tutti i tipi. E’ una bellissima visione che quasi mi commuove. Penso che in Italia si vivano le tante aree verdi in poche occasioni (Pasquetta, Ferragosto…) e che le quotidiane mangiate insieme siano troppo disturbate dalla tv (chi vuole seguire un telegiornale, un programma di intrattenimento o un cartone animato) o concentrate sull’andirivieni di chi apparecchia, serve, sparecchia o su chi preferisce altri cibi o commenta la cottura o il condimento di quelli che sta mangiando. Osservo questi gruppetti di parenti, spesso mi invitano a banchettare, per discrezione non accetto, ma cerco di imparare dalla semplicità, dall’educazione e dalla loro disarmante generosità.
E ora Bazar! Nei negozietti si trova di tutto di più: dall’argento all’oro, dalle ampolline per il kajal ai cofanetti in osso di cammello, dal legno intarsiato con madreperla agli strumenti musicali, dalle ciabattine ai portafogli dalle sembianze di un tappeto, dalle spezie inebrianti alla frutta secca più particolare, dai cristalli di zucchero a lime essiccati, dal tè al caffè, dai gelati dalla gommosa consistenza ai frullati di frutta fresca, dai datteri appena raccolti ai dolci più elaborati… Ciò che mi fa più impazzire è che intorno a noi c’è silenzio! Nessuno grida per attirare l’attenzione sui suoi prodotti, nessuno insiste per farci entrare nello spazio riservato, nessun assillo, alcun approccio ossessionante o persecuzione…
Ci affacciamo sulla Piazza, sta calando il tramonto e le carrozze che trasportano turisti rendono l’atmosfera magica e travolgente.
Desiderosi di vivere appieno la realtà di questo popolo e di vedere qualcosa di particolare, ci rechiamo in una palestra un po’ fatiscente, da un odore virile, penetrante e assistiamo a un allenamento di Zurkhaneh. In un’area ottagonale scavata al centro della sala, alcuni ragazzi, con l’ausilio di pesantissime “clave”, di archi sui quali ciondolano pesi di ferro, potenziano i muscoli. Ogni tanto accennano una danza per scioglierli e girano ininterrottamente come i dervisci (tecnica di difesa da chi vuole attaccarli accerchiandoli). Fanno molte flessioni/piegamenti poggiando le mani e la fronte su un supporto di legno e recitano sia qualche sura del Corano per ringraziare Allah, sia passi del mistico poeta Hafez. La guida traduce i versi con i quali pregano per noi che stiamo guardando. Quest’antica disciplina è praticata affinché si diventi fisicamente forti per difendere i più deboli e spiritualmente buoni. Il tutto avviene mentre su un piccolo palco un uomo scandisce gli esercizi battendo su un tamburello o “suonando” un flauto e recitando alcune litanie. Appese alle pareti tante foto di miti di quest’attività fisica che mostrano possenti muscoli. In genere le palestre sono femminili o come questa maschili; nelle poche miste alle donne tocca allenarsi completamente coperte. Per ringraziarli dell’ospitalità “doniamo” € 4 a persona.
E’ l’ora di cena che consumiamo allo Shahrzad Restaurant, un tipico locale non distante dal nostro hotel, in una traversa della principale via Chahr Bagh e Abasi.
Per aperitivo una zuppa di pomodoro e mais, per antipasto l’ormai nota insalata di pomodoro, cetriolo, lattuga e carota, come piatto forte gustosissimi spiedini di pesce leone, di gamberi o di costolette d’agnello, con contorno di carote lesse, patatine fritte e riso bianco. Per dessert il consigliatissimo e gustoso bibitone di cafféglass: gelato denso e duro alla vaniglia affogato da caffè caldo che inevitabilmente diventa “cappuccino” (€ 9 circa a persona).
Il motto di oggi: ascolta le parole e poi fa’ la tua scelta.
25 settembre. Isfahan
Colazione di buon ora e subito in giro per la città perché le bellezze da ammirare oggi sono veramente tante.
Prima tappa i due Minareti oscillanti di mt 17,5 così chiamati perché, anche se se ne scuote solo uno, si muovono entrambi facendo tremare tutta la struttura. Ci sarà qualche marchingegno sotterraneo che li collega? Non è dato saperlo ed è questo segreto, più che per la bellezza, perché non sono nulla di che, il motivo della loro notorietà. Sotto le due torrette, la tomba di una religiosa.
Seconda tappa il Tempio zoroastriano di Atashgah o Marbin Fortress risalente a 700 anni fa, luogo in cui si accendeva il sacro fuoco di Zoroaster per pregare e in seguito utilizzato come torre di guardia militare. Per raggiungere la cima della collinetta di 210 mt, dalla quale si ha una bella panoramica sulla città, affrontiamo un’impegnativa ma fattibile scarpinata che consiglio.
Terza tappa Hasht Behesht o Palazzo degli 8 Paradisi sia perché la vasca al centro dell’edificio e le piccole stanze – una ventina e con bellissimi affreschi, dove alloggiavano le cortigiane – hanno una forma ottagonale, sia perché realizzato, nel 1600, all’interno di un principesco giardino. Proprio un rilassante posto che infonde pace.
Quarta tappa Chehel Sotun o Palazzo dalle 40 colonne anche se in realtà le colonne in cedro libanese, che sostengono il padiglione d’ingresso, sono 20 e raddoppiano specchiandosi sulla lunga vasca della fontana antistante. Prima di entrare ammiriamo l’alto soffitto che per metà assomiglia a un lavoratissimo tappeto persiano, per metà è rivestito da una serie di specchi incorniciati dove vediamo i nostri piccolini riflessi. Le pareti interne del palazzo, fatto costruire per divertimenti e ricevimenti, sono arricchite da affreschi con scene di guerra (contro l’Uzbekistan, la Russia e l’India) e di festeggiamenti anche con ospiti stranieri.
Un Parco lo attornia e meritano una “visita” sia un platano enorme, vecchio di 1000 anni, la cui “anima esploriamo”, sia una caratteristica casa del tè dove ci fermiamo per una pausa rifocillante. Chi ordina un gelato, chi uno snack mentre qualche locale si rilassa fumando narghilè.
