Da Ciro il Grande al gelato alle rose

Viaggio in Iran...
Scritto da: biba1966
da ciro il grande al gelato alle rose
Partenza il: 09/05/2009
Ritorno il: 30/05/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Destinazione: Iran.

Commento unanime (o quasi): “siete matti?”

Ebbene, non ascoltate quanto viene detto in tv e andate in Iran per conoscere i luoghi e le persone, la loro dolcezza e la loro forza, con leggerezza e curiosità. E vi accorgerete che c’è un solo motivo che rende faticoso un viaggio in Iran – e solo per noi donne – ovvero il chador, che è davvero insopportabile e fastidioso, soprattutto a certe temperature. E che ci sono mille motivi per partire. Da Tabriz fino all’antica Persepoli, ti inseguono sorrisi, inviti a pranzo, sguardi timidi, offerte di thè e limonate, “welcome”, sguardi maliziosi nascosti dietro un velo che è quasi un sipario su un mondo tutto da scoprire. Le donne iraniane: allegre, sorridenti, coraggiose, belle. Labbra, occhi e mani sapientemente (e pesantemente) truccati, che si scoprono/svelano al mondo, capelli che si rifiutano di sottomettersi al copricapo e che sfuggono con ciocche colorate da sotto il foulard.

Ci hanno avvicinato persone che ci parlavano del cinema italiano, di Mastroianni, De Sica e Sofia Loren; persone critiche nei confronti di un regime ottuso e senza cultura; giovani ragazzi che si scusavano per non poter stringere la mano in pubblico a me che sono donna ; scolaresche in gita che ci hanno offerto senza tregua thè e dolciumi; donne adulte che hanno ballato per noi ridendo e scherzando e ragazzine che ci hanno chiesto di ballare per loro perché proibitogli; persone fiere e orgogliose del loro passato e della loro cultura millenaria.

D’altra parte come si fa a definire pericoloso un luogo dove il passatempo preferito è fare picnic (anche nei parchi di notte) e dove la tomba più osannata (non me ne voglia Khomeini) è quella di Hafez, un poeta?

E se il contatto con la gente non vi incuriosisce, l’Iran vi conquisterà con il cibo: innanzitutto si può mangiare qualunque cosa perché l’acqua è potabile e già questa è stata una scoperta notevole. Quindi insalate, yogurt dolci e salati, riso con crespino, verdure deliziose, antipasti, carne, gelati, dolci… insomma scordatevi la dieta!! E se neanche questo vi attrae, ci sono sempre i luoghi, le architetture, i palazzi e i paesaggi.

Ecco il nostro itinerario: da Teheran andiamo a nord, una realtà a parte, molto diversa da tutti i punti di vista, climatico, paesaggistico, culturale, religioso e somatico. E’ l’Azerbaijan iraniano, con le montagne ancora spruzzate di neve, i fiumi verde-azzurro, le bellissime chiese armene e le persone dalla carnagione chiara e gli occhi azzurri. In queste valli punteggiate da fioriture spontanee multicolori, si scoprono paesaggi lunari, antichi e magici luoghi di culto zoroastriani, paesi di villeggiatura “alpini” e paesi scavati nella roccia.

Tra le montagne che spingono l’occhio verso il Caucaso armeno tracciati millenari di percorsi carovanieri, spezie, stoffe, ori e pietre preziose, ma anche scappatoie per antiche refurtive, divenuti più recentemente tentativi di fuga per disperati migranti dall’Asia Centrale.

Attraverso piantagioni di thè e laghi salati ci avviciniamo al Mar Caspio (che non è niente di eccezionale a parte il fatto che sulle sue rive ventose ho mangiato uno dei meloni più buoni di tutta la mia vita) per poi dirigerci verso la parte centrale.

Iniziamo a incontrare i mausolei e le moschee: piastrelle blu-bianco-verdi-turchese, minareti, portali, cupole, oro, specchietti e lampadari scintillanti. I cortili interni brulicano di gente e non si pensi a fondamentalisti presi dalle loro preghiere, no, ci sono ragazzi che giocano a pallone, famiglie che mangiano, bambini che corrono, coppie che chiedono la grazia di un figlio, amici che si incontrano.

