In Kenya tra safari e mare
Il terzo giorno ci spostiamo nel parco del lago Nakuru. Proprio mentre arriviamo vediamo un pullmino fermo con a bordo due giapponesi. Sono tutti intenti ad osservare qualcosa in lontananza. Il ragazzo giapponese, molto gentilmente, si stacca dalla sua macchina fotografica con teleobiettivo enorme per indicarmi la direzione in cui guardare. E’ difficile vederlo… ma dopo un po’ si muove e riusciamo a intravedere le fattezze di un leopardo. Al Lago Nakuru vediamo per la prima volta anche i rinoceronti, sia bianchi che neri. Uno di loro si gira verso di noi che siamo fermi nel pullmino a guardarlo, ed ho l’impressione che stia lì lì per caricarci. Ma in realtà si sta solo girando in maniera molto lenta e poi si dedica a brucare. Mohammed ci dice che se non facciamo versi strani e non scendiamo dal pullmino possiamo stare tranquilli. Soggiorniamo al Lake Nakuru Lodge, dove troviamo un momento anche per fare un bagno in piscina. C’è anche un ufficio di cambio all’interno, utile se si è rimasti a corto di moneta locale. La sera assistiamo all’esibizione canora di un simpatico gruppo di ragazzi del Kenya e alcuni Stati confinanti.
Insomma, non descriverò tutti i parchi che abbiamo girato. Dico solo che siamo stati anche nell’Amboseli (dove per la prima volta avvistiamo gli elefanti), nello Tsavo East e nello Tsavo West (suggestiva è la storia dei mangiatori di uomini, i maneaters, che pare abbia avuto il suo scenario proprio nello Tsavo, rappresentata anche nel film “Spiriti nelle tenebre”). Nello Tsavo West, in particolare, dormiamo in un appartamento davvero eccezionale allo Ngulia Safari Camp, con vari ornamenti etnici e con una vista sul parco (ed in particolare su una fonte cui vanno ad abbeverarsi gli animali) ottima. Proprio allo Ngulia, ci capita che la sera va via la corrente e poiché siamo immersi nel parco e ci hanno detto che si potrebbero fare anche incontri pericolosi, non ci muoviamo dall’appartamento per andare a mangiare. Dopo un po’ viene a prenderci un componente dello staff del campo e ci accompagna al ristorante. Durante la notte ci svegliamo sentendo i versi di qualche animale proprio alle spalle dei nostri letti. La mattina dopo ci dicono che si trattava di una iena.
Infine la nostra guida, terminato il safari, ci accompagna verso il mare. Ci arriviamo attraversando la foresta di Sokoke: sulla strada che porta verso il mare ogni tanto si intravedono degli alloggi, sostanzialmente delle baracche, di gente che abita e lavora nella foresta, con tanti bambini che appena sentono il rumore del pullmino si spingono sul ciglio della strada per salutare: spesso lo fanno in italiano dicendo “ciao”. Mi sono chiesto cosa li spinga veramente ad essere così entusiasti e pieni di allegria, se la speranza di ottenere qualcosa (so che molti turisti si fermano per lasciar loro qualcosa o glielo buttano dai finestrini, talvolta penne, quaderni o caramelle) oppure un semplice desiderio di salutare e sentirsi ricambiare il saluto, di avere un contatto con altre persone che sembrano provenire da un modo molto diverso dal loro. Preferisco credere a questa seconda ipotesi per non perdere il fascino di quello che è stato il momento più toccante della vacanza.
Arriviamo a Watamu, dove alloggeremo all’Ocean Sports Resort. E’ un villaggio principalmente frequentato da inglesi o australiani dediti alla pesca. All’interno c’è anche un diving center. All’inizio otteniamo una stanza che affaccia su una sorta di patio comune sul quale ci sono dei divanetti. Poiché la mia compagna in particolare desidera una maggiore privacy, chiediamo di cambiare stanza e subito ci accontentano spostandoci in una camera al secondo piano con un divanetto esterno autonomo, al quale prenderemo ogni mattina il tè che ci portano. Come trattamento offrono la mezza pensione. Con il cibo ci siamo trovati benissimo: in particolare consiglio di saggiare il Seafood platter della domenica, che si compra come extra a 450 scellini kenyoti – a proposito, qualcuno li chiama anche bob – corrispondenti a 4-5 euro. Il personale è davvero gentile e simpatico.
Il mare in questo periodo dell’anno non è dei migliori. Sia la spiaggia che i primi metri di mare sono stracolmi di alghe e quindi non ci viene proprio la voglia di faci il bagno. Pertanto i primi giorni stazioniamo in piscina. Il tutto si pulirà, ci dicono, intorno ai mesi di dicembre-gennaio, che costituiscono la loro estate. Dopo qualche giorno ci avventuriamo sulla spiaggia e scopriamo, anche grazie all’incontro con i beach boys che divengono un costante accompagnamento alle nostre passeggiate in spiaggia, che verso quella che sembra la fine della spiaggia, c’è un passaggio che conduce verso un’altra baia, dove il mare è già più pulito. Attraversando completamente anche questa baia e il paese di Watamu, si arriva infine ad una terza baia (dove ci sono villaggi come il Barracuda Inn) che è ancora più pulita e dove, grazie a dei giochi di marea, la mattina si forma quella che viene chiamata Isola dell’Amore, un pezzo di spiaggia a forma di cuore in mezzo al mare. Qui ci andiamo solo l’ultimo giorno. Verso mezzogiorno il pezzo di spiaggia viene ricoperto completamente dal mare e torniamo a riva in una barchetta locale a vela, facendo una breve traversata molto suggestiva.
Con i beach boys facciamo due gite, una alle rovine di Gede e una nel canale delle mangrovie detto Mida Creek. Qualche parola in più sui beach boys: benché in certi momenti ci siamo trovati a sperare che non ci avvicinassero, per poter finalmente stare un po’ da soli, devo dire che poi la loro compagnia si è rivelata in alcuni momenti piacevole e ci ha consentito uno scambio culturale che altrimenti non avremmo avuto modo di fare, visto che tendevano a stare sulle nostre. E’ vero, spesso diviene fastidioso il loro cercare sempre di venderti qualcosa: ma forse è naturale che laddove vengono a contatto diretto due popolazioni molto diverse in termini di benessere, quelli che ne hanno di meno cerchino di poterne recuperare un po’ dagli altri. Comunque, sia le passeggiate che le gite sono diventate un modo per conoscere gli usi e i costumi della popolazione locale, per noi in particolare grazie a Mae ed Umbu che sono diventati un po’ i nostri mediatori culturali.
Dopo circa 15 giorni arriva il momento della partenza: prenotiamo alla reception dell’Ocean Sports un transfer per l’aeroporto di Mombasa a circa 7.000 scellini e iniziamo il percorso che poi, attraverso Nairobi e Il Cairo, ci riporterà a casa.