A proposito di fumo, sarà difficilissimo trovare pacchetti e fumatori. Qui, per fortuna, pochi hanno questo brutto vizio e acquistano le sigarette sciolte nel numero di due-tre dai rari rivenditori. Sono riuscita a trovare (non per me!) delle Marlboro rosse al prezzo di € 2 al pacchetto “ripulendo” il negozio della sua scorta: mezza stecca.
Nell’immensa Imam Square passiamo per l’ufficio del turismo (www.isfahancht.ir) dove una simpatica signora ci fa accomodare, ci offre dell’acqua, alcune mini cartoline e si dà molto da fare per trovare e distribuire in lingua italiana e per tutti la mappa della città.
Il tour continua con la Moschea Imam o Jame’ ‘Abbāsi costruita in vent’anni, dagli interni ed esterni completamente ricoperti dalle tipiche tegole turchesi e blu pallido che mutano sfumature a seconda dell’intensità della luce, simbolizzano la presenza e il dominio della spiritualità sopra la piazza.
In questa moschea si riuniscono tutti i venerdì i fedeli della città per la preghiera più lunga della settimana che dura circa un’ora (per mezz’ora si recita il Corano e per mezz’ora si discute di cosa accade nel mondo). Khomeini è ritenuto un santo anche perché introdusse questo modo di pregare gradito ai religiosi e che invece lo Scià non permetteva.
E’ poi la volta della Moschea delle donne o Sheikh Lotfollah (in onore a un dotto sceicco e ideata per essere il luogo sacro per le signore del suo harem) la cui piccola cupola è stata costruita in 17 anni, è finemente dipinta in color oro e un solo raggio di sole che la illumina internamente crea un fascio assomigliante alla coda del pavone.
Finiamo il giro e rimaniamo senza fiato per la magnificenza della piazza rendendoci conto delle sue reali dimensioni (mt 160 di larghezza per mt 508 di lunghezza). Dalla terrazza (a mt 48 di altezza) del palazzo reale Ali Qapu, abbiamo una veduta quasi a 360° sulla città e ci troviamo nello stesso posto in cui lo Scià intratteneva i nobili, gli ambasciatori, celebrava, per la prima volta, il Capodanno e assisteva alle manifestazioni equestri.
Tempo libero per andare ancora in giro per il bazaar dove alcuni si sbizzarriscono in acquisti di prodotti d’artigianato locale, noi ad assaggiare tutto ciò che di commestibile si vende: gelato cioccolato e crema sulla croccante coppetta di cialda, frullati di cocomero o di melone verde, centrifugati di carote, semi di girasoli, chicchi di grano soffiato, particolarissimi frutti del corniolo conditi con del sale…
Il continuo ruminare è “per colpa” sia dei generosi commercianti che allungano le mani e offrono i loro prodotti – io accetto sempre molto volentieri rispondendo Mamnoon=grazie – sia perché i locali sgranocchiano ininterrottamente e ci “contagiano”!
Veniamo abbordati da un simpaticone che si qualifica come don Camillo (ha ragione! Ci somiglia proprio!) e ci invita, parlando un buffo italiano, in un retrobottega per mostrarci come nascono le tovaglie o le tele stampate. Grossi timbri imbevuti d’inchiostro sono pressati a mano sul tessuto creando il disegno che poi sarà colorato con pitture naturali e lavato. E’ così simpatico che scattiamo insieme una foto e con la promessa di scriverci, ci scambiamo la mail.
Oggi in particolare ci hanno fermati in molti, alcuni con una spontaneità disarmante ci vogliono ospitare nelle loro case a prendere un tè. Inizialmente, devo ammettere, diffidavamo un po’. Secondo come eravamo avvicinati pensavamo ci volessero chiedere soldi in cambio per farci da guide, vendere oggetti… e invece erano curiosi magari solo di sapere come ci chiamavamo e farci conoscere il significato del loro nome. Abbiamo conosciuto Sogno, Oro, Luce della luna… e, a tal proposito, Mah da oggi non è più un’esclamazione ma il mio nome in farsi (indica anche la parola “mese”).
Alle 20 ceniamo all’interno del bazaar presso il caratteristico Bastani Traditional Restaurant dove i nomi delle pietanze anche in inglese e i relativi prezzi sono bene esposti all’entrata. Alcuni siedono sui divani di legno all’aperto, altri più comodamente ai tavoli e il gentile proprietario Hossein, azzeccando (non ci vuole molto!) la nostra provenienza, tira fuori una fisarmonica e strimpella alcuni motivetti nostrani. Il pasto inizia immancabilmente con una zuppa al pomodoro, dell’insalata e il piatto forte, a scelta, consiste in 2 enormi polpette di carne e riso adagiate su un passato di prugne; peperoni e pomodori ripieni di carne macinata e riso; halvardeh ossia purea scurissima di melagrana e noci. Per dessert servono tre tipi di dolci tra cui il caratteristico e da provare khoreshte must, una crema di yogurt, miele, lime, zafferano e un ingrediente segreto (€ 10 a persona bibita compresa).
Per digerire anche questa mangiatona, dopo esserci velocemente riassettati in hotel, ci incamminiamo per uno degli alberghi più lussuosi del Paese. Si tratta dell’Abbasi Hotel (www.abbasihotel.ir), un antico caravanserraglio, dove l’accesso all’immenso e incantevole giardino è libero (sempre che qualche personaggio famoso non lo prenoti quasi totalmente). Alcuni di noi si accomodano e rilassano consumando una tazza di tè (€ 1,20), altri gironzolano per ammirare fiori coloratissimi, alberi da frutto tra i quali spiccano quelli stracolmi di mele cotogne e dalle forme più bizzarre. Per curiosità chiediamo il costo di una suite matrimoniale (€ 104) e di una standard (€ 70). Considerato l’abbordabile prezzo, consiglio questa “botta di lusso” anche a chi normalmente preferisce alloggi più modesti o spartani.
Rientriamo definitivamente all’hotel Sheykh Bahaei contenti e soddisfatti anche per questa straordinaria giornata in una città dall’architettura superba e, a parte il traffico un po’ indisciplinato (in pratica non si ferma nessuno ai semafori e attraversare è veramente un terno all’otto), dall’atmosfera piuttosto tranquilla e dal clima piacevole.