La fastosità e la magnificenza dell’architettura religiosa islamica ci lascia per un attimo e ci immergiamo nel silenzio zoroastro: qui parla il sole, il vento, l’acqua e il fuoco. Nient’altro. Immaginatevi un altopiano, un lago, un vulcano, gelsomini, qualche muro rimasto qua e là e il vento. Immaginatevi una grotta, un albero sacro e il fuoco che arde perenne. Oppure immaginate due piccole colline con la sommità scavata: sono le torri del silenzio, nome poetico per indicare il luogo dove venivano celebrati i funerali zoroastri (che di poetico hanno poco, visti che i corpi venivano lasciati agli avvoltoi…).

Svolti l’angolo e ti sorprendono le architetture kagiare: tappeti, vetrate colorate dove il sole filtra creando piccoli arcobaleni, intarsi di legno e marmo che sembrano pizzi. Torri del vento e passeggiate sopra i tetti a Kashan. Poi ti puoi ritrovare improvvisamente in mezzo a villaggi che sembrano usciti da una favola, che si mimetizzano col terreno circostante: case rosse contro terra rossa (Abianeh), case ocra nella polvere di un paesaggio semidesertico (Na’in e Meybod), cittadelle fortificate di fango (Rayen), abbandonate oppure con abitanti ancora a dorso d’asino, uomini con strani pantaloni-gonne e donne dai vestiti fiorati.

Deviamo a volte per vedere luoghi inquietanti: la valle degli Alamut con il castello degli assassini, i kaluts – strane formazioni rocciose in mezzo al deserto cocente di un maggio iraniano (chissà ad agosto!!), l’assenza di vita di un lago salato.

Iran sorprendente che va dagli azeri ai curdi fino ai beluci, passando dal cristianesimo all’Islam, con una identità culturale intensa e un nazionalismo quasi esasperato, che capisci quando vedi le testimonianza dell’antica Persia: Ciro, Dario, Serse, Artaserse, sono tutti qui e ti parlano ancora, dalle loro tombe e dai viali delle loro città. E’ come entrare in un libro di storia illustrato!

Tra caravanserragli , limonate, succhi di melograno e dolcetti al pistacchio, arriviamo a Esfahan e – anche se tardi – decidiamo di andare a cena passando per l’Imam square, la seconda piazza più grande al mondo, la “metà del mondo” secondo alcuni: amore a prima vista. Non ce ne andremmo più di lì, è tutto sopra ogni immaginazione, ogni cosa è memorabile, grande-grandissima, le cupole sembra non abbiano mai fine, i mosaici dalle trame sempre nuove e i colori sono calamite per gli occhi. Le uniche distrazioni che ci concediamo dal girovagare “dentro” la piazza sono le cene e i thè rigorosamente nelle terrazze che si affacciano sulla piazza e un fantastico pranzo in una sala da thè-fumeria stracolma di gente eterogenea . Visitiamo anche il quartiere armeno (quant’è diverso: qui la comunità armena sfoggia la sua ricchezza nelle vetrine griffate dei negozi e nei dipinti delle chiese quasi barocche), ma alla fine torniamo sempre lì, attratti da questa piazza che ci travolge e ci riposa.

I fiori invece ci portano verso Shiraz: profumo all’acqua di rose, gelato alle rose, rose-ortensie-iris sui muri delle moschee e finalmente i mitici e lussureggianti giardini persiani.

Ovunque ritratti di uno “strano” personaggio dalla faccia di Sandokan ma con aureola e attributi mistici. Dopo qualche giorno chiediamo e scopriamo che è Ali, genero di Maometto (ma la faccia è quella di Kabir Bedi).

Il saluto finale ha il sapore di un arrivederci, a casa del nostro autista Merdha – nome evocativo che vale più della sua patente – dove comandano le sue donne (madre moglie sorelle e cugine) per un’ultima abbuffata di mirza, kubineh, dolmuh, shirini e dugh (melanzane, montone, foglie di vite ripiene, dolcetti casalinghi e bevanda tipica), mentre assistiamo al saggio di karate della figlia…

Ero perso con lo sguardo verso il mare Ero perso con lo sguardo nell’orizzonte, tutto e tutto appariva come uguale; poi ho scoperto una rosa in un angolo di mondo, ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione di essere imprigionata fra le spine non l’ho colta ma l’ho protetta con le mie mani, non l’ho colta ma con lei ho condiviso e il profumo e le spine tutte quante. Ah, stenderei il mio cuore come un tappeto sotto i tuoi passi, ma temo per i tuoi piedi le spine di cui lo trafiggi.

Hafez



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