A proposito di clima, i periodi migliori per visitare l’Iran vanno da metà aprile all’inizio di giugno e dalla fine di settembre ai primi di novembre. Si eviteranno così il freddo inverno e l’estate che può essere particolarmente calda. Noi ci abbiamo proprio azzeccato! L’unica cosa è che l’aria è molto secca e dovremo ricorrere spesso a burro cacao per le labbra, crema idratante per mani e piedi (le uniche parti scoperte) e crema per il viso con un minimo di protezione. Per i maschietti, giacché non vestono lo chador… un cappellino.
Per esprimere la grandiosità di questa città, Hadi non pronuncia un motto ma ci riporta un detto del 1500: chi vede Isfahan vede la metà del mondo.
26 settembre. Isfahan – Naein – Mohammdieh – Meibuth – Deserto del Kavir – Yazd
Dopo una mattiniera colazione partiamo alle 7,30 per Yazd distante 400 km. La prima tappa la facciamo a Naein o Nain per visitare la millenaria (una delle prime quattro costruite in Iran dopo l’invasione araba) moschea del Venerdì o Jameh e il piccolo museo etnologico dove, tra gli altri reperti (grandiosi gli enormi vasi lavorati) è riprodotta una casa contadina con impressionanti – per quanto realistiche – statue in cera degli abitanti di un tempo, modellate così bene che qualcuno pensa siano persone imbalsamate. La panoramica sulla cittadina è una cartolina color seppia e spicca, tra le basse case, una cupola d’oro: la tomba di uno dei 5 mila discendenti di Maometto.
Mentre improvvisiamo uno spuntino con tè e biscottini, carinamente fatti trovare dagli autisti Mohammed e Alì, due fratelli veramente gentili e discreti, che tengono il pullman in maniera ineccepibile, la nostra guida s’informa, acquista i biglietti e ingaggia un accompagnatore per un’escursione interessantissima presso il Villaggio Mohammdieh.
Visiteremo un Qanat: il sistema d’irrigazione sotterranea di 2000 anni fa. In un pertugio sotto il piccolo cimitero del luogo ci addentriamo, seguendo Hadi e l’intraprendente Mahmood (naintours@yahoo.com – 09398636090), nelle viscere della terra. Percorriamo un canale scavato chissà con quanta fatica e pazienza e scendiamo fino a 28 mt. Ogni tanto un’apertura sopra la nostra testa, si tratta di un pozzo di ventilazione. Arriviamo davanti una macina: incredibile a credersi ma, con un ingegnoso sistema di passaggi d’acqua, diverse persone sotto e sopra il suolo la “azionavano” (un vero e proprio capolavoro di ingegneria). Fin qui l’escursione è fattibile per tutti, per qualche metro più in là, invece, sarà consigliata a chi non soffre di claustrofobia, non ha problemi di cuore/respirazione o alle ginocchia poiché ci si addentrerà per toccare l’acqua delle falde con un tempo massimo di permanenza tre minuti. Esperienza indimenticabile!
Sempre con l’ausilio di questo ragazzo, che parla perfettamente inglese, andiamo in una microscopica bottega seminterrata (anzi, seminsabbiata) a vedere una tecnica tramandata nei secoli per la lavorazione dell’Aba=mantello del mullah (studioso del Corano). Per pochi euro acquistiamo dalla cordiale e simpatia coppia di artigiani quello che utilizzeremo come tappetino. Deviazione apprezzatissima!
Soddisfatti, proseguiamo per la desertica strada, dove ci fermeremo brevemente per vedere, nei pressi del Villaggio di Meibuth o Meybod, un caravanserraglio, luogo dove sostavano le carovane, in cui ora negozietti espongono prevalentemente vasi d’argilla. Poco più avanti entriamo in una delle numerose Torri dei piccioni, un’alta colonna tonda traforata (sembra un alveare) dove il guano dei tanti uccelli che l’abitavano veniva utilizzato come concime. Penso a quanto potenziale fertilizzante sprecato c’è nelle nostre città!
Presso un forno approfittiamo per acquistare un po’ di panini appena sfornati. Hanno l’aspetto, e poi anche il sapore dolce, delle nostrane brioche. Ci mettiamo in fila, il primo di noi offre a tutti, non solo perché è generoso, ma perché sborsando € 1,50 gliene vengono imbustati 16 (4 sacchetti da 4)!
Ci rimettiamo in marcia e finalmente a Yazd, una cittadina di 800 mila abitanti in mezzo al deserto del Kavir. Passeggiamo solitari in un piccolo tesoro archeologico, sito utilizzato dalla comunità zoroastriana per il rito funebre. I morti venivano esposti sulle stradine di due sabbiose e rocciose collinette affinché gli avvoltoi li mangiassero. In questa maniera non venivano contaminati, da parte dei cadaveri, i quattro elementi sacri (terra, fuoco, aria e acqua) dal momento in cui ne rimanevano solo le ossa sepolte nelle due differenti (una per gli uomini, una per le donne) ma poco distanti tra loro Torri del Silenzio.
Altra veloce sosta presso il Tempio del fuoco zoroastriano (Atashkadah Zoroastrias’ Fire Temple, 10.000 IRR) dove una fiamma perpetua brucia dal 470 d.C. e noi abbiamo la fortuna di vederla nel momento in cui, oltre una vetrata, è alimentata da uno dei custodi che ravviva la brace affinché non si spenga mai. Questa comunità prega davanti al sole, a una luce, al fuoco! Il simbolo degli zoroastri rappresenta un anziano=la saggezza seduto su un cerchio=ciò che fai poi ti torna (se fai del bene o del male aspettati di ricevere l’uno o l’altro) e delle lunghe ali sotto alle quali i tre motti: pensare bene, dire bene, fare bene.
Durante gli spostamenti vediamo anche un’auto sul cui cofano ha dei bellissimi fiori e un megafono. Ci sporgiamo dai finestrini per ammirare la sposa ma la guida ci informa che si tratta di un funerale (o la grande festa in suo onore se ne ricorre il 40° giorno dalla morte). Peccato! Questo, a prescindere, è il momento giusto per sposarsi poiché non siamo nel periodo di lutto. Non si può convogliare a nozze, così come non lo potremmo fare noi cristiani durante la Quaresima, nei due mesi successivi alla morte del figlio di Alì e, secondo il calendario religioso di quest’anno, dal 5 novembre al 5 gennaio (nel 2014 dal 25 ottobre). Il funerale più grande del mondo? Quello di Khomeini: a dargli l’ultimo saluto sono state 11 milioni di persone.
Arriviamo all’Amir Chaqmaq Complex, una Piazza simbolo della città risalente a 120 anni fa dove svettano le cinque torri della ventilazione, la cisterna, un fiabesco edificio che funge da palco per chi vuole parlare all’intera popolazione e il simbolo del sarcofago di Husayn che nei mesi di lutto sarà rivestito con stoffe nere.
La Jaame Mosque è l’anticamera della città vecchia, dove le costruzioni sono prevalentemente realizzate con un impasto di argilla, sabbia e paglia (adobe) e tra i cui vicoli passeggiamo lungamente. Sembra disabitata, invece ogni tanto, da un malridotto portone di legno con due maniglioni – uno differente dall’altro, affinché le donne sappiano preventivamente se si tratterà della visita di un’altra donna o di un uomo, e quindi vestirsi adeguatamente –, escono i silenziosi abitanti.
Arriviamo al Mausoleo dei 12 Imam e ci fermiamo in una piccola piazzola dove ha sede l’elegante Hotel Mehr (www.mehrchainhotels.com) che ci ospita qualche minuto e ci dà la possibilità di scorgere dall’alta terrazza un bel panorama e il funzionamento dall’interno di una Torre del vento (stesso effetto di quando si lasciano più finestre aperte e fa corrente!).
Un po’ stanchini non vediamo l’ora di arrivare all’Hotel Garden Moshir-Al-Mamaler (www.hotelgardenmoshir.com) dove alloggeremo e che pare abbia pure vinto nel 2010 un premio spagnolo perché prestigioso e di qualità!
Ci accolgono due particolari personaggi in divisa: uno piuttosto piazzato, con dei baffoni da mangiatore di fuoco e anelli vistosi su tutte le dita, l’altro così piccolo da poter vincere il Guinness world record per essere quello più minuto al mondo (la sua testa arriva al mio ginocchio, e io sono “alta” solo mt 1.60!). Si prestano per una foto che stentiamo a chiedere, ma per la quale a loro fa piacere posare così come si “pavoneggiano” vanitosi due enormi pappagalli ara.
Finalmente una doccetta nella graziosissima e pulita stanza piena di compliments dove per collegarsi a internet non c’è neppure bisogno della password. Peccato che molti siti siano oscurati e pure leggere un articolo sportivo su Il Corriere dello Sport – eravamo interessati al derby Roma 2 – Lazio 0 – è un’impresa.
Ceniamo in una parte dell’enorme giardino (l’area è di 13 mila mq!) ricchissimo di alberi da frutto (fichi, melograni…). Il lungo bancone delle pietanze è all’interno della struttura dall’originale architettura iraniana e offre un’abbondanza e una varietà di cibo che quasi ci commuove. In una “botta” sola abbiamo la possibilità di assaggiare più piatti tradizionali. Tra i tanti apprezzo molto la zuppa di lenticchie e menta!
Dopo l’abbuffata, una passeggiatina ci vuole e mentre ammiriamo il pollice verde dei giardinieri… notiamo una troupe televisiva. Dei ragazzi stanno girando un documentario sulle bellezze e sui punti d’interessi della zona sponsorizzando anche l’albergo. Essendo noi romani chiamano subito il mio boy Albertone Sordi, poi si complimentano per i bravi registi italiani come Bertolucci e Fellini e ci chiedono quali altri preferiamo (Salvatores, Benigni…). Inizia una serata piena di chiacchiere; m’invitano a dare il via alle riprese e più volte, tra un discorso e l’altro, mi ritrovo a pronunciare “uno, due, tre, motore!”. E’ inevitabile non immortalarci in qualche foto (noi con loro e loro con noi), scambiarci indirizzi e-mail e pubblicizzare il loro sito: www.isfahanvt.ir (il filmaker mi dà pure l’indirizzo Facebook – ma io non sono iscritta – Hamed Eshghi.director).
Il motto iraniano di oggi è: chi vive in una collina di soldi ha qualcuno vicino che muore di fame (chi abita in un ricco palazzo deve mangiare la metà, non saziarsi abbastanza ed esser generoso).
27 settembre. Yazd – Abarkuh – Pasargadae – Persepoli
Dopo l’abbondante colazione all’interno dell’elegante complesso, oggi anche cereali al cioccolato, biscotti e dolcetti, partiamo per il lungo viaggio di 350 km.
Usciti dalla città, inizia un paesaggio montagnoso: stiamo attraversando la Catena dei Monti Zagros e, tra i picchi, ne emerge uno, all’altezza della cittadina di Taft che ha le sembianze di un’aquila (personalmente più simile al profilo di una persona sdraiata).
Piano piano il panorama diventa vero e proprio deserto la cui sabbia ci fermiamo a raccogliere correndo liberi per qualche centinaio di metri. L’effettiva sosta la facciamo ad Abarkuh o Abarkur a fotografare un altissimo (mt 28) e vecchissimo (di 4000 anni) cipresso, simbolo di longevità che, se ci crediamo, allungherà la nostra vita se ne percorreremo il perimetro. Un giretto in fila indiana e ci rimettiamo in moto per fermarci, dopo qualche km, a vedere una ghiacciaia naturale. Esteticamente ha le sembianze di un trullone di Alberobello; è alta mt 30, è stata costruita 120 anni fa e fungeva da frigorifero per la comunità in quanto in inverno (siamo a quota mt 1500) si utilizzava per conservarne il ghiaccio a disposizione di tutti gli abitanti.
120 km e arriviamo a Pasargadae, uno dei siti UNESCO, dove come prima cosa visitiamo la semplice ma impressionante Tomba di Ciro il Grande (fondatore dell’Impero persiano che qui creò la capitale) del 530 a.C.. Si tratta di un unico blocco di pietre lunghe 7 mt dalla forma piramidale ma a gradoni (ziggurat o ziqqurat), alto 11 mt e squadrato. Il monumento sepolcrale (cenotafio) si trova in una suggestiva distesa dove i resti di palazzi reali piuttosto distanti gli uni dagli altri danno un senso di libertà. La guida ci racconta che, nel 1971, lo Scià dette una grande festa invitando personaggi da tutto il mondo per l’anniversario dei 2500 anni dell’impero persiano del quale si sentiva l’erede. Davanti questa tomba disse: “Ciro, ti saluto, dormi tranquillo, io guardo il tuo paese” e invece, dopo pochi anni, iniziò la rivoluzione. Ciro, tra l’altro, aveva un’ottima reputazione per ciò che aveva fatto e lasciato, mentre lo Scià, che aveva pure cominciato i lavori per la sua tomba in quest’area, no. Giriamo tra i vari ruderi: il palazzo d’ingresso, la sala dell’udienza, il palazzo privato, la tomba di Cambise, quella di Dario e concludiamo il tour su una collinetta, presso il sepolcro della mamma di Salomone da dove si ha una veduta a 360° sul sito.
Accampata presso Pasargadae, una delle tribù di nomadi (in Iran sono complessivamente 2 milioni), quella Kaskai.
In merito a questa e a tutte le comunità, c’è da dire che la loro è un’esistenza veramente dura. Vivono in tende (prevalentemente nere perché utilizzano la lana delle capre per preservarsi dal freddo) e si spostano frequentemente alla ricerca di luoghi adatti per l’agricoltura, la pastorizia… E’ pur vero che spesso è lo Stato ad adibire zone idonee agli accampamenti e ai terreni coltivabili. Nelle tende è fondamentale l’ininterrotta lavorazione dei famosi tappeti. Per quanto riguarda la scuola, lo Stato prevede, per i bimbi più piccoli, un maestro che raggiunge lo stanziamento e insegna a maschi e femmine insieme. I ragazzi più grandi, invece, frequentano le medie e le superiori nella città più vicina. Tempo fa si spostavano esclusivamente a piedi, poi con i muli, con gli asini… ora anche con i camion, salvo non si tratti di pastori con grosse greggi. Per il paese queste collettività sono una grande risorsa e, nonostante dia loro un contributo, si mantengono prevalentemente con il commercio, nei bazar, di tappeti, di coloratissimi vestiti tradizionali, di prodotti coltivati, di formaggi…
Inizia l’ultimo tragitto di 130 km che ci porterà alla meta finale di oggi: Persepoli ai cui punti d’interesse ci dedicheremo domani alle 8 e cioè all’apertura del sito per goderne pienamente e con tranquillità.
Ci sistemiamo in uno dei bungalow nella piccola “foresta” dell’ITTIC INNS (Iran Touring & Tourism Investment Co. – www.ittic.com oppure www.ittic.net). Alloggiamo in uno chalet un po’ spartano a 3* ma molto spazioso (angolo cottura, saloncino e ampia stanza). E’ tutto pulito, abbastanza rifornito il grande frigo, un po’ meno di prodottini il bagno. Nessun collegamento a internet (€ 46 in B&B).
La cena la consumiamo a due passi dall’hotel al Parsian Restaurant dall’arredamento veramente kitsch, sembra di stare in un bosco marino con delfini, stalattiti e tronchi di alberi mal riprodotti. Il cibo è buono; all’ingresso un doppio tavolo rotondo sul quale stoviglie e in differenti contenitori pomodori, cetrioli, verza, carote, lattuga e cavoli sottaceto. Verranno serviti i piatti principali da scegliere prevalentemente tra spiedini di carne (pollo o vitellone o macinato di montone), riso, qualche verdura grigliata e finalmente tanta frutta (200.000 IRR). In una sala adiacente abbiamo la possibilità, seduti a gambe incrociate sui tipici divani di legno, di sorseggiare un tè caldo (5000 IRR) e di fumare narghilè o qalyān al fine di sentirci ancor più “uniti, amici e fratelli” (100.000 IRR).
Il motto di oggi è un vero e proprio augurio, soprattutto a un neonato: ti auguro di vivere 120 anni sotto l’ombra dei tuoi genitori.
28 settembre. Persepolis – Shiraz
Dopo l’essenziale colazione (nun, marmellatine di carote, miele, pomodori, cetrioli, uova fritte, tè, nescafè e succo di frutta) è finalmente giunta l’ora di visitare il sito archeologico considerato patrimonio Unesco (150.000 IRR). Le rovine dell’imponente e magnifico complesso di palazzi (di Dario, di Serse e di Artaserse), costruito da Dario I a partire dal 512 a.C. e completato 150 anni più tardi, sono una vicino all’altra e danno un senso di potenza. Le vestigia che vediamo oggi, peraltro, sono solo dei resti dopo l’incendio – non si sa se doloso o meno – del 331 a.C. durante il regno di Alessandro Magno. Chissà che maestosità prima di allora… e incredibile pure il fatto che, fino agli anni 30, era tutto sotto la sabbia (www.persepolis3d.com). Tra i ruderi alcuni grifoni ora simbolo dell’Iran Air; su alcune colonne bassorilievi che ritraggono soldati con differenti tipi di armamenti; singolare il re che viene sventolato affinché le mosche non lo disturbino! Ogni particolare ci trasmette tanta emozione!
Non mi dilungo su spiegazioni storiche della mitica capitale cerimoniale degli Achemenidi, su quello che era il Trono di Jamshid, informazioni reperibili ovunque. Devo però scrivere che, salire le 110 scale, a destra e a sinistra dell’entrata, basse per l’accesso con i cavalli; passare sotto la Porta di Serse con le sue iscrizioni e intagli in elamita e in altre lingue antiche; girovagare nell’immenso Palazzo Apadana, dove i re tenevano le udienze e si svolgevano le celebrazioni (tutti gli oggetti d’oro e d’argento non saccheggiati da Alessandro Magno sono conservati nel Museo Nazionale di Teheran); immaginare la grande sala del Palazzo delle Cento Colonne (dai 19 ai 65 metri) utilizzata per le udienze da Dario I… mi ha commossa e affascinata così come ha lasciato attonito il gruppo la straordinaria scultura in rilievo rappresentante 28 nazioni che portavano i doni al più vasto impero dell’antichità.
Fino al 20 settembre il sito viene aperto anche la notte per uno spettacolo di luci e suoni.
Ancora frastornati dalla bellezza per la passeggiata nel passato, continuiamo a stupirci davanti la necropoli di Naqsh-i Rustam: quattro tombe, i cui ingressi erano al centro di grosse croci scavate all’interno di una montagna a un’altezza rilevante dal suolo, appartenenti a grandi re persiani (Dario I, II, Serse e Artaserse) e le cui incisioni e bassorilievi sono sbalorditivi.
Supersoddisfatti e un po’ accaldati partiamo per Shiraz una delle città più importanti nel mondo medievale islamico e capitale durante la dinastia Zand (1747-79), distante solo una sessantina di km.
Il pullman si ferma, ci fa scendere e ci viene a riprendere dopo qualche centinaio di metri per darci la possibilità di entrare in città da sotto la Porta del Corano (perché prima ne custodiva uno) ricevendo così la benedizione del Santo Libro (secondo altri la funzione del Corano nel “Cancello” era quella di proteggere la città dai nemici).
Facciamo subito il check-in presso il Park Saadi Hotel (PSH – www.parksaadihotel.com) elegante, spazioso, pulito, fornito di tutto, mappa turistica della città compresa.
La premessa è che questa città fu popolata da artisti, studiosi e per merito loro divenne sinonimo di cultura, usignoli e poesia (Saadi, nome del nostro hotel, era uno dei poeti dell’epoca – e grande viaggiatore – più apprezzati, facili da comprendere e oggi è studiato dai bambini).
Cominciamo a visitare, a pochi metri dall’hotel, la tomba e il rilassante giardino del venerato poeta Hafez dalle difficili poesie considerate importanti come i versi di un “secondo Corano” e spesso imparate a memoria.
Appena fuori il Mausoleum – vero luogo di pellegrinaggio dove incontriamo diverse coppie d’innamorati che vengono a recitare qualche rima – alcuni anziani hanno in mano pappagallini che da un contenitore estraggono con il becco foglietti di carta colorata, contenenti i versetti del decantato poeta che varranno come oroscopo di oggi. Sono scritti in farsi e Hadi li tradurrà per tutti.
Il farsi scritto è una vera e propria arte. Ha 32 lettere: tantissime considerando che gli arabi ne hanno 28, gli inglesi 26 e noi 21! E’ pur vero che chi impara una parola è come se ne studiasse tre poiché spesso ha molteplici significati (es. shir è la traduzione di leone, latte e rubinetto).
Altre poche centinaia di metri e, fuori programma, visitiamo la Moschea Ebn-e Hamzeh che è un tripudio di specchi all’interno della quale il Mausoleo di uno dei fratelli dell’8° Imam.
Proprio di fronte, c’è un fruttivendolo che “assaltiamo” acquistando bei carichi di frutta (uva € 0,40 al kg, mele € 0,80 al kg) di cui sentiamo un po’ la mancanza poiché a colazione è scarsa, sempre la stessa e a cena quasi mai presente.
E’ la volta del delizioso Giardino Botanico di Eram (www.shirazu.ac.ir, 50.000 IRR), di 12,5 ettari sui quali passeggiamo attorniati da alti cipressi di oltre 200 anni e ci ossigeniamo su e giù per i vialetti pieni di simmetriche siepi, alberi da frutto (melograni, aranci, ulivi, mandorli…), prati inglesi con aiuole di fiori coloratissimi tra cui 300 tipi rose e 450 specie di piante alcune delle quali subtropicali. Oggi funge anche da centro di ricerca. Arriviamo ai piedi di un palazzo Cagiaro del XIX secolo che si specchia su un laghetto turchese. Sulla facciata degli affreschi che raccontano leggende, secoli e millenni di storia.
Alcune ragazze ci invitano a completare un questionario dedicato al turismo: che tipi di viaggiatori siamo, la nostra opinione sull’Iran, cosa abbiamo trovato veramente ok, cosa ci ha insoddisfatti, delusi e consigli su ciò che andrebbe migliorato. Ovviamente ci sottoponiamo al sondaggio dando risposte con tutta sincerità.
Ci spostiamo alla Cittadella (Arg Karim Khan, fondatore della dinastia Zand che l’aveva adibita a sua abitazione), dalle sembianze di una fortezza medioevale, utilizzata, in seguito, come prigione e oggi come museo. Passeggiamo esternamente alle mura di cinta sostando davanti la Torre quadrata chiamata di Pisa perché molto pendente. Il nostro divertimento è scattare foto con effetti ottici di chi la regge, chi ci si appoggia, chi la spinge e, attorno a noi, si crea un capannello di curiosi spigliati che ci intrattengono con colloqui e domande sul nostro modo di vivere in Italia.
Adiacente è il Bazare Vakil dove sarà bello “perdersi” tra le sue strette vie. Tante le botteghe di tappeti che sono veri e propri quadri dai particolari perfetti e i banchi di frutta secca, cereali… di cui facciamo una grande scorta perché molto più convenienti di quelli trovati finora. Anche qui, ognuno ci invita ad assaggiare i suoi prodotti e tra fichi secchi, noci (€ 13 al kg), uvetta passa, legumi secchi, datteri (€ 1 al kg), pistacchi freschi (€ 11 al kg), riso soffiato (€ 0,50 al kg), castagne… è un continuo masticare. Scopriamo, tra l’altro, delle perfette palline bianche che fino a quel momento non avevamo testato: si tratta di pecorino! Un po’ forte mangiato così ma probabilmente grattugiato sulla pasta è eccezionale.
Tanti sono i giovani ansiosi di praticare l’inglese che ci abbordano con un complimento o con la scusa di aiutarci a fare acquisti poiché è questa la quasi unica maniera per conoscere e aprirsi al mondo. Si tratta spesso di studenti fuori sede perché a Shiraz si trova una delle università più eccellenti dell’Iran. Con una ragazza in particolare ci scambiamo l’indirizzo mail perché dopo tante chiacchiere in cui captiamo la sua voglia di essere informata su cosa c’è “oltre” l’Iran, i ripetuti inviti a prendere il tè presso casa sua, il suo mettersi a disposizione per farci da guida senza alcun secondo fine… la sentiamo ormai amica. Episodi di questo genere capitavano contemporaneamente ad altre persone del gruppo! E pensare che prima di partire nostri amici ci avevano considerati un po’ matti ad andare a “rischiare la vita”! Ma l’energia vitale è proprio qui!
Oltre a tanti vicoletti vi è pure un largo spiazzo (siamo all’interno di un caravanserraglio) al centro del quale una fontana e, nei pressi, un “gelataio” dove gustiamo una vaschetta di Faloodeh ossia di “vermicelli spezzettati” di “amido di granturco” affogati in succo di limone o acqua di rose (10.000 IRR). Da provare!
E quanti altri profumi! Provengono soprattutto da carretti che trasportano larghe padelle di cibi cotti consistenti prevalentemente in legumi bolliti: fave gigantesche, ceci, fagioloni borlotti! Vorrei assaggiare anche questi ma… è quasi ora di cena che consumeremo, appena fuori il labirintico bazar, nello Sharzeh Traditional Restaurant (www.sharzeh.ir), con tanto di musica dal vivo. E’ molto capiente e a due piani. Su quello superiore i tavoli sono collocati su un balcone e si affacciano su quello inferiore, dove i clienti si ritrovano, al centro, un piccolo palco con 4 musicisti (flauto, tamburo, xilofono e violino). In un angolo, proprio all’entrata, un vario buffet che offre due zuppe (una dal sapore di melanzane alla parmigiana e l’altra al pomodoro e mais), paste fredde, tantissimi contorni (funghi, insalate, pomodori, sottaceti…) e come piatto forte, portato su un pesante vassoio in legno, un filetto di pesce proveniente dal golfo Persico (o un hamburger), adagiato su patatine fritte, pomodori e purea. Il nun è sempre servito caldo e croccante ed è tra i più squisiti della vacanza. Bibita compresa € 12 a persona ma, volendo, ci si poteva saziare solo con le pietanze del buffet (150.000 IRR).
Torniamo nel bell’hotel con diversi pacchetti da sistemare e con una più rotonda panciotta.
Il motto di oggi: il Paradiso esiste sotto i piedi della mamma (se rispetti chi ti ha creato, sarai premiato).
29 settembre. Shiraz – Teheran
Dopo colazione, abbondante e con un buon ciambellone iraniano ma dal sapore nostrano, continua la visita di questa ordinata, colta e generosa città dagli ampi viali a tre corsie ma dagli indisciplinati autisti!
Prima tappa il Mausoleo di Shah Cheragh da Fouri detto Re della lampada, del lume, illuminato, un altro dei fratelli dell’8° Imam Alì. Siamo in un importante luogo di pellegrinaggio sciita che attira orde di fedeli, tra i quali tante nomadi che riconosciamo per i vestiti sgargianti e ampi sotto a quelli neri. Per entrare bisogna essere puliti (abluzione), puri (leggere una preghiera-permesso), togliersi le scarpe e indossare lo chador. Entriamo senza scarpe e con un enorme lenzuolo in dotazione e rimaniamo a bocca aperta per il luccichio delle pareti e dei soffitti, mosaici perfetti di specchi dai delicati colori. Tanti i bambini insieme alle mamme e, anche loro, a qualsiasi età, indossano una bandana (se proprio piccoli), un largo foulard se sono sul passeggino e il vero chador dai dieci anni in su.
Quattro passi tra le vecchie stradine, a volte con cumuli di macerie, ci fanno vivere sensazioni di una volta e l’ora trascorsa a guardarci intorno sembra durare di più. Arriviamo alla Moschea Jaame, la più vecchia della città ora in fase di restauro.
Che curioso vedere anche i poliziotti, mentre pattugliano i vicoli, che si sbracciano per salutarci. Per non parlare dei loro contagiosi sorrisi e di quelli degli abitanti: un tripudio di facce allegre, divertite e contente. Che emozione sentirsi benvoluti, graditi e più di una volta i miei occhi diventano lucidi!
Passiamo per l’Ordou baazar dei nomadi, dove lo scenario cambia. Pare di stare a una festa di colori: venditori di stoffe, di tessuti “finti”, di passamaneria e di sottogonne ampie, molto appariscenti, indumenti esageratamente eccentrici che sembrano più adatti alle bambole principesse.
Entriamo nella più famosa scuola di Teologia della città: la Khan School, alla quale si accede sin dalla tenera età di 10 anni. Dopo le medie, i ragazzi possono cominciare a studiare il Corano e finché vogliono rimangono ospiti – giorno e notte – in una delle 70 stanze della struttura (una sorta di casa dello studente). Mullah di ogni età indossano il turbante e, tra alberi di datteri dai quali cadono dolcissimi frutti che raccogliamo e mangiamo, contemporaneamente vediamo il più anziano insegnare a chi imparerà per andare a sua volta a insegnare a un “livello” inferiore al suo. Da questa scuola si può andar via dopo qualche anno, rimanere per metà della propria vita diventando professore o stabilirsi per sempre perché, di “addottrinarsi”, non si finisce mai!
Il giro prosegue: quanti fornai, quanti banchetti con piramidi di datteri, venditori di carboncino esposto in bacinelle accanto a bidoncini di benzina e poi enormi sacchi di pasta non imbustata (in un piatto della bilancia alcuni “fili” di spaghetti e dall’altra il peso di ferro corrispondente).
Di moschee ne abbiamo viste tante ma quella Masjed-e Naseer ol Molk o Masjid-e Vakil o Regent’s Mosque o più semplicemente delle 48 colonne o Rosa per la predominanza di questo colore nelle piastrelle è veramente particolare. Scenografico il riflesso del sole che penetra dalle vetrate colorate proiettando arcobaleni sui tappeti. Le cupole, viste dall’interno, sono sempre eccezionali e fanno “girar la testa” per quanto si starebbe col naso in su ad ammirarle. Anche un piccolo museo fotografico e un pozzo.
Dai vivi e intensi colori è il giardino di Naranjestan che circonda il palazzo di un ex “sindaco” (150.000 IRR) dove alcune donne sono concentrate a togliere le foglioline di menta da ogni rametto per rendere dissetante e digestivo il tè. All’interno del Naranjestan-e-qavan complex si distinguono più stili e arti. Prima ci divertiamo a fotografare i nostri riflessi nei numerosi specchi che rivestono la volta principale, poi ammiriamo colonne di marmo, porte di legno pazientemente lavorato, vetrate colorate che illuminano pareti finemente decorate con stucchi. Acquistiamo pure qualche oggetto di pelle lavorata a mano presso il negozietto all’interno dell’edificio e visitiamo velocemente il Museum che espone unici oggetti appartenenti anche al Professor Pope.
Anche qui, a prezzi irrisori, si possono comprare le cartoline che saranno tutte spedite dalla guida, la quale si recherà alla posta, si procurerà i francobolli (€ 0,50 l’uno) e penserà a noi ancora un po’.
A noi le cartoline non piacevano molto per cui porteremo agli amici delle calamite (un po’ difficili da trovare (a € 2 l’una), tanta frutta secca, datteri, ceci e mais soffiato.
Nel rientrare passiamo su un ponte sotto al quale c’è quello che chiamano il fiume secco perché effettivamente è sempre senz’acqua, una ulteriore foto alla cittadella – e al suo giardino interno – davanti al bianco Palazzo di giustizia e all’una in hotel per una doccia veloce e il check-out.
Una sorpresina da parte del tour operator italiano Stelle d’Oriente: il pranzo (non era incluso) presso l’albergo: un buffet di insalate e una squisita zuppa di verdure e pollo.
Alle 14,30 ci trasferiamo all’aeroporto (10 km distante) per il volo per Teheran (a 900 km a nord). Sarà l’ultimo tragitto sul pullman con il quale abbiamo girato per questa bellissima terra. Con una breve lettera e mancia ci congediamo e soprattutto ringraziamo gli affidabili professionisti autisti Mohammed e Alì.
Voliamo con la compagnia di bandiera Iran Aseman Airlines (www.iaa.ir) e rimaniamo piacevolmente sorpresi per le comode poltrone (posti 6E) sulle quali in dotazione una bottiglietta d’acqua e a seguire uno spuntino con arachidi salate, merendina al cioccolato, banana e succo di frutta.
Puntualissimi – dopo un’ora e mezza – atterriamo sulla capitale e ci rechiamo, con un comodo e supertecnologico torpedone, in una delle zone più ricche e residenziali da cui si ha una visuale della città a quasi 360°. Qui le case, che normalmente costano sugli € 700 al mq, sfiorano gli € 5000. Considerando lo stipendio medio di un impiegato di € 5-600 al mese e il costo di un’utilitaria di circa € 5000… siamo veramente in un luogo fuori mercato!
L’ultimo pasto lo consumiamo all’Alighapoo, un ampio ristorante sotto il livello stradale particolarmente chic and kitsch. La squisita e ricca cena è composta di svariati antipasti a buffet, megavassoio servito a tavola con abbondanti porzioni di pesce, di carne, di riso (alle erbette, allo zafferano e in agrodolce) e di verdure. A seguire dolci locali e chay. Ci abbuffiamo ascoltando musiche della tradizione persiana. Su un palco centrale si alternano un gruppo che utilizza particolari strumenti (una sorta di tamburello da minimo cm 50 di diametro, un mandolino allungato, una fisarmonica…) e un cantante che ricorda esteticamente Roberto Carlino con la vocalità di Mario Merola. Passiamo dai ritmi coinvolgenti e sfrenati ritmi iraniani alla canzone neomelodica. Oltre al cibo e atmosfera, punti a favore del ristorante sono la toilette (decente ed esteticamente curiosa) e il personale – vestito con abiti tipici – che parla inglese. Purtroppo anche nei locali più turistici di questo paese spesso il menu è in farsi e i camerieri conoscono solo il persiano. Qui si “burlano” anche di noi simulando incidenti di percorso (rovesciamento di tazzine di tè, inciampate varie…). E’ tutto molto folcloristico, tanti i clienti iraniani che festeggiano vari eventi tra i quali un compleanno proprio nel tavolo attiguo al nostro. Ci uniamo agli auguri al festeggiato cantando a squarciagola i nostri e lui, apprezzando, ci offre una buona fetta di torta!
Durante la cena, oltre al tour leader italiano Roberto e a sua figlia Giorgina saremo affiancati dal loro affidabilissimo partner locale (il Vala Parsian Tour Operator, www.parsiantour.com), ma il consiglio spassionato è di prenotare tramite Stelle d’Oriente.
E’ quasi mezzanotte; lasciamo il ristorante per l’IKA aeroporto, aperto 5-6 anni fa e distante una cinquantina di km, dove attenderemo, già con un po’ di nostalgia, il volo di rientro per l’Italia.
Il motto di oggi, viste le tante corse per visitare il più possibile, è: chi cammina con la testa si rompe i capelli, chi corre con i piedi si rompe le scarpe (contemporaneamente non si può fare tutto).
E chissà, magari torneremo, ci sono tante altre bellezze in tutto l’Iran che andrebbero viste (di corsa o con calma) tra cui il deserto e la possibilità di alloggiare in eco-camp (www.matinabad.com).
30 settembre. Tehran – Roma
Nel corso del viaggio, Hadi, la sera, per comunicare che eravamo arrivati a destinazione, pronunciava due parole: buon appetito. Ogni qualvolta chiedevamo se era più bello o meno l’albergo in cui avremmo alloggiato, il sito che avremmo visitato, la risposta standard era: il bello deve ancora arrivare. Oggi Hadi, nel salutarci, ripete quest’ultimo detto perché tornare a casa sani e salvi è la cosa più bella che ci possa capitare. E poi aggiunge un suo motto: oggi voi perdete una persona, io ne perdo 16! Quando arrivate in Italia mandatemi un messaggio, io pregherò per voi. Consegna a ognuno una busta da lettere contenente i tickets di alcuni monumenti che avevamo visto, scusandosi per non aver trovato il tempo di scrivere anche due righe.
Grande commozione da parte di tutti. Gli consegniamo un bigliettino di ringraziamento che accompagna la meritata mancia per la passione con cui ci ha fatto conoscere un’affascinante terra piena di storia, opere d’arte, cultura, buon cibo e soprattutto splendide persone: aperte, incredibilmente moderne i cui sorrisi rimarranno impressi nelle nostre menti per sempre. Questo è il popolo che vuole lo sterminio del mondo occidentale? Questi sono i terroristi? Felice di aver sfatato una “leggenda” invito tutti a vivere questa inimmaginabile bella realtà che si sta sempre più distanziando dai severi dettati degli Imam e dal fondamentalismo sciita. Ultima dimostrazione le colorate capigliature delle iraniane che improvvisamente appaiono pochissimi minuti dopo il decollo del volo – anche in questo caso Air Pegasus via Istanbul (posti 13E) – che ci riporterà a casa (noi a Roma e i nuovi amici a Milano).
Mashalla buon viaggio!
Mah Luna Lecci